La rivista Prospettive (1937-1952)

Malaparte editore, nell’analisi di Luigi Martellini (2014)

  • La rivista Prospettive (1937-1952)

Résumés

Recensione del volume di Luigi Martellini Le “Prospettive” di Malaparte

Recension of Luigi Martellini’s book, Le “Prospettive” di Malaparte

Plan

Texte

« Prospettive », dunque, non è soltanto un percorso letterario, ma anche la storia di un uomo e delle sue idee, un uomo diverso che non ha accettato di essere come gli altri.1

La produzione della rivista Prospettive, diretta tra il 1936 e il 1952 da Kurt Erich Suckert alias Curzio Malaparte, è stata esplorata di recente da Luigi Martellini nel volume edito nel 2014 presso le Edizioni Scientifiche Italiane di Napoli. Questo spaccato dell’opera editoriale malapartiana ha avuto un antecedente nel 1974 con l’Antologia della rivista « Prospettive » di Glauco Viazzi (presso la casa editrice napoletana Guida), saggio che enunciava già alcune delle peculiarità del periodico che Malaparte aveva pubblicato durante una quindicina d’anni. Il lavoro di Luigi Martellini2 percorre a sua volta, in modo sistematico, l’avventura del periodico, con un’ampia Introduzione di circa 160 pagine, intitolata « Una rivista tra cultura fascista, europeismo e letteratura », e un apparato analitico, in particolare un Indice ragionato (282 pagine) dei numeri della rivista.

Questo lavoro d’analisi è ovviamente da mettere in rilievo nella raggiera di studi sull’autore pratese che attrae regolarmente l’attenzione della critica, sia per il suo complesso profilo biografico che per la sua prolifera produzione autoriale e editoriale. Oltre l’analisi dettagliata della produzione (l’Indice ragionato), Martellini ha messo in evidenza la storia della rivista ma ha proposto anche una rivisitazione della vicenda dello scrittore, sempre visto dalla tradizione critica in veste “camaleontica” per la complessità del suo percorso biografico.

Di solito, Prospettive è catalogata tra i periodici dedicati al « novecentismo » e all’« europeismo », con Solaria, fondata da Alberto Carocci nel 1926 (rivista che chiude nel 1936), e con 900 (Cahiers d’Italie et d’Europe), uscita anch’essa nel 1926 (diretta da Massimo Bontempelli e Curzio Malaparte, passerà poi agli « strapaesani » del periodico Il Selvaggio).

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La nascita della rivista nel decennio 1920-1930, cioè in piena ascesa del fascismo, è particolarmente interessante per cogliere qualcosa del clima, editoriale nonché politico e culturale, di un’epoca in cui un “invisibile” brusìo della società era percepibile attraverso il (fin troppo) visibile/leggibile del quotidiano, come vi accennò lo stesso Malaparte:

Quel che più conta nella nostra letteratura (e non soltanto in quella dei giovani, ma in tutta la letteratura italiana, anche in quella dei classici), non sono le pagine scritte, per così dire con l’inchiostro nero; non è la scrittura visibile: ma quel che si legge sotto la pagina, tutto ciò che non è segno preciso e sensibile. […] Noi tutti scriviamo con l’inchiostro bianco. E quel che salva la nostra scrittura visibile, è appunto la coscienza, del tutto moderna, di sentir presenti, sotto le pagine accettate, le mille altre taciute, rinunciate.3

Nell’ambiente dei periodici letterari italiani, molto ricco fin dall’inizio del Novecento4, le riviste del periodo fascista, tra cui spiccava Il Selvaggio di Mino Maccari5, presentavano una serie di « posizioni complesse, non facilmente schematizzabili », come accenna Stefano Crespi6. Prospettive è un altro esempio di questa “complessità” editoriale nell’ambiente della società del ventennio fascista, con un Malaparte intento a cercare un rimedio al suo “purgatorio” dopo le sue disavventure con il regime e il consecutivo confino alle Eolie (allora Lipari) dal 1933 al 1934.

L’attività in campo editoriale di Malaparte comincia veramente (non tenendo conto dell’adolescenziale « Bacchino ») con la breve vita di Oceanica nel 1921, poi continua presso La Voce di Prezzolini nel 1924, e in seguito con la fondazione del quindicinale La conquista dello Stato di cui diviene direttore; prosegue con l’accompagnamento di Leo Longanesi e Mino Maccari nel movimento « Strapaese » e, contemporaneamente, con quello di Massimo Bontempelli, nell’opposto movimento, « Stracittà ». Poco dopo, dal 1928 al 1933, Malaparte diventa co-direttore della Fiera Letteraria e nel 1929 è nominato direttore del quotidiano La Stampa di Torino. L’ambiente giornalistico ed editoriale rimane dunque il suo terreno d’attività di predilezione grazie alle doti che Piero Gobetti aveva già da tempo riconosciute.7 Tale continuità dimostra un’ambizione che è legata alla personalità di Malaparte, come visto da Luigi Martellini nell’introduzione alle Opere scelte dei « Meridiani »:

[…] la varietà dei motivi ispiratori è riconducibile all’unico nucleo dell’« io » artistico e umano dello scrittore secondo un effettivo bisogno storico della letteratura del Novecento […]. Malaparte, pur nelle sue apparenti contraddizioni, risulta, al contrario, fra gli scrittori più liberi e coerenti di fronte alla propria arte (dalle lontane polemiche di Strapaese a quelle di Prospettive). Fedele al suo combattivo e irriducibile temperamento, la sua unità letteraria sta paradossalmente nel rifiuto delle convenzioni e dei luoghi comuni: l’essere un irregolare davanti a qualsiasi regolarità, secondo un desiderio di libertà conservato anche durante il fascismo. […]8

Prospettive rimane il prodotto più interessante delle attività editoriali di Malaparte e particolarmente rivelatore in quanto dimostra il gusto, « […] l’amore per la letteratura, meglio per la bella prosa »9 dell’autore toscano. Inoltre, il percorso dell’avventura editoriale permette a Luigi Martellini di mettere in luce, nell’operato dell’autore, una dimensione etica – oltre che “etologica” (un’etologia editoriale, s’intende) – a cui si accennerà più avanti.

L’avventura editoriale di Prospettive

Sul sito CIRCE (Catalogo Informatico delle Riviste Culturali) dell’Università degli Studi di Trento10 si trova una utilissima scheda dell’iter editoriale della rivista. Il lavoro di Marta Bruscia offre di primo acchito un’idea del programma di Malaparte: quello di un periodico in grado di reggere il paragone con la rivista mensile americana Fortune e la francese Minotaure (era l’ambizione dichiarata di Malaparte nella sua corrispondenza con Aldo Borelli, il direttore del Corriere della Sera)11 con l’intento di rendere conto dei cambiamenti in opera nella società italiana.12

Prospettive venne pubblicata in due tempi: due serie da distinguere nella cronologia editoriale per via della cesura – anche se breve – segnata dalla guerra in Europa. La prima serie, iniziata nel 1937 e conclusasi con il numero del 15 settembre 1939, è costituita da sette numeri monografici (stampati su carta patinata, come precisa Marta Bruscia), dove lo spazio è per buona parte occupato da materiale illustrativo. Questa serie aveva un’ovvia tendenza propagandistica e si verifica in sintonia con varie linee direttive del regime: Il ragazzo italiano; Il cinema; La radio; La sua politica estera dell’Italia;13 Gli italiani in Spagna (gli ultimi due numeri hanno quest’identico titolo). La seconda serie comincia le sue pubblicazioni con il fascicolo numero 8 del 15 ottobre 1939 (è il terzo anno) per continuare a cadenza mensile, alcuni numeri con fascicoli doppi, fino al numero 38-39 (15 febbraio-15 marzo 1943). Con il fascicolo del 15 gennaio 1940 si era entrati nel quarto anno di pubblicazione, e da qui la numerazione dei fascicoli riprendeva dal numero 1. Un ultimo fascicolo di soltanto otto pagine esce in data del 1 dicembre 1951-1 gennaio 1952 (è il numero 40-41).

A sua volta, dopo la relazione di Marta Bruscia, il libro di Martellini offre un’analisi molto accurata dell’avventura editoriale di Prospettive ed esplora i due intervalli temporali che scandiscono le pubblicazioni del periodico. La parte intitolata « Una rivista tra cultura fascista, europeismo e letteratura » presenta il percorso editoriale del periodico attraverso le due serie pubblicate (dal luglio 1937 al 15 settembre 1939 e dal 15 ottobre 1939 al 15 febbraio-15 marzo 1943)14. La seconda è costituita dal prezioso Indice ragionato della rivista «Prospettive»: un indice di 282 pagine che attraverso 891 schede elenca in modo preciso i contenuti della pubblicazione durante i suoi « sette anni di vita » e le « quasi millecinquecento pagine […] dei suoi cinquanta numeri »15. Il volume si chiude con una serie di cinque indici: un elenco dei collaboratori del periodico, un indice degli illustratori (con lista delle relative illustrazioni numero per numero), uno dei libri recensiti nella rivista, uno dei capoversi dei testi di poesia (con gli autori rispettivi), e infine un « Indice dei nomi citati nelle schede ».

Le schede dell’Indice ragionato

Ogni scheda dell’Indice ragionato propriamente detto presenta il contenuto di un documento (articolo, testo letterario, disegno o fotografia) pubblicato in un fascicolo.

In ogni scheda, dopo il numero d’ordine, viene indicato il numero dell’anno di uscita (da I a VIII) seguito dal numero del fascicolo (in cifre arabe), dalla data di pubblicazione e dal numero di pagine impiegate.

Se si tratta di un autore identificato (sia scrittore, vignettista o fotografo), la scheda precisa nome e cognome e segue il titolo del documento; nel caso contrario appare la dicitura « Anonimo ». Il contenuto del documento viene dettagliato, spesso molto precisamente (fino a due pagine), si tratti di foto, disegno o testo.

Come esempi (ma è solo indicativo poiché varie schede potrebbero esser evocate), si possono indicare le schede del numero 2 del primo anno (dedicato al cinema), più particolarmente ricco di indicazioni sulle illustrazioni, oppure le schede del numero 3 del quarto anno (1940) dove appare una serie di nomi di scrittori italiani e stranieri che attrae subito l’occhio del lettore: da Sandro Penna e Umberto Saba a Tommaso Landolfi e Luciano Anceschi e da Paul Éluard a Federico García Lorca, è tutto un convegno degli intellettuali di maggior peso che appariva su quelle pagine.

Infatti, la rivista ha sempre avuto fin dall’inizio un’ambizione culturale, anche nella prima serie (fino al 1939), che come ricorda Martellini aveva un orientamento dichiaratamente “politico”, ma è soprattutto con la seconda serie che la rivista entra decisamente nella propria fase “culturale”. Questa polarizzazione dall’uno all’altro periodo è quindi ben visibile e si ritrova d’altronde sfogliando l’Indice dei collaboratori o l’Indice dei nomi citati nelle schede.

L’analisi della traiettoria della rivista e del suo editore

La “polarizzazione” politica e culturale della rivista è uno dei parametri che viene sottolineato di continuo da Luigi Martellini nella parte intitolata « Una rivista tra cultura fascista, europeismo e letteratura », dove viene dettagliata l’avventura del periodico e del suo ideatore. Il percorso disegnato da Martellini comincia logicamente con gli albori della rivista: le difficoltà nelle quali Malaparte venne coinvolto dopo la denuncia del giugno 1933 da Italo Balbo, l’arresto e l’espulsione dal PNF e la condanna al confino (p. 9-10); la decisione di superare la propria « disgrazia » con il lavoro e l’idea della rivista; lo scambio di lettere tra Malaparte, Aldo Borelli e Orfeo Tamburi (p. 10-14); il programma iniziale di Malaparte, regolarmente accennato nei primi numeri ad ogni uscita con le relative modifiche (p. 17-19), per cui si passa dai 18 argomenti ideati nel numero 1 ai 58 nel numero 4-5 del 1938.

Va subito notato che gli argomenti proposti sono di grande varietà e orientati in linea di massima a una dimensione politica e sociale (« il cavallo italiano », « le città fasciste », « le fibre nazionali », lo sport, la lotta contro la tubercolosi, il cinema, la radio, ecc.). Il dettaglio dei titoli dei numeri della prima serie16 poi della seconda17 viene evocato alle pagine 20-22 (utile panorama del titoli che magari sarebbe stato da riportare isolato in un indice specifico alla fine del volume, per un’ancora maggior comodità di consultazione).

Luigi Martellini si è soffermato sulla fruizione della rivista, ma anche sulle difficoltà editoriali che, tenui all’inizio (anche per via di una relativa benevolenza dei responsabili del regime, in particolare grazie all’appoggio di Galeazzo Ciano), diventarono ingenti a partire dal 1940 e, come ovvio, si fecero sentire particolarmente nel 1943. La contemporaneità di Prospettive con le concorrenti (Il Frontespizio, La Riforma Letteraria, Campo di Marte, Corrente di Vita Giovanile, Argomenti, Primato e Letteratura)18 e il suo relativo successo (molti collaboratori delle concorrenti scrivevano pure per Malaparte) dimostrano il valore delle pubblicazioni, come testimoniano d’altronde le numerose e lunghe citazioni d’articoli (con rinvii alle schede afferenti) e di scambi di corrispondenza con cui Martellini ha documentato la sua esplorazione.

Le sette prime monografie

La prima serie di Prospettive ebbe una buona accoglienza fin dal primo numero (« Il ragazzo italiano ») nonostante la critica espressa dai cattolici di una visione “troppo laica” della madre italiana e una conformità dei contenuti con l’ideologia fascista appare inoltre chiaramente. L’orientamento politico della rivista era fin troppo ovvio nella maggior parte dei contenuti, come per esempio nelle messe in rilievo del valore propagandistico del cinema nel numero 2 e della radio nel numero 3.

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Il numero 2 (« Il cinema ») si apre su un fotogramma di Mussolini in barca e intento ad azionare una cinepresa, ma a dispetto della chiara vena propagandista, questo numero è uno dei più interessanti per osservare come Malaparte impone il proprio punto di vista sulla Settima Arte per la quale ebbe sempre un’affinità marcata (insieme alla pittura e al teatro, oltre che alla scrittura). Martellini dedica un interesse particolare a questo numero e cita abbondantemente le idee di Malaparte sul cinema lungo una decina di pagine. Per l’editore pratese, « l’occhio di vetro » ch’è il cinema (la cinepresa) permette di « arrangiare la realtà », e l’articolo intitolato « Verità sul cinema » dimostra punti di contatto con le idee di Pirandello in materia, ma, soprattutto, introduce l’idea di « realtà surreale » cara a Malaparte a cui Martellini accenna lungo ben quattro (necessarie) pagine:

[…] la monografia sul Cinema ci consente di estrarre dalle pagine, che Malaparte dichiaratamente o anonimamente ha redatto, le idee dello scrittore sul modo di intendere il cinematografo. Idee che molti anni più tardi troveranno una concreta applicazione quando, a ridosso degli anni Cinquanta, approderà al cinema – come “genere” espressivo – realizzando poi quello che è rimasto il suo unico film: Il Cristo proibito, uscito nel 1951. Affrontare, difatti, col cinema, quelli che definiva problemi fondamentali costituì per Malaparte il fine ultimo da raggiungere cercando di coniugare il potere vocativo della realtà (nella letteratura) e quello della rappresentazione-riproduzione di questa realtà (nel cinema), coi suoi due linguaggi (l’uno letterario simbolico, l’altro tecnicamente visivo: anticipando le argomentazioni di Pasolini sugli lin-segni e gli im-segni dei due diversi codici grammaticali della lingua e delle immagini) attraverso i quali lo scrittore tenterà di scrivere-leggere cinematograficamente la realtà e, nel caso specifico del Cristo, lasciare la traccia nella sua visione religiosa.19

Martellini riporta inoltre un brano di Malaparte in un articolo del 1951 in cui egli dichiarò: « Il modo di raccontare del cinema è quello stesso della letteratura narrativa e, dentro certi limiti, quello medesimo della pittura. Voglio dire che vi è un solo modo di raccontare: e che questo modo è comune tanto alla letteratura e alla pittura, quanto al cinema. »20 Questa dichiarazione di Malaparte ha la sua importanza per capirne la poetica, particolarmente in Kaputt e ne La pelle, libri dove la scrittura opera nella dimensione dell’icastico e nella messa in risonanza, spesso esplicita, del visivo e dell’immaginario (si pensi per esempio alla scena dei paracadutisti sovietici lanciati su Jassy in Kaputt). Per Malaparte, infatti, l’influenza del cinema « […] non è unicamente di ordine estetico, ma soprattutto di ordine morale, politico e sociale » ed è un media da considerare come « […] super-teatro, come ‘realtà surrealistica del teatro’ »21: dichiarazioni che tendono a far considerare l’autore come uno sperimentatore polisemico dei media artistici per esprimere la realtà, anticipando perfino, secondo Martellini, « il concetto pasoliniano di poesia teorizzato dallo scrittore friulano […] negli anni Sessanta » (Martellini, p. 34). Sono quindi pagine necessarie, quelle del Malaparte nella rivista dell’agosto 1937 quanto quelle di Martellini nella sua rassegna, per capire la po(i)etica dell’autore pratese, anche se varie analisi della critica hanno accennato a questo aspetto “visivo” dello stile dell’autore.22

Sui sette numeri della prima serie della rivista, Martellini osserva che lo sguardo di Malaparte sugli argomenti approdati è certamente, in parte rilevante, in sintonia con le prospettive del regime fascista23 (il numero 4-5, per esempio, s’interessa alla politica estera mussoliniana e il numero 6 – anzi i due numeri consecutivi, l’originale e la sua riedizione, 6 e 62 – a Gli Italiani in Spagna al momento della guerra civile). Tuttavia, si può osservare, sia negli articoli di Malaparte, sia (soprattutto) nella corrispondenza che tiene con vari interlocutori e nei rapporti con loro (tra i quali Mino Maccari, il vignettista apprezzato per le caricature) una presa di distanza e il sentimento di un Malaparte “costretto” dal potere mentre egli aspira a rendersi autonomo. Il resoconto che fa Martellini della corrispondenza di Malaparte (p. 53-58 e 61-66, ossia dodici pagine di ampie citazioni dagli scambi epistolari) dimostra le difficoltà regolari (per la sistemazione delle bozze, tra l’altro) e, soprattutto, il mutato orientamento di “prospettiva” dell’editore che allude ripetutamente a un progetto di testata intitolata « Giornale segreto » ovvero « quindicennale di critica letteraria », accennando in modo insistente a una preoccupazione sempre maggiore per una linea editoriale dichiaratamente letteraria e culturale.

Prima svolta editoriale: il « senso vietato » del 1938

Il 1938 è così l’anno identificabile con la svolta identitaria della rivista (1938 è anche l’anno in cui scade la condanna a 5 anni di confino e di “vigilato speciale” di Malaparte). È innanzitutto nella corrispondenza con Orfeo Tamburi degli anni 1937-1938 che appare il progetto di giornale « letterario storico-morale [e] politico » con contributi dei « migliori scrittori d’Italia e d’Europa » da pubblicare « ogni 15 giorni » (in particolare nella lettera del 20 giugno 1938 a Tamburi, ma il progetto era già ideato nel 1937). Il detto progetto sarà riproposto finalmente nell’articolo « Senso vietato » che apre il numero 8 della rivista recante il medesimo titolo. È anche interessante l’evoluzione degli aggettivi – da « segreto » a « vietato » – che traduce l’ambizione dello scrittore-editore nell’ambito delle relazioni (ovviamente “costrette”) con il regime.

Qui, Luigi Martellini ha il merito di aver identificato e dettagliato l’intento di Malaparte attraverso la corrispondenza incrociata di – e con – vari interlocutori (Tamburi, Petroni, Vallecchi, Prezzolini, tra altri). Se il sospetto di Martellini è che la rivista sarebbe servita a « tenere occupato Malaparte » (p. 67), egli mette pure in rilievo in una lunga nota a piè delle pagine 68-69 le condizioni della svolta editoriale nel 1938, nei cambiamenti di dicitura della rivista e in altri dettagli. Per Martellini, la continuità conservata con i consecutivi due numeri (intitolati il primo Lei e voi dei paesi tuoi e Prigione gratis il secondo), anche per via delle difficoltà di pubblicazione, è solo apparente :

[…] Si dice, altresì, che i disegnatori della rivista hanno studiato e realizzato un nuovo tipo di edizione che, per la qualità della carta, l’alto decoro della stampa, l’eleganza, la dignità e la semplicità dell’architettura tipografica – tutte cose che non hanno nulla a che vedere coi contenuti – consente di offrire ai lettori una rivista assolutamente nuova, modernissima, e al tempo stesso in armonia con i modelli classici dell’arte tipografica italiana. Questo si dice, ma nessuno accenno si fa al passaggio della rivista dai contenuti politici ai contenuti letterari.

Ad aumentare i dubbi concorre il fatto che Malaparte, uscito dal fascismo nel 1931, abbia pensato di fondare, dirigere, organizzare una rivista (con annessa casa editrice) che – almeno per i sette numeri in questione – è dichiaratamente allineata con la politica del regime e a volte adulatoria e servile, come si è potuto constatare. Solo ragioni di opportunità personale, quindi, possono chiarire l’evidente contraddizione. Per le vicende narrate all’inizio, la realizzazione di una rivista è stata per Malaparte, almeno per quel momento, una grande consolazione (forse anche la continuazione di un vecchio sogno), perché solo così poteva ritrovarsi nell’ambiente letterario e rimettersi a scrivere come se nulla fosse accaduto e, comunque, essere di nuovo « qualcuno », non dimenticato né liquidato dal regime. Ma ben presto il disagio fu alquanto palese perché la concessione e le condizioni erano in netto contrasto con la mentalità e col carattere estremamente libero dello scrittore, visto che la casa editrice (alias la « rivista ») doveva essere italianissima (nessun autore straniero), cioè fascista come era l’Italia, e soprattutto con l’obbligo morale di non far pentire il Ministro che lo aveva beneficiato. Non era facile trovare collaboratori da parte di uno – sia pur chiamandosi Malaparte – che aveva avuto guai col regime, elemento indesiderato, senza tessera dal ’31, alla fronda e ancora (se non da sempre) sorvegliato e controllato in ciò che scriveva.

Si rivolge, per esempio, a Pavolini 1’8 giugno 1940 per dirgli che una cosa sola lo addolora: la sua « situazione nei confronti del Partito » e pregava di « consegnare al Duce » la lettera che accludeva in quell’occasione. Il 13 novembre riscrive a Pavolini di quanto lo umilii e lo addolori il trovarsi, come stabilisce per gli espulsi lo Statuto del Partito, « al bando della vita civile » e che da ben sette anni soffriva di questo stato di « umiliazione » e pregava l’amico Pavolini di «voler esprimere al Duce il suo dolore e la sua speranza». Oltre a queste azioni dirette, è possibile trovare, tra le carte dell’Archivio Centrale dello Stato, lettere nelle quali Malaparte cerca la « benevolenza », dei suoi interlocutori, dichiara « devozione », chiede una parolina in « suo favore », conferma i suoi « sentimenti di disciplina ».

Prospettive appare sempre più che possa essere stata una soluzione pensata per sciogliere tutti questi problemi: Malaparte doveva barcamenarsi tra mille difficoltà, tra le quali quella – non facile – di osservare i patti se voleva ritornare a scrivere e, nello stesso tempo, non voleva piegare la testa (come mai del resto aveva fatto) pur operando d’accordo con le direttive governative. Si trattava, quindi, di escogitare una via d’uscita che, in fondo, poteva essere rappresentata anche da quell’idea (quasi impossibile da realizzare) di un’infinità di argomenti diversi che andassero bene per tutti, fascisti e non, e approvabili indiscutibilmente da ogni mentalità, quindi approfondirli senza fare discorsi troppo compromettenti: da qui la soluzione monografica con l’ausilio di moltissime foto e disegni. II problema fondamentale, però, era quello di muoversi tra l’adesione, problematica e sofferta, al fascismo e a Mussolini (con la sua missione di difendere la civiltà) e la sua libertà di scrittore, insieme alla preoccupazione principale di trovare soggetti che piacessero in alto senza intaccare la sua indipendenza e i suoi principi morali e politici, che erano poi quelli che lo avevano fatto uscire dal fascismo e che non erano più in consonanza con quelli che ora dovevano invece condizionare la sua riabilitazione.

La situazione, per Malaparte, era di certo difficile ed anche « pericolosa », per non dire dell’immensa pubblicità (coi relativi interessi) che tutto sommato contribuiva, oltre ai fondi del Governo, al finanziamento della rivista (e ad introiti per lui, visto che « pagava » Tamburi, Petroni ed altri, oltre i collaboratori), la quale pubblicità gravitava, per la quasi totalità (s’è visto), nella visione produttivo-autarchica che il regime aveva dell’economia e tra le categorie imprenditoriali vicine al fascismo: aspetto non marginale già evidenziato argomentando del n. 4-5 della rivista.24

Ormai, il vero significato del nuovo corso di Prospettive, secondo Martellini, tendeva a « […] mantenere in vita i valori intellettuali e la cultura, che non dovevano cessare di far sentire la loro voce (perché non fosse dimenticata) anche durante la guerra » (p. 75). E, spiega Martellini, « […] La cultura costituisce così l’effetto alone di un’ideologia ed assume nel nuovo corso di Prospettive il ruolo della politica: d’altronde Senso vietato anticipa le argomentazioni letterarie di Lana caprina » (p. 76)25.

Peraltro, Martellini accenna al fatto che il significato dell’espressione « Senso vietato », ripresa nel titolo dell’articolo che si può considerare come fondatore della “seconda serie” di Prospettive, è spiegabile nella visione “prospettica” di Malaparte sul futuro politico dell’Italia secondo la quale « […] è vietato disprezzare la cultura ed emarginarla, è vietato considerarla inutile » (p. 77).

La frattura: dalla politica alla cultura

La reale frattura tra la prima serie e il nuovo corso editoriale che Malaparte aveva in mente è da situare secondo Luigi Martellini a livello del numero 10 che chiude la prima serie, che reca il titolo Prigione gratis (15 dicembre 1939). Questo titolo, secondo Martellini, concettualizza « […] un paragone con il condizionamento sovietico di una letteratura che non ha un suo modo di esprimersi » (p. 79-80) nella mente di Malaparte (ed è vero che l’epoca è diventata una specie di prigione per i letterati di quasi tutti i paesi europei e dell’Unione sovietica). L’espressione « prigione gratis » è anche relativa a una tradizione culturale « degenera » (come si leggerà poi nell’articolo « Lana caprina » (numero 5 della nuova serie, con la data del 15 maggio 1940). Ma è anche un’espressione leggibile come un’allusione subdola (secondo il gusto di Malaparte per i giochi di parole, frequentemente illustrato anche in Kaputt, ne La pelle e in Maledetti Toscani) alla propria condizione di prigioniero consenziente – sia nello spazio italiano che nello spazio europeo – con lo statuto assunto di “corrispondente di guerra” a partire dal 1940 (gratis varrebbe quindi per “consentita” o “assunta”) e prima ancora carcerato effettivo a partire dal 1933.26

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Uno dei segni della mutazione della linea editoriale in quell’epoca sta anche nelle relazioni che si stabiliscono tra Curzio Malaparte e Alberto Moravia (alias Pseudo) a cui accenna Martellini. Moravia assumeva perfino le vesti di direttore della rivista in assenza di Malaparte nelle sue missioni di corrispondente di guerra, prima sul fronte alpino, poi sui fronti orientali e settentrionali. Se i due scrittori sono nella posizione di “prigionieri” (Malaparte per la sua aspirazione già anziana a una vera “rivoluzione” – quella de La rivolta dei santi maledetti – e costretto dal regime, Moravia per l’essere ebreo e per il suo antifascismo), cioè nella postura di contemplare un « Paesaggio attraverso una finestra chiusa » (è il titolo di un articolo di Malaparte nel numero 8 del 15 ottobre 1939), sono decisi nonostante, come viene evocato da Martellini a pagina 79 del suo saggio, a dedicarsi a un « […] giornalismo letterario [che] presuppone un altro realismo che poi è la fede nel credere in ciò che pensiamo e facciamo ».

La collaborazione con Alberto Moravia è d’altronde più volte ribadita (fino alla « Lettera aperta a Moravia » del numero 40-41 del 1951 che Martellini riporta a pagina 149 del suo saggio), insistenza che vuole sottolineare il legame creatosi tra i due scrittori e una certa convergenza di punti di vista sul fatto poetico in genere, in particolare a proposito della relazione tra la prosa e « le facoltà logiche, segrete e inconfessabili » (secondo Malaparte) che si trova nelle scritture legate al surrealismo (parola e concetto da prendere in senso largo, integrando quindi il “realismo magico”).27 Infatti, quel periodo è imperniato intorno al numero 1 della nuova serie, del 15 gennaio 1940, intitolato Il surrealismo e l’Italia (al quale seguiranno I giovani non sanno scrivere, Le Muse cretine, Nostro peccato, Lana caprina e Cadaveri squisiti, tanto per palesare l’idea di fondo – il dibattito sull’arte – che fa nascere le testate). Il significato della parola « surrealismo » per Malaparte è « […] espressione di un’arte non intesa a meravigliare, ma ad inventare e creare di nuovo la realtà, a leggerla non nella sua logica e nel suo realismo obbiettivo, ma in modo magico […] » (Martellini, p. 81).

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D’altronde, aggiunge Martellini, nel suo articolo pubblicato su Prospettive, Malaparte « […] accoglie il Surrealismo per separarlo da quello francese (visto come pungolo e incitamento intellettuale contro il razionalismo per spingerlo verso l’inconscio e il sogno), mentre il surrealismo italiano è più naturale, nasce dalla realtà sulla quale si sostiene e si regge, per poi servirsi della fantasia (immaginazione) per reinventarla con un tocco di fascino, di attrattiva, di incanto. » (Martellini, p. 83).

È da considerare, soprattutto, il fatto che

La produzione di Malaparte, in quell’arco di tempo, s’intreccia con l’estetica dei «capitoli» nel rapporto problemi della letteratura/problemi della scrittura, ovvero problemi esteriori, come se lo stile fosse il problema letterario fondamentale, mentre in quel 1940, e sempre su Prospettive, dopo quel n.1 surrealista con l’articolo « Cadaveri squisiti », Malaparte, oltre a parlare di un’autonomia finalmente ritrovata e conquistata in se stessa, si poneva il problema teorico della letteratura della sua generazione e di quella che definiva « comune aspirazione a una magia non puramente formale, a un discorso non puramente verbale ». Malaparte, messo a tacere il precedente saggismo ideologico e moralistico, ormai sbloccato e resosi autonomo dal controllo politico, nei Racconti, si muove, nel nuovo corso letterario e stilistico, in questo spazio di scrittura (tra incantata raffinatezza e meraviglia, tra lirismo e un’analisi introspettiva applicata anche a contenuti esterni e oggettivi, tra sorpresa e imprevedibilità) all’interno del quale prose estrose e storie bizzarre si fondono con cronache vissute e fatti personali. Storia e psicologia allora coincidono, così intuizione lirica e gioco surreale, « poetica del sorprendente » (quella del citato realismo magico) e « racconto fantastico » (insieme ricco di profondo significato umano): impreviste e inattese immagini e fantasticità delle situazioni, sperimentazioni surrealiste e stupore lirico, soggettivismo e realtà oggettiva. Può anche avvenire che, abbandonando se stesso (e la propria « storia »), Malaparte riesca a ri-creare un altro se stesso nell’invenzione (si pensi agli avatara finali) o in un personaggio di fantasia (muovendosi su una falsariga) per costruire – misteriosamente – una sorta di riflesso, una moltiplicazione della vita e dell’esistere, come in uno specchio: lo specchio, però, della fantasia, dal cui fondo emergono memorie autobiografiche dell’adolescenza e di gioventù, ricordi di viaggi, momenti di esperienze politiche talora drammatiche, con a volte lo stesso scrittore protagonista, proiettato in un paesaggio suggestivo, tra incontri romanzeschi, con personaggi che sembrano usciti dalle favole: « scritti rapsodici forse non estranei all’influsso del primo Papini », come ebbe [poi] a definirli Eugenio Montale [sul Corriere della Sera del 20 luglio 1957, in occasione della morte di Malaparte], il Papini, cioè, delle bizzarre e metafisiche invenzioni. Con una buona dose, in Malaparte, di ironia e scetticismo (magari bretoniano).28

Secondo Martellini – e l’osservazione appare molto giusta rileggendo l’opera in questa luce “surrealistica” –, Malaparte, percorrendo un territorio che comprende prosa d’arte, surrealismo, ermetismo, critica, prose e poesia,

[…] prova questo scandaglio segreto e interno con l’unico mezzo che aveva a disposizione: la scrittura, la sola che gli permettesse di analizzare anche un fremito e fondere così cuore e cervello, razionalità e sentimento, freddezza e calda partecipazione umana. Le fantasie malapartiane rivelano la capacità dello scrittore di trasformare quel sogno in realtà, ma soprattutto con la sua abilità narrativa di fare in modo che la stessa “realtà” venga letta come caratterizzata da fantasmi […] della sua sensibilità. […] » (Martellini, p. 85).

Ora, pare ovvio che questa sensibilità (nella percezione e nella scrittura) sia stata influenzata ed abbia avuto bisogno del contatto con gli autori con cui collaborò e che apprezzò: la scrittura si combinava così, idealmente e concretamente, con l’attività editoriale.

Fin dall’inizio di questa seconda linea editoriale, decisamente culturale e letteraria, Malaparte mette più particolarmente in rilievo tre delle correnti culturali del suo tempo: il surrealismo, l’ermetismo e l’esistenzialismo.

Del surrealismo già evocato, Malaparte introduce nelle sue opere, a partire da Il sole è cieco, i significanti che è interessante mettere in relazione con vari articoli pubblicati in Prospettive, non solo di Malaparte ma anche di altri collaboratori, tra cui Moravia. Per esempio l’articolo « Nostro peccato » del numero 3 di marzo 1940 (Le Muse cretine) in cui parla dell’« inchiostro bianco » (rinvio alla citazione già accennata) è da mettere a confronto con l’anonimo (ma probabilmente di mano di Moravia) « Il surrealismo e il diavolo » (nel primo numero del 1941, intitolato Sincerità dei narratori). Ma il surrealismo secondo la concezione malapartiana è anche leggibile nel numero di febbraio-marzo 1941 intitolato 7 liriche e 3 prose di Campana: le prose poetiche del poeta dei Canti orfici (curate da Franco Matacotta) sono in risonanza con la fantasia e la dimensione immaginale onirica dell’autore di Il sole è cieco e d’altre prose in Kaputt o La pelle. Nell’evocazione di queste affinità, Martellini dedica ben nove pagine di note all’osservazione delle risonanze che il surrealismo intrattenne nella cerchia di collaboratori della rivista e che si ripercosse nella sfera intellettuale dell’epoca.

La dimensione simbolica che frequentava Malaparte era d’altra parte in affinità con l’ermetismo, movimento che ebbe forte presenza nella rivista tramite i nomi di Montale, Luzi, Sinisgalli, Anceschi, Bo, Macrì, Bigongiari (lista non esaustiva)29:

Gli esempi di una cultura (e scrittura) ermetica cominciano così ad essere presenti, nei numeri che seguiranno, sulle pagine di Prospettive, tanto che appariva come campo riservato del movimento.30

Letteratura e pittura vanno di pari passo, in quanto le “poietiche” che intende mette in valore Malaparte si richiamano a una “visibilità” (si pensa ovviamente al concetto che svilupperà Italo Calvino circa quarant’anni dopo) che traspare anche nel campo della pittura. È un interesse che appare palese con il numero 25-27 (15 gennaio-15 marzo 1942) « tutto scritto da pittori » come recita l’Avvertenza e con l’intenzione di mettere in opera « un gioco della verità », di « spiegare al popolo che cosa sia la pittura per gli uomini » (si veda la scheda 805 dell’Indice ragionato). È con questo numero intitolato Paura della pittura (l’articolo eponimo che dà spicco al fascicolo è scritto da Renato Guttuso) che la rivista prende una nuova svolta rivendicando il valore dell’operare artistico come « atto di libertà », poiché « […] dipingere significa dar concretezza e reale identificazione formale alla facoltà di sperare secondo la propria volontà ».31

Ed è a partire da questo periodo (la seconda guerra mondiale è ormai in pieno svolgimento con tutta la sua barbarie) che nell’ambito di questa congiunzione tra le arti la rivista dimostra tutto il suo potenziale ideologico-culturale e fa incrociare di nuovo la traiettoria culturale con quella politica.

È proprio il concetto di « libertà creativa » degli artisti, siano scrittori o pittori, che ormai costituisce una delle linee di forza della rivista che apre le sue pagine a Picasso e Éluard. Malaparte, assente poiché sui fronti del Nord (assiste all’assedio di Leningrado – « Pietroburgo » come evocato in aprile 1942) e dell’Est e lasciata la direzione di Prospettive ad Alberto Moravia continua però a manifestarsi: l’articolo « Sangue operaio » costituisce un messaggio morale rafforzato dagli scritti di collaboratori e pubblicazioni di testi di scrittori che cercano anche negli artisti del “mondo di ieri” (da Gide a Goethe, da Foscolo a Leopardi a Nietzsche, come scrive Martellini p. 108) « […] come l’arte e la cultura in genere devono rappresentare, dal momento che contengono non solo l’attualità ma le tracce comportamentali, misteriose e profonde, della “modernità” del mondo nel quale viviamo. »32

Alberto Moravia ha tutta la sua importanza in questo contesto, sia per la gestione della rivista in assenza di Malaparte, sia per la collaborazione al dibattito sulle valenze della letteratura. Qui vengono ricordati da Martellini gli articoli firmati « Pseudo », da « Memoria e romanzo » e « L’uomo e il personaggio » (settembre e ottobre 1941) a « La presenza la prosa » (settembre 1942), e passando da « Sincerità dei narratori » e « Particolari romanzeschi ». È qui che Moravia si confrontava al rapporto tra prosa e libertà, per cui « […] la prosa dovrebbe essere in rapporto diretto con le più segrete e inconfessabili facoltà logiche dello scrittore. Essa dovrebbe essere l’espressione di una sincerità non tanto completa quanto supremamente coerente e perciò spinta ai limiti estremi della fantasia. »33

Occorre riportarsi all’esplorazione di queste dichiarazioni (si devono leggere qui le pagine 106 a 109 del saggio di Martellini per ben cogliere l’ambiente intellettuale di questo periodo rovente) e ricollegarle alla poetica malapartiana, svolta sia ne Il sole è cieco che in Kaputt, per percepire l’ideale morale e artistico della Zeitgeist nella quale si muovono Malaparte e i contributori alla rivista. Si arriva così al numero 34-36 (VI anno) dedicato più particolarmente alla questione dell’esistenzialismo: Le ultime anime belle, titolo alquanto insolito del 15 ottobre-15 dicembre 1942 (sottotitolo « Da Jaspers a Berdiaeff ») che apre con l’articolo eponimo di Galvano Della Volpe.

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Malaparte, da quanto si può leggere particolarmente ne La pelle e nel Journal d’un étranger à Paris, aveva posizioni alquanto precise riguardo agli “esistenzialisti”: non risparmia Sartre e i suoi seguaci definiti come « spostati » e « piccoli borghesi che scimmiottano gli operai » (Martellini, p. 113). Si rimanda pure alle pagine 1055-1060 de La pelle (nell’edizione dei Meridiani della Mondadori) in cui Malaparte inveisce contro tutti quanti sono apparentati più o meno ai famigerati esistenzialisti di Saint-Germain-des-Prés. L’articolo di Della Volpe, come analizzato da Martellini nelle pagine dedicate all’esistenzialismo secondo Malaparte, definisce invece il concetto di esistenzialismo in relazione all’ermetismo artistico e letterario (qui risiede l’interesse dell’esperienza editoriale malapartiana in cui vengono riconsiderate le basi pragmatiche dei movimenti intellettuali dell’epoca) come « […] estremo conato romantico e mistico della vecchia cultura europea individualistica » (Martellini citando Della Volpe, p. 110). Nel richiamo del titolo all’« anima bella » schilleriana34, Della Volpe, con il paragone tra i punti di vista di Jaspers, Kirkegaard, Heidegger e Berdiaeff, afferma in sostanza che « […] il dualismo di persone e società è irrisolubile, fa parte del tragico eterno della vita umana ».35 Ora, osserva Martellini:

Il problema dell’esistenza è strettamente legato alla vita dello scrittore. Basterebbe leggere La rivolta dei santi maledetti e i numeri della rivista Oceanica, la quale ideologicamente e teoricamente contiene i principi del senso della vita e del sentirisi uomo (uomo umano), che è sì personale (dello scrittore), ma più ampiamente generazionale in rapporto ai problemi legati alla prima guerra mondiale, alla politica del fascismo, al ruolo degli intellettuali, alla morale della cultura e quant’altro appartenga al torbido periodo che contiene la vita dello scrittore Malaparte, almeno fino agli anni di Prospettive (grosso modo tra il 1915 e il 1943).36

Il merito di Martellini è qui, ancora una volta, nell’interesse portato al profilo intellettuale di Malaparte, spesso non approfondito negli studi dedicati allo scrittore, attraverso la sua attività editoriale e quindi nelle sue relazioni con le persone e le cerchie culturali coeve. La decina di pagine (110 a 117) di analisi, citazioni e note di Martellini dedicate all’esistenzialismo visto dalla “sfera” collaborativa malapartiana permette di meglio cogliere le affinità e riluttanze dello scrittore per questo movimento, dopo quelle dedicate al cinema, all’ermetismo e al surrealismo. Sono pagine che danno meglio a vedere il clima culturale nel quale lo scrittore pratese era vissuto in quella prima metà del Novecento e che spiegano molti dei suoi “atteggiamenti” poetici nelle varie opere, siano romanzi, novelle o sceneggiature (Malaparte è anche autore, oltre che del Cristo proibito, di due sceneggiature, Il compagno di viaggio e Lotta con l’angelo, edite postume rispettivamente nel 1981 e nel 1997)37.

È a partire da quel momento, nel pieno della guerra e avvicinandosi la crisi politica che porterà alla caduta del fascismo, che Malaparte riprende decisamente la strada editoriale che combina cultura e politica. La rivista ha permesso, sin dal 1940, di preparare questa nuova svolta nella pratica poietica dell’autore. L’articolo « Senso vietato » (n. 8 del 15 ottobre 1939) aveva presentato già il programma da svolgere, quello di una valorizzazione della cultura, pure in tempo di guerra, appellandosi all’esempio accennato da Mussolini (citato tre volte nella pagina).38

Con l’articolo « Lana caprina » (n. 5 del 15 maggio 1940) il « manifesto programmatico » si riafferma, ma senza più riferimenti “fascisti” e, scartando esempi come D’Annunzio e Serra, mette in rilievo la necessità di « […] una letteratura italiana […] una cultura, finalmente liberate dalla ‘prigione gratis’ di una tradizione degenerata in stile e in morale », in un contesto mondiale che Malaparte prevede in futuro « seminato di cadaveri ».39 Con l’articolo « Il sangue operaio » (n. 28-29 del 15 aprile-15 maggio 1942) si indovina poi che Malaparte giunge di nuovo a un momento decisamente “politico” con, in sostanza, un ritorno alla linea ideologica che era stata presentata in Viva Caporetto!, una linea diffusa sia in Il Volga nasce in Europa (dove appare lo stesso articolo) che in Kaputt (nel capitolo « Patriacavallo », in particolare) e che più tardi sboccherà ne La pelle, con la difesa dei « vinti » contro i « vincitori » d’ogni guerra subita da ogni popolo.

L’atteggiamento “contro” spunterà d’altronde ulteriormente sia nell’articolo « Guerra e sciopero » del numero isolato40 datato 1951-1952 che nel film Il Cristo proibito (1951). L’anno 1943 è quello in cui l’aggettivo « fascista » scompare nella rubrica « Confederazione dei professionisti e artisti » e in cui Malaparte viene arrestato per due volte di seguito (prima in agosto poi in novembre): le difficoltà della rivista diventano palesi e il contesto sempre più teso, come dimostra la relazione (Martellini, p. 123-127) degli scambi epistolari tra Malaparte, Bompiani e Pellegrini (la gestrice della rivista).

Se nella lettera del 3 settembre 1943 Malaparte accenna, con una certa ironia per chi legge, al necessario atteggiamento nella situazione presente (« Il nostro modo di essere antifascisti deve risultar chiaro, sia pure con un certo stile […] »), il testo inedito intitolato « Obbiezione di coscienza » aiuta a capire un po’ meglio l’indole intellettuale di Malaparte. Il lungo articolo inedito, riportato in extenso da Martellini, è in sostanza una dichiarazione – a posteriori quasi un testamento della rivista – che argomenta quella che sarebbe dovuta essere la futura linea editoriale.

Nel corso delle quattordici pagine riportate da Martellini si legge anche un elogio di Moravia, rappresentante del pregio di una « letteratura libera » e dell’« obbiezione di coscienza » come forme di resistenza nelle sfere (intersecanti) culturale e sociale. Il messaggio di fondo è che i giovani che si sono formati sotto il fascismo hanno un’obbligazione di coscienza e devono trovare una via d’esistenza « […] attraverso una rielaborazione marxista del mito liberale » e un atteggiamento « non borghese » al fine di impostare la futura lotta politica in Italia. In questo contesto, il giovane intellettuale deve avere come guida il concetto di « letteratura come vita » (formula di Carlo Bo ripresa da Malaparte).

Un altro nome elogiato insieme a Moravia è quello di Piero Gobetti (il giovane letterato, appunto, che aveva riconosciuto il talento di Malaparte nel 1925, benché fossero di schieramenti politici opposti e Gobetti avesse ammonito Malaparte per l’essere “dalla parte sbagliata”).41 La poliedricità, l’apertura di mente, nonché un’indissolubile sovrimposizione di politica e di cultura sono presentate da Malaparte come una condizione sine qua non dell’intelligenza del popolo da costituire: viene ribadita inoltre la simpatia sia per il surrealismo « […] anche di natura politica » che per un ermetismo “laico”, nonché l’importanza delle riviste letterarie contro le « prostitute università ». L’articolo mai pubblicato42 si concludeva addirittura così:

[…] Un giorno, alla letteratura italiana di questa nostra lunga stagione servile sarà reso l’onore che merita: e intanto il maggior onore le viene dall’aver saputo educare, nel suo giardino proibito, le rose di cui ha sempre bisogno per tornar uomo, l’asino di Apuleio.43

Si noterà l’eleganza beffarda, conforme all’indole malapartiana, su cui si conclude un’argomentazione che in non pochi passaggi del testo potrà parere cinica ad alcuni lettori che conoscono la cronologia delle adesioni ideologiche di Malaparte. Luigi Martellini fa osservare però che l’atteggiamento di Malaparte corrisponde a quello che era tracciato già nelle pagine di Viva Caporetto!, e che, inoltre, la preoccupazione per una più che mai necessaria rivoluzione sarebbe dovuta riemergere nel numero isolato (40-41) dell’inverno 1951-1952. In questo numero, infatti, sarebbe dovuto servire d’articolo di fondo un testo (incompiuto) intitolato « Lettera aperta a Moravia »44, in cui Malaparte scriveva:

[…] Se oggi Prospettive torna alla luce, non è già perché la libertà sia tornata in Italia, ma perché la libertà è nuovamente in pericolo, per opera di quello stesso spirito che l’aveva soppressa in quegli anni. E parlo sopra tutto, caro Moravia, della libertà intellettuale, specie di quella letteraria, insidiata e oppressa e corrotta da quelle stesse leggi fasciste che oggi, in mano ai preti, si rivelano più insidiose e opprimenti di prima.45

Commenta Martellini: « […] Riemergono i concetti, tipici in Malaparte dei padroni di ieri (sostituiti da quelli del dopoguerra), della scelta di Prospettive di dare voce a quelli che erano impediti di parlare (o di esprimersi liberamente attraverso la scrittura) […] » (sic, p. 151). Secondo Martellini, l’articolo « Sangue operaio » (che è poi servito anche di prefazione a Il Volga nasce in Europa edito nel 1951 presso Aria d’Italia) sarebbe stato pubblicato in sostituzione della lettera a Moravia per ragioni pragmatico-ideologiche. Nei fatti, Malaparte era tornato alla “prospettiva” tracciata in Viva Caporetto! e « […] continuava l’antica battaglia per difendere una delle due Italie: quella degli umili, contro quella ipocrita e falsa dei bigotti di ogni fede e di ogni partito. E proseguiva anche la lotta di classe. » (Martellini, p. 157).

Secondo Martellini, in conclusione, Prospettive « […] è stata la rivista del cambiamento di quei tempi e delle relative idee, del mutamento generazionale, della voce contro il silenzio, della libertà contro la prigione dell’ideologia e quindi, inevitabilmente, delle contraddizioni, dei problemi, degli impedimenti, delle incertezze, dei difficili orientamenti culturali e letterari che hanno caratterizzato non solo il tormentato Malaparte come uomo e come scrittore, ma i sogni e le aspettative di un’intera generazione con contrasti e scontri ». Per Martellini, l’operazione di Malaparte è quindi da considerare una « […] ricerca di autonomia, all’interno dello stesso adeguamento » (p. 158), tenendo conto anche del fatto che la rivista è stata « […] una sorta di “officina” […] che voleva lavorare per un nuovo tipo di letteratura, la quale avesse come punto morale […] la sua fedeltà ad un modello superiore di letteratura che dipendeva proprio dalla sua libertà sentita come esigenza, anch’essa, morale: questo è stato, in fondo, il continuo travaglio intellettuale, culturale e letterario dello scrittore. » (p. 159).46

Il saggio di Martellini si conclude citando un brano del Journal d’un étranger à Paris, in cui Malaparte dichiara « […] Tutti i miei avatara sono avatara letterari. […] Non si vuol capire che io sono verso gli antifascisti ciò che sono stato verso i fascisti, […] che non mi interesso che alle idee, alla letteratura, all’arte. Che sono un uomo libero, un uomo al di là di tutto ciò che agita questa povera massa di uomini. »47.

Dalla lettura del saggio di Luigi Martellini e delle schede dell’Indice ragionato risulta l’immagine di un uomo che era in cerca di una sua libertà, in campo culturale certamente, ma quel campo non era separabile dal campo sociale e quindi politico, e nemmeno da un campo personale e psicologico.

Considerando il giudizio che espresse Piero Gobetti all’inizio della traiettoria di Malaparte (il non essere dalla parte giusta) e osservando il fatto che Malaparte seguì una “strada difficile”, magari con “tradimenti”, verrebbe da dire (mediante un gioco di parole un po’ travagliato) che in fin dei conti lo scrittore pratese fu una spia dello Zeitgeist di quella – ancora vicina – prima metà del Novecento.48 E che, come per le spie di John le Carré, Malaparte ha potuto praticare il “tradimento” come quando si pratica l’“immaginazione”, cioè quando “la realtà non è abbastanza bella”.49 Il termine spia è afferrabile nei due sensi della parola (il confidente o delatore e l’indizio o sintomo) proprio perché si tratta innanzitutto di terreni e di entità letterarie. Con questo si vorrebbe dire che Malaparte ha sempre messo in gioco – a rischio – il non adeguarsi agli schemi imposti (come accennò in varie pagine di Kaputt nei colloqui del narratore con dignitari nazisti o fascisti, per esempio nel suo « giocare a cricket » con Himmler e il Generalgouverneur di Polonia)50. Anche nel suo ruolo di editore della rivista Prospettive, Malaparte potrebbe aver seguito questa sua regola pericolosa, del mettere in gioco, come dice Martellini, una « sua libertà sentita come esigenza, anch’essa, morale ». Ovviamente, “tradire” significa qui “tentare di dire” qualcosa della realtà (sia letteraria che politica e sociale): il risultato di tale ricerca è sempre deludente poiché si corre spesso il rischio di tradire qualche elemento della realtà (e porta a polarizzare la prospettiva adottata, fino a contraddirsi a momenti), e questo avviene proprio nel tentativo di afferrare una realtà che sfugge a ogni nozione di coerenza etica e/o morale.51

La traiettoria dello scrittore pratese è stata complessa proprio a causa del conflitto tra le aspirazioni, tra una costante necessità di impegnarsi (come si legge nell’introduzione a Battaglia tra due vittorie di Ardengo Soffici nel 1923) e l’attaccamento alla propria indipendenza in quanto artista ch’egli regolarmente rivendicava. Tuttavia, il percorso di Malaparte, pure nella sua “avventura” (da prendere nel senso che dà Giorgio Agamben a questo termine nel saggio omonimo del 2015)52 editoriale con Prospettive (già il titolo era programmatico), è stato retto anche dalla preoccupazione di capire qualcosa della realtà: tentativo che è sempre stato quello dei veri artisti e intellettuali. Se la guerra e la morte (con il correlato inseparabile ch’è la vita) sono così presenti nell’intera opera, è perché la ricerca di una verità passa per quell’esperienza-limite ch’è la guerra, che fu un orizzonte onnipresente della prima metà del Novecento, sia con i due conflitti mondiali che con i conflitti locali che poi diventeranno l’orizzonte della seconda metà del secolo e dell’inizio del seguente. Malaparte si è interessato di persona (e ha anche pagato di persona nel suo procedere) a questo aspetto dell’esistenza, appoggiandosi sempre sui media in grado di lasciar spirare qualcosa della verità profonda dei conflitti a cui assistette: la letteratura, l’editoria, e, alla fine del percorso, pure il cinema (si pensi al tema del tradimento, degli altri, di sé, ne Il Cristo proibito).

L’interesse del libro di Luigi Martellini sta appunto nel resoconto di questa esplorazione dell’essere al mondo in quanto letterato e passatore di letterature, esplorazione complessa e in vari momenti tormentata, che svolse Malaparte.

Note de fin

1 Luigi Martellini, in conclusione del suo percorso introduttivo, « Una rivista tra cultura fascista, europeismo e letteratura », in Le « Prospettive » di Malaparte, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2014, p. 161.

2 Luigi Martellini, critico letterario e poeta, vive a Fermo (Marche) ed è stato Professore di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università della Tuscia, dove ha scritto su Gabriele D’Annunzio, Curzio Malaparte, Franco Matacotta e Pier Paolo Pasolini. Ha curato il volume delle Opere scelte di Malaparte nel « Meridiano » della Mondadori pubblicato nel 1997, e per le Edizioni Scientifiche Italiane ha pubblicato due inediti malapartiani: Il Cristo proibito (1992) e Lotta con l’angelo (1997). Pubblicato nel 2014 presso le Edizioni Scientifiche Italiane a Napoli, il volume Le « Prospettive » di Malaparte è una recente esplorazione dell’attività editoriale più importante di Curzio Malaparte (Kurt Erich Suckert), nato a Prato nel 1898 e morto nel 1957 a Roma. Il presente articolo è da considerare innanzitutto una recensione della ricerca propriamente scientifica di Martellini che spicca tra le interpretazioni dell’opera del controverso scrittore pratese.

3 Curzio Malaparte, « Nostro peccato » (è il titolo eponimo del n. 4 di Prospettive, del 15 aprile 1940), la citazione è in epigrafe del libro di Luigi Martellini, Le « Prospettive » di Malaparte, op. cit., p. 4. Malaparte pare accennare al fatto che se non tutto può esser scritto nell’ambito di una dittatura si può tuttavia accedere a una « coscienza » che rimane, essa, innegabile, quasi prendendo a contropelo il motto di George Orwell nel romanzo 1984 (il testo di Orwell è del 1948) « L’Ortodossia è inconsapevolezza [Orthodoxy is unconsciousness] » (1984, libro I, cap. 5). È da segnalare peraltro un interessante parallelo che Jacques Georgel ha stabilito tra i due scrittori in Malaparte-Orwell, regards parallèles, Paris, Le Manuscrit, 2006.

4 Per un panorama sugli elenchi delle riviste del Novecento, si veda l’articolo di Stefano Crespi, « Le riviste rivisitate. Repertorio delle riviste letterarie del Novecento italiano », in Nuova Rivista Europea, a. III, n° 13, settembre-ottobre 1979, p. 127-135.

5 Il Selvaggio era stato ideato da Angiolo Bencini, vinaio, ex-ufficiale e ras di Poggibonsi (Siena): venne pubblicato dal 1924 al 1943 con Mino Maccari come redattore che divenne poi direttore della rivista nel 1926. La direzione passò poi a Leo Longanesi dopo la riunione della rivista con il periodico L’Italiano (diretto da Longanesi) nel 1933. Il Selvaggio difendeva, tra tolleranza e censura, l’autonomia dell’arte, nonché il diritto dell’attività culturale di “burlarsi” della politica (un atteggiamento che procurò alla rivista vari sequestri).

6 Ibidem, p. 132.

7 Piero Gobetti, pur avversario del fascismo a cui aveva aderito Malaparte, ne aveva riconosciuto il talento definendolo « la miglior penna del regime » e scrisse la prefazione al saggio Italia barbara che volle pubblicargli nel 1925.

8 Luigi Martellini, « Introduzione », in Curzio Malaparte, Opere scelte, Milano, Mondadori « I Meridiani », 1997, p. lv-lvi.

9 La citazione è di Giancarlo Vigorelli, in « Testimonianza e proposta di revisione », in Curzio Malaparte, Opere scelte, Milano, Mondadori « I Meridiani », 1997, p. xxx.

10 Per il sito CIRCE, [http://r.unitn.it/it/lett/circe]. Per la scheda di Marta Bruscia su Prospettive, [http://r.unitn.it/it/lett/circe/prospettive].

11 Cfr. Luigi Martellini, Le « Prospettive » di Malaparte, op. cit., p. 12.

12 Luigi Martellini chiarisce il proposito malapartiano a partire dalla corrispondenza dello scrittore: cfr. la nota 13 p. 17 che riporta la lettera di Malaparte al Prefetto di Roma, Celso Luciano, in data del 25 gennaio 1937.

13 Il possessivo del titolo rinvia ovviamente a Mussolini.

14 Il vero e proprio ultimo numero della rivista esce però circa dieci anni dopo, con la datazione « 1 dicembre 1951-1 gennaio 1952 »: questo numero (40-41) consta di solo otto pagine. L’Indice ragionato di Martellini presenta la rivista in cinque segmenti, numerati da I a VII; l’ultimo numero (1952) con il numero VIII.

15 Luigi Martellini, Le « Prospettive » di Malaparte, op. cit., p. 164.

16 Martellini precisa per la prima serie a proposito del’ingente programma iniziale menzionato da Malaparte: « […] di questo gigantesco progetto editoriale furono realizzati soltanto i primi sette numeri: Il ragazzo italiano (n. 1, luglio 1937), Il cinema (n. 2, agosto 1937), La radio (n. 3, settembre 1937), La sua politica estera (n. 4-5, febbraio 1938), Italiani in Spagna (n. 6, giugno 1938), Italiani in Spagna (Da Malaga a Madrid) (n. 7, maggio 1939 febbraio maggio 1939). Il fatto, però, che l’ordine – per lo meno d’avvio – venisse rispettato, può indurci a pensare che il progetto “Prospettive” poteva contare su una sorta di garanzia (economica) futura e quindi di una lunga vita (editoriale) per realizzare un programma così imponente. Ma dal n. 8 dell’ottobre 1939 prende l’avvio una serie dal contenuto letterario e ia rivista, con scelte più libere e precise e posizioni intellettuali più articolate e varie […] » (Luigi Martellini, Le « Prospettive » di Malaparte, op. cit., p. 20).

17 Martellini precisa in una nota i titoli dei numeri monografici: « […] Senso vietato (n. 8, 15 ottobre 1939); Lei e voi dei paesi tuoi (n. 9, 15 novembre 1939); Prigione gratis (n. 10, 15 dicembre 1939); Il surrealismo e l’Italia (n. 1, 15 gennaio 1940); I giovani non sanno scrivere (n. 2, 15 febbraio 1940); Le muse cretine (n. 3, 15 marzo 1940); Nostro peccato (n. 4, 15 aprile 1940); Lana caprina (n. 5, 15 maggio 1940); Cadaveri squisiti (n. 6-7, 15 giugno-15 luglio 1940); Aver voce in “capitoli” (n. 8-9, 15 agosto-15 settembre 1940); L’assenza, la poesia (n. 10, 15 ottobre 1940); Misteri della poesia (n. 11-12, 15 dicembre 1940); Morale e letteratura (n. 13, 15 gennaio 1941); 7 liriche e 3 prose di Campana inedite (n. 14-15, 15 febbraio- 15 marzo 1941); Condizione della forma (n. 16-17, 15 aprile-15 maggio 1941); Apollo in America (n. 18-19, 15 giugno-15 luglio 1941); Memoria e romanzo (n. 20-21, 15 agosto-15 settembre 1941); L’uomo e il personaggio (n. 22, 15 ottobre 1941); Sincerità dei narratori (n. 23-24, 15 novembre-15 dicembre 1941); Paura della pittura (n. 25-27, 15 gennaio-15 marzo 1942); Il sangue operaio (n. 28-29, 15 aprile-15 maggio 1942); Particolari romanzeschi (n. 30-31, 15 giugno-15 luglio 1942); La presenza, la prosa (n. 32-33, 15 agosto-15 settembre 1942); Le ultime anime belle (n. 34-36, 15 ottobre-15 dicembre 1942); O matematiche severe! (n. 37, 15 gennaio 1943); Critica della critica (n. 38-39, 15 febbraio-15 marzo 1943); il numero isolato (n. 40-41, 1 dicembre 1951-1 gennaio 1952) non ha titolo come monografia ma riporta in copertina l’indice del contenuto. […] » (Luigi Martellini, Le « Prospettive » di Malaparte, op. cit., p. 21-22, nota16).

18 I direttori rispettivi erano Enrico Lucatello (poi Piero Bargellini e Barna Occhini) 1931-1940; Alberto Carocci e Giacomo Noventa 1936-1939; Enrico Vallecchi (con Alfonso Gatto e Vasco Pratolini) 1938-1939; Ernesto Treccani 198-1940; Alberto Carocci 1941; Giuseppe Bottai e Giorgio Vecchietti 1940-1943; Alessandro Bonsanti 1937-1947.

19 Luigi Martellini, Le « Prospettive » di Malaparte, op. cit., p. 31.

20 Curzio MALAPARTE, « Regista scrittore e regista direttore », L’occhio magico, dicembre-gennaio 1951, citato da Martellini sempre a pagina 31.

21 I brani citati sono nell’articolo di Malaparte « Verità del cinema » (scheda 114 dell’Indice ragionato), Prospettive, I, n. 2, agosto 1937, p. 5-12.

22 Si veda per esempio, per una delle analisi più recenti, Aurélie Manzano, Dans le bouillonnement de la création. Le monde mis en scène par Curzio Malaparte, Paris, PUPS, 2017, che annuncia sin dal titolo la prospettiva stilistica dell’autore.

23 Martellini evoca « una sorta di consenziente, se non voluta, collaborazione » con il regime (p. 49), per esempio nel numero 5 dedicato all’« Industria tessile italiana » (si è al momento delle dichiarazioni mussoliniane della ricerca dell’autarchia).

24 Luigi Martellini, Le « Prospettive » di Malaparte, op. cit., p. 71-73.

25 Lana caprina è il titolo del numero 5 del IV anno, con data del 15 maggio 1940 (si è a appena meno di quattro settimane dalla dichiarazione di guerra di Mussolini alla Francia e all’Inghilterra).

26 Si può ricordare che Malaparte concluse la prefazione di maggio 1948 di Tecnica del colpo di Stato con la frase: « Poiché “il proprio dell’uomo” come scrivevo nel 1936, “non è di vivere libero in libertà, ma libero in una prigione”. » (cfr. Curzio Malaparte, Tecnica del colpo di Stato, in Opere scelte, Milano, Mondadori I Meridiani, 1997, p. 129.

27 L’interesse di Malaparte per il surrealismo (sempre in senso generale, non limitandosi al movimento francese) risale infatti al 1931, di cui si trovano tracce sia nel saggio Technique du coup d’État che nelle raccolte di racconti Sodoma e Gomorra, poi in seguito anche in Fughe in prigione, Sangue e Donna come me (si rimanda alle osservazioni di Martellini, p. 82). Malaparte e Bontempelli (noto per essere l’ideatore del « realismo magico » o per lo meno il suo maggior rappresentante) si erano frequentati. E per quanto riguarda Moravia, oltre l’evocazione delle concezioni poetiche moraviane fatta da Martellini, basta forse ricordare che una delle sue raccolte s’intitola Racconti surrealisti e satirici, racconti quasi tutti composti negli anni tra il 1935 e il 1945.

28 Il commento è di Luigi Martellini, p. 83-84. Osservazioni molto interessanti per distinguere qualcosa dell’« ideologia artistica » di Malaparte, che l’autore ha messo in gioco nelle opere a partire dai Racconti e da Il sole è cieco e, ovviamente, in varie pagina per così dire “allucinate” di Kaputt e di La pelle.

29 Nel numero 10, per esempio, Carlo Bo apre con « L’assenza, la poesia » e il fascicolo contiene testi, tra altri, di Montale, Luzi, Sereni, Sinisgalli, Gatto, oltreché di Machado, Keats, Rilke, e fino a Maurice Scève: l’eclettismo dimostra la ricerca di uno sfondo filosofico-estetico.

30 Luigi Martellini, Le « Prospettive » di Malaparte, op. cit., p. 91. Da leggere la nota 153 a pié della stessa pagina 91 in cui Martellini riporta una corrispondenza del maggio 1943 tra Malaparte e Vigorelli in cui scambiano i pareri sulla “linea” della rivista, così come la seguente nota a proposito della complessa costellazione ermetica italiana. Sulla difesa degli scrittori ermetici, è utile la lettura della scheda 602 dell’Indice ragionato (p. 356), dell’articolo intitolato « Facile a dirsi. I professori di “ermetismo” ».

31 Cfr. la scheda 806 dell’Indice ragionato (p. 416-417), dedicata all’articolo di Guttuso.

32 Luigi Martellini, Le « Prospettive » di Malaparte, op. cit., p. 108.

33 Cfr. Luigi Martellini, Le « Prospettive » di Malaparte, op. cit., p. 109. La citazione moraviana è tratta da « La presenza, la prosa » di settembre 1942, in cui Moravia (ovvero Pseudo) afferma, interpreta Martellini, che « […] la libertà, che deriva dal dominio della materia è dovuta alla presenza, in quanto la tensione e la lucidità di una prosa sono in rapporto diretto con la crudeltà esercitata sopra la materia stessa. » (Martellini, p. 109).

34 Friedrich von Schiller, da Kallias. Grazia e dignità [Über Anmut und Würde, 1793]: « Si dice anima bella [die Schöne Seele], quando il sentimento morale è riuscito ad assicurarsi tutti i moti interiori dell’uomo, al punto da poter lasciare senza timore all’affetto la guida della volontà e da non correre mai il pericolo di essere in contraddizione con le decisioni di esso. L’anima bella ci fa entrare nel mondo delle idee senza abbandonare il mondo sensibile come avviene nella conoscenza della verità, per mezzo della bellezza ».

35 Si veda il commento di Luigi Martellini nella scheda 860, p. 433-434.

36 Luigi Martellini, Le « Prospettive » di Malaparte, op. cit., p. 112.

37 Cfr. « L’ultimo scritto inedito di Malaparte: Il compagno di viaggio », con giudizi di L. Cavani e A. Lattuada e brani inediti, in “Prospettive libri”, n. 10, ottobre 1981. Lotta con l’angelo, a cura di L. Martellini, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1997.

38 Vedi la scheda 474 (p. 312).

39 Scheda 608 (p. 358-359).

40 Scheda 888 (p. 445).

41 Cfr. il panegerico che traccia Malaparte, riportato nel saggio di Martellini alle pagine 133-135.

42 Il testo dell’articolo inedito è leggibile nel volume VI della raccolta di Edda Suckert-Ronchi, Malaparte, Firenze, Ponte Alle Grazie, 1993.

43 Per l’intero articolo, vedi Luigi Martellini, Le « Prospettive » di Malaparte, op. cit., p. 128-142.

44 Vedi il saggio di Martellini, p. 149-151.

45 Luigi Martellini, Le « Prospettive » di Malaparte, op. cit., p. 150.

46 L’argomentazione conclusiva di Luigi Martellini s’appoggia pure sui pareri di Glauco Viazzi (Antologia della rivista “Prospettive”), di Giancarlo Vigorelli (« Testimonianza e proposta di revisione », in introduzione alle Opere scelte di Malaparte, nel Meridiani dell’edizione Mondadori).

47 La citazione è alla pagina 161 del saggio di Martellini.

48 Aurélie Manzano presenta nella sua tesi il fatto che Malaparte testimoni anche un’interrogazione morale propria al suo tempo, come dichiarò d’altronde lo stesso scrittore fin da Viva Caporetto !, nel « Ritratto delle cose d’Italia, degli eroi, del popolo, degli avvenimenti, delle esperienze e inquietudini della nostra generazione ». Si veda Aurélie Manzano, Dans le bouillonnement de la création, op. cit., p. 114-115 e nota 62.

49 « Betrayal is like imagining, when the reality isn’t good enough » (John le Carré, The Perfect Spy, 1986). Durante il suo soggiorno in Francia all’inizio degli anni 1930, per i suoi atteggiamenti Malaparte venne perfino sospettato di essere un agente segreto o doppio (in seguito al suo ritorno in Italia venne immediatamente fatto arrestare, il che però lasciò posto a nuove perplessità), come ha accennato Henry Muller in Trois pas en arrière [1954], Paris, La Table Ronde, 2002, p. 207, citato da Aurélie Manzano, Dans le bouillonnement de la création, op. cit., p. 51-52 (nota 69).

50 L’usitato atteggiamento “giocoso” di Malaparte è anche particolarmente leggibile nella raccolta del 1949, Il battibecco. Inni satire epigrammi, pubblicato presso l’editrice Aria d’Italia.

51 All’occasione, e senza precisare in mancanza di spazio per sviluppare il concetto, si rimanda alle osservazioni di Zeev Sternhell che nel suo libro del 2006, Contro l’Illuminismo. Dal XVIII secolo alla guerra fredda (Baldini Castoldi Dalai Editore, 2009), fa coincidere la crisi della civiltà dell’inizio del Novecento con un « relativismo generalizzato », per cui lo storico evoca per esempio l’atteggiamento di Benedetto Croce nel suo dissociare la cultura dalla politica, atteggiamento che Sternhell non esita a qualificare di « tradimento » (per l’originale, si veda Zeev Sternhell, Les anti-Lumières. Du XVIIIe siècle à la guerre froide, Paris, Fayard, 2006, p. 620).

52 Giorgio Agamben, L’avventura, Milano, Nottetempo, 2015 (secondo Agamben, in sostanza, l’avventura esprime una « […] unità dell’evento e del racconto, della cosa e della parola », p. 40).

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Citer cet article

Référence électronique

Jean Nimis, « La rivista Prospettive (1937-1952) », Line@editoriale [En ligne], 10 | 2018, mis en ligne le 22 juin 2018, consulté le 11 novembre 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/983

Auteur

Jean Nimis

Il Laboratorio

jean.nimis@univ-tlse2.fr

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