Emanuele Aldrovandi, il teatro politico del paradosso?

Résumés

Il teatro del drammaturgo italiano Emanuele Aldrovandi si situa in un’Europa e un’Italia in crisi. Accolta positivamente dalla critica, la sua produzione definita «drammaturgia del paradosso ragionato» affronta i nuovi problemi sociali in modo molto personale e originale. Il suo angolo d’approccio è sempre innovante e invita il pubblico a una presa di coscienza dei problemi inerenti alla nostra società. Questo articolo si concentra in modo particolare su due testi del 2015, Allarmi! e Scusate se non siamo morti in mare, rappresentativi della situazione sociale attuale, dell’emigrazione, del terrorismo, del ritorno alle idee neofasciste.

The theatre of the young Italian playwright Emanuele Aldrovandi is located in a Europe and an Italy in crisis. Critically acclaimed, his production, defined as «the dramaturgy of reasonable paradox», tackles society's problems in a very personal and original way. Its approach is always innovative and encourages the public to become aware of the problems inherent in our society. This article will focus in particular on two 2015 texts, Allarmi! And Scusate se non siamo morti in mare, related to the current social situation, emigration, terrorism, the resurgence of neo-fascist ideas.

Texte

La drammaturgia contemporanea è da sempre attenta all’attualità sociale e politica; possiamo pensare naturalmente a drammaturghi come Dario Fo e Franca Rame, attivisti sul palcoscenico fin dagli anni ’60 o più recentemenre al teatro di narrazione di Celestini, Paolini, ma anche all’impegno contro la violenza sulle donne di Serena Dandini o Dacia Maraini. Da qualche anno, coerentemente, essa illustra situazioni scottanti al centro della nostra caotica storia contemporanea: crisi economica con Stefano Massini e i suoi Lehmann Trilogy e 7 minuti, il delizioso Fuorigioco di Lisa Nur Sultan o ancora Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni della compagnia Deflorian-Tagliarini1; crisi migratoria con i testi di Davide Carnevali, Sweet Home Europa e Lina Prosa attraverso la sua trilogia su Lampedusa; crisi politica, ben rappresentata dai testi di Daniele Timpano, Acqua di Colonia o Matteo Bacchini, In nome del popolo italiano.

A questi, alcuni noti fuori dai confini della Penisola, si deve aggiungere il lavoro di Emanuele Aldrovandi, la cui drammaturgia nasce dalla situazione complessa della società contemporanea, italiana ed europea, e ne illustra le contraddizioni. Il giovane autore emiliano riferisce infatti, attraverso le sue pièces, gli interrogativi e le tensioni delle nuove generazioni di fronte a un mondo in continua mutazione, difficilmente comprensibile e fonte di dilemmi profondi. Crisi d’identità e di valori in Homicide House (2013) con cui vince il premio Riccione Pier Vittorio Tondelli, crisi migratoria in Scusate se non siamo morti in mare (2015), ritorno degli estremismi in Allarmi! (2015) e in Associerò sempre la tua faccia alle cose che esplodono (2019), difficoltà a fare del passato una fonte di ispirazione in Nessuna pietà per l’arbitro (2016): sono i temi che Aldrovandi affronta nei suoi testi, con un originalità di approccio che gli permette di non scadere nella trappola del manicheismo o nell’illustrazione banale degli avvenimenti2.

Per il suo teatro sono state utilizzate le definizioni di teatro distopico e teatro di anticipazione, perché le situazioni messe in scena, pur rifacendosi a una realtà molto presente, vanno oltre, immaginando possibili punti di vista, ponendo lo spettatore di fronte a quei quesiti esistenziali che, nella vita quotidiana, si preferisce spesso evitare. Si tratta quindi forse di teatro politico nella sua accezione più contemporanea che fa del teatro non il luogo dell’impegno di parte, ma della ricerca di nuove prospettive sulla società e sul pensiero. Nell’interessante prefazione all’edizione italiana di Allarmi! per le edizioni Cue Press, Carmelo Rifici propone il termine di « drammaturgia del paradosso ragionevole », proponendo così un nome a una scrittura originale ancora in cerca di una definizione3.

Le pièces di Aldrovandi sono finestre sul mondo, attente ai fenomeni attuali, che cercano un punto di vista nuovo, un taglio originale ed una posizione attenta ed attiva per affrontare i grandi cambiamenti di cui siamo, nostro malgrado e sempre più spesso, spettatori passivi. In primo luogo, il suo angolo d’approccio è sempre innovativo, perché non si lascia influenzare dalla retorica dei discorsi mediatici4, ma osa farsi domande che disturbano e dà la parola a figure controverse e scomode: penso in particolare al personaggio dello scafista – figura tra le più ignobili dell’attualità sociale – di Scusate che non siamo morti in mare o ai neofascisti di Allarmi!. D’altra parte questi personaggi diventano istanze filosofiche che si incaricano di interrogare lo spettatore su problemi fondamentali e irrisolti. Infine, le sue pièces non danno mai una risposta, lasciano aperta la riflessione, in epiloghi spesso poetici, che sollecitano ancora una volta il pubblico a una presa di coscienza dei problemi inerenti alla nostra società.

Per illustrare il suo teatro, mi vorrei concentrare su questi due testi – Scusate che non siamo morti in mare e Allarmi! – perché sono legati, dal punto di vista contenutistico, da temi trasversali e attualissimi, come la crisi economica e migratoria e il conseguente ritorno delle ideologie di estrema destra, e, dal punto di vista stilistico, poiché sono accumunati da una forma di proiezione pseudorealista della società.

Se l’azione drammatica è legata a fenomeni attuali dell’Italia o della vecchia Europa, il linguaggio utilizzato la rende universale, e questo è dato, in gran parte, da alcuni elementi chiave. Primo fra tutti, la solo apparente semplicità delle trame: in realtà si è sempre di fronte a una costruzione complessa, che stravolge le coordinate temporali per appunto fornire un nuovo punto di vista e mettere lo spettatore a distanza, disturbarlo, farlo riflettere. Particolarmente interessanti in questo senso sono quelle pagine che, con un effetto di zoom e abbandonando la cronologia dell’azione, lasciano la parola a delle riflessioni più filosofiche o metafisiche, come vedremo. Inoltre, i nomi dei personaggi aiutano a questa presa di distanza, nel momento in cui sono designati con appellativi volutamente generici o allegorici come Tacchi a spillo, Bella, Futuro. Entrambi i testi partono dalla constatazione che quello che è stato costruito politicamente e socialmente in questi ultimi decenni non funziona, che sta portando verso una metamorfosi radicale della nostra società e che quei giovani che dovrebbero prendere la situazione in mano sono invece confusi al punto da cercare delle soluzioni negli errori del passato, recente o remoto.

Scusate che non siamo morti in mare, scritta nel 2015 e finalista a due dei più importanti premi italiani per il teatro (Premio Riccione 2015 e Premio Scenario 2015) ha una trama piuttosto lineare: in un futuro prossimo l’Europa si è trasformata in un continente di emigranti. I cittadini europei tentano di raggiungere nuove destinazioni in paesi più ricchi, alla ricerca di un lavoro o di un futuro migliore. Sono clandestini, a loro volta, perché i paesi in questione hanno chiuso le frontiere. I personaggi di questa pièce – l’Alto, la Bella e il Robusto – si ritrovano così in un container, alla mercé di uno scafista senza scrupoli – il Morbido – che fa pagare a ciascuno 2000 € per un viaggio che non ha una precisa destinazione.

I nomi ricordano l’onomastica dei film di gangsters, sottolineando così le relazioni che si creano tra di loro: un triangolo amoroso (ma senza amore in questo caso), un gioco di forza e di potere (perché, come dice la Bella, meglio attaccare per primi per poter sopravvivere), un micromondo che si basa su ricatti, menzogne e morte. Le quattro parti scandiscono lo svolgimento del viaggio, dalla partenza, alla difficile coabitazione nel container, fino al naufragio, La scena finale è un’allucinazione onirica.

Lungi dall’essere un dramma che sfrutta l’attualità tristemente presente sulle spiagge italiane ed europee, questo testo sembra voler analizzare dall’interno le dinamiche e le situazioni del fenomeno, di cui la logorrea mediatica non fa menzione. Secondo le parole di Davide Carnevali che ha curato la prefazione all’edizione italiana, si tratta di « […] un’opera che vuole dire qualcosa che i mezzi di informazione non dicono rispetto a questo problema; [che vuole] mostrare un’immagine di questa realtà che normalmente non ci è mostrata; [che ci rende] evidenti le sue dinamiche e le sue ragioni. In questo modo il teatro riacquista un senso, ed è un senso forte: nella sua funzione di riaprire il dialogo con la società, laddove i media spesso lo chiudono »5. È sicuramente il più distopico fra i due testi e un perfetto esempio del paradosso ragionevole citato poc’anzi. Il titolo è già di per sé paradossale – perché chiedere scusa di essere vivi e a chi? – e nello stesso tempo porta con sé una riflessione più antica e universale, che ha a lungo ossessionato i sopravvissuti alla Shoah, ossia la legittimità di vivere e di parlare, quando la maggior parte delle vittime si è vista annientata dal massacro: le vittime vere sarebbero quelle scomparse? E a quelle sopravvissute si farà pagare il fatto di essere vive?

La situazione tra i personaggi è chiarita fin dall’inizio attraverso un dialogo tra i viaggiatori clandestini che usano, in realtà, un linguaggio pregno di tutti i clichés e pregiudizi che si possono creare intorno al fenomeno migratorio:

ALTO Ti aiuto.
BELLA Ho già fatto, grazie.
ALTO Tu non sei europea.
BELLA No.
ALTO Da dove vieni?
BELLA Nordafrica.
ALTO Che paese?
BELLA Sei mai stato in Nordafrica?
ALTO No.
BELLA Allora è inutile.
ALTO Parli bene, però.
BELLA Sono qui da tanti anni.
ALTO Secondo te dove ci porta?
BELLA Secondo te?
ALTO In un posto migliore di qui.
BELLA Qualsiasi posto è migliore di qui.
ALTO Tranne il Nordafrica, altrimenti saresti rimasta là.
BELLA Ero piccola quando sono venuta, hanno deciso i miei genitori.
ALTO E adesso sono pentiti?
BELLA Sono morti.
ALTO Mi dispiace, scusa. Te lo ricordi?
BELLA Cosa?
ALTO Il viaggio.
BELLA La partenza. Eravamo in riva al mare come adesso, ma molti di più, gente da tutte le parti dell’Africa, ammucchiati ad aspettare una barchetta su cui era impossibile stare tutti. L’Europa era come un miraggio, un posto ricco, senza guerre, pieno di possibilità. Sembra passato un secolo.
ALTO In realtà eravamo già in ginocchio, solo che voi non vedevate la differenza perché eravate sdraiati.
BELLA Grazie.
ALTO Beh, dai, adesso siamo sdraiati di fianco.
BELLA È solo una cosa ciclica. L’Africa sta per rialzarsi.
ALTO L’Europa no.6

La rappresentazione dell’Europa viene proposta così allo spettatore: un luogo di accoglienza diventato con il tempo (quanto non si sa, le coordinate temporali sono volutamente imprecise), un luogo di fuga; conoscerà a sua volta la stessa situazione dei paesi che sognavano di lei come dell’Eldorado, cercherà a sua volta un’Eldorado, perché i suoi cittadini sono divenuti clandestini a casa loro:

ROBUSTO Io sono finito nel tuo container di merda solo perché sono rimasto bloccato in Europa senza documenti e senza visto».7

La soluzione, per i personaggi, è di nuovo e sempre la fuga – nelle condizioni tristemente note, salvo per qualche dettaglio: Robusto, i cui beni sono stati sequestrati, ricorda i numerosi personaggi «previdenti» del mondo occidentale, che fuggono verso quei paradisi fiscali in cui hanno piazzato i risparmi; Alto, che incarna lo sguardo voyeuristico della stampa, è un personaggio in cerca di avventure con velleità da giornalista; Bella, che ha già conosciuto l’emigrazione, rappresenta il ciclo ripetitivo degli avvenimenti e toglie all’occidentale il monopolio del punto di vista. Il Morbido, lo scafista, è un personaggio doppio: da un lato è coerente con il suo ruolo di sciacallo che approfitta della miseria altrui – cattivo, senza scrupoli e senza empatia – dall’altro se ne distacca, per mostrare una sua vita interiore recitando dei monologhi enciclopedici che sono la conseguenza della sua solitudine. Frutto di lunghe ricerche su Wikipedia, i suoi interventi vengono a sottolineare le azioni drammatiche vissute dai personaggi, creando quella distanza tutta brechtiana a cui Aldrovandi ci ha abituato.

In effetti, gli interventi monologanti del Morbido sono spesso rivolti a un destinatario non ben precisato. Egli ammette di parlare da solo, ma questi incongrui monologhi spezzano la linearità della finzione drammatica e introducono gli spettatori nel suo mondo (quello della fantasia e quello della realtà). Nel I° atto, al momento della partenza e del versamento del prezzo della traversata, egli riporta dei dati sulle modalità del trasporto merci internazionale e l’invenzione del container; nel II° atto dopo la citazione aneddotica della ricetta del sugo all’Amatriciana, l’ultimo monologo recita la voce del dizionario riguardo ai naufragi, annunciando così ciò che il testo non mostra. Nel III° atto, una lezione di fisica sullo spazio-tempo sottolinea l’atmosfera sospesa dell’azione. Nell’epilogo si fa un accenno all’empatia – appunto. I monologhi in questione, che sembrano essere staccati dall’azione, hanno una loro precisa funzione, per creare la distanza, come detto, per annunciare un avvenimento, o – e forse è questa la funzione principale – per sospendere il tempo dell’azione e permettere una pura riflessione intellettuale su ciò che accade, in scena e – ovviamente – al di fuori.

Prendiamo come esempio il monologo che anticipa la scena del naufragio:

MORBIDO Per naufragio s’intende la completa sommersione di un’imbarcazione o di una nave per cause accidentali. Sono pertanto esclusi gli atti di guerra, per i quali si usa il termine generico «affondamento». Tra le principali cause di naufragio si hanno: avaria – un cedimento o perdita nello scafo può provocare l’allagamento e quindi il venire a mancare della spinta idrostatica. Il problema è particolarmente rilevante nelle imbarcazioni in legno; instabilità – se la dislocazione delle masse è tale per cui il centro di massa si porta al di sopra del metacentro, l’imbarcazione può facilmente inclinarsi lateralmente; errori di navigazione – molti incidenti sono occorsi in seguito ad errori dell’equipaggio, che hanno causato o non evitato la collisione con rocce, altre navi o iceberg, famoso è il caso del Titanic; eventi metereologici – cattive condizioni metereologiche pericolose per la navigazione possono essere il vento forte, la ridotta visibilità dovuta a nebbia o il freddo intenso; attacchi marini – anche se rarissimi, vi sono stati casi di affondamenti causati da attacchi da parte della fauna marina, come sembra essere stato quello della baleniera Essex. Con una temperatura media oceanica di circa 15 gradi, il tempo di sopravvivenza di un naufrago esposto alla corrente è di circa tre ore e quaranta due minuti. (Rivolgendosi agli altri tre) Ecco la tempesta, arriva. Aggrappatevi. E cercate di non sbattere la testa. E se proprio dovete morire, non ammaccatemi il container.8

Qui tutto contribuisce a mettere una distanza tra i discorsi dello scafista e la scena che segue. In primo luogo, se ci si limita al solo discorso tecnico, si può notare che tra le cause elencate non vengono menzionate le vere ragioni che hanno provocato i numerosi naufragi dei migranti in questi ultimi anni: le cattive condizioni di utilizzo delle imbarcazioni, la loro vetustà, il carico eccessivo di passeggeri. È il paradosso che rende l’assenza presente. Inoltre, il tono scelto è sorprendentemente pedante e distaccato: se il sapere enciclopedico consiglia una distanza scientifica propizia alla razionalizzazione degli eventi, la situazione drammatica proposta è in totale contraddizione con questa mancanza di pathos, che l’urgenza della situazione e la presenza dei passeggeri esigerebbero. D’altra parte, il brusco cambiamento di interlocutore svela nello stesso tempo la presenza dei personaggi, catapultati così in una situazione a rischio.

Questo solleva dei quesiti sulla natura del destinatario di questi soliloqui di cui il pubblico è testimone suo malgrado; questa forma di commento della situazione non fa che rinforzare il cinismo del personaggio che li pronuncia: egli sembra fare astrazione della presenza di questa «merce» (argomento del primo soliloquio) che trasporta. Se la brutalità del Morbido è più volte messa in evidenza, non ci saranno però né pietà né scusanti nemmeno per i passeggeri; Aldrovandi si tiene alla larga dai buoni sentimenti che la stampa e l’opinione pubblica si sentono in dovere di mostrare, quel buonismo molto italiano che paralizza ogni forma di iniziativa e che porta, invece, a delle posizioni rigide e razziste.

I personaggi sono bugiardi e manipolatori: Bella recita la femme fatale versione migrante, cambiando discorso e ricordi secondo gli interlocutori, ma soprattutto spingendoli ad eliminarsi a vicenda. L’Alto confessa che la crisi gli ha dato l’opportunità della sua vita, la scusa per lasciare la famiglia e la precarietà, per provare il gusto dell’avventura. Attraverso l’Alto Aldrovandi pone il problema etico della docu-fiction, che non è il frutto dei racconti diretti dei protagonisti, ma un’elaborazione degli spettatori degli avvenimenti; come dice La Bella, i testimoni diretti delle tragedie migratorie non hanno voglia di ricordare le loro sofferenze:

BELLA Perché uno che soffre davvero non ha voglia di raccontare la sua sofferenza. Ha voglia di dimenticarla. Quelli come te pensano di farci un favore a raccontare le nostre storie tristi. Il dolore, i soprusi, gli sfruttamenti, per voi servono a denunciare, a criticare la società, ma noi vogliamo solo lasciarceli alle spalle.9

La fine di questa pièce è piuttosto sconvolgente, poiché crea una sfasatura con la crudeltà delle situazioni proposte prima, ossia la lotta per la sopravvivenza, lo scontro tra il Morbido e il Robusto, l’omicidio di quest’ultimo e una forma di cannibalismo, accennata come un’eventualità. Aldrovandi spinge le possibilità drammatiche fino alla rappresentazione della morte in scena. Ma tutto questo è rimesso in discussione appunto nella parte conclusiva. I personaggi, esausti, senza speranza di essere salvati, incontrano un gruppo di balene. E i tre migranti, compreso il Robusto che giaceva morto nella valigia dell’Alto prendono la parola per illustrare, sull’esempio dei soliloqui enciclopedici del Morbido, le abitudini migratorie dei grandi cetacei. Il Morbido scompare, i tre migranti rivolgono il loro discorso a un destinatario indeterminato, forse loro stessi, lasciando lo spettatore approfittare di un’ultima riflessione sulla situazione presentata. Il parallelismo tra il viaggio delle balene e la migrazione delle popolazioni è illustrato dall’ultima replica, pronunciata dal Robusto, che risuscita e fa ritornare l’azione al «punto di partenza»:

ROBUSTO Le migrazioni sono spostamenti che gli animali compiono in modo regolare, periodico, lungo rotte ben precise e che coprono distanze anche molto grandi, ma che poi sono sempre seguite da un ritorno alle zone di partenza. Sono indotte da cause legate alla riproduzione, alla ricerca di un luogo adatto per l'accoppiamento, per la nidificazione o per l’allevamento della prole, oppure da difficoltà di carattere ambientale che si presentano periodicamente, ad esempio il sopraggiungere della stagione fredda nelle zone temperate.10

Parallelismo paradossale, ancora una volta, poiché le ragioni naturali delle migrazioni animali sono diverse dalle ragioni economiche provocate dalle lotte delle civiltà umane e poiché quest’ultime non comportano per forza un ritorno al punto di partenza. O forse sì, in un certo senso: il messaggio d’Aldrovandi tenta di metterci di fronte all’eventualità del ritorno delle cose, del capovolgimento delle situazioni, sottolineando che niente è mai definitivo, che l’eterno ritorno fa parte del nostro mondo, al di là delle barriere gli abbiamo noi stessi imposto. E se il pubblico rimane senza risposta, non mancherà di materia per riflettere.

Allarmi! è una pièce scritta nel 201511 che accomuna le caratteristiche della cronaca politica per la sua attualità, del dramma teatrale e della riflessione filosofica. Si propone di illustrare un momento della Storia e della società sviluppando in parallelo una riflessione sulla condizione umana contemporanea, partendo dal contingente per giungere all’universale. In effetti, nel momento in cui questo testo veniva tradotto in francese da Frédéric Sicamois e pubblicato presso le Presses Universitaires du Midi, l’Europa stava conoscendo (e continua a conoscere) un ritorno preoccupante dell’estrema destra. È vero che il movimento neofascista ritorna a galla regolarmente nella storia contemporanea, dall’epoca dei fascismi storici degli anni ’20 e ’30 del XX secolo; tuttavia il fatto che il destino di parecchi paesi europei sia oggi nelle mani di ex nazisti o di nuovi fascisti e che il razzismo venga non solo banalizzato ma anche strumentalizzato a fini politici ed elettorali, resta un sintomo inquietante e significativo dei tempi che stiamo attraversando; quei tempi oscuri di cui parlava Antonio Tabucchi più di dieci anni fa, nella sua raccolta L’oca al passo12.

Un’ondata reazionaria sta travolgendo il mondo occidentale; in politica, nella stampa, nell’opinione pubblica, senza vergogna, si rimettono in discussione i valori fondamentali, le conquiste sociali, la libertà d’espressione. I social network, nuovo mezzo di trasmissione delle idee e veicolo tremedamente efficace di proselitismo, moltiplicano le opinioni, diffondono pericolose ideologie, che sono lungi dall’essere fuori moda. L’« Ur-Fascismo » di cui parlava Umberto Eco si infila così nelle mentalità, si nasconde dietro discorsi e paure, si fa portavoce dello scontento generato dalla crisi mondiale13. Dobbiamo ricordare che, a 80 anni dalla proclamazione fascista delle leggi razziali, si sentono politici italiani che parlano ancora di « razza bianca »14?

La situazione drammaturgica creata da Aldrovandi sembra, ancora una volta, delle più semplici. Un gruppo di terroristi di estrema destra sta organizzando un attentato: vogliono uccidere il « presidente » dell’unione Europea, trasmettere le immagini in streaming sul web e far scoppiare una rivoluzione. Non credono alla democrazia, detestano gli immigrati e gli omosessuali e desiderano istaurare una nuova dittatura su tutto il continente. La loro leader, Vittoria (il nome qui è più un programma e una rievocazione dei nomi in voga nel ventennio che un appellativo personale), ragazza carismatica e mitomane, è convinta che questo gesto sarà accolto dalla folla degli internauti come un segno forte che le permetterà di cambiare il corso della Storia. Accanto a lei agiscono tre ragazzi, che prendono i nomi di battaglia di Ordine, Assalto e Futuro, ricordando molto da vicino lo slogan « Credere, obbedire e combattere » di mussoliniana memoria.

Il titolo scelto, Allarmi! è dei più significativi: per gli Italiani evoca immediatamente il canto diventato inno fascista fin dal 1921 e intitolato All’armi! che fu, nel contesto dell’epoca, un’incitazione alla rivolta contro i bolscevichi e tutti coloro che fossero stranieri all’Italia e ai suoi cosiddetti valori. Il ritornello, « All’armi siam fascisti, terror dei comunisti », era ancora scandito in occasione delle manifestazioni e degli scontri degli anni ’70, in un’Italia ferita dagli anni di piombo, contesa tra gli opposti estremismi. Ed è sempre vivo nei cortei dei neofascisti attuali e nei blog sulla rete. La grafia scelta dal giovane drammaturgo suscita però una doppia lettura: se da un lato i personaggi della pièce incitano alla rivolta, dall’altra l’autore ci mette in guardia sull’urgenza di agire contro la situazione attuale che si svolge sotto i nostri occhi, utilizzando le nostre armi, ideologiche, artistiche o filosofiche.

Nei testi di Aldrovandi e più particolarmente qui, si assite a una forma complessa di costruzione dell’azione, che non solo fa ricorso a una falsa linearità – in realtà costruita tramite un lungo flash-back – ma che si diverte a confondere vari piani temporali, sostituendo futuro e passato alla cronologia prevista.

È così che il testo inizia con un monologo di Vittoria che parla di un tempo ormai passato, di un’epoca che precede la sua rivoluzione, in cui l’Europa era all’agonia. Ma che Europa? Quella che i viaggiatori del primo testo Scusate se non siamo morti in mare stanno abbandonando? O allora l’Europa attuale nella quale alcuni non ci si ritrovano più? In ogni caso si tratta certamente dell’Europa di Capelli Bianchi, il presidente morituro.

VITTORIA Prima che scoppiasse la rivoluzione, l’Europa faceva schifo: i politici erano tutti corrotti, gli stati nazionali non contavano più niente e gli unici che avevano potere – a Bruxelles – erano quelli che tutelavano gli interessi delle banche. La finanza globale, ecco chi governava, altro che la « democrazia ». E come se non bastasse le città erano piene di negri, marocchini e zingari. La tolleranza, il multiculturalismo, l’accoglienza, tutte cazzate. Se non fosse stato per la rivoluzione quelli ci avrebbero conquistato. Tanto così, ci mancava. Per fortuna ci ha pensato Vittoria Guardate che se non fosse stato per lei… sì, è vero, forse l’avrebbe fatto qualcun altro, perché i tempi erano pronti, la gente si era stancata, ma ci voleva qualcuno che riunisse tutti, qualcuno che avesse il coraggio, e lei ce l’ha avuto. 15

Il testo, in maniera coerente, termina quindi con un messaggio scritto al futuro, come una sorta di visione premonitrice.

VITTORIA Tutti ne parleranno. Cercheranno di capire. Cercheranno un motivo. Cercheranno un senso. Andranno a intervistare i ragazzi che non mi hanno voluto. Analizzeranno il rapporto che avevo con mio padre. Parleranno di emarginazione. Deliri. Instabilità. Schizofrenia. Daranno la colpa a chi si è dimenticato di me. A internet. A questo mondo così violento.16

Si può trovare la chiave interpretativa della pièce appunto in questo uso insolito dei tempi verbali e nella modalità con cui si rivolge al pubblico. Questo crea un effetto di straniamento (il verfremdungseffekt brechtiano, ancora una volta) poiché il pubblico si vede obbligato a smontare e rimontare la situazione, evitando la passività della narrazione lineare. A questo si aggiunge la scelta dell’attualizzazione della rappresentazione. Nei monologhi deliranti sulla sua rivoluzione reazionaria, Vittoria cita più volta la data e il luogo dell’inizio della sua presa di potere, quel momento fatidico che dovrebbe essere l’inizio di una nuova organizzazione della società.

VITTORIA [...] Per questo il 5 ottobre 2016, sono entrata all’Arena del Sole di Bologna e ho ucciso il presidente dell’Unione Europea. Oggi, nell’anniversario della mia dittatura, sono qui per celebrare quel glorioso giorno e per dirvi che il rinnovamento del nostro continente è finalmente compiuto: le frontiere sono state chiuse e gli stranieri senza lavoro o senza casa sono stati espulsi, tutte le religioni tranne quella cattolica sono state abolite, la disoccupazione è allo 0,1% e il welfare è stato esteso a tutte le fasce della popolazione, la distanza fra ricchi e poveri è diminuita, le banche sono state nazionalizzate e non esistono più speculatori, la malattia dell’omosessualità è stata quasi completamente debellata, le carceri sono vuote grazie alla pena di morte retroattiva e i treni arrivano sempre in orario.17

Ora, la data e il luogo, il nome della compagnia ecc, per volontà dell’autore, dovranno essere quelli relativi alla messa in scena dello spettacolo. Così coinvolto, il pubblico non potrà più considerare gli avvenimenti a cui assiste come completamente estranei alla situazione coeva e, nello stesso tempo – ed in questo che risiede il potere dell’effetto di straniamento – non potrà più aderirvi passivamente, poiché è cosciente che assiste a del « teatro ».

Inoltre, a mano a mano che le azioni si succedono sul palcoscenico, si comincia a dubitare del grado di « veridicità » di ciò che ci viene raccontato. Il reclutamento, l’addestramento, l’attentato finale sono realmente vissuti dai personaggi o sono semplicemente immaginati dalla ragazza? Il testo suggerisce in effetti che le azioni rappresentate sulla scena, la rivoluzione messa in piedi da Vittoria, potrebbero essere solo la proiezione mentale del delirio di una ragazzina esclusa e solitaria che vede il mondo e la sua trasformazione attraverso lo specchio deformante dei siti e dei social network che frequenta chiusa nella sua camera. I monologhi che scandiscono ogni atto della pièce possono essere intesi come dei comunicati, dei post o dei video di un’internauta che sta creando un mondo virtuale e parallelo. Si può a questo proposito notare che Vittoria, per parlare di se stessa, usa sia la terza persona sia la prima, in una sorta di zoom psicologico inquietante, in cui le frontiere tra l’io e la sua proiezione virtuale sono in perfetta sincronia con l’uso dei mezzi di diffusione.

Il dialogo con il padre, che interviene nella prima parte del testo, è fondamentale per capirne la costruzione, poiché aiuta a visualizzare un altro livello dell’azione, più realista e più reale, che non era stato svelato immediatamente.

PADRE Sei sempre davanti al computer. E io, come padre… Per me non ci sono problemi, eh, se vuoi passare la vita così puoi farlo, sei libera. Ma allo stesso modo io sono libero di dirti che… ho letto che può essere pericoloso, Vittoria, possono farti il lavaggio del cervello…18

A questa messa in guarda si deve aggiungere l’intervento nel secondo atto – e con gli stessi scopi – della coscienza di Vittoria, incarnata da un vero e proprio personaggio, chiamato la « talpa », una figura che si situa tra la spia pericolosa e il fantasma di un cartone animato infantile deformato da un video gioco paranoico.

A questo punto lo avremo capito: attraverso vari stratagemmi drammatici, Emanuele Aldrovandi lascia il pubblico senza una risposta; riesce ad evitare ogni forma di identificazione o di catarsi, rifiutando di storicizzare gli interrogativi che sono al centro dei dibattiti più forti della nostra società, spingendo alla riflessione fino al pensiero filosofico, di cui ci offre una versione teatrale.

I tre atti che compongono il testo e che ritracciano la messa in opera della rivoluzione neofascista di Vittoria si concludono in effetti con scene situate fuori dal tempo o fuori da questo tempo, estranee al testo. Con la loro posizione tra gli atti e il loro tono a tratti grottesco e comico, essi vengono direttamente dalla tradizione degli intermedi, nell’accezione di composizione che segna il passaggio, in contenuto e stile, tra le parti di un’opera. Il loro contenuto è però di altra matrice; queste « trame di concezione filosofica »19 come vengono definite nella prefazione all’edizione italiana, mettono in scena delle figure storiche o allegoriche che vengono a sottolineare od elucidare i discorsi delle azioni drammatiche. Si ispirano chiaramente alla tradizione dei dialoghi antichi, fin nella scelta di non fornire al lettore una conclusione ai discorsi contradditori che la caratterizzano. Emanuele Aldrovandi è d’altra parte il primo ad affermare che « […] il teatro contemporaneo è proteiforme. In lui esistono più generi diversi e più lingue »20.

Nella prima parte, il dialogo si svolge tra due figure allegoriche, la Democrazia e Punto Di Vista. Il punto di vista è seduto su un cannone, pronto a far saltare tutto: incarna chiaramente Vittoria e il suo programma di violenza; la Democrazia pronta a richiamarlo all’ordine, tenta di attenuare certe affermazioni, per fargli abbandonare le posizioni estremiste.

PUNTO DI VISTA Va bene, infatti io non pretendo di dire cose giuste. Sono solo un punto di vista.
DEMOCRAZIA Un punto di vista che non può esistere.
PUNTO DI VISTA Scusa, ma in una democrazia ognuno non dovrebbe essere libero di…
DEMOCRAZIA Sì, ma tu sei un punto di vista estremo.
PUNTO DI VISTA E chi lo decide che sono estremo?
DEMOCRAZIA La democrazia. Cioè io.21

Si potrebbe immaginare che lo scambio induca lo spettatore – in maniera spontanea – a sostenere le affermazioni di Democrazia; e questo è vero nella prima parte di questo corto dialogo, in cui il punto di vista estremista sembra essere messo fuorigioco e reso innocuo da discorsi politicamente accettati. L’interesse della scrittura di Aldrovandi e di questi dialoghi risiede, invece, proprio nella possibilità di sondare i limiti di questi discorsi consensuali che – senza essere banalizzati o recusati – sono però messi a dura prova da una logica insidiosa, quasi matematica.

Il secondo intermezzo mette in scena due figure molto distanti cronologicamente e culturalmente: da un lato Erostrato, passato alla Storia per aver distrutto il tempio di Artemide, e uno psicologo. Il loro confronto è tanto anacronistico quanto efficace per mettere in evidenza quella frontiera così sottile che separa un rivoluzionario da un mitomane. La risposta e la riflessione sono ancora una volta senza via di scampo. Nella prefazione all’edizione italiana, C. Rifici scrive:

I discorsi politici di Aldrovandi non sono mai realmente politici, è troppo cinico e intelligente per prendere parte a qualsiasi analisi sociopolitica dell’umanità. Emanuele si diverte a descrivere situazioni che al pubblico sembreranno messaggi o invenzioni linguistiche, ma per lui sono un semplice divertimento.22

L’effetto prodotto è quindi lo stesso creato dagli interventi pseudo dotti del Morbido, nel testo analizzato precendetemente: nessuna identificazione per lo spettatore, nessuna catarsi.

Il terzo ed ultimo intervento chiama in causa due figure centrali della cultura cristiana occidentale: Gesù e Ponzio Pilato. Il dialogo comincia in media res, nel momento in cui Pilato deve prendere quella famosa decisione da cui, secondo la tradizione, si deresponsabilizza completamente. Il discorso profetico di Gesù, che afferma contro ogni logica la sua origine divina, non sembra mettere in difficoltà, almeno all’inizio, un Ponzio Pilato tra i più scettici. È solo quando Gesù proclama l’ineluttabilità del suo destino e afferma di non potersi sottrarre alla sua missione di rivoluzionario che sconvolgerà il mondo, che viene sollevata la questione della frontiera tra follia, mitomania o impegno. Ed è in questo frangente che Pilato, mettendo in guardia Gesù sulla pericolosità del suo esempio per le generazioni future, incarna l’atteggiamento di tutti coloro che, siano essi ragionevoli, mediocri o semplicemente spaventati, non accettano una missione che si manifesti con un suicidio. Il disimpegno di Pilato è chiaro, quando domanda a Gesù di misurare pienamente la portata del suo gesto carico di conseguenze.

PONZIO PILATO Sei proprio un matto, eh?
GESÙ No, sono un rivoluzionario. E stravolgerò il mondo.
[Silenzio]
PONZIO PILATO Ascolta, anche se tu puoi – e io dubito che tu possa – ma anche se puoi… non farlo.
GESÙ Perché?
PONZIO PILATO Perché sarebbe un esempio negativo! Per tutti i matti che verranno dopo di te e che, a chi giustamente gli dirà « tu sei un matto » risponderanno « no, io non sono un matto, io sono un rivoluzionario », « io sono il figlio di Dio », « io sono l’eletto », « io sono speciale ».23

Questo intermedio, ancora più sconcertante per la sovrapposizione che viene creata tra la rivoluzione teologica di Cristo e la rivoluzione massacro immaginata da Vittoria, rimane ancora una volta senza risposta. È però la chiave di volta che permette di capire la pièce. In effetti, il monologo finale mostra un altro aspetto della rivolta di Vittoria, quella che corrisponde probabilmente a una realtà ben più triste e patetica, quella di una giovane emarginata che sogna un sollevamento delle masse per cambiare un mondo di cui ha una visione parziale e pessimista. Sembra una lettera d’addio al mondo per seguire quella voce che la obbliga ad agire. E ciò che traspare è una forma patologica senza via d’uscita che vede nella violenza la sola soluzione possibile.

Tutto in questa pièce tende a sospendere il nostro giudizio. Si assiste alla messa in scena della radicalizzazione di un gruppo di giovani spinti alla violenza da una società che sta perdendo i suoi valori o alla fantasia di una ragazza in preda a un delirio di potenza? La nostra società sta perdendo gli anticorpi di fronte all’ascesa di un nuovo fascismo o allora il fascismo è il prodotto della violenza che la nostra società infligge alla sua parte più fragile? Qualunque sia la risposta, ciò che turba e incuriosisce lo spettatore è la possibilità che ciò a cui sta assistendo possa infine avverarsi.

A questa possibilità, a questa realtà paradossale e in potentia contribuiscono anche gli elementi che nascono da un passato e da un presente ben reali. Il termine di paragone costante che Vittoria usa nei suoi discorsi demagogici viene fatto, in effetti – e secondo il modello di gruppi e gruppuscoli di estrema destra, antieuropeo, anti-immigrazione – con e contro degli esempi dell’attualità storica. Da una parte il parallelismo con il terrorismo islamista è costante: i neofascisti predicano in favore di un’Europa senza popolazioni immigrate, ma strumentalizzano l’attualità, facendo leva sulla paura, una paura che dovrebbe servire a creare un contro-terrorismo, legittimato ai loro occhi dalla crisi morale, politica ed economica.

I monologhi in cui Vittoria si serve degli esempi islamisti sono efficaci nel turbare lo spettatore-lettore che si trova confrontato a una realtà violentemente presente e si sente tanto più minacciato, su più fronti. D’altra parte, il bersaglio del loro progetto contro-terroristico (il « presidente » dell’Unione Europea, chiamato Capelli Bianchi), la fonte di tutti i mali si rivela essere – nel delirio di Vittoria – il rappresentante di un sistema tentacolare contro il quale ogni forma di rivolta sembra inutile e che, in maniera subdola, ha distrutto ogni possibilità si costruire una rivolta.

CAPELLI BIANCHI Scusate se mi permetto, ma questo è molto improbabile.
FUTURO E tu cosa ne sai? Ci sono cellule dormienti in ogni paese e Vittoria…
CAPELLI BIANCHI Sì, sì, ci può essere tutto quello che volete. Ma la gente non farà mai una rivoluzione.
VITTORIA Perché?
CAPELLI BIANCHI Perché ha troppo da perdere.
VITTORIA C’è gente che non ha più niente da perdere.
CAPELLI BIANCHI Sì, ma sono la minoranza. Come saprete esiste una soglia minima che… non lo sapete? Scusate, da quel che mi sembra di aver capito – anche andando un po’ per esclusione – voi siete di estrema destra, giusto? Quindi sarete in contatto con gli altri partiti di estrema destra?
FUTURO Certo, Vittoria ha creato la rete clandestina.
CAPELLI BIANCHI Benissimo. E allora saprete, come lo sanno tutti a Bruxelles, che esiste una soglia minima sotto cui il livello di povertà non scende mai. È basso, ma sufficiente a evitare rivoluzioni.24

Ecco quindi che il lettore/spettatore si trova nuovamente preso in contropiede: si ritrova di fronte non a un solo « cattivo delle favole », che prenderebbe su di sé l’intera responsabilità degli eventi, ma di fronte a più cattivi, senza gerarchia, tutti schierati per contribuire alla creazione del contesto attuale. Se il bersaglio dell’attentato è presentato in maniera così machiavellica e grottesca non è solo perché è il riflesso della mente deviata di Vittoria – sarebbe troppo semplice – ma perché Aldrovandi invita ancora una volta il pubblico presente alla riflessione senza manicheismi. Non viene data nessuna soluzione, poiché non è nemmeno immaginata: quel che conta è che si possa avere, in scena, uno specchio della situazione attuale, magari deformante, ma con un linguaggio proprio, senza manifesti politici e dunque senza una una formula risolutiva.

Teatro della distopia quindi? Non sempre. Questi due testi ci offrono due approcci diversi alla realtà. Con Scusate se non siamo morti in mare come d’altronde con il testo Homicide House, e al sua ditta della tortura, Aldrovandi ci aveva abituato a situazioni di anticipazione sociale, sempre fondate su un assurdo plausibile. Con Allarmi!, invece, sembra toccare le corde del cinismo. Il pistolotto fanfarone di Capelli Bianchi è terrificante: appiattisce ogni ideologia, grazie a un discorso pronto all’uso che si può adattare a qualsiasi gruppo terrorista, svela l’esistenza di programmi economici che sottendono al controllo dei popoli e delle potenziali rivolte, ammette la politica dell’assimilazione e del controllo del terrorismo e va fino a consigliare di trasformare “questa bella rabbia” in programmi politici e forme artistiche perché « […] se anche non avete talento, fa lo stesso: le vostre idee sovversive vi faranno diventare ricchi »25

La rivolta sognata da questa dittatrice perdente non potrà quindi avvenire poiché non è semplicemente possibile, è irrealizzabile ancora prima di esistere perché così vuole il potere. Il fallimento è incarnato da Capelli Bianchi, perché, come dice Carmelo Rifici nella prefazione « […] non essendo mai stato non può morire, può solo esserci come paradosso ragionevole di una società morta e che non ha più nessuna intenzione di resuscitare ».26

Un teatro politico, allora? Certo, con una nuova accezione da definire. Il testo Allarmi ! ha suscitato delle critiche in Italia, soprattutto a causa del discorso provocatorio e caricaturale di Capelli Bianchi, un tipico esempio di discorso ufficiale che vede nel teatro politico un’ennesima forma conformistica in favore del potere. Quel teatro che ha la risposta pronta a tutto e che Aldrovandi appunto rifiuta. In un’intervista il drammaturgo ci dà una sua visione dell’impatto del teatro sulla società:

Racconti storie fortemente connesse con il presente: credi che il teatro possa avere un impatto sulla società?
No. Almeno non in modo diretto e immediato. Perché il teatro non è più la « piazza » della nostra società. Gli spettacoli che vogliono « sensibilizzare », « scandalizzare » o «muovere» infatti mi fanno sempre un po’ pena, perché in generale vengono visti quasi solamente da pubblico già sensibilizzato, già scandalizzato o già mosso e questo ovviamente non incide affatto sulla società, è solo un tipo di intrattenimento diverso da quello mainstream. Io però credo fortemente nell’impatto che l’arte drammatica può avere sul futuro, perché il teatro è uno dei pochi luoghi in cui le persone possono prendersi il tempo di andare in profondità di qualcosa.
E più la nostra vita diventerà un susseguirsi continuo di situazioni e stimoli parcellizzati, più sarà raro e cruciale riuscire a ritagliarsi degli spazi di profondità, in cui il contesto ti obbliga a lasciare il cellulare in tasca, a non parlare con nessuno e a immergerti in quello che sta succedendo. Per questo credo che il teatro continuerà a essere necessario.27

Il teatro politico di Aldrovandi lo è in un altro modo, nella sua forma nuova che evita stereotipi e cose già dette poiché « […] une menace pèse sur le théâtre politique: le fétichisme de ses formes, l’évidence de ses dispositifs et la rengaine de ses fonctions »28. Lo è nella volontà di arricchire lo spettatore, fornendogli non dati, ma punti di vista, permettendogli di aderire a situazioni strane, assurde, a volte grottesche.

Cosa vorresti che dicesse un tuo lettore o spettatore dopo aver letto o visto rappresentato un tuo testo?
Io vorrei che le persone uscissero arricchite nella complessità del ragionamento. Non perché « sanno più cose », ma perché le hanno viste da punti di vista che non si aspettavano e questo le ha fatte pensare. Vorrei rompere le sinapsi incrostate che limitano il nostro modo di vedere la realtà e che ci portano a semplificare, a creare dicotomie e avere pregiudizi. Questo, rispondendo anche alla domanda di prima, non ha un impatto sul presente, ma può averlo sul futuro.29

Bibliografia

Aldrovandi, Emanuele, Allarmi!, Imola, Cue Press, 2016 (a).
Aldrovandi, Emanuele, Scusate se siamo morti in mare, Imola, Cue Press, 2016 (b).
Aldrovandi, Emanuele, Allarmi! / Alarmes!, traduction de Frédéric Sicamois, Toulouse, Presses Universitaires du Midi, Coll. « Nouvelles Scènes-italien », 2018 (b).
Eco, Umberto, Reconnaitre le fascisme, Grasset, 2017 (traduction de Myriem Bouzaher).
Neveux, Olivier, Contre le théâtre politique, La Fabrique éditions, 2019.
Plana, Muriel, Théâtre et politique. Pour un théâtre politique contemporain, Orizons, Coll. Universités comparaisons, 2014.
Porcheddu Andrea, « Emanuele Aldrovandi Under 35 », intervista, in Fabrique du cinéma, n° 18, luglio 2017, p. 36-37.
Sangiorgio, Giulia, « Autore e rappresentante di una nuova generazione teatrale. Intervista al drammaturgo Emanuele Aldrovandi » https://webzine.theatronduepuntozero.it/2019/03/05/intervista-al-drammaturgo-emanuele-aldrovandi/ (consulté le 14 mars 2019).
Tabucchi, Antonio, L’oca al passo, Milan, Feltrinelli, 2006; (Au pas de l’oie, traduction de Judith Rosa, Seuil, 2006).

Note de fin

1 I testi di Lisa Nur Sultan e DeFlorian-Tagliarini sono stati l’oggetto di uno studio ad opera di chi scrive, pubblicato nel numero del 2017 della rivista Line@ditoriale [http://revues.univ-tlse2.fr/pum/lineaeditoriale/index.php?id=923].

2 Informazioni più precise sulla bibliografia dell’autore si possono trovare in « Allarmi! Il teatro di Emanuele Aldrovandi, tra realtà e paradosso », un’intervista di Giovanna Montermini, pubblicato su Line@editoriale, 2018, [http://revues.univ-tlse2.fr/pum/lineaeditoriale/index.php?id=1145].

3 Rinvio a questo proposito all’intervista di Giovanna Montermini.

4 Rinvio all’introduzione di Davide Carnevali in Scusate se non siamo morti in mare, CuePress, 2015.

5 Davide Carnevali, introduzione a Scusate se non siamo morti in mare, op. cit., p. 9.

6 Emanuele Aldrovandi, Scusate se non siamo morti in mare, op. cit., p. 13-14.

7 Ibidem, p. 43.

8 Ibidem, p. 31.

9 Ibidem, p. 35.

10 Ibidem, p. 50.

11 La genesi di questo testo è particolare. Si tratta di una richiesta della compagnia ErosAntEros, che dalla sua creazione nel 2010 pratica del teatro sperimentale e la performance. Cfr. « Allarmi! Il teatro di Emanuele Aldrovandi, tra realtà e paradosso », op. cit.

12 Antonio Tabucchi, L’oca al passo, Feltrinelli, Milano, 2006.

13 Da qualche anno il teatro italiano – nato in un paese in cui i capovolgimenti politici sembrano non voler smettere di maltrattare valori e verità, in un continuo andirivieni tra tentativi di rinnovamento e di ritorno del revisionismo – mette in scena figure legate al regime mussoliniano, come il testo Mai Morti, di Renato Sarti del 2003, Dux in scatola di Daniele Timpano del 2006 o ancora i monologhi di Matteo Bacchini del 2010, su un picchiatore fascista, Natura morta con sacco o Autoritratto in nero.

14 Pensiamo in particolare alle dichiarazioni di Attilio Fontana candidato della Lega Nord a capo di una coalizione di centro destra per le elezioni regionali in Lombardia, a Radio Padania il 14 gennaio 2018. Un’espressione qualificata subito dopo come un semplice lapsus.

15 Emanuele Aldrovandi, Allarmi!, CuePress, Imola, 2016, p. 12.

16 Ibidem, p. 52.

17 Ibidem, p. 30.

18 Ibidem, p. 20.

19 Carmelo Rifici, « Un ragionevole paradosso », prefazione a Emanuele Aldrovandi, Allarmi!, op. cit.

20 A. Porcheddu, « Emanuele Aldrovandi Under 35 », intervista, in Fabrique du cinéma, n° 18, luglio 2017, p. 36.

21 E. Aldrovandi, Allarmi!, op. cit., p. 21.

22 Carmelo Rifici, in E. Aldrovandi, Allarmi!, op. cit., p. 7.

23 E. Aldrovandi, Allarmi!, op. cit., p. 50.

24 Ibidem, p. 44.

25 Ibidem, p. 45.

26 C. Rifici, in Emanuele Aldrovandi, Allarmi!, op. cit., p. 7.

27 G. Sangiorgio, « Autore e rappresentante di una nuova generazione teatrale. Intervista al drammaturgo Emanuele Aldrovandi », op. cit.

28 O. Neveux, Contre le théâtre politique, La Fabrique éditions, 2019, p. 190.

29 G. Sangiorgio, op. cit.

Citer cet article

Référence électronique

Antonella Capra, « Emanuele Aldrovandi, il teatro politico del paradosso? », Line@editoriale [En ligne], 10 | 2018, mis en ligne le 06 février 2024, consulté le 29 mars 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/1317

Auteur

Antonella Capra

Il Laboratorio

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