Il Cristo Proibito è l’unico film diretto dallo scrittore Curzio Malaparte, autore, tra l’altro, dei romanzi Kaputt (1944) e La pelle (1949). Malaparte è, senza dubbio, molto più apprezzato all’estero (in particolare in Francia) che non in Italia, dove la sua eccentricità e cambiamenti di orientamento politico hanno avuto conseguenze molto negative sul giudizio che i suoi contemporanei hanno su di lui e, come corollario, sulla sua produzione artistica. Questo primo e unico lungometraggio è stato girato durante l’estate del 1950 quindi è stato presentato in concorso al Festival di Cannes nel mese di aprile 1951, un mese dopo la sua uscita nelle sale italiane, avvenuta il 24 marzo. Preparato in un contesto politico e culturale delicato: l’Italia del dopoguerra alla ricerca della democrazia e il neorealismo in fase di declino, Il Cristo proibito ha spesso avuto un’importanza secondaria nella sua recensione critica a tal punto che può essere legittimo chiedersi se sia stato il film oppure il suo autore ad essere criticato. Nelle righe che seguono studieremo questo contesto politico-culturale, ma anche come il film è stato accolto nel momento della sua uscita nelle sale, ma in quello della sua riedizione nel 2012. Vedremo come il carattere neorealista ha preso il sopravvento sulla forma barocca di questa opera singolare. Se quest’ultimo aspetto è stato percepito fin dai primi tempi, da alcuni critici, è chiaro che questa intuizione non è mai stata sviluppata, è proprio ciò che ci proponiamo di fare in una terza parte.
Un artista proteiforme con una reputazione sulfurea
Il periodo postbellico fu un periodo cruciale per l’Italia, che voltò le spalle al fascismo il 25 luglio 1943, in un primo momento, poi l’8 settembre dello stesso anno, prima di decidere democraticamente di prendere la strada della Repubblica, il 2 giugno 1946. Il periodo intorno al 1948 fu particolarmente teso con le elezioni legislative vinte dalla Democrazia Cristiana. Il PCI – con il sostegno della CGIL – ha molteplicato le azioni per cercare di invertire la tendenza. In Sicilia, le tensioni sono state esacerbate dalla nascita di un movimento indipendentista, un altro movimento che chiese perfino l’annessione dell’isola da parte degli Stati Uniti e anche il primo caso della Repubblica italiana: la morte misteriosa di Salvatore Giuliano nella notte del 4 al 5 luglio 1950 e, possiamo anche anche ricordare, alcuni mesi dopo, « il caso Montesi ». Si può aggiungere a questi eventi un fatto importante, l’attentato a Palmiro Togliatti, 14 luglio 1948. In tutti questi anni del dopoguerra, il ruolo del cinema, anestetizzato durante gli anni Trenta (con il cosiddetto cinema dei « telefoni bianchi »), è stato fondamentale, dando il suo contributo al ritorno della democrazia. È dunque in questo contesto teso e complicato che viene girato Il Cristo proibito.
La trama del film
Di ritorno dalla prigionia in Russia, Bruno torna nel suo villaggio toscano attraverso la montagna. Siamo agli inizi degli anni ’50 e questo ritorno è dominato dal desiderio di vendetta del protagonista che vuole vendicare suo fratello, un partigiano, fucilato dai tedeschi dopo essere stato denunciato da un compaesano. Bruno interroga invano sua madre; Nella, un amica d’infanzia; Maria, la sua ex-fidanzata. Sembra tuttavia che l’intero villaggio conosca l’identità del delatore ma un’omertà unisce tutti gli abitanti stanchi della guerra e della sua lunga processione di vittime. Bruno vaga come un fantasma nel villaggio in cerca di indizi. Una sera, Mastro Antonio, un falegname lo invita a casa sua e gli confessa di essere il colpevole. Bruno lo uccide con una pugnalata al cuore ma prima di morire Mastro Antonio gli dice di aver mentito. Quando la madre di Bruno vede suo figlio con le mani insanguinate, non può fare a meno di lanciargli un « hai ucciso il Pinin! », consegnandogli così il nome del delatore. Ma ora è troppo tardi e quando Pinin si offre come vittima, Bruno non ha più la forza di colpire: un innocente ha già pagato, ancora una volta. Il film si conclude con questa domanda: « Perché gli innocenti devono pagare? ».
Abbiamo affermato che la recensione critica del film è stata inizialmente legata alla reputazione del regista e al suo passato sulfureo. Kurt Erich Suckert era un artista proteiforme noto come romanziere, poeta, saggista, giornalista, ufficiale, ma anche drammaturgo e regista. Provocatorio, scelse Malaparte come pseudonimo patronimico, niente di meno da iscriversi in opposizione a Buonaparte. Nato a Prato, nel cuore della Toscana, il 9 giugno 1898, da padre tedesco e madre italiana, e morto, a Roma, il 19 Luglio 1957, cinquantanove, cioè relativamente giovane, e comunque molto prima di aver realizzato i suoi numerosi progetti, tra cui un secondo film.
Così, Edoardo Bruno considera nella rivista Filmcritica nell’aprile 1951 che « [...] ci sembra che il film dia con chiarezza estrema, una conferma della confusione, della grettezza morale e dell’insulsaggine del Malaparte. A quanto scriveva Gramsci di lui: “[…] il carattere fondamentale del Suckert (Malaparte) è uno sfrenato arrivismo, una sviscerata vanità e uno snobismo camaleontesco; per aver successo il Suckert era capace di ogni scellerataggine…”. Non abbiamo davvero altro da aggiungere ».
Dall’altra parte delle Alpi l’accoglienza non era molto diversa. Scrisse così Claude Mauriac: « Le Christ interdit nous fait donc retrouver l’outrance qui rendait si peu tolérables les morceaux de bravoure des fameux livres de Malaparte1. » Le due principali riviste francesi Cahiers du Cinéma e Positif hanno quindi partecipato ad attacchi ad personam ancor prima di parlare del film. André Bazin, critico cattolico e fondatore dei Cahiers du Cinéma inizia in tal modo la sua recensione critica: « Que la personnalité de M. Curzio Malaparte soit un objet de scandale n’est pas pour nous faciliter la critique de Christ interdit. Le mépris irrité qu’inspire assez souvent son auteur constitue certainement un préjugé défavorable dont le palmarès de Cannes a été le reflet. Mais inversement on peut craindre que l’effort d’objectivité critique nécessaire pour vaincre cette prévention ne fasse basculer dans le préjugé contraire2. » Tuttavia, riesce a scrivere poche righe dopo che questo è un « grand film ». Per quanto riguarda Xavier Tilliette, procedette allo stesso modo: « Il se devait à lui-même d’entrer dans le monde du cinéma avec éclat. En effet, l’écrivain romain Curzio Malaparte, dont le pseudonyme est l’envers hautain de Bonaparte, se pose comme l’une des curieuses figures de ce temps. […] Cependant, malgré sa rupture pas trop tardive avec Mussolini, Malaparte n’était pas entièrement dédouané, et ses démêlés récents avec la Résistance ont eu quelque retentissement, dont Christ interdit prolonge l’écho. » C’est ainsi qu’après avoir, dans un premier temps et assez longuement, éreinté la personne, il fait allusion plus tard à « des séries d’images envoûtantes, des séquences anthologiques3 ».
Tre decenni più tardi, nel suo Dictionnaire du cinéma, lo storico Jean Tulard predilige il fascismo e una certa volontà dell’autore di voler « brouiller les pistes »: « Cette histoire de vengeance ne manque ni de force ni d’originalité. À la faveur de son ambiguïté Malaparte en profite pour brouiller les pistes et essayer de faire oublier son passé fasciste4. »
Ma questo film ha avuto due vite come molte opere importanti della storia del cinema che hanno potuto usufruire di nuovi progressi della tecnologia portati dall’introduzione del digitale. Così, nel 2012, la pellicola del film, un mezzo analogico, è stata trasferita su un Digital Cinema Package (DCP), ovvero un supporto digitale. In Francia, questa riedizione è quindi stata proiettata nelle sale cinematografiche il 7 marzo 2012, in un primo momento, poi sotto forma di DVD, il 3 aprile dello stesso anno. In occasione di questa nuova versione commerciale la critica ha, questa volta, focalizzato esclusivamente, o quasi, sul film stesso. È vero che cinquantacinque anni dopo la morte dell’autore e novant’anni dopo la marcia su Roma, il rancore, a quanto pare, non è più appropriato. Tuttavia Jean-Christophe Ferrari non ha dimenticato la biografia di un uomo impegnato « […] car Malaparte (ne l’oublions pas) traînait le boulet de son passé fasciste ». Tuttavia percepisce nel disegno del film « un baroquisme fait de lents travellings, de cadrages insolites, des gestuelle opératique, de compositions plastiques recherchées ». Il Ferrari fa molti riferimenti alla recensione critica del tempo, prima di dare il suo punto di vista, alla fine dell’articolo, spesso assumendo un opinione opposta a quella degli anni Cinquanta: « On l’aura compris : là où Agel dénonce “une sorte de mollesse, de veulerie esthétique”, je verrais davantage la poussée chaotique, fiévreuse, d’un vitalisme contrarié. Là où Bazin s’offusque de l’enflure de la rhétorique et de l’éloquence, j’applaudis à un maniérisme arrogant. Là où Tilliette reconnaît une “symbolique de l’ombre et du jour”, j’aperçois plutôt une fresque primitive. Là où il prononce l’anathème contre l’hérétique, je salue ce dernier comme un frère5. »
Infine, il neorealismo è stato convocato da alcuni per prendere una certa distanza: « Italie année zéro, tel aurait aussi pu être le titre de ce premier et unique film de l’écrivain transalpin Curzio Malaparte. À l’instar du chef-d’œuvre de Roberto Rossellini dépeignant l’Allemagne post-nazie en proie au nihilisme, Le Christ interdit porte un regard aussi critique qu’angoissé sur une Italie fraichement sortie du fascisme. Mais si Allemagne année zéro (1948) et le film de Curzio Malaparte participent d’une même et noire lecture de l’après-guerre, les deux films diffèrent radicalement quant à leur forme. Rien n’est plus éloigné du vérisme d’Allemagne année zéro – œuvre manifeste du néo-réalisme s’il était besoin de le rappeler – que la forme adoptée par Le Christ interdit »6.
Pierre Charrel, nello stesso articolo, sposta la questione sul terreno politico facendo riferimento a tutti i totalitarismi. Si riferisce in particolare a un « […] constat catastrophé sur l’état idéologique de l’Italie post-fasciste. C’est en effet rien moins que l’impossibilité du politique que diagnostique Curzio Malaparte par le biais du monde poisseux et cauchemardesque du Christ interdit. Et ce, quelle que soit la nature du système doctrinal envisagé. Le film prend, bien entendu, la forme d’une oraison funèbre du fascisme – italien ou allemand – en prononçant à son encontre une condamnation sans appel. […] » Curzio Malaparte ha associato politica e religione, e il titolo equivoco, raramente interpretato dalla critica, ha turbato molte menti. Inoltre, fare un paragone tra Il Cristo proibito e Germania anno zero, cioè a un neorealismo non italiano è anche restare a distanza di un neorealismo autoctono.
Un film neorealista?
In un primo momento Il Cristo proibito è stato scritto per essere pubblicato come romanzo:
Il Cristo proibito di Curzio Malaparte, la cui redazione risale al ’45, è contrattualmente definito nel 1947 come romanzo, trasformato nel ’49 in soggetto e poi in sceneggiatura: girato nel ’50 e proiettato nel ’51, esso fa da spartiacque fra gli avvenimenti tragici della guerra e le loro conseguenze esistenziali e morali, fra la disperazione e la speranza, il reale e l’ideale : gli spazi interscambiabili del film stesso7.
Va notato che un contratto era stato firmato con l’editore Bompiani (Denoël per la traduzione francese). È comunque interessante ricordare che il romanzo non è stato pubblicato come se il film fosse destinato ad essere un’esclusiva, numerosi esempi dimostrano il contrario. In quanto alle parole di Curzio Malaparte sull’argomento, come tutti sanno, sono spesso esagerate e provocatorie, e quindi ad analizzare con grande discernimento. Tuttavia, correremo il rischio di partire dalle dichiarazioni del regista prima di iniziare le riprese. Secondo lo storico del cinema Gian Piero Brunetta, quando Malaparte decide di giare Il Cristo proibito pensa a L’Espoir di Malraux, a Hemingway, a Cocteau ma anche al neorealismo. Egli ritiene inoltre che il passaggio dalla letteratura al cinema sarà possibile solo se riuscirà a incaricarsi dell’intero processo espressivo. Questo è ciò che farà firmando il soggetto, la sceneggiatura, la messa in scena e persino la musica. Voleva anche circondarsi di persone di cui si fidava come Pierre Fresnay8 per interpretare il ruolo principale; il pittore Orfeo Tamburi come scenografo e Gaber Pogany come direttore della fotografia. « Lo spirito, l’accento di questo racconto – annuncia alla vigilia dell’inizio delle riprese – è lo stesso dei miei ultimi libri che hanno già una cadenza e un taglio cinematografici come la critica straniera ha già osservato, specie a proposito di Kaputt. Sarà il Cristo proibito un film neorealista? Come potrebbe non esserlo? La critica straniera, unanime, quando apparvero Roma città aperta e Paisà notò che quei film venivano dopo il mio Kaputt… Il mio film vuole essere un omaggio a Rossellini, a De Sica, al Blasetti di Quattro passi fra le nuvole. Ma è naturale che io cerchi di mettere nel film neorealista ciò di cui esso manca9. » Quello su cui ci si deve focalizzare in primis, a nostro avviso, in quello che va chiamato nota d’intento, sono le due volte dove Malaparte cita Kaputt; le altre due volte dove fa riferimento alla critica straniera; i suoi riferimenti cinematografici e infine il suo contributo al neorealismo. Dire che un Kaputt ha « un taglio cinematografico » è abbastanza audace, perché se La pelle ha avuto una sua riduzione cinematografica (Cavani, 1981), l’altro grande romanzo di Malaparte è stato spesso considerato come molto difficile o magari impossibile da mettere in scena per il cinema. Sottolineare pesantemente il ruolo della critica straniera significa anche minimizzare quello del proprio paese, in cui il ruolo attivo dello scrittore nei primi anni del fascismo ha lasciato più tracce di rancore che all’estero. Infine, e questo sembra essere il più interessante, Malaparte si riferisce al neorealismo. Conviene, in un primo momento, valutare se Il Cristo proibito sia un film neorealista oppure no, quindi, eventualmente, chiedersi se può essere un « omaggio a Rossellini, a De Sica » o « al Blasetti di Quattro passi fra le nuvole »? Come tutti sanno, il neorealismo è nato il giorno della proiezione di Roma città aperta al Teatro Quirino di Roma, il 24 settembre del 1945, soprattutto grazie al contributo teorico del lavoro sviluppato dai redattori della rivista Cinema, che richiedevano un ritorno alla realtà con Giovanni Verga come modello, e così chiudere con il cinema dei « telefoni bianchi » e il semi-ritiro di alcuni registi che si erano rifugiati nel « Calligrafismo ». Infatti, con Roma città aperta, Rossellini ha aperto la strada a una nuova forma di cinema qualificato di « neorealista ». Che cosa metteva in scena questa « corrente » o questa « stagione », che non fu di certo una « scuola », come André Bazin la chiamò erroneamente? È tutta l’Italia che soffriva insieme al suo popolo ed erano ambedue i protagonisti di quelle opere che denunciavano gli orrori della guerra10 o i drammi sociali del dopoguerra11. Nella misura in cui può essere inserito nella seconda serie di film si può considerare che Il Cristo proibito è un film neorealista da un punto di vista strettamente tematico. Tuttavia, questo non è di certo a Rossellini o De Sica che il film di Malaparte può essere associato ma piuttosto a quelli di Visconti (La terra trema) o De Santis (Riso amaro e Non c’è pace tra gli ulivi). Infatti con i suoi movimenti di macchina, le sue carrellate su binari o con la gru utilizzando e l’uso di lunghi piani-sequenza, il cinema di Malaparte ha il brio e l’eleganza dei due registi marxisti. Tuttavia, l’omaggio a Blasetti è piuttosto inquietante. Alessandro Blasetti si era, come Malaparte, compromesso con il fascismo prima di unirsi al movimento neorealista quando il regime fu messo in difficoltà. Malaparte può dunque essere associato a Blasetti per il suo comportamento più che per il suo cinema, il primo ha anche partecipato alla marcia su Roma per poi dichiararsi comunista ed essere condannato a trascorrere un paio di mesi nelle carceri del Duce, a Lipari. Blasetti, nel frattempo, nel 1929 diresse Sole in omaggio alla bonifica dell’agro pontino (un film apprezzato da Mussolini), poi nel 1934 Vecchia guardia che esaltava la marcia su Roma. Certo, nel 1942-43, una volta che il regime in situazione diffile, Blasetti girò Quattro passi fra nuvole, film evocato da Malaparte. Quest’opera, insieme a Ossessione (Visconti) e I bambini ci guardano (De Sica), può essere considerata come anteprima del neorealismo. Per quanto riguarda il contributo di Blasetti al neorealismo, è con grande benevolenza che possiamo citare un unico film, Un giorno nella vita12 (1946).
La stessa nozione di neorealismo cinematografico è stata spesso vittima di abuso. Abbiamo detto che non era una « scuola » ed è giusto citare Vittorio De Sica:
Non è che un giorno ci siamo seduti a un tavolino di Via Veneto, Rossellini, Visconti, io e gli altri e ci siamo detti: adesso facciamo il neorealismo. Addirittura ci si conosceva appena. Un giorno mi dissero che Rossellini aveva cominciato a lavorare. « Un film su un prete » dissero e basta. Un altro giorno vidi lui e Amidei seduti sul gradino d’ingresso di un palazzo di via Bissolati. « Che fate? » domandai. Si strinsero nelle spalle: « Cerchiamo soldi per tirare avanti il film… ». « Che film? » « La storia di un prete. Sai, Don Morosini, quello che i tedeschi hanno fucilato13. »
Per noi, il cinema neorealista è anzitutto un cinema della « urgenza ». Nell’immediato dopoguerra, era urgente mostrare, denunciare e anche condannare alcuni elementi dell’Italia all’epoca. E questa urgenza si è materializzata con i mezzi a disposizione dei registi in quel preciso momento. Così Rossellini ha girato Roma città aperta in condizioni pratiche e tecniche precari: « […] Il achetait dans les boutiques de photographes des bobines de pellicule de 20 ou 30 mètres au fur et à mesure du tournage. Il ne put ni enregistrer les sons et les dialogues au moment de la prise de vue ni visionner les rushes. Or, loin de nuire au film, cette pauvreté lui confère une bouleversante présence palpitante. […] »14
Ecco perché diciamo che fare risalire la nascita del neorealismo a Ossessione (Luchino Visconti, 1943) è un errore. « C’est une œuvre de transition, l’amorce d’un tournant. Mais ce n’est pas encore le néo-réalisme. Car pour que celui-ci explose enfin, il est indispensable que se produise l’événement historique qui accomplira la rupture : il faut que le fascisme s’effondre.15 » Tuttavia si può considerare che questo movimento è nato, come abbiamo detto, da desideri e progetti comuni espressi nelle riviste tra la fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40 con articoli famosi firmati De Santis, Pietrangeli, Visconti e anche Antonioni. Erano testi teorici che emanavano in gran parte da membri clandestini del Partito Comunista. È una delle ragioni che fa sì che il neorealismo, oltre alla classificazione tematica evocata qui sopra, esiste anche una classificazione politica con, da una parte, gli autori « materialisti » (i marxisti De Santis e Visconti, per esempio), e dall’altra, gli autori « spiritualisti » (i cristiani De Sica o Rossellini), una terza componente raggruppa gli autori qualificati di « minori ». Ricordiamo che nel 1948, mentre la sinistra ha appena perso le elezioni, il PCI e la CGIL finanziarono, in parte, La terra trema (Visconti) e Riso amaro (De Santis), due film che denunciano, in primis, lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. A questo punto, dove classificare Il Cristo proibito e il suo autore? Inoltre, negli ultimi anni due tendenze sono state elencate chiaramente basandosi sulla forma: una corrente « ascetica » e l’altra « manierista ».
« Accanto al volto ascetico e, insieme, carnale il neorealismo mostra anche un aspetto manierista, in cui la poetica dell’accumulo si sostituisce a quella della sottrazione e la celebrazione della penuria si ribalta nell’incremento dell’eccesso », scrisse Stefania Parigi, aggiungendo anche qualche riga più avanti: « Il neorealismo fiammeggiante di De Santis, secondo la definizione di Farassino, è fondato sulla potenza trasfigurante del mezzo. Se la macchina da presa di De Sica lascia da parte ogni sottolineatura enfatica e cerca di mimetizzarsi, quella di De Santis entra prepotentemente in azione come elemento capace di plasmare la scena, sottolineandone la natura artificiale e visionaria. »16.
È evidente che questa lettura del cinema di De Santis può essere facilmente trasposta a quella di Malaparte, se ci atteniamo alla fattura del film. Altri elementi di convergenza possono essere evidenziati: il carattere rurale del film di Malaparte come i principali film De Santis (in particolare Riso amaro e Non c’è pace tra gli ulivi) o La terra trema di Visconti. A contrario, i film neorealisti di Rossellini e De Sica erano essenzialmente urbani (Roma città aperta, Germania anno zero, Sciuscià, Ladri di biciclette).
Un altro elemento associa Malaparte agli autori marxisti, è l’importanza data alla « voce off ». Infatti, Il Cristo Proibito, La terra trema o Non c’è pace tra gli ulivi iniziano con questa voce off extradiegetica. Questa voce off è qui deviata dalla sua funzione naturale che implica di prendere una certa distanza dall’azione e che quindi necessita un’interpretazione dell’azione in corso. Infatti, queste voci non sono quelle di un narratore obiettivo ma quelle dei registi o sceneggiatori dei propri film. È il caso per La terra trema (voce dello sceneggiatore Pietrangeli), Non c’è pace tra gli ulivi (voce di De Santis) e anche Il Cristo Proibito (voce di Malaparte). Anche se, la voce fuori campo di Riso amaro è quella di un radiocronista che appare poco dopo allo schermo.
La coralità è un altro punto di convergenza. Infine, e non è di poca importanza, Raf Vallone che Malaparte ha scelto per sostituire Pierre Fresnay, inizialmente sollecitato, era un attore impegnato, membro del Partito Comunista Italiano. Era l’attore di predilezione di De Santis (protagonista assoluto di Non c’è pace tra gli ulivi). Pertanto, viene legittimo chiedersi se il neorealismo di Malaparte sarebbe da associare a quello dei due autori marxisti per i suoi lunghi movimenti di macchina, il virtuosismo delle sue carrellate, per il suo lavoro di organizzazione dello spazio di rappresentazione. Questo è in realtà ciò che ci fa dire che il neorealismo di Malaparte è più vicino a quello di De Santis e Visconti che non a quello di De Sica e Rossellini. La definizione data del neorealismo nell’enciclopedia Treccani sottolinea anche la forma:
Corrente sviluppatasi nel cinema italiano tra il 1945 e i primi anni Cinquanta, soprattutto per opera di R. Rossellini e di altri registi che si sono ispirati a episodî della Resistenza o alla tragica condizione del dopoguerra; era caratterizzato da un forte impegno morale e politico, in polemica con le rappresentazioni estetizzanti e retoriche della produzione precedente17.
Questa definizione della Treccani suscita forti perplessità perché è evidente che la qualifica di « rappresentazioni estetizzanti e retoriche » per la « produzione precedente », vale a dire il cinema dei « telefoni bianchi », può essere ricondotta ai film da De Santis e Visconti che abbiamo appena menzionato, ma anche a Il Cristo proibito. È per questo motivo che molti hanno considerato La terra trema come « un neorealismo di maniera ». Per quanto ci riguarda, possiamo anche affermare che, nel suo film, Malaparte porta il manierismo verso un « barocco cinematografico ».
Del barocco
« Le “baroque” est une curiosité linguistique, sans doute un des plus beaux exemples de “signifiant flottant”, servant de couverture à des marchandises bien différentes sans que personne semble s’en inquiéter vraiment18. » Infatti l’approccio all’arte barocca è stato a lungo reso difficile dalla esiguità dei testi che sono stati dedicati a questo periodo della storia dell’arte. Sono, per primi, gli studi di storici dell’arte di lingua tedesca che hanno aperto la strada: pensiamo a Jacob Burckhardt, Hildebrand Gurlitt oppure Heinrich Wölffllin. In Francia, il lavoro dello svizzero Jean Rousset e il suo famoso testo « Circé et le paon » hanno avuto un’importanza fondamentale, mentre, in Italia, Benedetto Croce scrisse, forse con qualche intento provocatorio, che « quel che è veramente arte non è mai barocco, e quel che è barocco non è arte ». Più vicino a noi, Giulio Carlo Argan ha ripristinato qualche grado di verità19. Senza avere la pretesa di essere esaustivi, perché oggi non è nostra intenzione, è anche necessario citare i testi dello spagnolo Eugenio d’Ors. Riconoscere l’esistenza di un cinema barocco significa tenere conto del fatto che un intero periodo della storia dell’arte è riemerso diversi secoli dopo la sua affermazione per mezzo di un’arte nuova, il cinematografo. Nel 1960 il primo numero di « Études cinématographiques » fu dedicato al rapporto tra le due arti in un numero doppio intitolato « Baroque et cinéma ». L’attenzione era attratta principalmente sul movimento a tal punto che alcuni film, che barocchi non sono, sono stati classificati come tali, per esempio La corazzata Potëmkin (Eisentein, 1925), presumibilmente per l’illusione del movimento provocata dal montaggio dialettico. Nel 1972 Pierre Pitiot cercò di teorizzare la questione e provò a elaborare una classificazione20 che ha riconsiderato nel 199421. Più vicino a noi, ricercatori e docenti universitari si sono interessati attivamente alla questione: si tratta di Richard Bégin (Università di Laval, Canada ) e Emmanuel Passeraud22 (Université di Lilla, Francia).
Bisogna ancora precisare, prima di andare avanti, ciò che s’intende con la parola « barocco », sotto la cui bandiera, come ha sottolineato Claude Mignot, sono state talvolta diffuse « les marchandises les plus douteuses ». Va ricordato inoltre che gli artisti barocchi non hanno mai usato questo termine; parlando della loro opera, usavano l’espressione « à la romaine ».
In effetti è nella Città Eterna che si è manifestato per la prima volta un nuovo stile architettonico, scultoreo e pittorico, destinato a estendersi a tutti i campi dell’espressione artistica. Senza dubbio generato dalla sconvolgimento delle teorie astronomiche, in particolare da due scoperte — la mobilità dell’universo e la traiettoria non circolare bensì ellittica dei pianeti — il Barocco è una sorta di trauma che mina la mentalità euro-mediterranea nel corso del Cinquecento. Senza eccessive semplificazioni, possiamo individuarne le due caratteristiche portanti nell’intento di rappresentare il movimento nell’inanimato e nel ruolo preminente del décor: il movimento e l’ornamento sono i due assi principali attorno ai quali si articola la creazione barocca. L’età barocca, il cui atto di nascita ufficiale è a Roma23 intorno al 1580, si manifestò già precedentemente e fu, in qualche modo, l’ultima esportazione culturale del Mediterraneo, proprio nel momento in cui l’asse del mondo si stava spostatndo verso l’Europa nord-occidentale. Ma anche dopo questo ultimo fulgore della cultura mediterranea, gli imperativi del barocco e la preminenza accordata alla rappresentazione del movimento permangono in molti spiriti e non c’è nessun dubbio che Malaparte sia fra questi. È evidente che ci vuole una certa audacia per mettere in rapporto uno stile plastico con l’opera di un cineasta operante tre secoli più tardi.
Del Barocco cinematografico
È necessario innanzitutto stabilire una distinzione molto precisa tra ciò che Christian Metz chiamava « cinematografico » e « filmico ». Prendiamo in considerazione questa differenza per spiegare che, da un punto di vista cinematografico, la macchina cinematografica, che si tratti di riprese o di proiezione – la fisica del cinema – su cui poggia, cioè produce per così dire un falso movimento, un’immagine che si ferma un ventiquattresimo di secondo. Per questa ragione il cinema è, per sua essenza, di natura barocca. È illusorio concludere, però, che tutti i film sono barocchi, tutt’altro. Esiste una categoria di film realizzati da artisti che hanno un universo mentale che proviene da quella che può essere definita una concezione barocca del mondo. Quindi hanno dato tutto mentre portavano la propria concezione, il proprio mondo personale. Si sono iscritti in una cinematografia barocca pur non essendo individui consapevoli di fare un cinema barocco. Dobbiamo quindi chiederci come sia possibile un tale trasferimento. Un primo elemento è facile da determinare perché se percorriamo, dalla nascita del cinema ai giorni nostri, la storia dei film, è chiaro che, come nella pittura c’è stata, lungo i secoli, una corsa verso la fedeltà della rappresentazione, così nel cinema c’è stata una corsa verso la fluidità della rappresentazione. È la differenza che esiste tra un film primitivo caratterizzato da una proiezione « a scatti » e la fluidità di un cinema come quello di Max Ophuls, di Federico Fellini o – nel nostro caso – di Curzio Malaparte. La fluidità è dunque l’elemento essenziale del barocco cinematografico.
Il cinema è barocco di per sé, come abbiamo appena detto. In effetti, cos’è il cinema, se non l’illusione del movimento? Questa illusione è causata dallo spostamento di immagini ferme alla velocità di ventiquattro fotogrammi al secondo. Pierre Pitiot nel suo primo lavoro ebbe l’ardire di teorizzare il cinema barocco partendo per lo più da opere scultoree e architettoniche. Questo primo approccio al barocco cinematografico è partito da tre elementi fondamentali: la morte, il tempo e il movimento, ai quali aggiunse « […] un certain nombre d’éléments de structure, éléments apparaissant directement sur l’image cinématographique et pour certains d’entre eux se révélant dans la continuité filmique.24 » Questi elementi si dividono in due categorie: plastica e tematica. Per quanto riguarda gli elementi plastici è necessario menzionare le scale, il soffitto, la facciata (associata all’ovale), la città ... I quattro elementi (aria, acqua, fuoco, terra), lo specchio, la menzogna, la maschera, la festa e la follia costituiscono, per parte loro, gli elementi tematici. Infatti, alla luce di questi elementi è possibile redigere un inventario sommario degli elementi costitutivi del barocco cinematografico. In primis troviamo l’illusione del movimento con metodi diversi come la spirale, il movimento ovoidale, ellittico... In seguito, un’illuminazione che spesso tende verso la mancanza di luce, il semi-buio o magari il buio (vedi alcuni dipinti del Caravaggio ); l’onnipresenza del tempo che passa e, naturalmente, la morte; la figura del doppio ma anche, e quest’ultimo elemento viene spesso dimenticato, la rappresentazione di macerie, di rovine. Questo periodo della storia dell’arte va associato a un periodo di scoperte scientifiche, soprattutto geografiche e astronomiche, che contribuirono a far progredire l’umanità, ma anche, e questo non è contraddittorio, a rendere dubbiosi alcuni spiriti del tempo. Se si vogliono trovare le fonti di questa duplicità nel pieno fulgore del barocco, bisogna ricercarle nel mondo dei marinai e degli astronomi. Sono le grandi scoperte marittime da una parte, e le grandi scoperte astronomiche dall’altra, che provocheranno questi lampi nel pensiero europeo. Per quanto riguarda le scoperte astronomiche, Copernico, Tycho Brahe, Keplero, Galileo Galilei scoprirono in poco tempo elementi fondamentali: la terra non è il centro dell’universo; la terra gira intorno al sole e non il contrario; nell’universo tutti i pianeti, tutte le stelle si muovono come in un movimento continuo e – forse l’elemento più importante – non si muovono in cerchi, ma descrivendo un percorso ellittico ; e l’ellissi, bisogna ricordarlo, è una delle pochissime figure geometriche – se non l’unica – ad avere non un centro (gli scienziati parlano di focolare), ma due. Quindi questa idea di doppio, di doppio in tutti i settori (compreso quello che pensavamo protetto o intoccabile : il campo della geometria) irrompe in un mondo molto scompartimentato: esisteva Dio, esisteva l’uomo, esisteva la terra piatta e immobile, e tutto ciò sembrava immutabile. Quando, improvvisamente, l’uomo non ha più certezze, tutto è doppio o quasi, tutto è in movimento. Il barocco è anche una forma di pensiero, uno stato d’animo, ieri come oggi. A questo proposito, una frase dello sceneggiatore e scrittore Ennio Flaiano, riassume ironicamente questa mentalità nello spirito italiano: « Bisogna anche invitare uno storico dell’arte per fargli dire quale influenza può avere avuto il barocco sulla nostra psicologia. In Italia infatti la linea più breve tra due punti è l’arabesco. Viviamo in una rete d’arabeschi25. »
Il barocco nel cinema di Malaparte
Si potrebbe pensare che l’esegeta debba comportarsi con l’autore come il medico con il malato, facendo uso di quella branca particolare della semiologia che è la sintomatologia, a rischio di far passare la creazione come una malattia inguaribile, una sorta di male del secolo. Per quanto riguarda Malaparte, dopo aver analizzato un certo numero di segni, la loro somme e le loro interconnessioni. Ma non gli sentiremo il polso, non gli esamineremo gli occhi, la lingua, o gli umori; al contrario, prenderemo in considerazione, nell’ordine, il sentimento del tempo che scorre ineluttabile, la nostalgia per una giovinezza mai vissuta pienamente, il bisogno permanente di movimento, il suo gusto per l’ornamento retorico . Questi elementi, nel loro insieme, esprimono una ferita inguaribile causata da un modo di pensare barocco, sul quale ci soffermeremo più avanti. In quest’ambito, la decifrazione di un elemento costitutivo ne chiama in causa immediatamente altri, sparsi nello svolgimento di questo o quell’altro film, un po’ come se la forza magnetica desse un senso particolare a tutti gli elementi che attrae in una sorta di campo magnetico che è la vera matrice dell’opera. Così tutti gli elementi citati si trovano ne Il Cristo proibito contraddicendo coloro che hanno rilevato nel film tracce de dipinti di Masaccio o di Piero della Francesca. È evidente che il paesaggio toscano è onnipresente se ci si attiene alla geografia e ad alcuni elementi architettonici, ma le prime immagini non lasciano dubbi: il lungo piano-sequenza che descrive la campagna intorno a Montepulciano è girato da un elicottero in movimento permanente. Gli stessi titoli di testa sono girati obliquamente, mettendo lo spettatore fin dall’inizio in una posizione insolita, se non a disagio. Questo incipit è vertiginoso, si esprime con insistenza nell’onnipresenza della curva, nella voluta caratterizzata dalle colline toscane così come nei movimenti della macchina da presa. La morte attraversa il film in tutta la sua durata, è un’evidenza. La figura del doppio che si configura come tale in alcuni momenti : Bruno e Giulio, suo fratello; Maria e Anna ex-ragazze o ex-fidanzate. Possiamo anche legittimamente farci una domanda: perché due « Mastri », Mastro Antonio e Mastro Pietro? Possiamo anche dire che per un attimo ci troviamo di fronte a due assassini, il falso (Mastro Antonio che confesserà, troppo tardi, di aver mentito) e il vero (Pinin) che eviterà la condanna. Ma non sono solo gli elementi tematici ad essere in gioco in questa recensione; si potrebbe andare oltre il semplice livello del contenuto e scoprire nel film alcuni elementi strutturali che collegano Malaparte all’universo barocco.
Uno dei più importanti è senz’altro l’impiego costante della figura del doppio. Questa constatazione è già stata fatta e analizzata, ma resta da sviluppare, il più succintamente possibile, in quale maniera si stabilisce una relazione tra la struttura del doppio e il Barocco. L’ipotesi avanzata è la seguente: se si parte dal presupposto, come s’è detto precedentemente, che il Barocco è probabilmente nato dai rivolgimenti apportati dal sapere astronomico nel corso del secolo che ha preceduto la sua apparizione e che uno di questi rivolgimenti riguardava la scoperta secondo la quale i pianeti non seguono delle orbite circolari ma ellittiche, si comprenderà che l’ellisse diviene allora, nella geometria che è propria di ogni rappresentazione, una figura maggiore, preferenziale, non esclusiva, ma spiazzante, poiché si sostituisce altri modelli geometrici che avevano un solo centro, mentre essa ne possiede due. Un universo con due punti focali, ecco cos’è che introduceva l’ombra di un dubbio nella mente del creatore e che obbligava lo sguardo dello spettatore, abituato a focalizzarsi su un solo punto della figura, a un andirivieni, nuovo per lui, tra i due poli dell’ellissi. Da qui un tragitto visivo che rinforzava ancora l’importanza del movimento nel Barocco26.
Così il cinema pone definitivamente fine a diversi secoli di pittura perpetuandoli con altri mezzi; è la perfetta realizzazione del desiderio barocco di rappresentare il movimento nell’inerte che, nelle sue realizzazioni più compiute — pensiamo al soffitto della chiesa di Sant’Ignazio (Andrea Pozzo, 1685), a Roma — non poteva essere che asintotica. Se del cinema consideriamo quest’unica ma essenziale caratteristica della rappresentazione illusoria del movimento, siamo costretti ad accettare l’idea che la « macchina cinema » sia per vocazione barocca. Numerose scene del film ce lo ricordano, ma pensiamo soprattutto all’ultima nella bottega di Mastro Antonio, ripreso con una lunga carrellata circolare intorno al corpo. Certamente la posizione del Cristo Morto del Mantegna (1480), adottata dalla vittima che sta per essere il falegname, non ci è sfuggita, ma la fattura barocca di questa scena prevale sulla citazione pittorica, anche perché le luci possono essere qualificate « caravaggesche ».
Quindi, il primo elemento che caratterizza il lato profondamente barocco del lavoro di Malaparte è, senza dubbio, la rappresentazione del movimento che è la forza trainante del suo Cristo proibito. Nella pittura barocca, il movimento è suggerito grazie ad almeno due soli elementi: uno è legato allo squilibrio con cui vengono caratterizzati i personaggi nella rappresentazione dei loro gesti, la torsione delle membra e la tensione della muscolatura; l’altro è nella costruzione dell’opera, le cui linee di forza non sono più rette ma curve e la cui struttura generale è una figura che appare spiraliforme. Una spirale che sembra aspirare i personaggi verso la parte superiore dell’opera, nel caso di un dipinto in una cornice o di un affresco murale, e verso un punto situato all’infinito del firmamento, se si tratta di uno di quei soffitti in « trompe-l’œil » che piaceva tanto all’artista barocco e la cui « lettura » da parte dello spettatore, anche poco intenditore, suggerisce un movimento perpetuo che trasporti tutti i personaggi in direzione di questo punto. Tale trattamento dello spazio iconico sembra difficile, persino impensabile, nel cinema. Ma è qui che entra in scena il piano-sequenza, in quanto sottile equivalenza, e la complessità del movimento della macchina da presa ricrea questa sensazione di spirale ascendente, di moto perpetuo che avviene attraverso arabeschi. La mobilità filmica possiede quindi diversi modi di manifestarsi: il regista può dare impulso al movimento sia nell’inquadratura , in particolare dei personaggi, oppure nel quadro, vale a dire spostando l’obiettivo della macchina da presa o persino l’intera macchina da presa; o, ancora, usando una combinazione di entrambi. L’obiettivo a focale variabile (il cosiddetto zoom) non esisteva ancora nei primi degli anni Cinquanta. È dunque tutta la macchina da presa, usando la carrellata, che Malaparte sollecita in innumerevoli momenti della sua drammaturgia filmica. Un altro elemento avrebbe dovuto essere presente in questo film come nella trilogia della guerra di Rossellini: si tratta della presenza di rovine27 causate dai bombardamenti. Paradossalmente Malaparte ci ha rinunciato.
Ma, ancora una volta, le pesantezze ideologiche avrebbero giocato contro le certezze scientifiche e avrebbero fatto sì che la presa in considerazione di uno dei due focolari avvenisse, intellettualmente parlando, solo con riluttanza, e che venisse trattato piuttosto come un riflesso, e peggio ancora come una bugia o come un tranello. Fin dai primi minuti del film Bruno si dirige verso un punto d’acqua per lavarsi il viso, invita anche il suo compagno di sventura a fare la stessa cosa: « Lavati lu viso anche tu Andrea. Tua moglie non ti riconoscerà se vai a casa con quella faccia ». Ma prima ancora di lavarsi la faccia, Bruno sputa sul suo riflesso nell’acqua. Un riflesso leggermente deformato dai movimenti che esercita quell’acqua inerte come se l’assenza di movimento fosse un problema in questa pozzanghera. È quasi la stessa cosa quando Bruno visita Maria nella sua stanza (minuto 26) : sul muro si trova uno specchio che la giovane donna chiede a Bruno di voltare contro la parete perché durante la sua assenza è apparsa lì la sua immagine. La perfezione « fisica » del doppio, facendo emergere la figura del sosia che, come tutti sanno, è uno dei personaggi ricorrenti del teatro barocco.
Nel campo della pittura, si potrebbe definire il Manierismo come l’esitazione di uno o più personaggi ad occupare lo spazio della tela. Questa esitazione la ritroveremo nel personaggio del film che cercherà di situarsi rispetto alla sua infanzia, alle donne, all’Italia fascista... Questa esitazione davanti alla disarmonia porterà Malaparte a includere indizi di manierismo cinematografico: posizionare il personaggio nell’inquadratura, a volte centrato in modo classico, a volte curiosamente decentrato, e ciò riflette la difficoltà che incontra quando vuole posizionarsi nello spazio del film come in quello della Storia. Questi indici saranno raddoppiati mediante diverse posizioni oblique della macchina da presa. Ma questo Manierismo sarà in Malaparte solo una tappa effimera, piuttosto difficile da discernere in quanto intimamente legata all’espressione barocca del movimento.
Un’analisi del barocco cinematografico è cosa ardua perché bisogna sempre stare attenti a ciò che si potrebbe chiamare il « tranello della catalogazione »: un film non è barocco perché mostra un angelo barocco in un angolo. È essenziale partire dagli elementi costitutivi del barocco. Se sono elencati correttamente, siamo spesso colpiti, guardando un film, dal fatto che – avendone evidenziato uno – li ritroviamo quasi tutti. Fino a poco tempo fa, i testi sull’argomento erano relativamente rari, ma negli ultimi anni il barocco cinematografico è entrato in ambiente accademico, come abbiamo scritto sopra. Ciò è tanto più confortante in quanto il giovane cinema del sud Italia rientra spesso in questa caratteristica. Pensiamo ai napoletani Paolo Sorrentino – la cui intera opera è di fattura barocca, da L’uomo in più (2000) a La giovinezza (Youth, 2015) passando per Il divo (2008) – ed Edoardo De Angelis (Indivisibili, 2016), ma anche i siciliani Roberto Andò (Le confessioni, 2016) e Piero Messina (L’attesa, 2015). Questo non è sorprendente perché prima di loro Federico Fellini e Luchino Visconti avevano aperto la strada come d’altronde molti italo-americani: Abel Ferrara, Michael Cimino, Martin Scorsese e Francis Ford Coppola. Non è sorprendente dal momento che, questi ultimi, sono tutti o quasi di origine siciliana. Così si potrebbe dire che Curzio Malaparte abbia fatto la sintesi tra la Toscana e Roma, Napoli e il Sud Italia ma anche, di certo, tra il Rinascimento e il Barocco.
Sequenze e bibliografia
Supporto: Il Cristo proibito, 1951. Regia: Curzio Malaparte. Interpreti: Raf Vallone, Elena Varzi, Gino Cervi, Alain Cuny, Anna-Maria Ferrero, Rina Morelli. Distribuzione DVD: Ripley Home Video, 2012. Formato video: 1,33:1. Audio: italiano (Digital 1.0 Mono).