Primi appunti sui manoscritti e libri italiani nelle biblioteche brasiliane di Rio de Janeiro e San Paolo.

Résumés

Il fondo italiano della Biblioteca Nazionale di Rio è particolarmente straordinario coi 506 manoscritti dal Trecento in poi, un gran numero d'incunaboli e centinaia di volumi del Cinque e Seicento. Sulla base di dati locali (impossibili da ottenere in rete e tra l'altro non esaustivi), l'articolo offre un primo panorama delle risorse della Biblioteca e in particolare un centinaio di schede bibliografiche di alcuni volumi del fondo antico (XV-XVIII secoli).

The National Library of Rio de Janeiro possesses an outstanding variety of Italian books, such as 506 manuscripts, a huge number of incunabula papers and hundred of 16th- and 17th-century volumes. Relying on local data – unavailable outside the Library and far from being exhaustive –, the present paper draws a first survey of the resources offered by the Library and gives specific information on some of the 15th- to 17th-century books to be found among the older collections.

Plan

Texte

In questa breve introduzione alle prime centoquindici schede di volumi « italiani » dal Quattro al Settecento conservati nelle biblioteche di Rio e San Paolo, che proponiamo in questo contributo1, vale senz’altro la pena ricordare che in Brasile ci sono venticinque milioni di abitanti di origine italiana che vennero a sostituire gli schiavi nei campi. Un’immigrazione quindi difficile, di gente poverissima, quasi tutti contadini, che parlavano senz’altro solo il dialetto, e del tutto incapaci di produrre anche dopo una generazione o forse due, un’elite in grado di studiare libri antichi. In ogni modo, un’immigrazione che non aveva portato con sé la lingua italiana, che imparò presto il portoghese.

D’altro canto, il Brasile, scoperto ufficialmente nel 1501 dal fiorentino Amerigo Vespucci per conto del re di Portogallo divenne presto una colonia di grandissimo rilievo, con ricchezze straordinarie di oro e diamanti che portarono una parte dell’aristocrazia portoghese ad emigrare nella colonia sudamericana. E chi dice aristocrazia dice biblioteche, con volumi che forse non sono mai letti ma che sono segni di erudizione e di sapere, tra cui ovviamente i classici italiani. La storia del Brasile incrociò poi quella dei libri italiani quando l’esercito napoleonico invase Lisbona il 30 novembre 1807. Il giorno prima, la famiglia reale, che aveva anticipato il rischio di una disfatta, si era imbarcata per la capitale della colonia, cioè Rio de Janeiro. Già nel 1803, dopo la vittoria dei francesi sull’esercito spagnolo nel 1795, era stata seriamente presa in considerazione l’ipotesi di un trasferimento della corte portoghese alleata degli inglesi, in Brasile. Nel 1807 non si trattò quindi di una fuga precipitata bensì di un movimento massiccio previsto da parecchi mesi: furono quindicimila persone a lasciare il Portogallo su sedici navi protette da altre quattro navi da guerra inglesi. L’Armada portoghese raggiunse Rio l’8 marzo 1808 e il re dichiarò la città capitale dell’impero portoghese e il Portogallo colonia del nuovo impero. L’arrivo della famiglia reale cambiò profondamente il mondo brasiliano e, per quanto ci interessa, citerò la creazione nel 1808 della « Impresia Regia » (la stampa reale) perché fin’allora era vietato stampare e pubblicare un libro in Brasile; e soprattutto la creazione della Biblioteca reale nel 1810. Il nucleo storico della Biblioteca reale, appunto perché era sempre stato vietato stampare libri in Brasile, fu quindi costituito da una parte della biblioteca che il re aveva portato con sé. E siccome non poteva trasportare l’insieme della biblioteca di Lisbona, si capisce che erano stati scelti manoscritti e libri di grande valore, testi ed edizioni di rilievo.

Rio rimase capitale dell’impero dal 1808 al 1822. Nel 1821, infatti, il re Giovanni VI tornò in Portogallo mentre il figlio maggiore preferì dichiarare l’indipendenza del Brasile il 7 settembre 1822 e prendere il titolo di Dom Pedro Primeiro, imperatore del Brasile, il primo dicembre.

Nel momento dell’indipendenza, i brasiliani comprarono al re Giovanni tornato in Portogallo l’insieme della biblioteca che si era portata in esilio. La Biblioteca nazionale di Rio conta oggi un po’ più di nove milioni di volumi ed è quella più grande del Sudamerica.

Primi passi a Rio

In questa biblioteca2, si trovano cinquecentosei manoscritti in lingua italiana. Le difficoltà del catalogo sembrano esser molte e se, ad esempio, ricordandosi del sacro mistero dell’apertio libri, uno va a dare un’occhiata al ms I 16 02002 presentato dal catalogo con il titolo L’avarizia commedia, scopre che si tratta in realtà di una delle copie del celeberrimo canzoniere erotico veneziano del famoso Giorgio Baffo. La menzione interna « Obras do celebre Baffo » (che non è stata inserita nel catalogo in rete) indica che qualcuno avrà già cercato di guardare un po’ questi manoscritti, forse un bibliotecario italofono, non si sa. Come non si sa quando. In altre parole, ci sarebbe già un primissimo lavoro di ricerca da fare nella descrizione precisa di ognuno di quei cinquecentosei manoscritti della Biblioteca reale di Rio. Aggiungiamo che solo due sono in rete, uno sull’eruzione del Vesuvio del 1794 e uno del 1736 intitolato Notizie di Roma, il primo di quattro carte, il secondo di dieci…

Nella sala delle « Obras raras », cioè dei libri rari (e forse non tutti antichi si capisce), un giovane studente in biblioteconomia – chiamiamolo Francesco – discendente da immigrati italiani che, come spesso sul continente americano, insieme non sanno l’italiano ma hanno una rappresentazione idealizzata delle proprie origini, della cultura europea dei loro antenati, mi aiutò ad entrare nel catalogo in rete dei libri antichi: gli avevo chiesto ad esempio di aiutarmi a trovare tutti i libri pubblicati a Venezia nel Cinquecento. Digitò « Venezia » e ovviamente non ci furono risultati. Gli suggerii di inserire come parola-chiave ad esempio « Vinegia » (quindici risultati) o « Vinetia » (sei risultati) oppure « Venetia » (un risultato). Lui mi lasciò davanti al computer dopo queste prime esperienze come a dirmi: « Adesso lo faccia da solo ». Con la parola « Italia » vennero centosessantaquattro risultati : quattro incunaboli, ventidue cinquecentine, sedici secentine, ventiquatro settecentine e trenta edizioni dell’800-900, che erano in totale novantasei titoli. Ne mancavano altri sessantotto! Un’indagine del tutto poco soddisfacente, di quelle che danno solo un’idea approssimativa della situazione. E dopo un paio d’ore, mi capitò una cosa che non avrei mai immaginato. Il giovanotto mi diede appuntamento fuori dalla sala per parlarmi. Era la sua pausa e uscimmo dalla biblioteca. E mi disse una cosa alla quale non mi potevo del tutto aspettare: era quasi alla fine del suo tirocinio che era durato alcuni mesi. E dopo avermi fatto promettere di non fare il suo nome a nessuno, mi disse che in realtà esistevano più cataloghi tra cui una database chiamata DIORA che non era in rete, una specie di database segreta che avrebbe accettato di lasciare consultare con la sua password personale. Mi potevo aspettare di trovare sì alcuni volumi interessanti ma veramente niente di nuovo, cioè s’intende libri bellissimi, edizioni aldine, volumi dell’Orlando furioso, certo, ma libri che si trovano senza grandi difficoltà nelle biblioteche europee. Perché in alcuni paesi che si stanno aprendo al mondo – e il discorso vale pure ad esempio per tutti i paesi dell’Est in Europa, appunto perché non sono in grado di dire cosa hanno nelle loro biblioteche, semplicemente perché nessuno s’interessa di letteratura italiana o di libri antichi italiani – c’è ancora la cultura del segreto, la paura di essere sposseduti di beni nazionali, e se non è paura, almeno è diffidenza.

Francesco e io però censimmo quattro primi elenchi di schede fatte dai volumi riperiti con le sole parole « ROMA and ITALIA » in DIORA : incunaboli 10; cinquecentine 55; secentine 40, settecentine 11.

Queste schede riflettono in modo abbastanza logico quali potevano essere le percentuali della biblioteca del re del Portogallo quando sfuggì all’inizio dell’Ottocento: pochi incunaboli perché ovviamente gli incunaboli sono rari, molte edizioni del Cinquecento quando l’Italia dominava il mercato, un bel numero di secentine forse anche passate dalla Spagna e poche settecentine quando l’editoria portoghese bastava a riempire gli scaffali delle biblioteche dei Potenti.

I fondi di San Paolo

La seconda sosta del mio viaggio in terra brasiliana fu San Paolo. A San Paolo ci sono parecchie biblioteche e i fondi di quelle più importanti sono tre: quelli della biblioteca municipale Mario de Andrade, della biblioteca privata San Bento e il fondo dell’Istituto di studi brasiliani, all’USP (Università di San Paolo).

La biblioteca del monastero di San Bento non ha nessun catalogo in rete e quindi è necessario consultare il catalogo cartaceo rifatto però di recente, cioè nel 2006. Il fondo conta trecentottantanove libri dal Quattrocento al Settecento. Il catalogo indica solo tre incunaboli. Sui trecentottantanove libri solo uno è in italiano : si tratta delle Vite di cento santi e sante dell’ordine di San Benedetto di Bernardo Maria Amico, stampato a Venezia da Luigi Pavini nel 1744. Detto questo, parecchi volumi sono stati stampati in Italia, soprattutto a Venezia. La specificità del fondo è quindi di essere interamente dedicato alla religione cattolica. Va notato che un certo numero di volumi sono stati stampati in Germania. Ricordiamo che il Brasile non ebbe il diritto di stampa prima dell’Ottocento, il che significa che pure i testi scritti dai missionari gesuiti ad esempio o sono dei manoscritti o furono stampati in Europa anche se si tratta della storia del Brasile, sia la storia dell’esplorazione sia quelle degli ordini religiosi presenti nel paese.

Il secondo fondo di San Paolo molto più interessante è quello della biblioteca municipale Mario de Andrade3. Il fondo antico è curato dal conservatore, il Dott. R. Bruno di Sant’Ana. È una biblioteca tutto sommato recente, aperta nel 1926, con più di tre milioni di titoli, il cui fondo antico fu costituito da vari doni di collezionisti privati brasiliani. Il sito della biblioteca segnala cinquantaduemila volumi nel fondo detto delle opere rare o speciali pur ricordando ovviamente che la nozione di « opera rara » non è esattamente quella degli studiosi europei. Cioè non sono opere rare nel mondo ma per il Brasile, il che cambia assai la prospettiva di catalogazione.

Incunaboli? Sì. Ad esempio l’edizione originale dell’Operetta molto divota di Savonarola, stampata a Firenze nel 1495. Aldine? Certo. Di Aldo Manuzio quattro; di Paolo poi le Epistolae familiares di Cicerone. Dando un’occhiata alla scheda dell’Ariosto, tre edizioni un Orlando di Giolito del 1555, uno stampato a Lione del 1556 e Gli Soppositi, nel 1587. Cinque edizioni del Tasso (1583, 1585, 1604, 1639 et 1682), ecc. Però niente catalogo in rete.

Mentre stavo consultando le schede cartacee degli incunaboli, vidi che il Dott. Bruno di Sant’Ana prese una piccola chiave ed aprì un armadio; e capii che in quella stanza c’erano come nascosti la maggior parte dei volumi di cui stavamo parlando da un paio d’ore. Mi portò l’edizione dell’Operetta di Savonarola. E mentre guardavo da vicino il volume, con grande soddisfazione, andò ad aprire un altro armadio e vi prese un altro volume che mi voleva mostrare. Mi chiese: « Conosce Montalboddo? » A dire la verità non solo non lo conoscevo per niente ma mi vennero pure in mente come per paronomasia Manuel Vazquez Montalbàn e il Montalbano di Camilleri… « Francazano da Montalboddo è l’autore della prima edizione della descrizione del Brasile – In italiano? – Sì in italiano. È la traduzione di un manoscritto portoghese che era stato portato in Europa per essere stampato. Stampato a Vicenza nel 1507 ma il manoscritto non esiste più ». E mi mostrò il libro. Questo libro stampato in Europa sempre perché era vietato stampare in Brasile era una specie di miracolo. In realtà, Francazano da Montalboddo era editore e pubblicò nel 1507 un grossissimo volume intitolato Paesi nuovamente retrovati coi viaggi del veneziano Alvise Ca’ da Mosto in Africa per conto del re di Portogallo negli anni 1455-1456 (libro primo), del portoghese Vasco de Gama (libro secondo), di Cabral (libro terzo), di Colombo (libro quarto), del fiorentino Amerigo Vespucci (libro quinto) e, nel sesto volume che avevo in mano vari viaggi tra i quali quindi la traduzione della descrizione del Brasile. Il libro fu subito un best seller, ristampato nell’anno successivo nel 1508, poi nel ’12, nel ’17, nel ’19, nel ’21. Ma soprattutto fu tradotto in latino subito, nel 1508, e pubblicato in Francia. La traduzione latina suscitò l’edizione in tedesco dello stesso 1508 e quella olandese, pure nel 1508; poi troviamo un’edizione in francese nel 1515 e una nel ’45, ecc. Tutte queste edizioni erano state censite da un certo Rubens Borba de Moraes che nel 1958 pubblicò ad Amsterdam e in inglese con un titolo latino, la Bibliographia brasiliana, cioè le opere sul Brasile pubblicate tra il 1500 e il 1900. Bisognò aspettare cinquant’anni perché nel 2003 fosse tradotta l’opera di Rubens Borba ristampata nel 2010. Lo straordinario successo del libro di Francazano non si spiega dal solo interesse culturale degli Europei per i paesi nuovi bensì dalle vivacissime lotte economiche delle potenze europee. Colpisce però il ruolo unico degli esploratori italiani, Alvise Ca’ da Mosto, Colombo, Vespucci e si sarebbe potuto aggiungere il neoinglese John Cabot, cioè Giovanni Caboto, che scoprì il Canada per il re d’Inghilterra. Non solo le guerre d’Italia cominciate nel 1494 impedirono agl’Italiani di sfruttare per conto dell’Italia le loro scoperte ma li costrinsero sì a viaggiare per le grandi potenze europee ormai costituite in veri e propri Stati.

Mentre stavo guardando il testo, il Dottor Sant’Ana s’era allontanato e tornò con un manoscritto. L’unico, confessò, del fondo della sua biblioteca, il giornale di bordo di un certo Giovan Battista Lettieri, intitolato Primo viaggio di circumnavigazione della nave da guerra napoletana Urania (1844-1846), di cc. 1764.

Conclusione

In questo rapido panorama delle principali biblioteche di Rio e San Paolo va pure notata quella ricchissima dell’Istituto de Estudos brasileiros, all’università di San Paolo. L’Istituto, creato nel 1962, è gestito all’interno dell’Università di San Paolo quale dipartimento autonomo. È un fondo diacronico, dal Cinquecento in poi anche se include alcuni pochi incunaboli come la Cronaca di Norimberga del 1493. La Biblioteca offre tra l’altro fondi manoscritti originali di quasi una cinquantina di autori brasiliani famosi del Novecento. Tutto compreso, contiene centottantamila documenti tutti di accesso semplicissimo5.

A cinquecento chilometri da San Paolo, in una piccola città chiamata Assis, mi era pure stato chiesto di andare a controllare il cosiddetto fondo antico. Vale la pena dire come in Brasile i volumi interessanti siano concentrati in pochissime grandi biblioteche perché là, ad Assis, il “tesoro” della biblioteca universitaria consisteva solo in due settecentine – accanto all’Opera omnia di un certo Benito M. pubblicata nel ’62 a Firenze e subito comprata, lo si immagina, dalla dittatura brasiliana di quegli anni.

L’esempio brasiliano, che invita ad ulteriori visite ed indagini, mette palesemente in risalto le prospettive che offrono le ricerche future nelle biblioteche di paesi finora purtroppo negletti dagli studiosi. Il Sudamerica, fin troppo immaginato lungi dagli interessi degli studiosi italianisti (fa eccezione ovviamente il caso dell’Argentina nell’immaginario collettivo), racchiude invece indubbiamente nuove dinamiche di collaborazioni intercontinentali.

Note de fin

1 Dal testo di una mia conferenza all’Università per Stranieri di Perugia (maggio 2013).

2 Si veda il catalogo in rete in <http://www.bn.br/site/pages/catalogos/obrasraras/obrasraras.htm>

3 <http: //www.prefeitura.sp.gov.br/cidade/secretarias/cultura/bma>

4 Il testo è tra i rari microfilmati.

5 Siccome appartiene all’università, si può consultare almeno una parte del catalogo dell’Istituto sul sito Dedalus: <http://dedalus.usp.br>. Nel 2002 l’Istituto ha pubblicato un volume intitolato Catalogo dos Manuscritos. È un volume del tutto utile, che ebbe una tiratura di solo mille copie. Nel 2003 è pure stato creato una sezione dedicata ai restauri che funge anche da scuola.

Document annexe

Citer cet article

Référence électronique

Jean-Luc Nardone, « Primi appunti sui manoscritti e libri italiani nelle biblioteche brasiliane di Rio de Janeiro e San Paolo. », Line@editoriale [En ligne], 5 | 2013, mis en ligne le 02 mars 2017, consulté le 02 mai 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/505

Auteur

Jean-Luc Nardone

jlnutm@orange.fr

Articles du même auteur