Résumés

Questo articolo è una riflessione sulla traduzione poetica, le sue difficoltà e ciò che tale esperienza mette in gioco. Nella poesia contemporanea c’è una parte di oscuro, una parola che pare sorgere da un abisso, frattura (Ungaretti) fra l’uomo e la verità. Se tradurre la poesia contemporanea è difficile non è certo perchè si deve spiegarne il senso oscuro ma perchè si deve accettare, lasciarle la sua parte oscura. Si sarà capito che questo breve studio non parla tanto delle difficoltà tecniche incontrate in tale o talaltra traduzione, ma, attraverso esempi concreti, dal francese all’italiano, di uno spirito, una concezione della traduzione: percorso che è una traversata, analogamente all’esperienza poetica stessa.

« Translating the Gap » examines some of the difficulties, and what is at stake, when translating poetry. In contemporary poetry, there is something obscure, a kind of speech that seems to come out of an open abyss, akin to a gap (Ungaretti) between man and truth. Translating contemporary poetry is difficult not because one should explain its obscure meaning, but precisely because one must try and retain its very obscurity. The aim of this article is not so much to deal with the technical difficulties found is such and such a translation, but, through concrete examples chosen from translations from French into Italian, to convey a frame of mind, a conception of translation – an itinerary akin to a journey similar to poetic experience.

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Index

Parole chiave

aperto, frattura, oscuro, poesia, traduzione, traversata

Plan

Texte

La verità, per crescita di buio
più a volarle vicino s’alza l’uomo,
si va facendo la frattura fonda.
Giuseppe Ungaretti, Apocalissi1

1.-La traduzione : una difficoltà dell’edizione poetica

In un’intervista sulla sua traduzione della poesia di Ungaretti, Philippe Jaccottet risponde a proposito delle maggiori difficoltà di tradurre un poeta :

Dipende dai casi. È sempre molto diverso. Ad esempio tradurre Montale mi sembra più facile per un francese, che tradurre Ungaretti. I brevi versi de L’Allegria in francese, che è una lingua più sorda, diventano un nulla. Montale con questo linguaggio più narrativo, più da conversazione può essere tradotto con meno perdite.2 

Interessante questa riflessione che ci porta, in realtà, oltre. Certo, da un poeta all’altro, da una lingua all’altra, esistono scarti e affinità che è difficile quantificare. Certo, una poesia di ampio fraseggio in italiano permette una traduzione meno pedissequa, meno apparentemente letterale in francese. Ma questa osservazione proprio guardacaso sulla poesia di Ungaretti, che è un punto di non ritorno nel Novecento italiano, non può non spingerci a una riflessione generale sulla difficoltà di tradurre la poesia contemporanea, a prescindere dalla forma. Naturalmente non si tratta qui di generalizzare ma di cercare un punto comune, se non a tutta, a tanta poesia che sembra sottrarsi a una traduzione immediata, piana, semplice trasposizione insomma. Infatti ciò che è insito, ciò che implica la brevità dell’Allegria per esempio, è qualcosa di essenziale e costitutivo della poesia stessa, non solo quella del primo Ungaretti, ma probabilmente di tutta la poesia contemporanea. Non si tatta solo di un fatto per così dire materiale o formale, ma della natura della poesia moderna che è costruita intorno e su una frattura, vuoto, interstizio, abisso, che i poeti hanno figurato in modo diverso. La « frattura fonda » che Ungaretti dice con lapidaria sentenza, Montale l’esprimerà come dubbio ontologico (tramite la famosa via negationis), altri ancora per mezzo dell’ellissi o di altre figure dell’oscuro, come il caosmos di Zanzotto o il laborintus di Sanguineti, figure che si prolungano fino ad oggi in un pensiero poetante che non si lascia addomesticare facilmente da commenti e traduzioni.

Da qui, la difficoltà di tradurre tutta la poesia contemporanea, di ciò che in essa è, al di là del « racconto » ma anche del « discorso », ciò che, inaudito, è al limite dell’indicibile e sta a materializzare una frattura del discorso stesso, breccia verticale che, nel corso stesso del componimento poetico, si « va facendo » fonda. Se la verità è « per crescita di buio », non è certo per un voler celarsi del poeta al lettore o traduttore potenziale – e si capisce la reazione di tanti grandi poeti a quell’etichetta di ermetismo che tanto stava stretta ad alcuni –, tale oscurità crescente, quasi spingendo da un fondo oscuro la parola poetica verso l’alto, diventa una struttura costituente della poesia stessa, une figura dell’emergere della parola.

Andrea Zanzotto riprenderà il rapporto buio-crescita nella fattispecie in « (Perchè) (Cresca) », poesia che scaturisce, vulcanica, come quasi un’unica frase dal ritmo ininterrotto. Qui, parola-magma e sesso, lingua e lingue « al dolcissimo soverchio/ d’oscuro agglutinate »3, sono assimilati in un’azione fondamentale fondatrice e rigeneratrice (« scuro figliare »):

Perché cresca l’oscuro
perché sia giusto l’oscuro
perché, ad uno ad uno, degli alberi
e dei rameggiare e fogliare di scuro
venga più scuro –
perché tutto di noi venga a scuro figliare
così che dare ed avere più scuro
albero ad uniche radici si renda – sorgi
nella morsura scuro – tra gli alberi – sorgi [...]
4

Jean Nimis5 fa giustamente risalire quell’oscuro zanzottiano alla categoria dei luoghi poetici dell’aperto di cui parlava già Rilke, ovvero spazio di possibili, ma al limite dell’indicibile, e cita a questo proposito la formula di Wittgenstein : « L’indicibile (ciò che mi appare pieno di mistero e che io non sono capace di esprimere) forma forse la tela di fondo da cui ciò che posso esprimere riceve un significato »6. Nimis individua inoltre un punto comune con la poetica di Paul Celan per cui : « dare il senso alla parola consiste a scavarne il nulla, a “darle l’ombra” »7.

In questo senso per crescita di buio ci sembra uno dei presupposti fondatori della poesia contemporanea, da intendere allora come causa e insieme condizione del tendere alla verità (tensione espressa dal verbo s’alza) ; ed è interessante notare come quel « per » tanto significativo in italiano sparisca proprio nella traduzione di Jaccottet che aggiunge invece l’anafora « plus… plus ». Questo nuovo elemento sposta la tensione sui due ultimi versi che appiaiono ormai legati, mentre nella poesia di Ungaretti il verso finale poteva essere a sé stante, come indipendente dal resto, una sentenza perentoria :

La verità, per crescita di buio
più a volarle vicino s’alza l’uomo,
si va facendo la frattura fonda.

La vérité, les ténèbres croissant,
plus l’homme vole haut pour l’approcher,
plus la faille se fait profonde.8

L’anafora esplicita il rapporto facendolo tuttavia slittare da verità / buio (versi 1 e 2) a verità / frattura (versi 2 e 3) ; ci sembra infatti che nel testo fonte, siano le tenebre a crescere in modo proporzionale al volo verso la verità, mentre la frattura, che si va facendo fonda, esprime la conseguenza ineluttabile di quel rapporto9. Qui il traduttore-poeta, spostando l’asse della tensione, se non cambia sostanzialmente la figura verticale dell’immagine, elimina una preposizione fondamentale nel dettato italiano : « per », ovvero « grazie a » ma anche « attraverso » : « Per me si va... »10. Notiamo peraltro che il « si va » dantesco è proprio due versi più in là : « si va facendo », cosa che non può essere unicamente casuale, e allude – forse inconsciamente ? difficile crederlo – a una delle tappe più significative e patetiche del viaggio infernale, momento di non ritorno in cui Dante oltrepassa la porta. È peraltro possibile che l’anafora sia stata scelta da Jaccottet proprio come figura della Commedia, alla quale, anche indipendentemente dall’eco del passo in questione, la poesia faceva automaticamente pensare per la sua forma in terzina, oltre che per il titolo e il contenuto. Il fatto è che la perdita di « per », lungi dal sottolineare la frattura fra verità e uomo, la lenisce. Infatti da un lato elimina la particella che collegava le due entità opposte (verità-buio) in un rapporto, preferendole la coordinazione della sola virgola e dunque giustapposizione e non più contrapposizione. Ma in più tale assenza abolisce definitivamente l’immagine suggerita di un attraversamento : quello di un buio che scaturisce dal basso, figura verticale propria alla poesia contemporanea, come nota Pascal Gabellone :

Il rapporto dell’alto e della frattura, come quello della luce e dell’oscuro, non è di contraddizione o esclusione ; in realtà « alto » e « frattura », luce e oscuro, senza iscriversi in un’identità, si tengono insieme nello spazio evocativo della parola secondo la loro propria polarità. La famosa questione dell’oscurità della poesia di Giuseppe Ungaretti troverebbe qui una sorta di risposta. Il suo ermetismo, come lo si è chiamato, non è assolutamente un formalismo dell’oscurità, concepita come complicazione e ricerca mirata a una difficoltà di interpretazione. L’oscurità è elemento proprio alla poesia in quanto vi è questione di un approccio della verità, di una frattura che si apre, che è frattura del reale. L’oscurità della poesia di Ungaretti è la ricerca incessante del semplice, del primo, ricerca alla quale resiste il linguaggio come materiale e non solo parola, come memoria e storia e non (o non ancora, o mai più) innocenza. Oscura è la parola che rinvia alla profondità della frattura, separazione ma anche abisso.11

Nella sua proposta di traduzione, Pascal Gabellone non elimina la preposizione e traduce :

La vérité, par croissance d’obscur,
plus l’homme vole haut pour l’approcher,
se fait faille profonde.12

Notiamo che il secondo verso è ripreso dalla traduzione di Philippe Jaccottet, mentre il terzo, contrariamente a quell’esempio, conserva giustamente il soggetto originale e cioè : la verità. Il problema del secondo verso viene dal fatto che è estremamente sintetico in italiano e nello spazio di un endecasillabo riesce a dire ciò che in francese fa sconfinare il verso fuori dalla misura dell’alessandrino, metro che generalmente si usa per tradurre appunto l’endecasillabo13. La soluzione obbliga forse, nello spirito della poesia originale, a tradurre senza rispettare l’isoritmia, restituendo così il rapporto fra i due primi versi e la sentenza finale ; infatti, alla lettura, verrebbe quasi da separare l’ultimo verso da una pausa (un punto o uno spazio), dando alla terzina una forma di tipo haiku. Per questo ci sembrava importante sottolineare che quella sentenza andava a tutti i costi conservata. La scelta da Jaccottet era probabilmente l’unica che gli si presentava, in modo fluido, nel rispetto della forma metrica regolare, a discapito tuttavia della perdita di una tensione (s’alza l’uom : tentativo vano e patetico) e della perdita di quel verso unico e grave che pesa, da Apocalisse in poi, su tutta la poesia ungarettiana : si va facendo....

In sintesi, oltre alla difficoltà di trasporre in un’altra lingua la fluidità di una poesia, resta il compito ben più arduo di lasciare alla poesia la sua parte oscura. Se tradurre la poesia contemporanea è difficile, non è tanto perchè si deve spiegarne il senso occulto, dunque, ma in quanto si dovrebbe restituire una poesia, una lingua ed anche un ritmo, che accoglie l’occulto, lo implica. Essa non si dà come « discorso » compiuto ma come farsi, evolvere, respiro, ritmo fra pieno / senso e vuoto, inteso anche come sospensione di senso.

2.-La poesia ante- e ultra- (Flavio Ermini)14

L’esperienza del poeta non è diversa da quella della lingua, del dire per la prima volta, ed implica la traversata ed anche la concezione stessa di zone di vuoto, idea che la poesia contemporanea mette al centro e rivendica in modi diversi, in diversi linguaggi. L’esempio che scegliamo, è quello del filo conduttore del Moto apparente del sole di Flavio Ermini, poeta contemporaneo che, partendo dall’idea di Antonio Prete di un pensiero poetante, lo alterna a figure di una poesia pensante, anzi, pensantesi. Al centro del libro (che è un’alternanza – ma non opposizione – di testi di prosa poetica e di poesia) si trovano scritti come « L’esatta verità del dire » in cui è ribadito che l’intento della poesia resta oggi come sempre una verità per crescita di buio :

Sempre sul limite tra l’esserci e il non esserci, la parola poetica s’identifica con le cose al culmine del loro apparire, nel momento che precede la loro sparizione.

In quel preciso istante, la parola poetica può ancora scorgere la vigile relazione tra ciò che nel dire si annuncia e ciò che sulla terra non si lascia possedere né nominare.

[...] La parola poetica non smette di designare, insieme alla tirannide cronologica del tempo, una dimensione ulteriore e più originaria in contatto con le profondità arcaiche dell’essere. In un nominare che fa dire a un nome piu di quanto dice: gli fa annunciare quell’ultradire che è l’esatta verità del dire. Chi lo può negare? La verità non può essere espressa in forma logica. Può levarsi solo dal canto. E la parola poetica ne afferma la necessità.15

Questa dimensione insieme ante- e ultra- della parola poetica si raggiunge solo aprendo interstizi, scrive Ermini, allentando il « troppo che incrosta il nostro sapere » e creando « zone di nulla e vuoto ». Si tratta di qualcosa di più del semplice silenzio che, momento fondamentale, già rivendicavano i poeti cosiddetti « della parola », da Mallarmé in poi. Zone di nulla infatti rinvia a una nozione di qualcosa che si situa al di qua del senso e cioè una sorta di origine, di non luogo, di caos magmatico e matriciale in cui il mistero-miracolo della nascita dell’opera diventa possibile. Esperienza limite che Flavio Ermini figura con le rive del Neckar di Scardanelli / Hölderlin :

Lungo il Neckar la parola muove i propri passi. Il Neckar costituisce l’esito e il principio dell’origine perduta ; scorre in prossimità dello zero. « Dal momento che il segno in sé stesso privo di significato viene posto = 0, anche l’originario, ovvero il fondo nascosto di ogni cosa, può allora farsi presente » annuncia Hölderlin. Ecco dove può farsi visibile l’oltranza, il luogo di caduta e di strapiombamento ; ecco dove l’opera può mostrarsi : nella forma del congedo da un senso. Tale esperienza comporta il passaggio più pericoloso : attraversare l’estremo ammutolire, il vuoto a cui la lingua ancora non ha dato la parola, e di fronte al quale il gesto del poeta non giunge a compiersi.16

L’esperienza poetica del dire, corrisponde allora alla traversata di quel vuoto che viene poi resa per figure ma anche per silenzi, ellissi, scarti, come strapiombi nell’andamento del poema. Congedarsi dal senso, attraversare il nulla, fa parte della poesia, ne costituisce il centro e, spesso, il tema principale, anche quando è soggiacente a quello dell’« occasione »:

La frase è la terra di frontiera tra le cose e l’uomo. In questo « tra » la parola non contiene più solo la parola, ma anche il silenzio, e le cose permangono nella loro originaria vitalità.17

3.-La figura dell’infinito senza figura (Franc Ducros)18

La sorpresa attonita di fronte a un antesenso, la prova del passaggio da un’oscurità, devono essere tra-dotte a loro volta. Dunque risulta difficile, non tanto tradurre le parole, ritrovarne il senso oscuro, quanto ripercorrere il cammino che ci fa restare sospesi in quel vuoto necessario:

... un istante, ho accompagnato
la parola che mi lasci restare, tutto
il tempo possibile, sulla separazione.19

Se la poesia dice la separazione, tradurre significa rivivere e indugiare in quella condizione di separazione – zona di vuoto o nulla – che ha vissuto il poeta. Come ha spiegato Henri Maldiney a partire da una lettura di André Du Bouchet, la traduzione è figura di qualsiasi rapporto non solo fra due lingue ma fra la lingua e le cose ; dire, poetare, è già « simbolizzare l’unione di due cose separate »20, tramite una figura ritmica che non abolisce ma lascia la separazione irriducibile. Infatti, la separazione fra le cose e le parole o fra i fenomeni e le figure dei fenomeni è e non può essere che distanza irriducibile. L’unione può avvenire non come abolizione di quella distanza ma come figura ritmica di un’andata e ritorno, di un attraversare da un bordo all’altro il vuoto di tale distanza.

A sua volta, Franc Ducros, a partire da questa immagine della traversata, approfondisce la problematica della traduzione in rapporto alla poesia, alla propria scrittura poetica. La prima constatazione è quella dell’illusione « di credere che la poesia dell’altra lingua si situi in un punto lontano, un altrove, dal quale lancia una sfida e richiama il traduttore »21; al contrario, di fronte alla poesia compiuta, nell’altra lingua, sono io, è la mia lingua a far difetto, ed è quindi la poesia nella mia lingua che è lungi da me, ridotto ad un essere « di povertà, vuoto, e al tempo stesso che risente l’impulso, lo slancio di andare, di proiettarsi verso il soggetto pieno e vivo che gli si presenta di fronte »22. Da qui, nasce un primo capovolgimento di situazione che fa che sia la mia lingua ad essere lontana e come inaccessibile :

Il rapporto ai due spazi del linguaggio risulta allora invertito – situazione paradossale di sospensione, in cui il futuro traduttore si trova buttato in un vuoto interstiziale – ma in tensione. E in doppia tensione : verso l’accoglienza del soggetto pieno di cui risente la pienezza e la prossimità, e verso la lingua lontana e straniera ch’è in quel momento la “mia” lingua che dovrà essere reinventata e che, di colpo, risulta sconosciuta, quanto al modo in cui essa emergerà, si manifesterà, si darà in figura.23

Ma a questo punto un nuovo fenomeno interviene: è possibile che la mia lingua non accetti interamente e completamente l’oggetto del suo desiderio, ma imponga dunque un lavoro, uno sforzo, che non emerge per tutte le poesie. Questa situazione aleatoria non è dovuta alla conoscenza delle due lingue, che è una costante, ma al sorgere o no, di una soluzione sconosciuta e nuova, di un superamento dunque di un limite grazie all’apparizione di ciò che restava nascosto, insito in un vuoto « ma aperto e in tensione di ciò che non so di me ».

Per tornare dunque alla tensione, alla scrittura come unione di due cose separate, essa per Franc Ducros corrisponderebbe a un punto che è insieme centro di tensioni opposte24 e centro senza figura, infinito :

Quest’unione [fra la lingua e le cose ] tuttavia si attualizzerà solo come figura ritmica, una volta attraversata da un bordo all’altro la faglia fino ad accedere a quel punto caratterizzato dalla complessità di essere non solo senza figura – e come tale infinito in senso stretto – ma anche al crocevia di tensioni opposte, nel contempo dissociarsi e dispiegarsi (esplosione, dice Maldiney, dello spazio e del tempo) ed anche punto da attraversare (tradurre, proferisce la parola di André du Bouchet, cioè : portare attraverso) e con quest’atto fare della figura l’articolazione (« un distaccarsi che fissa ») della « separazione » che resta irriducibile : figura dell’infinito senza figura.25

Ducros giunge a stabilire una dialettica fra l’azione del poetare e quella del tradurre che in realtà è azione doppia di quella traversata : « fino al punto al di quà delle lingue in cui esse si uniscono tramite la separazione – punto di un vuoto […] in cui non appare più la poesia originale ma solo la tensione soggiacente »26 ed è proprio a partire da quel vuoto che sarà permesso al nuovo poema di esistere nella lingua nuova. Ma abbiamo visto che tale potere non è sempre dato e non è dato per sempre : così è possibile che un poeta, o una parte della sua opera, non si presti alla nostra traduzione, ovvero non ci sia possibile giungere a quel punto di vuoto per ripartire poi nell’altro senso, quello di un viaggio verso la nostra lingua. Se volessimo descrivere tale viaggio come una catabasi (in pratica una sorta di discesa-ascesa nella poesia stessa), figura cara a Ducros, diremmo che è spesso dato di scendere alla tensione originaria della poesia, in uno spazio che è una sorta di antelingua (Flavio Ermini), senza riuscire tuttavia a invertire la rotta e risalire alla luce dall’altra parte, quella della nostra lingua, in modo diametralmente opposto e perfettamente simmetrico (figura dantesca per eccellenza del viaggio all’Inferno e della risalita verso il Purgatorio). Bisogna forse accettare che su un libro intero vi sia una buona parte di trasposizione letterale e che solo ogni tanto vi siano punti di traduzione a un livello tale da poter giungere a quel punto d’infinito di cui parla Ducros da cui ritornare poi, per attualizzare – in uno spazio tempo che è quello della nostra lingua – la poesia tradotta.

4.-Alcuni esempi dal francese all’italiano

Difficile è mostrare quel percorso fra due lingue che si assomigliano (è il caso dell’italiano e del francese) come diceva, abbiamo visto sopra, Philippe Jaccottet a proposito della traduzione di Ungaretti e cioè una poesia scarna, essenziale, dal verso brevissimo, dalla frase nominale, ridotta a motto o addirittura a sillaba. La traduzione rischia di sembrare ricalcata sull’originale come se il doppio attraversamento di cui ha parlato Franc Ducros, non fosse mai avvenuto. Questa impressione risulta maggiorata dalla presentazione editoriale con testo a fronte27.

Cerchiamo qui di dare alcuni brevissimi esempi che mostrano in qualche modo che la traduzione poetica, come la poesia stessa, si impone prima della riflessione, in un momento in cui la scrittura è ancora fluttuante. Alcuni esempi ci sembrano ancora validi e mostrano come a volte, di primo acchito, si giunga ad una traduzione soddisfacente, ed è chiaro che tale soddisfazione non può essere che soggettiva e il risultato resta assolutamente discutibile. In altri casi, la traduzione non si è presentata in modo pieno ed ancora oggi non troviamo un’alternativa che ci sembri all’altezza dell’originale e ci siamo dunque accontantati di un « male minore ».

a) Sorte sillabe strappate (Franc Ducros)

A Marceline Desbordes-Valmore

Avvolto

nell’ondata rossa infiammata

d’una gonna l’odore
delle rose una mattina

d’infanzia trafitta

À M.D.-V.

Roulée

dans la vague rouge enflammée

d’une robe l’odeur

des roses un matin

d’enfance traversée28

In questa bellissima poesia di Franc Ducros – bella per tutti i richiami culturali e affettivi insieme, nonché per la sua costruzione perfettamente equilibrata – omaggio alla poetessa delle rose di Saadi, alla quale è attribuito il primo risveglio alla poesia del poeta ancora fanciullo, due elementi si incrociano visivamente e semanticamente : il rosso della gonna (orizzontale) e l’odore delle rose (nella linea verticale tracciata dalle parole in exergo : avvolto-l’odore). Questa opposizione viene rafforzata in italiano dalla differenza di genere (femminile- maschile), assente invece in francese. In questa traduzione abbastanza letterale, quasi ricalcata sull’originale, abbiamo tuttavia operato un cambiamento discutibile: nell’ultimo verso si è scelto l’aggettivo « trafitta » e non quello più vicino al testo « attraversata ». C’è da aggiungere che la parola traversée ha per Ducros un’importanza capitale poichè essa è al centro delle sue riflessioni sul fatto poetico e appare addirittura nel titolo di un suo saggio : Poésie figure traversée. Tuttavia, in italiano essa ci sembrava meno fluida e meno potente ; la parola trafitta non è scaturita da una riflessione ma si è presentata diciamo naturalmente all’orecchio in italiano ; a posteriori ci siamo accorti che tale parola era stata suggerita proprio dalla struttura a croce della poesia, struttura forse più evidente in italiano (con quell’opposizione di genere) che in francese ; inoltre, sempre riflettendo a posteriori, non è escluso che in tale aggettivo ci fosse un eco quasimodiano involontario29 che tutto sommato non tradisce quell’evocazione di una breve illuminazione poetica appunto. In pratica la traduzione non è stata fatta come una riflessione calcolata ma come un ascolto di ciò che si presentava meglio al nostro orecchio e alla nostra percezione di una figura in fieri. Un’altra prova è per esempio la scelta di « avvolto » e di « odore » (anzichè « profumo » o « essenza » ecc.) che permettono la catena fonica : avvOLto/ L’OnData/ ODoRE/ RosE/. Queste scelte non calcolate in anticipo, permettono a posteriori di ottenere in italiano come in francese, diversi livelli di percezione della poesia (fra cui quello visivo e fonosimbolico per esempio), al di là della semplice trasposizione dell’immagine principale.

b) Cui muove (Christian Hubin)30

Le maggiori difficoltà che abbiamo incontrato nelle traduzioni di alcuni testi di Christian Hubin, si rifanno particolarmente alla parte oscura che in essi è insita : non cedere alla tentazione di colmarne i vuoti, le ellissi, né i salti semantici, con una traduzione-parafrasi. L’esperienza di Hubin è proprio quella di una parola lanciata oltre, che per definizione anticipa la cosa, ovvero « materia valicata ». Rispettare le zone di vuoto, in cui tale slancio è possibile, vuol dire ripetere l’esperienza di quel vuoto e affidarsi completamente a quella lingua non ancora udibile. La sua poesia è verticale, nominale, con versi ridotti al minimo, di una sola parola, spesso polisemica. Un esempio chiaro è dato da un titolo che abbiamo dovuto tradurre è che è già di per sé una sfida: Dont bouge. Letteralmente dont : « da cui » ma anche « di cui » e infine in senso generico la relativa « il cui », « la cui » ecc., bouge : muove. Ora, dopo aver letto tutta la silloge, si capisce che il titolo ne è una sorta di sincope, poichè vi si tratta principalmente del luogo o magari « non luogo », in cui nasce la poesia. Il primo terzo del libro si presenta infatti come una lunga suite divisa in quarantadue brevissime composizioni verticali, di un minimo di due versi e un massimo di otto, per lo più di una sola parola. La parola « dove » ricorre ben 15 volte, come un filo conduttore. Eccone l’incipit (è evidente che tale citazione non può che dare un’idea vaga di quel continuum31 senza inizio né fine) :

Alle estremità dove la tavola,

i centimetri indietro.

*

Dove a fasi.

*

Come una parte dal lato.

*

Dove quasi nella stretta,

nelle membra.

[...]32

« Muove » è allora lo slancio, mentre il luogo da, per, attraverso cui, che, ecc., è lo spazio tangenziale in cui nasce la parola. Ma tutti questi « casi » sono possibili e contenuti nel titolo ; dunque ridurre la relativa a un solo caso significa precludere questo « aperto » di tutti i possibili. La sincope cui muove si è imposta alla traduzione, pur aggiungendo in apparenza oscurità e ambiguità. Tuttavia non abbiamo dimenticato quanto scrive Flavio Ermini a proposito del movimento della parola poetica : « la parola poetica – intesa come atto conoscitivo senza possesso – impone al poeta di esporsi alla necessità che lo ha fatto pensare ; di affidarsi a nomi declinati come elementi naturali, anteriori alle distinzioni tra soggettivo e oggettivo ; di aprirsi un varco verso ciò che resta di impensato ». Non si tratta in verità dunque di correre un rischio, ma di affidarsi a ciò che apre, rispettando chiaramente l’intenzione di quell’atto conoscitivo. Lo stesso Christian Hubin ha sovente analizzato lo spazio / tempo unico della poesia come un dove « senza inizio » ; per questo abbiamo parlato di un continuum senza incipitexplicit, poichè tali non sono i limiti, né gli scopi della poesia :

La poesia non è veramente in noi stessi,
– come quale immanenza, quali sedimenti?
È in una sincope: un là per difetto, un là
– senza inizio.33

Si capisce allora che la tematica della frattura apre nella poesia attuale in una problematica del luogo/non-luogo, margine, tangente, là-senza-inizio. Jacques Ancet, commentando proprio i versi citati sopra da Cui muove, scrive :

Il luogo è senza luogo. Tutto avviene « alle estremità », come si legge nell’incipit. Là dove la parola si perde, non dice più nulla [...] abbiamo creduto di vedere, e invece no. Siamo nell’ « infigurazione », in quel pre-apparire della parola che dice solo la mozione di una venuta – una e-mozione – un movimento fuori-da...34

Questa poesia che valica la sintassi (fuori-da) il più delle volte, o almeno ne valica i limiti usuali, si propone come un periplo in terre incognite35; così anche la sua traduzione.

c) Il mio sussurro, il mio respiro (Pierre Chappuis)36

Scrive ancora Pascal Gabellone:

La poesia non « parla dell’esistenza » come di qualcosa che costituisca la sua materia o il suo oggetto. Essa si intreccia all’esistenza.37

In questa giusta definizione, è la parola « intreccia » che ci interpella ; in effetti la poesia appare spesso come un lavorìo, un ordito e trama in cui più figure, tensioni, linee forza, materie, spazi pieni e vuoti, si intrecciano appunto al reale (ricordo-paesaggio-gesto- ecc.), in modo a volte così finemente celato (si intende: il lavorìo che sta dietro la poesia finita) che la traduzione potrebbe risultarne una brutta copia pesante, artefatta. Come tradurre la traccia – leggerezza e precisione – appena lasciata da quella parola, « incessante apertura dell’apparire »38, a volte illusoriamente incerta, sospesa, marginale, sempre sul bordo di un precipizio, ma pur sempre unica e esatta, malgrado un’impressione di quasi fragilità, emergente al limite del silenzio?

La poesia di Pierre Chappuis è di quella natura, sorge quasi per miracolo in un soffio minimo, in un sentiero deviato, in uno spazio interstiziale improbabile, come pronta a scomparire, quasi tremante. I titoli dei suoi libri la dicono lunga sulla ricerca di una parola al limite del mutismo : Tracciati d’incertezza, Mute emergenze, Sottratto al tempo, Frane, Col passo sospeso, La prova del vuoto, e il mio sussurro il mio respiro, da cui sono tratti questi versi :

 Progressivamente
ombre, trasparenze si alternano,
scandiscono l’ora, la strada.

 Coniugazioni mobili.

Sfarfallando,
insinuarsi fra loro
in un soffio.

(su un sentiero di nessun luogo)

De proche en proche
ombres, ajours se relaient,
jalonnent l’heure, la route.

Mouvantes conjugaisons.

Comme chat sur braises,
se glisser entre elles
dans un souffle.

 (sur un chemin de nulle part)

Abbiamo scelto questo componimento perchè concentra appunto le immagini del cammino (punto comune di molta poesia di Chappuis), del chiaroscuro o bagliore intermittente, ma anche le brecce spaziotemporali in cui si insinua, si intreccia, l’esperienza poetica. La lingua di Chappuis è estremamente varia, ricca anche di espressioni idiomatiche come questa dei versi cinque/sei, che nell’originale era : « comme chat sur braises/ se glisser entre elles... ». L’idea era quella di non appesantire la traduzione con una trasposizione idiomatica ma di andare all’origine dell’immagine ovvero quel movimento quasi saltellante che attraversa zone di intermittenza di luce a loro volta in movimento. Il termine sfarfallare non solo ha il pregio di conservare l’immagine, ma anche di conferirle quella leggerezza e quasi aleatorietà di un movimento imprevedibile, dunque, come la parola poetica stessa, « leggero e vagante » per dirla con Saba.

Sul piano del tessuto fonosimbolico, non sempre è possibile seguire un climax, come invece a volte accade, ma in modo spontaneo, quasi senza volere ; è il caso della seguente traduzione, tramite l’associazione delle immagini (oscuro-nero-cieco-cavo ecc.) a fonemi ricorrenti che, guardacaso, abbiamo notato solo a posteriori, si ritrovano nel titolo in calce : dal treno, e cioè quei fonemi a partire dalle consonanti (t,r,n) e dalla loro associazione (tr, rn, ecc.). Ne risulta una traduzione ancora più allitterativa dell’originale, che tuttavia ci sembra non tradire l’immagine originaria di un vorticoso buco nero in cui tutto sembrerebbe sprofondare :

Solo nel cielo
lo scuro capannone in disuso.

Perchè, tutto intorno,
torme di cornacchie
dai buchi delle finestre,
cieche, si addentrano,
nere nel nero ?

(dal treno)

Seul dans le ciel,
ce sombre hangar désaffecté.
Pourquoi, autour de lui,
tant de corneilles
par les trous des fenêtres,
aveugles, s’engouffrant,
noires dans le noir ?

(du train)

Tradurre la poesia di Pierre Chappuis obbliga a ritrovare nell’altra lingua, un fine intreccio di immagini (i cui echi si ricorrrono in tutta l’opera, cosa impossibile da dimostrare qui), legate a suoni, a ritmi, senza perderne leggerezza e fragilità. Obbliga, ancora una volta, a una sosta in quell’area di vuoto che ci si apre davanti, nell’attesa che la nostra lingua si presenti a dire la cosa.

Con questi pochi e brevi esempi, abbiamo voluto parlare non tanto delle difficoltà incontrate nel tradurre tale o tale poesia, o della questione tecnica del passaggio dal francese all’italiano, quanto della posizione, dello spirito con cui concepiamo la traduzione e cioè un percorso, una durata, che, come il dire poetico, per citare ancora Flavio Ermini obbliga ad aprirsi un varco, a passare da un vuoto, attraversare la frattura. Lasciare alla poesia, alla sua parola, la sua parte di oscurità non è allora una presa di posizione ma una necessità, in quanto parte integrante dell’esperienza poetica e, di conseguenza, dell’esperienza della traduzione poetica.

Note de fin

1 Giuseppe UNGARETTI, Vita d’un uomo, Milano, Mondadori, « Grandi classici Oscar Mondadori », 2004, p. 289.

2 Osservazioni di un poeta: « Pensieri sotto le nuvole », intervista di Fabio Pusterla a Philippe Jaccottet del 13 febbraio 1998, articolo online <http://www.wuz.it/archivio/cafeletterario.it>

3 Andrea ZANZOTTO, Il Galateo in Bosco, Mondadori, Milano 1978, p. 588, v. 33/34.

4 Ibid., v. 1-9.

5 Jean NIMIS, « Un processus de verbalisation du monde ». Perspectives du sujet lyrique dans la poésie d’Andrea Zanzotto, Berne, Peter Lang, 2006.

6 Ludwig WITTGENSTEIN, Remarques mêlées, TER, Mauvesin, 1984, p.178.

7 Jean NIMIS,op. cit, p. 105-106.

8 Giuseppe UNGARETTI, Vie d’un homme, traduction de Philippe Jaccottet, Paris, Gallimard, « Poésie », p. 296.

9 Una traduzione letterale potrebbe essere : La vérité, par surcroit de ténèbres/ à mesure que l’homme s’élève pour voler près d’elle./ Profonde est en train de devenir la faille. È chiaro che la soluzione di Philippe Jaccottet, più equilibrata nel metro, mantiene invece un ritmo meno prosaico, ed è quindi orecchiabile e fluida.

10 « Per me si va ne la città dolente/ Per me si va ne l’etterno dolore/ Per me si va tra la perduta gente » Dante, Inferno, canto II, v 1-3.

11 Si tratta di uno scritto fondamentale per lo studio di Ungaretti e in particolare della poetica dell’oscuro da Hölderlin in poi, scritto che è una delle fonti di ispirazione del nostro breve contributo: Pascal GABELLONE, « Des hauteurs immortelles, ici-bas... », in Emblèmes épars. Essais sur la poésie italienne moderne, Nîmes, Théétète, 1997, p. 73 (per questo e gli altri saggi citati dal francese, la traduzione è nostra). Pascal Gabellone è poeta, saggista e traduttore (tra gli altri, di Blanchot, Bataille, Vattimo, Magrelli, Prete, Zanzotto). Principali raccolte poetiche: L’inhabité, Prévue, Montpellier,1995 ; Per apparizioni, Lecce, Manni, 2007. Fra i saggi : L’Oggetto surrealista, Torino, Einaudi, 1977, Emblèmes épars, Nîmes, Thééthète, 1998 ; La blessure du réel, Paris, L'Harmattan, 2011.

12 Ibidem.

13 Una traduzione fedele allo spirito della poesia e che cerca di risolvere il problema di quel secondo verso, ci è stata proposta oralmente da Franc Ducros, che conserva il primo verso di Gabellone e ne cambia leggermente il terzo, riprendendo il termine « frattura » più drastico anche foneticamente di « faille »: La vérité par croissance d’obscur,/ plus s’en approche en son vol l’homme,/ se fait fracture profonde.

14 Flavio Ermini, poeta e saggista, è autore di una ventina di libri fra cui oltre a quelli qui citati, i più recenti: L'originaria contesa tra l'arco e la vita, Bergamo, Moretti&Vitali, 2009 (Premio Feronia-Città di Fiano 2010); Il matrimonio del cielo con la terra. Materiali per un atlante, Ruvo di Puglia, Tracce-Cahiers d'art, 2011; Il secondo bene. Saggio sul compito terreno dei mortali, postfazione di Franco Rella, Bergamo, Moretti&Vitali, 2012. Dirige la rivista di ricerca letteraria Anterem, fondata nel 1976 con Silvano Martini, uno dei principali luoghi d’incontro poetico e di divulgazione di poesia straniera bilingue. Le sue poesie sono tradotte in francese, inglese, slavo, spagnolo e russo.

15 Flavio ERMINI, Il moto apparente del sole. Storia dell’infelicità, Bergamo, Moretti & Vitali, 2006, p. 206-207.

16 Ibid, p 51. Scardanelli è lo pseudonimo con il quale Friedrich Hölderlin, dopo essere stato internato e diagnosticato schizzofrenico incurabile, ritiratosi in una torre sulle rive del Neckar (1807), firma le poesie con date immaginarie (1648-1940).

17 Id., « Dire », Anterem, 75, p. 5.

18 Franc Ducros ha insegnato letteratura italiana all’università di Montpellier dove vive tutt’ora. Ha fondato una rivista, « Prévue », e pubblicato saggi sulla poesia (in particolare su Dante, Michelangelo, Hölderlin, Mallarmé, Reverdy, Du Bouchet) : Le poétique et le réel, Klincksieck, 1987; Poésie, figures traversées, Théétète, 1995; L’odeur de la panthère: Dante, la poésie, Théétète, 1997; Pour Mallarmé, Théétète, 1998. Ha tradotto: « Ombre lointaine ». 46 fragments de Léonard de Vinci, Alinéa,1983; Pascal Gabellone, L’inhabité, « Main d’?uvre », Prevue, 1993; Poèmes de Michel-Ange, Théétète, 1996; Gabriel Magaña, Le rien rugueux, Théétète,1998 ; « Comme on cherche un trésor », poèmes d’Umberto Saba, Genève, La Dogana, 2005. Ma è soprattutto autore di libri di poesia : Les yeux, la terre, « Main d’œuvre », Prévue, 1993 ; s’ouvrant l’arbre, Théétète, 1997 ; du noir cela, Théétète, 2000 ; entre le feu et le soleil, libro manoscritto e dipinto da Anne Slacik, 1998 ; Delphes, id., 1999 ; confluiti nel 2003 in surgies, syllabes, arrachées, Théétète. Le sue poesie sono state parzialmente tradotte e pubblicate in varie riviste in spagnolo, rumeno, siciliano, italiano.

19 André du BOUCHET, Rapide, (In forma di parole), traduzione di Maria Obino, Bologna, Liviana editrice 1986, p. 78.

20 Il nostro breve articolo fa ovviamente riferimento a questa definizione della poesia, ma tramite la mediazione dello studio di Franc DUCROS, « Traduire la séparation » in Lectures poétiques, Nîmes, Champ social éditions, 2006, p. 89-100. Tuttavia il nostro punto di partenza è la frattura ungarettiana che naturalmente implica la problematica della separazione come cerchiamo di dimostrare.

21 Id., « Traduire Michel-Ange » in Lectures poétiques, Op. cit., p. 146.

22 Ibid., p. 147.

23 Ibidem.

24 Il ché farebbe pensare a una sorta di contrario di quel « punto morto del mondo » di cui parlava Montale (I Limoni).

25 Id., « Traduire la séparation », in op. cit., p. 90.

26 Id., « Traduire Michel-Ange », in op. cit., p. 150-151.

27 Un’alternativa è quella di mettere il testo originale in calce e in caratteri leggermente minori, come è stato fatto per le poesie di Pierre Chappuis nell’edizione di Opera Nuova, qui riportate, il ché, senza togliere nulla al testo, ha come vantaggio di affrancare la traduzione da un costante rinvio visivo all’originale che si presenta quasi identico a volte, anche quantitativamente.

28 Id., poesie tradotte da Sorte sillabe strappate, Anterem, 73, 2006, p. 49.

29 « Ognuno sta solo sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole :/ ed è subito sera. » Salvatore QUASIMODO,Tutte le poesie, Milano, Mondadori, (Oscar), 2011, p. 9.

30 Christian Hubin (Marchin, Vallonia, Belgio,1941) è poeta di lingua francese. L’opera comprende più di una quarantina di pubblicazioni, dal 1962 ad oggi, fra cui anche saggi e riflessioni poetiche. Fra i libri di poesia : Hors (Corti, 1989), Éclipses. La fontaine noire. Continuum (nuova edizione, Labor/RTBF, 1999); Laps (Corti, 2004), Où contre (Sauramps, 2006); Dont bouge (Corti, 2006). Oltre ai saggi sulla letteratura contemporanea (in particolare su Juilien Gracq, Achille Chavée, Roger Munier) ricordiamo i libri di note e riflessioni poetiche fra cui i fondamentali: La forêt en fragments (Corti, 1987); Parlant seul (Corti, 1993) ; Le sens des perdants (Corti, 2002). Nel settembre 2007 gli sono stati dedicati una mostra e un importante catalogo (Sans commencement, op. cit.) che comprende più di una sessantina di contributi dei grandi poeti e critici contemporanei con i quali egli ha da sempre intrattenuto il dialogo sulla poesia (ricordiamo fra gli altri i legami con Julien Gracq, Yves Bonnefoy, Pierre Chappuis, Jacques Ancet, Bernard Noël, Franc Ducros, Jacques Garelli, Gaston Puel, Michel Fardoulis-Lagrange, Claude Louis-Combet, Roger Munier, Roberto Juarroz, ecc.).

31 Continuum è anche il titolo di un’opera di Christian Hubin.

32 Christian HUBIN, poesie tratte da Cui muove, traduzione di Margherita Orsino, Anterem, 76, 2008, p. 82.

33 Ibid., p. 91.

34 Jacques ANCET, « L’Illisible », in A.V., Christian Hubin, sans commencement, Catalogo dell’esposizione di Charleville-Mézières (Une saison en poésie), 2007, p. 91.

35 Terre ultime è un altro titolo significativo di un libro di Hubin.

36 Pierre Chappuis è poeta svizzero in lingua francese. Ha pubblicato oltre una dozzina di raccolte di poesia, fra cui : Le noir de l’été (La Dogana, 2002), Éboulis & autres poèmes précédé de Soustrait au temps, prefazione di Michel Collot (Empreintes, 2005) ; Mon murmure, mon souffle (Corti, 2005), Dans la foulée (Corti, 2007), Comme un léger sommeil (Corti, 2009), ma anche libri di riflessioni poetiche (La preuve par le vide, Corti, 1992 ; La rumeur de toutes choses, Corti, 2007 ; Muettes émergences, José Corti, 2011.) e letture critiche (Tracés d'incertitude ; Deux essais/M. Leiris et A. du Bouchet, Corti, 2003). Traduzioni in italiano di Margherita Orsino pubblicate in rivista : Pierre CHAPPUIS, poesie (tratte da Mon murmure mon souffle), Anterem, Verona, n.79, II/2009, pp. 33-37; Id., poesie (tratte da Soustrait au temps, Éboulis & autres poèmes, Comme un léger sommeil) Opera Nuova, Lugano, 2011/1, pp. 73-97. Le poesie citate sono tratte da PIERRE CHAPPUIS, Il mio sussurro, il mio respiro, traduzione di Margherita Orsino, Lugano, edizioni di Opera Nuova, 2012.

37 Pascal GABELLONE, Per apparizioni, Manni, Lecce, 2007, p. 85.

38 Id., « Opera, mondo, presenza : la parola esposta », Anterem, 75, 2007, p.32.

Citer cet article

Référence électronique

Margherita Orsino, « Tradurre la frattura », Line@editoriale [En ligne], 4 | 2012, mis en ligne le 03 mai 2017, consulté le 03 mai 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/434

Auteur

Margherita Orsino

margherita.orsino@gmail.com

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