« l’umile ara dei sogni perduti »

Sulle tracce della poesia di un Odisseo leopardiano

Résumés

Attraverso circa mezzo secolo la lirica di Luigi Martellini riafferma la difficile condizione umana nel viaggio irrequieto del poeta verso un’improbabile Itaca.

Through almost half a century, Luigi Martellini's lyric reaffirms the difficult human condition in the poet's restless journey towards an improbable Ithaca.

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Keywords

Leopardi, Martellini, poetics, ulyssism

Parole chiave

poetica, Martellini, leopardismo, ulissismo

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Oggi come di frequente nel passato, l’originalità di una poetica si trova spesso all’intersezione di un sentire individuale e di varie esperienze legate a non meno varie tradizioni letterarie emergenti nell’« aria del tempo » – uno Zeitgeist che ormai tende sempre più a densità e universalità. In tale contesto, un poeta restituisce nel suo operato quella duplice coscienza, di memorie intrecciate del proprio vissuto e dei suoi “incontri” letterari. E in quel caso, nonostante la difficoltà di una sua definizione1, il valore « lirico » (da intendere come soggettività nell’espressione delle sensazioni e degli stati d’animo) richiama anche tutta una mitologia nell’ambiente intimo del poeta, nel suo esistenziale cerchio d’orizzonti (del reale e dell’immaginario).

Un panorama delle poesie attraverso cinque decenni

La creatività poetica di Luigi Martellini2 consiste appunto nell’attraversare il fiume3 in cui convergono l’esistenza e la cultura ereditata, al fine di trovare autenticità e originalità nella propria voce4. La sua opera poetica consta oggi di nove libri, di cui molti hanno ricevuto riconoscimenti autorevoli. Già nel 1977, nell’introduzione a Quasar, la raccolta d’esordio del poeta marchigiano, Mario Petrucciani aveva espresso un giudizio encomiastico:

Odisseo è sbarcato per l’ultima volta: l’età breve è trascorsa, qui finiscono i viaggi. Ma invece della terra promessa, l’orizzonte che si apre davanti ai suoi occhi è quello di una ostile, enigmatica waste land. Muove da qui, sull’orma severa di Eliot, la poesia di Martellini. La immedesimazione strutturale dello stile con alcune figure emblematiche della nostra condizione di uomini dimostra che ha maturato una consapevolezza essenziale sulle potenzialità mitopoietiche della scrittura […]5.

Ma anche Ettore Mazzali valutava la poesia di Martellini come un Ulissismo, da interpretare in quanto « simbolo della peregrinazione esistenziale dell’uomo moderno », accennando a un itinerario poetico paragonabile a una « anabasi esistenziale », magari con « l’irrequietudine risentita e talora l’angoscia tragica dell’ottusità terrestre »6.

Nei versi di Quasar, si legge infatti ciò che il poeta considera un’analogia « con l’uomo e il suo muoversi nel tempo », in versi che sono da considerare « segnali dei miti dell’uomo, esorcismo come la vita, l’amore, la morte »7:

[…] Solo una tacita stella
ammicca la brezza
delle pigre ore notturne

Solo una tacita stella
e questo dono di lacrime.8

L’Ulissismo appare dunque come una componente originaria, alla radice della poetica di Luigi Martellini. Infatti, si tratta qui di un’esperienza lirica che è andata sviluppandosi come una peregrinazione attraverso l’esistenza, ed espressa tramite l’immagine di « un solitario Odisseo » alla ricerca della verità nella propria parola, « nel percorrere una eliotiana terra desolata », secondo le parole dello stesso autore9. Quell’ambizione è leggibile nella figura enunciata ne « Il carretto del tempo »:

Uomini
col volto bruciato dal sole
si allineano stanchi
lungo una corda
– i sugheri in arco galleggiano,
la sciabica è ancora lontana –

Dalla nebbia
la nenia
di un bragozzo lontano
allucina lo sguardo
a onde seguire
a voci fuggire.

Appoggiato al carretto del tempo
ormai stanco
mi spezza il trauma
dell’inferno che mi circonda

non so piangere.10

Ed è così che, nella sezione della raccolta intitolata « Odissea », il poeta si fa eroe solitario11 di una vita posta sotto il segno di un destino fatale, se non proprio tragico (una mitologia, per non dire ogni mitologia, riposa infatti sulla nozione fondamentale della fine come principio di tutto)12. Un’esistenza che si profila negli uomini che « si allineano stanchi / lungo una corda », come sfilata d’intervalli di tempo. Strada, sentiero fatali, quelli del poeta: anche se l’ambiente è piuttosto quello del sogno e del mito, il mondo circostante gli appare come un « inferno ». Le immagini della spiaggia lasciano scorgere la dimensione onirica del discorso (« allucina lo sguardo »), pure se il vissuto è sinceramente provato in quanto “infernale” (e lo può essere, dando retta al « secolo breve », l’« era dei grandi cataclismi »13).

Nel secondo libro di poesie, Infiniti sassi14, è stato Giorgio Caproni ad avvicinare i segni poetici di Luigi Martellini alle « metafore » terrestri e psicologiche dello scrittore Antonio Machado, affermando in una sua presentazione al libro:

Martellini ci ha dato una veduta da un punto di stazione inequivocabile: il suo proprio io. Un io offeso che si ritrova in un paesaggio offeso. Il che non significa una diminuzione del paesaggio stesso (e delle figure che lo popolano), ma anzi una sua animazione, grazie all’avvenuta osmosi fra i segni fisici o « naturali », e i segni della privata avventura: di un io che in quello specchio diventa un noi, dilatando i termini di un destino personale in quelli di un destino comune.

Quell’avventura e quel destino comune sono leggibili per esempio in un componimento di questa raccolta, con il retroscena di un paesaggio mediterraneo arso, tutto in contrasti, disabitato ma recante i segni di una difficile abitazione, remota nel tempo (con « paziente fatica »), in un paesaggio « di infiniti sassi », definito « margine dell’uomo », che viene percorso dall’io poetico :

Lunga paziente fatica di filari di pietre
manufatti negli spazi remoti
delle necropoli fra orti giardini:
tra pieghe spacchi
un’aria d’origano e di mandorli.
La calce dei paesi scintilla
su tufi crete
tenebrose che segnano
grotte eremitiche.
Eppure ci sono pozzi cisterne
nascosti nelle cave di calcare:
devastato margine dell’uomo
in un paesaggio di infiniti sassi.
Poi
una costa di rocce nerofumo
di torri sull’acqua smeraldo
dove pescatori rammendanole reti e
narrano storie di mare. […]15

La ricerca di Luigi Martellini sul tempo dell’uomo è continuata poi con Mistificato enigma16: una breve raccolta che Marco Forti ha definita « lavoro di notevole consapevolezza formale e critica con testi nati da un impegno letterario e stilistico serio intenso riflessivo »17, mentre Giorgio Bàrberi Squarotti si esprimeva più sulla valenza etica del libro:

Credo veramente che l’attività poetica di Martellini sia giunta a risultati di assoluta verità: questa sua attuale testimonianza rappresenta l’esempio rarissimo di un discorso di straordinaria complessità, ricchezza, vitalità, potenzialità futura. Le poesie più recenti indicano, oltre tutto, un progresso […] di struttura, di linguaggio, di ricerca.18

Riguardo all’espressività letteraria, vi sono in questi componimenti figure e segni per i quali ci si può chiedere se caratterizzino una poesia collocata « in un tempo imperfetto o remoto, perduto nelle favole e nelle fobie, nel quale tuttavia la luce enigmatica di quel tempo non può essere la luce di un tempo andato perduto. O perduto, appunto, nel suo enigma? », come s’interrogava nella lettera di presentazione a questa terza raccolta il grande poeta fiorentino Mario Luzi. Infatti, è qui in atto una temporalità che in alcuni componimenti sembra abitare sia i labirinti di città ostiche che quelli di un inconscio altrettanto arduo, come in « Ritorno a Babilonia »:

Dentro le rue tortuose della giovinezza
cumuli di pietre e gli stessi volti
che s’incontravano allora
nei vicoli ripidi e neri.
Ritrovate sensazioni di gelo
tra la polvere dei calcinacci
e scantinati umidi di muffa.
Secchi rami e foglie riarse
nei chiostri e dalle colline
degradanti lungo i contrafforti
dell’Appennino giungeva l’aria
monotona di un tempo estraneo
al nostro ritorno. […]19

Sempre nella sua prefazione a Mistificato enigma, Mario Luzi precisava inoltre il suo punto di vista sull’opera:

Il desiderio di spazio e la compressione dello spazio, l’avventura (soprattutto marina) evocata e immaginata contro la monotona consumazione del tempo a ripetizione dei segni, il soffoco e la riduzione contro la meraviglia e l’aspettativa si battono senza clamore ma tenacemente: esplicitamente, visualmente e anche dentro la filigrana dell’espressione, nei trapassi di ritmo della metrica. Finché nell’ultima sorprendente sezione intitolata ad Ulisse trovi la misura perduta di quella libertà di desiderio e di esperienza, di quell’omogeneità dell’uomo con se stesso […]

Nel 1986, con la raccolta Poseidonis20, Martellini continua a percorrere quella dimensione mitico-simbolica in forma epica, ma allora inizia a disegnarsi un discorso dell’inconscio tramite una metafora paesaggistica (città percorse da un’isotopia legata ad una temporalità « liquida ») che traduce la condizione dell’abitare poetico:

Sulla torva e scura
ragnatela d’acqua
nelle cieche corti
nascoste i ritmi
delle maree svelavano
(dal luccichio delle pietre
di ghiaccio) il verde
marcio dell’umidità
che saliva sui muri...
e indicavano illustri
abitazioni dentro
liquidi labirinti.
Incrostazioni un tempo
dipinte si mostravano
da intonaci di finti
mattoni con lo sguardo
ai telèri sotto lo sporto
dei tetti a cercare fastosi
fioriti balconi fino alle
logge ai muri merlati
dietro policromi marmi.21

L’anno dopo, in Eídola22, lo scrittore approfondisce questa vena dall’atmosfera ermetica, appoggiandosi su una fenomenologia che lega degli elementi della realtà a una visione onirica: l’impossibile che può avvenire, l’apparizione che lascia posto all’apparenza, una dialettica della presenza e dell’assenza, dell’invisibile che per un attimo appare. Si tratta di una realtà tendente all’estraneo che emerge su uno scenario consueto della vita23. Ma le poesie di Eídola alludono anche a sentimenti come l’inganno o la delusione, e i componimenti rivelano un’irrimediabile evanescenza delle presenze evocate dall’io poetico, come indicava Giuliano Manacorda:

Martellini […] si pone all’orecchio la conchiglia per ascoltare il passato e trovare il bandolo del filo d’Arianna dell’esistenza, passa in rassegna gli oggetti che parvero dar corpo al nostro fenomeno, ma scopre che non solo quelle care piccole testimonianze sono morte, ma che nel momento stesso in cui parvero attuarsi erano in realtà, anche allora, nulla. […]24.

Tale contesto si legge appunto più particolarmente in « Conchiglie »:

Spostando leggermente le biche
di sabbia affioravano conchiglie
dalla superficie: minutissimi
frammenti di madreperla chiari
iridescenti insieme a parti di bisso
impregnate di sale calcareo
e pedicelli cristallizzati di stelle
di mare. Un cimitero di telline
essiccate, qualche columella
spire scheggiate, pezzi di valve
dal colore opaco dissepolte
da sotto una polvere bianchissima
di calcare conchiglifero
sedimentato nella rena
(decalcificazione ossea dell’uomo
frantumata in granelli di morte
sola geologia rimasta di argonauti
antichi). […]

Senza soluzione di continuità, lo scenario arido, fossilizzato, e recante un riferimento letterario montaliano (il correlativo oggettivo della conchiglia), lascia posto a un paesaggio occupato da elementi leopardiani (i sassi neri, il deserto, le ginestre) già rintracciabile nel pulviscolo dei resti umani « sedimentato nella rena »25:

[…] Vedersi apparire il nulla
dal silenzio terribile d’oltretomba
nella barca dei morituri
che navigava all’orizzonte.
Una spiaggia di sassi neri
ma dal mare scomparso si apriva
– coi suoi mutamenti – il deserto
del nomade davanti al mio enigma
fra macchie – a perdita d’occhio –
di gialle ginestre.26

In quella evanescenza (l’apparire del « nulla / dal silenzio terribile d’oltretomba »), Carlo Bo distingueva però nella sua prefazione a Eídola il positivo del dire poetico, proponendo:

Martellini pertanto è sicuro di una cosa: compito del poeta è non nascondersi, non prendere delle maschere. Di questo appunto dobbiamo dargli atto: l’aver confrontato la poesia, la sua poesia, con la vita che è di tutti, spesso informe e nascosta27.

Uno dei componimenti che meglio illustrano questo confronto è « Sogno », il quale espone di primo acchito la percezione del mondo circostante:

*
Linee appena avvertite nel buio
Circonda il silenzio il silenzio
Un tempo di sussulti
Si aggrappa al respiro
Notti insonni trasformano
La muta solitudine della vita
*
Caduto il tempo delle divinità
Manca un passato a cui rivolgersi
Credere ormai nel dubbio
Dello spazio
Nell’intrecciarsi del vortice
Lento di ore
(Falsa meschinità dell’essere)
[…]

Poi vengono le sensazioni dell’essere al mondo, in una precarietà che lega al nulla anche l’essere, pur nella coesistenza:

*
Il vento ci accoglie
Fra intervalli di pace
Nell’immobile ammasso
Di tepori nascosti
Immersi in strani presagi
Lo stringer spaurito di mani
L’ombra di una pena
Nell’esser insieme
[…]

Infine, si arriva alla coscienza di vivere in un sogno, comunque connesso a necessarie ma ingannevoli speranze, e all’espressione di un’esigenza in grado di salvare qualcosa del vissuto (« dimenticare », « ascoltare »… « non svegliarsi »):

*
La spoglia primavera
Annunciava l’oscurità
Giungerà il domani
Intrecciato alla speranza?
Si consuma con la fede
La tragica pena di un passato
Tra palpiti inganni
*
Spegnere l’unico senso di vita
Col lento morire si compie
Quel conforto di non tornare più
Tra lo squallore degli affetti
Abbiamo inseguito falsità
Dimentichiamo l’illusione
Di ascoltare l’unico lamento
È velato anche l’odio
... E non svegliarsi.

Eídola appare nel 1987 come un punto saliente dell’arte poetica di Martellini, poiché nella sezione « Altri sassi » vengono rivisitate nello stile alcune delle prove anteriori. Mentre il tema del « doppio » appare nelle sezioni « Fantasmi » e « Sogno », come a sottolineare ancora di più l’atmosfera arcana in cui muove il soggetto, il libro si apre sulla sezione « Anteros » (il dio dell’amore vero e condiviso), che consiste in una breve serie di testi riguardanti il rapporto all’essere amato. E nella sezione « Poseidonis », che riprende la raccolta omonima del 1986, ritroviamo l’attenzione ai paesaggi e all’essere amato, come in questo brano dove alcuni elementi dell’enunciato sono particolarmente espliciti di una dimensione erotica nel ricordo:

[…] In mezzo a invenzioni
di buio sentivo il succhio delle tue labbra calde
e il tepore liquido sulla pelle.
Silenzi e clamori dall’incanto
di cristallo nei mutevoli
giochi di terraferma.
Risplendevano nel crepuscolo
oscillanti silenzi
perle di grigi e a sera
ombre lunghe sul mare.28

Nel 2006, dopo alcuni anni di silenzio in poesia, Luigi Martellini ha pubblicato una scelta antologica della precedente produzione con il titolo Selected Poems (1964-1987)29. Esce poi nel 2008 il Journal 199830, un diario su un anno, che si svolge tra immaginario e magia, tra meraviglia e melanconia, come appare nella poesia « Gennaio »:

In un mattino di pioggia
ho attraversato l’arcobaleno
fiorito all’istante nel prato
da uno squarcio di sole.
Nello spettro dei colori
ho rivisto tutta la vita
assorbita nella trasparenza
della rugiada nel pulviscolo
equoreo di scaglie d’argento
(insieme al mio Angelo).

E improvviso il ricordo
di grigi momenti
autunnali d’ombre
nebbiose di lacrime
ha tagliato il mio cuore.

Sempre nel 1998, accanto al Journal viene pubblicata la raccolta La fiaba impossibile31. In questa silloge – una serie di componimenti datati dal 1987 al 1997 – un dialogo si afferma « con tutti i segni della vita degli uomini e della natura in cui si imbatte »32, con in chiusa l’esperienza di una epoché del soggetto nel suo essere al mondo:

Linee a gobba tracciate
dalle fontane su violacei
tramonti autonnali
a gradazione di colore.
Sui monti lingue di fumo
si propagavano dietro
nitidi contorni sbiancati,
oltre i tetti delle case
fosche sagome di borgate
spezzettavano il confine.

Provavo ad assentarmi
ma ogni cosa restava
al suo posto
pur senza di me.33

La ricerca di comunicazione rimane il tema vettore, insieme a un esplicito assillo del poeta per l’« abisso » in agguato « attraverso il vetro / del tempo », espressioni che riemergono nel perseverante percorso dei ricordi:

Scrutarti – chiusa nelle immagini
dei tuoi segreti – nell’ombra
di notti vegliate al chiarore
della mia ossessione e sospesa
nell’eco dei sussuri
dei nostri immobili corpi.
Sentirsi nello sgomento che tutto
possa concludersi, nascosto lo sguardo
a cercare – nel buio – l’abisso
della vertigine di un sogno: unica
difesa alla precarietà dei giorni
che restano – ancora oggi – ostili.
Pensare all’assenza della tua morte
all’estrema semplicità di un affetto
malgrado tutto, attraverso il vetro
del tempo che sta oramai
volgendo al termine.
Nessuno saprà mai di une macchia
d’inchiostro che oscurava il mio foglio bianco.

Sono riuscito a darti solo il vuoto
ed è già passata l’ora.34

Dopo un’altra breve pausa, La finzione il nulla35 lascia vedere che Luigi Martellini ha proseguito la sua tenace esplorazione dell’esistere, con una raccolta dove si può leggere una ovvia eco leopardiana (il celebre rapporto dal sapere al dolore)36 con una rielaborata percezione di un « tempo mai iniziato »37, nel « diario di un viaggio condotto tra i marosi dell’esistenza », come accenna Giancarlo Quiriconi nella premessa al libro.

Si tratta di un altro diario in cui vengono evocati diversi luoghi di vita e paesaggi (giardini, parchi, quartieri, spiagge), rivisitati nei flussi e riflussi della memoria.

La dinamica di fondo rimane quella di un « viaggio antico » (si veda in particolare « Partenze », il componimento che apre la raccolta e segna la prospettiva tematica) che evoca scenari ambigui, quasi ostili nell’acutezza dei ricordi (« nuvole bizzarre a sprazzi », « l’immondizia dei flutti »), e però recanti presenze che emanano un affetto sincero, magari esaltato in un « amour fou »:

Qualche goccia di pioggia
dal cielo accelerava inutilmente
il nostro passo che dalle nuvole
bizzarre a sprazzi riusciva
a filtrare dai passaggi davanti
all’infocata freddezza del sole.
Ci seguiva il soffio del vento
che increspava a tratti le onde
tra bagnanti in movimento
e lo sciabordare nero sui ciottoli
dell’immondizia dei flutti:
mollicce carcasse di seppia
scheletri di granchi
uva di mare.
Si muoveva la sabbia variando
la disposizione delle pieghe
ondulate e irregolari.
Tra i riflessi di vetro
dei capelli saliva il profumo
di mare della tua carne.
Il nostro amour fou rimaneva
sospeso tra sogno e rifiuto.
Solo un’ombra volava
lenta in ampio giro su di noi
(una sagoma di gabbiano
sulla rena inaridita) quella
remota presenza del passato
che affiorava dalla memoria.38

Ed è dall’editore Manni che esce nel 2018 Libellus39. Sulla scia dell’Ulissismo esistenziale che nelle precedenti raccolte vedeva muoversi il poeta nel « mistificato enigma » della vita, la voce poetante continua a percorre i dedali di un mondo dove, spesso, l’esistenza è sentita come ridotta a finzione. L’epilogo di « Canto greco I » evoca questo contesto, in forma di dialogo con sé stesso:

[…] Puoi scrivere poeta
i tuoi versi, si desterà
la mente nella notte
muore l’esile filo di luce
solo una lontana foto della tua
sembianza affonda nel passato.
Il destino dei nostri abbandoni
col suggestivo sogno si dileguano
nella fievole luminosità
che resiste alle ombre
scomparse nell’inganno
al tempo per l’illusione ultima.40

Qui, il tempo che appariva smarrito e condannato al ricordo assillante sembra proustianamente ritrovato. Come retroscena ad una figura femminile molto presente, si disegna un luogo al termine di un viaggio (una specie di Itaca), « con l’ingenuo stupore (di un fuoco o di una stella) che la poesia può dare, depositaria di quella favola lontana »41, secondo la lettura di Antonio Prete.

Sempre secondo Antonio Prete, la memoria « in questi versi è, insieme, evocazione e meditazione, sogno e accoglimento di un altrove che è sorgente di malinconia ma anche di grazia »42. Una tale quête permette di « ritrovare, con la forza evocativa della parola, frammenti e forme di quel che è perduto [e] significa attingere a quella presenza che resiste nel tempo e che la poesia può custodire »43.

Questo processo poetico si rivela particolarmente in componimenti come « Ricordo » o « Miraggio », con i loro paesaggi marittimi:

M’appariva una barca
a vela latina sul confine
del mare bianca per la distanza
e scompariva lungo la linea
verticale tratteggiata
a intervalli dalle aste
di alluminio degli ombrelloni
simmetriche e continue.
Si muoveva in lontananza
il fantasma anche delle ore
antiche e stanotte sarà
il giorno delle stelle
senza più un desiderio
a cui pensare compiuto
ormai il navigare terreno
lungo le acque infere.
La barca a vela latina
non si avvertiva più
a dismisura aumentava
lo spazio del vuoto
sostituita l’acqua dalla sabbia
e cresceva intorno il deserto
che tremolante ricopriva
la vista ancora per poco
visibile e moriva oltre il cielo.44

I paesaggi cari al soggetto (i “posti”, come li chiama Martellini) sono in effetti il retroscena di un io intento a « scrivere della verità / cercata per tutta la vita / sfuggita di mano / con l’inevitabile stanchezza / resa vana dall’oblio »45. D’altronde, nella stessa sua postfazione a Libellus, il poeta confida:

Sono nascosti in questa prosa poetica (o fantasia) gli interni e gli esterni di un posto a me caro, simbolicamente fuso in una metafisica struttura della mente, per confonderlo e unificarlo così nella memoria, e per fonderlo (oggi con una dolce presenza vicina) come sintesi archetipica in un unico spazio letterario dentro il quale continuo a muovermi e a scrivere (il « gioco insensato di scrivere » di Mallarmé): ancora provvisoriamente, come allora.

Nel 2020 è pubblicato il volumetto bilingue Ultime (The Last Ones)46, con traduzione in inglese di Stefano Mazzagatti. Il volume reca in esergo una citazione tratta dallo Zibaldone di Giacomo Leopardi (al quale va l’interesse di Martellini, come ormai ben attestato), pur essa tradotta in inglese: « La rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico […] e il poetico si trova sempre consistere nel lontano, nell’indefinito, nel vago ».

Sono quindici componimenti, con la dedica « A Sofia »47, che vengono legittimati dallo stesso autore in una premessa intitolata « Parlare di sé » nella quale, facendo una sintesi del suo percorso poetico, anche qui Martellini s’interroga:

Perché si scrive? Blanchot lo chiedeva alla sua penna che guardava scorrere senza riuscire a fermarla, rivelando su un foglio bianco ciò che lui diceva: incancellabili segreti che altri avrebbero letto.48

Al che il poeta risponde subito:

Come l’anello di Möbius in cui la faccia interna e quella esterna (faccia significante e faccia significata, faccia di scrittura e faccia di lettura) girano invertendosi di continuo e la scrittura non cessa di leggersi e la lettura non cessa di scriversi (e d’inscriversi): il testo sintesi dell’inizio e inizio della sintesi. In Ultime, il principio è una nascita e il termine è una morte: la voce il silenzio. Il kafkiano cerchio (scrivere per poter morire e morire per poter scrivere) chiude l’arco di tempo qui registrato dall’alfa all’omega, perché lo spazio della parola-morte è lo stesso della parola-vita per rendere la morte meno amara o meno ingloriosa o meno probabile, come sperava Proust.49

La conclusione della riflessione ribadisce l’idea portante di una poetica esistenzialmente impegnata:

Il percorso che il poeta-funambolo (una tremolante ombra che passa) cerca di compiere contro il destino è la ragione di una scrittura intesa come relazione anticipata con la morte, per difendersi dell’indifferente tramutar del tutto e dall’enigmatica visione di un limite già fissato, oltre il quale non è possibile andare. In questo obbligato profetico viaggio senza ritorno verso la fine, [è da] mettere almeno, per dirla con Gide, l’intima rimembranza dell’opera al riparo dalla morte [con la speranza che] la foscoliana armonia di un canto possa vincere di mille secoli il silenzio.50

Nella poesia di Ultime / The Last Ones si rivelano ancora più presenti delle figure femminili (era già il caso con la « M. » di alcune delle raccolte precedenti, per esempio con i quattro componimenti di « Poesie per M. » in La finzione il nulla). Figure che, paradossalmente, sono rivelatrici di un’assenza e della solitudine del poeta. Di tali presenze, la poesia che apre il volume, intitolata « Trismegisto »51, richiama in un primo tempo una manifestazione a valenza consolatoria e in qualche modo protettrice:

Hai il nome della saggezza
la greca sapienza che sarà l’anima
amica e ti distinguerà.
Eppure piangevi alla vita
accorata di lacrime.
Altri cercavano segni
e cromatismi vari
forme di lineamenti
di antenati profili.
Oltre la tua vivacità
estrema a me appariva
invece solo un’immobile
smorfia spontanea
e gentile: l’incerto sorriso
di protezione e della paura.
Nella leggendaria figura
di Ermete si fondevano in te
sophía e magia e terminava
l’epoca della liceale
Mnémosyne onnisciente:
di ciò che è stato, che è, che sarà.
[…]

La bambina evocata, che ha il « nome della saggezza » (è la Sofia della dedica della raccolta) e in cui si fondono « sophía e magia », è anche simbolo di vita vissuta nelle lacrime (« vita / accorata di lacrime ») e di vita in fieri (« ciò che è stato, che è, che sarà »). Si ritorna così al filo conduttore dell’odissea umana sotto il segno del tragico della vita. Tale rimembranza, in cui riemergono appunto le figure mitiche di Ermete (in funzione di psicopompo) e Mnémosyne (il potere di ricordare), è « rinchiusa in una svenduta / cornice »: fotografia della bambina, questa volta sorridente, che ha per funzione di fermare il tempo nel suo cammino inesorabile:

Ti ho rinchiusa in una svenduta
cornice dai brillanti riflessi
(muta di pianto e di poesia)
per fermare indietro il tuo tempo
insieme al mio che invece troppo avanzava:
così ricordarti e figurarti col grigio
cappello (screziato di bianco)
bianca anche l’avvoltolata sciarpa
sul collo, come i dorati riccioli
dai biondeggianti riflessi
sul volto pensoso, rimasti
fuori insieme allo sguardo
abbassato, ma eri contenta.
Come quando dalla libreria
di nascosto prendevi La morte del fiume
attratta dalla verde copertina smeraldo
o giocavi coi sassi del viale
o raccoglievi un fiore
sull’incolto prato tra montaliane
file di contaminate formiche.52

Con questo ricordo intimo, fermo nella temporalità della foto, ma che rinvia alla vitalità della nipotina nonché a un retroscena montaliano di « ermetiche » (riemerge la figura di Ermes) « file di contaminate formiche », l’« io » che dominava nelle raccolte dell’esordio si è aperto chiaramente al « tu » e al « noi », come ne « L’ultimo viaggio » (in un accenno biografico a una gita in Francia), oppure come in « Attimi dell’ultima estate »:

Da percorsi provenzali
di lontane catare eresie
seguivamo tracce di colonne
romane, di strade e teatri
di aromatiche erbe
e profumi di lavande
fino ai piedi di uno sperone
roccioso sul corso del Rodano
tagliato dal ponte di St. Bénézet
e ti muovevi tra eleganti
archi a tutto sesto, negli interni
di nobili rosoni appoggiata
(castellana d’altri tempi)
su calde pietre assolate. […]53

Volevi trascorrere una sera
davanti al mare e la luna
screziata dalle nuvole muta
osservava il via vai delle
portate intorno a noi ed eri
triste per non ritrovarti più bambina.
Stamattina nel vecchio parco
non c’erano più neanche
i pesci rossi nell’acqua
ormai melmosa della vasca
accanto all’uccelliera in ferro
battuto: nel piccolo zoo oggi vuoto
dei nostri giovani incontri. […]54.

La raccolta su chiude però sull’evocazione di un’altra foto nell’ultima poesia, intitolata « Polvere »55. È il ritratto della moglie del poeta e nonna della bambina di « Trismegisto », un « rettangolo di colorata ceramica », come simbolo dell’amore andato, nel viaggio dell’anima:

[…]

Dalla foto toglievo la tua polvere
che veniva dall’interno e si depositava
sulla lapide esterna. Ascoltami:
cerca nella necropoli un venditore
e compra (ti ho lasciato un obolo)
il Libro dei morti, come anima
puoi usare le magiche formule
per vincere le difficltà e i pericoli
che ti attendono nei luoghi dove sola
ti sei avviata e non puoi per ora tornare. […]56

Qui si tratta non più solo di una rimembranza, ma di un’evocazione vera e propria, come rito destinato a chiamare, per virtù magica, un’anima dall’oltretomba, quale in uso presso gli antichi. E torna pure l’immagine della polvere, motivo spesso ricorrente nelle raccolte precedenti, come i « granelli di morte / sola geologia rimasta di argonauti /antichi » di « Conchiglie », in Eídola. La raccolta, nella sua chiusura “destinale” dagli echi foscoliani (si pensa a « I miserandi avanzi che Natura
/ Con veci eterne a’ sensi altri destina », ne I Sepolcri), funge dunque (riferendoci al titolo) da Itaca fatale: termine virtuale (che tuttavia non si può dire definitivo) del viaggio poetico iniziato con Quasar.

La dinamica poetica nelle opere

Questa panoramica dell’opera in versi lascia vedere che l’esistere dell’io lirico di Martellini è sotteso dalla tematica del viaggio, sia palesamente / realisticamente turistico (come in questi « Attimi di fine estate » appena citati, con il « via vai delle portate intorno a noi » in un ristorante in riva al mare) che esistenziale, con i segni di un caratteristico Ulissismo negli accenni ai miti.

Si può osservare in quest’opera una costante dello stile, che in sostanza consiste nella suspense percepibile nel passare da un verso al seguente, si tratti di enjambements veri e propri oppure di legature da meccanismi affini. È un procedimento tipicamente leopardiano (uno dei poeti di riferimento di Luigi Martellini – marchigiano pure lui), che interviene nella rappresentazione del dolore provato e che dà ai versi una dinamica e un ritmo che permettono di trascendere il « mal di vivere »57 nella memoria restituita. Si tratta così di una scrittura fondata su una « forza nascosta » e che segue una regola dinamica: « per fare poesia bisogna conoscere la poesia, ma anche la prosa (nel significato più ampio) che è quella che alimenta il verso »58, come lo confessa Martellini.

Un altro poeta del mal di vivere, dunque? Riferendosi ai versi letti in questa serie di sillogi, si direbbe ovviamente che quell’etichetta collima, poiché come accennava Daniele Piccini, nell’opera di Martellini, « il punto nevralgico è il leopardiano mi fingevo; e l’infinito qui è la memoria stessa. »59 E lo stesso Martellini indica nell’intervista « Il silenzio, la poesia » già accennata:

[…] nella percezione che tutto è un mistero ed un enigma, che la realtà non è mai quella che vediamo, che non esiste la felicità, che si vive in una precarietà tragica e che questa è una condizione non personale ma comune, che la mistificazione e la finzione rivelano il nulla dell’esistenza: è questo che ho voluto capire, continuamente interrogando me stesso e cercando di scrivere delle illusioni e delle speranze... vale a dire delle paure e delle nostre impossibilità.60

In tale ambito, una poesia come la « Constatazione » di The Last Ones pone ancora una volta i dati del destino comune a cui si confronta ormai, non più un pronome soggetto al singolare, ma un « noi »:

Quella che definivano la selvaggia
bellezza della vita era solo vanità
e trasfigurava ormai nel cielo scortata
da due angeli in volo fino a posarsi
nell’infinito nulla del vivere.
Camminando nel vento
non siamo riusciti
a distanziare la morte
ma ci avvolgeva solo un mistero
che pensavamo di sciogliere:
era invece il muto segno
che tutto avrebbe avuto
una fine da lì a poco
e solo per ritornare alla disfatta
modellata argilla.61

Fin dall’inizio (in Quasar), i versi di Martellini sono, come lo dichiara, « dei segnali, segnali dei miti dell’uomo, esorcismi come la vita, l’amore, la morte », da considerare come « primi fantasmi di un itinerario perduto dietro un’odissea temporale senza fine. »62. Secondo il poeta, questa linea appartiene a una prospettiva da considerare in quanto dimensione comune al mondo letterario: « […] Penso che ogni autore che scrive poesie abbia cercato di capire tutto questo ed ognuno ha provato a dare la sua risposta contro la morte […]. »63.

La fenomenologia che Martellini privilegia – oscillante « tra realtà e sogno, tra immagini e ombre », e quindi fondata una « dialettica della presenza e dell’assenza »64 – sta ovviamente a rivelare tutto il tragico dell’essere. Tuttavia, se il vettore delle liriche è definito « illuministicamente e razionalmente leopardiano », il poeta si affretta a precisare che non si tratta di pessimismo e rimanda all’explicit dello Zibaldone dove Leopardi « parla delle tre verità (cioè il sapere, l’essere, la speranza) alle quali “gli uomini generalemente non crederanno mai” e che appartengono alla categoria del nulla »65.

In sostanza, la poesia di Luigi Martellini espone certamente una poetica di crisi (Krísis, vale a dire « separazione », « scelta », « giudizio ») in cui si tratta di mettere alla prova un criterio tra il vero e le apparenze. Nel cuore stesso della scrittura, come propone Yves Bonnefoy, c’è una interrogazione della scrittura, « una voce che si ostina in quell’assenza »66. La condizione dell’uomo moderno nella poesia di Martellini è quindi il sentire la precarietà tragica del vivere (« condizione non personale ma comune »67) pure nella scrittura, nell’immagine dell’essere al mondo, il provare « quell’impressione di realtà finalmente pienamente incarnata che ci viene, paradossalmente, da parole distolte dall’incarnazione »68.

Occorre perciò « trovare una ragione di vivere »69, come segnalava uno dei componimenti di apertura di Quasar70, poiché, in conformità con un altro parere espresso da Yves Bonnefoy, « ogni poesia […] ospita nel suo profondo un racconto, una finzione ». Sempre per Bonnefoy e molto sensibilmente in affinità con la linea seguita da Martellini, la poesia « non è il dire di un mondo, […] sembra piuttosto ch’essa sappia ch’ogni rappresentazione non è che un velo, che nasconde la vera realtà… »71.

E così si osserva che i poeti possono avere una visione in comune nella coscienza sincera dei limiti dei poteri della poesia e della comunicazione poetica, ovvero della stessa comunicabilità della poesia. Infatti, quando Martellini evoca il « discorso della letteratura », egli sottolinea il fatto che:

[…] è sempre un discorso su un destino che ci riguarda, e la letteratura è già in se stessa una conoscenza e come tale non serve per conoscere, ma è la più grande manifestazione del nostro spirito, vale a dire una necessità interiore che ha il compito di sostenere (con quella forza alla quale si accennava sopra) il testo che ne scaturirà e mirare, di conseguenza, attraverso l’espressione letteraria, a giungere a quella verità intesa, quindi, come totalità dell’atto letterario, sintesi tra la necessità dell’anima e la scrittura. Il mio è perciò un ragionamento (ragionare appartiene alla tradizione poetica, Dante Petrarca Leopardi, come sinonimo di poetare) su una storia interiore, sulla memoria personale, su una assenza, la risposta cioè attraverso la scrittura alle domande più gelose, nascoste dentro di me, per rivelare le rovine della nostra presenza: la presenza dell’assenza. […] Alla morte dunque che ci toglie il presente e il futuro a favore del passato, il poeta contrappone il calendario dei suoi giorni, il journal delle sue ore, dei suoi oggetti, delle sue fobie, e lo fa togliendo parole dal silenzio e dall’immobilità di un vocabolario, per trasferirle nella rete infinita di altre immagini, quelle della scrittura e del testo, e recuperare così quelle parole dalla loro stessa assenza. […]72.

E quando egli evoca l’atto di scrivere in rapporto alla vita

[…] ricollegandomi al concetto iniziale che la poesia vuole la morte del nostro spirito, mi sembra di essere giunto – con questa mia riflessione – al cerchio kafkiano, ovvero: Scrivere per poter morire e Morire per poter scrivere, cerchio che conclude geometricamente la mia parola-esperienza, perché lo spazio della morte è lo stesso spazio della parola, nel tentativo (non so fino a che punto riuscito nel mio caso) di rendere la morte « meno amara », o « meno ingloriosa » o « forse meno probabile », per usare le definizioni di Proust73.

Coincidenza o concomitanza di pensiero? Anche Bonnefoy riprendeva un pensiero di Kafka in uno dei suoi testi (« L’analogie suprême », oggi nella raccolta Entretiens sur la poésie):

Je sais également que Kafka nous a assurés que le « positif » est toujours donné, le positif, c’est-à-dire une capacité de comprendre notre être-au-monde, de nous articuler à ses lois, de le faire mûrir peut-être : si bien qu’il n’y aurait que le négatif à mener à terme, un mot qui signifie que le mal ne serait donc pas dans la nature des choses, mais dans notre façon de les déchiffrer, dans une erreur qu’un déplacement soudain de la perspective pourrait d’un coup dissiper.74

Qui, sembra proprio che ci sia l’idea di un camminare della poesia attraverso il « negativo », idea comune ai due poeti (ognuno avendo ovviamente una sua andatura), anche considerando che, in fin dei conti, « […] l’unico vero “negativo”, l’unico non illusorio diniego di questo diniego di presenza che è il linguaggio, è questa compassione attiva che fa in modo che le parole, prese al più vicino del bisogno, si radunino sull’immediato, in cotale urgenza, facciano silenzio »75.

L’esergo di Quasar consisteva d’altronde in una citazione tratta da Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters: « Dare un senso alla vita può condurre a follia / ma una vita senza senso è la tortura / dell’inquietudine e del vano desiderio. »

L’esperienza poetica

Ora tentiamo pure di trarre un accertamento da questa panoramica sull’opera poetica di Luigi Martellini. In quest’opera, in modo ovvio per i lettori, la poesia si sottomette alla prova della finitudine e della morte, e dunque alla percezione del tempo realmente vissuto dal soggetto. E qui come in gran parte della poetica di Yves Bonnefoy (quella esplicitata nel saggio « L’acte et le lieu de la poésie » del 1959), il riconoscere la morte non solo in quanto negatività, ma anche in quanto « aspetto profondo della presenza degli esseri, in un senso la loro unica realtà » (sempre secondo Bonnefoy), è l’aspra esperienza che Martellini mette in rilievo.

Questa prova ha preso senso nel lavoro del poeta attraverso l’immagine dell’Ulissismo che riaffiora regolarmente nella sua opera, conferendole una specie di retroscena mitico, sostenuto dalle evocazioni di paesaggi appartenenti a luoghi, pure loro “abitati” dai miti. A questo punto, il poeta, Ulisse contemporaneo, affronta la questione della morte come alterità radicale: figura gorgonica per eccellenza. E proprio quella era la figurazione che veniva messa in risalto più particolarmente nella raccolta Eídola con la postfazione di Jean-Pierre Vernant, la quale serviva a Martellini per tracciare l’intento della sua poetica, definendo la prospettiva secondo un punto di vista antropologico76.

Immagini della memoria, figure dell’essere-per-la-morte, evocazioni di presenze destinate all’assenza: è questa l’epopea tragica dell’Ulisse di questa poesia (del resto, in tutte le opere in cui compare, la figura dell’eroe omerico è sempre tragica, sia in Dante che in Pascoli o in Joyce77). E la meta dell’itinerario di quell’Odisseo nostro contemporaneo è l’appuntamento con sé stessi attraverso l’amore (lo proponeva Jankélévitch: la morte rivela l’amore, l’inconsolabile piange l’insostituibile). Afferrare il καιρός78 nell’opportunità di cambiare il mondo e sé stessi: è così che il mito può aiutare a inserire poesia e beltà pure nel tragico della vita, o nella vita vissuta come tragedia.

Quella di Martellini è senz’altro una poesia difficile. Ed infatti, una lirica in cerca di una verità sull’essere79 non può che risultare esigente nel suo messaggio, senza ideologie né speranze fasulle. L’analogia dell’universo e delle parole (in sostanza, il differenziale tra l’essere e il nulla) si riflette in questa poesia nello « spessore d’esistere sensibile che i concetti ci tolgono »80. E il poeta si è costituito un luogo (paradossalmente, poiché mette in risalto la fatalità della scomparsa a cui è sottoposto lo stesso io che la evoca) tramite il mondo vissuto nella consolazione: nell’illusione – leopardianamente necessaria – del conforto (i paesaggi solari attraversati; lo stesso Ulissismo) che è conforto di un’illusione, « l’umile ara dei sogni perduti »81, in un binomio leggibile fin da Quasar:

Il cristallo d’agosto
porta alghe
sbiadite dal sud
e relitti d’antichi racconti
anneriti dal sole.

Notes

1 Cfr. per esempio il saggio di Jean-Michel Maulpoix Du lyrisme, Paris, José Corti, 2000. Il libro è una riedizione con modifiche di La voix d’Orphée, Paris, José Corti, 1989, che Paola Tomaselli ha tradotto in italiano: La voce di Orfeo, Hestia, 1994. Retour au texte

2 Marchigiano (vive a Fermo), docente universitario (a Urbino, poi all’Università della Tuscia di Viterbo), Luigi Martellini ha scritto su vari autori: D’Annunzio, Malaparte, Matacotta, e più volte su Pier Paolo Pasolini, tra l’altro con un Ritratto di Pasolini (Laterza, 2006) e, di recente, con Pasolini. Lottai con le armi della poesia (Ianieri, 2022). Ha curato per le Edizioni Scientifiche Italiane Il Cristo proibito, Lotta con l’angelo, e Comete di ghiaccio di Curzio Malaparte. Sempre su Malaparte, ha fatto l’introduzione alle Opere scelte per « I Meridiani » di Mondadori (1997) e ha scritto il saggio Le « Prospettive » di Curzio Malaparte (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2014). Per Carocci è l’autore di un commento a La coscienza di Zeno di Svevo, e ancora per le Edizioni Scientifiche Italiane del saggio Il sogno, la scrittura, su Cardarelli. È stato allievo di Carlo Bo e di Mario Petrucciani. Retour au texte

3 L’immagine del fiume è stata usata in particolare da Mario Luzi, uno dei poeti noti ad aver dato un riconoscimento a Luigi Martellini, come verrà accennato. Retour au texte

4 Cfr. Rosa Elisa Giangoia, Premessa al n. 49 della rivista Lettera In Versi, marzo 2014, aggiornata nel settembre 2021. Retour au texte

5 Mario Petrucciani, Prefazione a L. Martellini, Quasar, Manduria, Lacaita editore « I Testi », 1977, p. 5. Retour au texte

6 « Tempo Presente », n. 50-51, febbraio-marzo 1985. Retour au texte

7 Luigi Martellini, « Il silenzio, la poesia », Cuadernos de Filologia Italiana, 2015, vol. 22, 309-318, p. 311. Martellini spiega che l’analogia tra i quasar, che sembrano stelle normali ma « emettono un flusso di energia smisurato » e il « muoversi nel tempo » dell’umano sta nei sogni, in cui « emergono le ambiguità di immagini lontane, quasi palcoscenico del mondo dove attori con la maschera sul volto ricominciano la farsa, delusi da sempre ». L’immagine si ritrova nella poesia intitolata « Aerre », in Quasar: « Ho seguito il flauto magico / della storia / infranto il sipario delle stelle / e sono caduto dinanzi al pubblico / nel crepuscolo / come un attore / con la maschera sul volto » (p. 53). E il poeta aggiunge che la sua poesia consiste proprio nello « scavare dentro [sé] stesso, nel [suo] io offeso, in quei segni fisici o naturali della privata avventura, ovvero il destino » (ivi, p. 312). Retour au texte

8 L. Martellini, « Lacrime », Quasar, cit., p. 63. Retour au texte

9 L. Martellini, « Il silenzio, la poesia », cit., p. 310. Retour au texte

10 « Il carretto del tempo », dalla sezione « Odissea », Quasar (p. 31). L’« inferno » vissuto dall’io poetico può ricordare l’immagine con la quale Italo Calvino conclude Le città invisibili (1972). Retour au texte

11 « Odissea » è la seconda sezione della prima parte della raccolta, ma la prima sezione è intitolata « E l’ottavo creò la solitudine », composta da quattro poesie di cui la prima è intitolata, in francese, « Et moi dans mon coin ». Retour au texte

12 Secondo la lezione di Joseph Campbell, in The Hero with a thousand Faces (1949), L'eroe dai mille volti, traduzione di Franca Piazza, Milano, Feltrinelli, 1958; 1984. E in affinità con il motto di T. S. Eliot, « In my end is my beginning », nei Four Quartets (1943). Retour au texte

13 Si allude al saggio del 1994 di Eric Hobsbawm, The Age of Extremes (anche se alcuni dei secoli precedenti non hanno certo granché da invidiargli in materia di stragi diverse e varie, tranne la tecnologia regolarmente messa in opera da vari protagonisti nel Novecento, decennio dopo decennio, per distruggere e uccidere). Retour au texte

14 L. Martellini, Infiniti sassi, Fermo, Edizioni del Girfalco, 1977. Retour au texte

15 L. Martellini, « Lunga paziente fatica di filari di pietre », Infiniti sassi, cit., p. 7. Retour au texte

16 L. Martellini, Mistificato enigma, Caltanisetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1982. Retour au texte

17 La citazione è tratta dal risvolto di copertina della raccolta Mistificato enigma. Retour au texte

18 Idem. Retour au texte

19 L. Martellini, « Ritorno a Babilonia », Mistificato enigma, cit., p. 65. Retour au texte

20 L. Martellini, Poseidonis, Fermo, Edizioni del Girfalco, 1986. Retour au texte

21 L. Martellini, « Poseidonis 1 », Poseidonis, cit., p. 5. Retour au texte

22 L. Martellini, Eídola, Milano, Marzorati, 1987. Retour au texte

23 Gli eídola del titolo in greco sono le immagini, dipinte o scolpite, con cui i vivi si rappresentavano i morti, e che venivano usate per le feste del dio Adone ; ma l’eídolon è anche l’immagine ingannatrice, l’apparenza rispetto alla realtà. La raccolta si chiude su una nota di Jean-Pierre Vernant in cui l’antropologo francese spiega che gli « eídola » disegnano fenomeni per i quali « è lecito parlare d’una vera e propria categoria psicologica », cioè la categoria del « doppio », una realtà « […] esterna al soggetto, ma che, nella sua apparenza stessa, s’oppone per il suo carattere insolito, agli oggetti familiari, allo scenario consueto della vita. Esso si muove su due piani contrastanti ad un tempo: nel momento in cui si mostra presente, si rivela come una cosa che non è di qui, come appartenente ad un inaccessibile altrove. C’è dunque nell’eídolon un effetto d’inganno, di delusione, di adescamento (apâte): presenza di qualcuno, ma anche la sua irremediabile assenza. Questa inclusione di un “essere altrove” all’interno dell’“essere qui” costituisce l’eídolon. […] » (Eídola, cit., p. 83). Retour au texte

24 Giuliano Manacorda, nella presentazione del libro al Premio « Circa-Sabaudia », poi in « Rassegna di cultura e vita scolastica », ottobre-novembre 1988, p. 17. Retour au texte

25 Un possibile riferimento al contesto dell’Operetta morale « Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie », specialemente al suo epilogo. Retour au texte

26 L. Martellini, « Conchiglie », Eídola, cit., p. 54. Il finale della poesia non può che ricordare una delle più famose riflessioni leopardiane. Retour au texte

27 Carlo Bo, Prefazione a Eídola, in L. Martellini, Eídola, cit., p. 8. Retour au texte

28 L. Martellini, « Poseidonis, 7 », Eídola, cit., p. 71. Retour au texte

29 L. Martellini, Selected Poems (1964-1987), New York, Gradiva Publications-Stony Brook, 2006, con a fianco la traduzione in inglese di Sara De Angelis. Retour au texte

30 L. Martellini, Journal 1998, Fermo, Edizioni del Girfalco, 2008. Retour au texte

31 L. Martellini, La fiaba impossibile. Poesie 1987-1997, Lanciano, Carabba editrice, 2008. Retour au texte

32 Giorgio Patrizi nell’introduzione al libro, intitolata « Un dolore sapiente » (La fiaba impossibile, cit., p. 5). Retour au texte

33 L. Martellini, « Pensieri », La fiaba impossibile, cit., p. 16. Retour au texte

34 L. Martellini, « A M. », La fiaba impossibile, cit., p. 70. Datata « Fermo, maggio 1995 ». « M. » è l’iniziale della moglie, Mirella. Retour au texte

35 L. Martellini, La finzione il nulla, Lanciano, Carabba, 2013: le poesie risultano scritte dal 1999 al 2010. Retour au texte

36 L’esergo alla raccolta reca una citazione dall’Ecclesiaste (1, 18): « dove è molta sapienza più grande si fa il tormento / più cresce il sapere più aumenta il dolore ». All’eco leopardiana si può aggiunge quella nietzschiana leggibile nell’esergo alla seconda sezione, « Poesie per M. », tratto da Al di là del bene e del male. Luigi Martellini è anche l’autore del saggio « Genesi del pensiero filosofico leopardiano », nel volume Leopardi poeta e pensatore, a cura di S. Neumeister e R. Sirri, Napoli, Guida, 1997. Retour au texte

37 Cfr. la poesia intitolata « Postuma »: « […] Tramonta ormai il sole / sulle pagine dei miei libri / e solo la tristezza che dura / resta invece di un’epoca / che ho vissuto infelice. / E mi trovo così a concludere / un tempo mai iniziato / non volevo la fine / che ora auguro con me. » (in La finzione il nulla, cit., p. 20). Retour au texte

38 L. Martellini, « Passeggiata con Breton », La finzione il nulla, cit., p. 50. Retour au texte

39 L. Martellini, Libellus, San Cesario di Lecce, Manni, 2018. Il titolo accenna al significato (catulliano) di « nuovo libriccino ». Retour au texte

40 « Canto greco I », Libellus, cit., p. 33. Retour au texte

41 Antonio Prete, nella nota in quarta di copertina. Retour au texte

42 Ibidem. Retour au texte

43 Ibid. Retour au texte

44 L. Martellini, « Miraggio », Libellus, cit., p. 48. Retour au texte

45 L. Martellini, « Codice personale », Libellus, cit., p. 57. Quest’io è in affinità con quanto proponeva Yves Bonnefoy in conclusione alla sua « Lettre a J. E. Jackson: « Dire “Je”, que ce soit plus se prêter à la démesure du “moi” mais simplement l’acte de la connaissance en son lieu le plus naturel, celui où illusion et lucidité ont l’une et l’autre leur origine. […] »: Entretiens sur la poésie, Paris, Mercure de France, 1990, p. 116 [sottolineo]. Retour au texte

46 L. Martellini, The Last Ones. Poems 2017-2020, New-York, Edizioni Gradiva, 2020, con a fianco la traduzione in inglese di Stefano Mazzagatti. Il titolo italiano è Ultime. Retour au texte

47 Sofia è la bambina della figlia dell’autore, nata quando morì la moglie del poeta. Le due figure femminili, nipotina e nonna, sono ai due termini della serie di poesie di The Last Ones. Retour au texte

48 L. Martellini, The Last Ones, cit., p. 10. Retour au texte

49 Ibid. Retour au texte

50 Idem [sottolineature mie]. L’accenno a André Gide sembra in relazione con la « tentazione di vivere » dell’autore francese, messa in opera sia nella scrittura che nella disposizione ai viaggi (il termine viene appunto usato da Martellini subito prima dell’allusione a Gide), quindi collegabile a un Ulissismo. Retour au texte

51 Come noto, il nome si riferisce al maestro di sapienza nel cui nome viene assimilato il dio greco del logos al dio egizio delle lettere e della matematica. Retour au texte

52 L. Martellini, « Trismegisto », Ultime (The Last Ones), cit., p. 12. Il titolo evocato nel brano, La morte del fiume, rimanda al libro (la copertina d’origine era infatti verde) di Guglielmo Petroni pubblicato nel 1974 (vinse il premio Strega), dove due amici ormai invecchiati si ritrovano a ripercorrere la loro giovinezza lungo le rive del fiume Serchio deturpate dal « progresso » nello scorrere di quarant’anni. Retour au texte

53 L. Martellini, « L’ultimo viaggio », Ultime, cit., p. 24. Retour au texte

54 L. Martellini, « Attimi di fine estate », Ultime, cit., p. 48. Retour au texte

55 Come a segnare in una lapide simbolica la chiusura della raccolta, in una seconda epigrafe in forma di epitaffio, il componimento è preceduto da una citazione da Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, di Cesare Pavese : « … questa morte che ci accompagna / dal mattino alla sera, insonne, / sorda, come un vecchio rimorso / o un vizio assurdo… O cara speranza / quel giorno sapremo anche noi / che sei la vita e sei il nulla… ». Retour au texte

56 « Polvere », Ultime (The Last Ones), cit., p. 56. Retour au texte

57 Eugenio Montale, con Giuseppe Ungaretti, è un altro dei poeti fari del XX secolo di Luigi Martellini. Retour au texte

58 Luigi Martellini, nell’intervista di R. E. Giangoia, cit., p. 52. Retour au texte

59 Daniele Piccini, Corriere della Sera, rub. « La Lettura », 15 luglio 2018. Retour au texte

60 Luigi Martellini, nell’intervista di R. E. Giangoia, cit., p. 52. Retour au texte

61 L. Martellini, « Constatazione », Ultime, cit., p. 22. Retour au texte

62 L. Martellini, Quasar, cit., p. 6. Retour au texte

63 Martellini allude poi alla « filopsichia » di Michelstaedter, in cui non ci sono cammini, ma solo un viandante in un mondo che è negatività, e al pensiero non resta che negare questa stessa negatività. Retour au texte

64 Ibid. Retour au texte

65 Sempre nell’intervista a cura di Rosa Elisa Giangoia, cit., p. 55: è la risposta di Martellini alla domanda se nello « scenario del nulla » quale appare lo sfondo delle sue liriche ci siano « barlumi di luce ». Peraltro, il punto di vista di Leopardi, com’è stato interpretato poi da vari interpreti, non si riduce affatto a una visione univocamente pessimistica. Retour au texte

66 Yves Bonnefoy, « La présence et l’image », Entretiens sur la poésie, cit., p. 194. Dove si verifica un’affinità tra i due approcci, pur essendo diverse le rispettive prospettive. Retour au texte

67 Nell’intervista con R. E. Giangoia, cit., p. 53. Retour au texte

68 Yves Bonnefoy, « La présence et l’image », cit., p. 191. Retour au texte

69 Il primo verso della poesia dal titolo « Et moi dans mon coin » è « Bisogna trovare una ragione di vivere » (in cui si può identificare di nuovo un accenno all’idea di scrittura secondo André Gide. Yves Bonnefoy dice dal canto suo (« La présence et l’image », cit., p. 198): « nous continuons à avoir besoin, pour simplement désirer survivre, d’un sens à donner à la vie. » Retour au texte

70 L. Martellini, « Et moi dans mon coin », Quasar, cit. Retour au texte

71 Yves Bonnefoy, « La présence et l’image », cit., p. 192; p. 194-195. Retour au texte

72 Cfr. l’intervista con R. E. Giangoia, cit., p. 55-56. Retour au texte

73 Ibidem, p. 57. Retour au texte

74 Yves Bonnefoy, « L’analogie suprême » (1978), in Entretiens sur la poésie, cit., p. 174. Retour au texte

75 Y. Bonnefoy, « Il reste à faire le négatif », Entretiens sur la poésie, cit., p. 251. Retour au texte

76 L’antropologo francese è anche l’autore di un saggio dal titolo La mort dans les yeux. Figure de l’Autre en Grèce antique (Paris, Seuil, 1996), in cui indaga più particolarmente sul modo con il quale i Greci antichi hanno cercato di dare rappresentazione al divino, tramite figure di entità (la Gorgona, Dionisio, Artemisia) che esprimono l’angoscia umana nascente dalle mutazioni culturali sia individuali che collettive. Retour au texte

77 Insieme ad altri autori, del passato e contemporanei. Retour au texte

78 Nella poesia di Martellini, il kairos (da concepire anche qui come una delle dimensioni particolare della temporalità) realizza l’unione di due aspetti: dell’azione (scrivere in poesia) e del tempo (tornare alla memoria). Retour au texte

79 Pur se la verità della poesia, come vi accenna Bonnefoy, sia « come sempre un’occasione di menzogna » (« Poésie et vérité », Entretiens sur la poésie, cit., p. 268). Retour au texte

80 Yves Bonnefoy, in « Difficulté de la communication poétique », Entretiens sur la poésie, cit., p. 280. Retour au texte

81 « Tu fosti virtù / divinità / Venere vera o pagana. / Ho immolato sull’umile ara dei sogni perduti / i misteri della mia giovinezza » : Luigi Martellini, « Corrispondenza », Quasar, cit., p. 21. Retour au texte

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Référence électronique

Jean Nimis, « « l’umile ara dei sogni perduti » », Line@editoriale [En ligne], 13 | 2021, mis en ligne le 02 février 2024, consulté le 24 avril 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/1581

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Jean Nimis

jean.nimis@univ-tlse2.fr

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