Scrivere contro. I giornali antifascisti italiani in Francia dal 1922 al 1943

Résumés

Durante il regime fascista, numerosi esponenti dei partiti antifascisti trovarono rifugio in Francia. Il loro esilio si materializzò attraverso una ricca produzione di giornali, riviste e fogli in lingua italiana di stampo social-liberale, socialista, comunista ed anarchico. Il fuoriuscitismo pubblicò in Francia ben 179 giornali destinati principalmente ai numerosssimi italiani emigrati per ragioni economiche o politiche. Questa produzione italofona nata dalla necessità di lottare contro il regime totalitario costituisce un punto nodale della cultura italiana in esilio, un luogo di memoria e di storia della nazione italiana fuoriuscita. Il ritrovamento in svariati archivi italiani e francesi di questa vasta pubblicistica antifascista ci ha permesso di effettuarne un’analisi quantitativa e qualitativa. In questa scrittura dell’emigrazione forzata si sono espressi i modelli politici, le nuove progettualità sociali, una nuova identità italiana e quei valori dei quali ha ereditato l'Italia repubblicana. Dall’analisi che abbiamo condotto emerge quanto questi giornali costituiscano una vera e propria nazione italiana all’estero e un ricco patrimonio culturale.

During the fascist era, many advocates of the antifascist political parties found shelter in France. These exiles expressed themselves by producing a large number of journals, magazines and bulletins in Italian with social-liberal, socialist, communist, and anarchic proclivity. In France, the political refugees published some 179 newspapers essentially dedicated to numerous Italians who had emigrated for economic or political reasons. This Italian-language production, which finds its inception in the need to fight against the totalitarian regime, constitutes the core of Italian culture among the exiles, and a place for the memory and history of the Italian emigrant community. The retrieval of these extensive antifascist, political publications from diverse Italian and French archives has made it possible to analyze them from a quantitative and qualitative perspective. In this corpus of literature resulting from forced emigration, one can find political models, new social aspirations, a new Italian identity, and other values, which modern Italy inherited from. The analysis we conducted has revealed the significant contribution of these publications to the presence of an Italian nation abroad and its rich cultural heritage.

Plan

Texte

Ricostituire il mosaico

Sin dal 1924, il fascismo, con i suoi metodi liberticidi, l’intolleranza verso il parlamentarismo, il pluralismo e la libera espressione, costringeva all’esilio un gran numero d’intellettuali, parlamentari, responsabili politici e sindacali; parte di quest’elite svolgeva anche un’intensa attività pubblicistica. Alcuni si diressero verso gli USA e l’America Latina, un nocciolo di comunisti prese la via dell’URSS, i più, nella speranza di conservare dei contatti con l’Italia si stabilirono in paesi geograficamente vicini, Belgio, Svizzera e Francia. Nella scelta della terra d’esilio intervennero molti criteri; oltre alla vicinanza i fuoriusciti tennero in debito conto la democraticità del potere, la presenza d’emigrati italiani – presupposto rilevante per poter creare, al di fuori della penisola, un’opposizione avente una certa legittimità – nonché la situazione economica del paese dovendo provvedere al loro sostentamento, se possibile dignitoso.1

La destinazione più anelata fu la Francia poichè, oltre a soddisfare i criteri enunciati, nell’immaginario collettivo degli antifascisti era il paese dei diritti dell’uomo e la terra che aveva già accolto altri profughi italiani, prima i liberali e i repubblicani risorgimentali – poi, verso la fine del XIX secolo – i socialisti e gli anarchici. È molto difficile stabilire quanti furono gli antifascisti che, tra gli anni venti e trenta, si rifugiarono in Francia essendo il loro flusso diluito in quello più vasto degli emigrati economici. Secondo alcune stime, nel 1926, essi avrebbero rappresentato il 10% degli Italiani residenti in Francia, ossia essi sarebbero stati all’incirca 76 0002.

L’esilio ebbe per quest’elite di fuoriusciti una doppia valenza: tutelare il proprio patrimonio culturale e politico dall’onda distruttrice del fascismo e proseguire l’azione per il ripristino della democrazia e dello stato di diritto. A tal fine essi ricostituirono in Francia e in tutti i paesi d’esilio le loro formazioni politiche e sindacali con i loro rispettivi organi di stampa. Quest’elite, in effetti, rinasceva fuori dell’Italia in tutte le sue sfumature dottrinali e strategiche espresse anche attraverso un’intensa attività giornalistica. Gli organi di stampa essendo il luogo in cui si riflettevano le specifiche identità politiche-ideologiche rappresentano una fonte d’importanza rilevante per la comprensione e l’analisi del caleidoscopico mondo fuoriuscitista.

Un censimento dei giornali antifascisti compiuto tra il 1978 e il 1987 dall’Istituto Nazionale per la Storia della Liberazione (INSML) ci dà un’idea precisa della stampa prodotta dagli Italiani all’estero nel periodo tra le due guerre3. Questa lista si accompagna di tre dati di grande importanza: tendenza politica del giornale, la sua durata e il luogo di pubblicazione. Questo prezioso censimento ci ha permesso di ricercare negli archivi le testate prodotte dagli antifascisti esuli in Francia, di consultarle là dove è stato possibile e d’analizzarne il loro contenuto. Questa ricerca è stata lunga e difficoltosa a causa della loro dispersione e dell’incompletezza delle collezioni possedute dai vari archivi.

La maggior parte dei titoli antifascisti sono conservati presso l’Archivio Nazionale di Stato a Roma. Essi sono arrivati in questo luogo grazie all’opera zelante degli agenti e collaboratori fascisti incaricati di sorvegliare i fuoriusciti. La stampa comunista è piuttosto frammentaria ed alcuni esemplari sono conservati presso l’Istituto Nazionale Gramsci a Roma e la Fondazione Feltrinelli a Milano grazie al deposito di archivi privati di antifascisti di un certo rilievo. Tra i luoghi di conservazione vi è la Bibliothèque Nationale de France e gli Archives Départementales. Le difficoltà maggiori sono state incontrate nel reperimento dei dati inerenti alla loro diffusione e alle fonti di finanziamento, questioni sui quali i giornali tacciono. Alcune informazioni sono emerse dal ritrovamento, nei vari archivi pubblici e privati, italiani e francesi, di carteggi tra antifascisti, di rapporti di prefetti, questori, informatori del regime, fonti che abbiamo ovviamente utilizzato con cautela ma che, dal loro raffronto, ci permettono di avere un ordine di grandezza.

Per la Francia, l’INSML ha censito 230 periodici in lingua italiana, tra i quali 179 titoli antifascisti. La stampa antiregime rappresentava il 77% dei giornali italiani pubblicati in Francia; la parte restante era costituita, in maniera preponderante, da testate fasciste e cattoliche. Tra i giornali antifascisti più longevi emergono coloro che erano più politicamente moderati; tutti i giornali antifascisti, tranne rare eccezioni, ebbero una diffusione alquanto limitata, si presume ristretta alla cerchia degli esuli e degli emigrati economici più acculturati, politicizzati e non disposti a rinunciare all’informazione nonostante le magre risorse. Se il 75% di questi giornali erano pubblicati a Parigi, testate di una certa influenza fiorirono anche a Marsiglia, Nizza, Tolosa e persino nelle province più periferiche e rurali come Agen o Montauban.

La categorizzazione per orientamento non è sempre palese poichè accanto alle testate di chiara matrice ideologica come i giornali repubblicani, socialisti, comunisti ed anarchici emergono periodici frutto di sincretismo politico che per semplicità definiremo come democratici e social-liberali. Il gruppo politico che vantava il numero più elevato di periodici era il movimento anarchico con ben 52 testate pari al 29% del totale dei titoli antifascisti. Le loro pubblicazioni furono però di breve durata a causa della percezione che le autorità avevano delle formazioni anarchiche. Considerate pericolose, i loro fogli erano sottoposti a severi controlli e a frequenti sospensioni alle quali gli autori rispondevano creando nuove testate. La stampa comunista annoverava 49 titoli pari al 27% del totale. Ai giornali comunisti vanno aggiunti i 12 titoli dei dissidenti di sinistra. Il gran numero di giornali era anche in questo caso frutto della censura. Allorquando una testata veniva vietata riappariva con un nuovo titolo. Anche i titoli comunisti, al pari degli anarchici, furono alquanto discontinui ma di un’eccezionale vitalità e tenacia.

I socialisti appartenenti alle due correnti, riformista e massimalista fondarono in Francia 19 testate, pari al 10,6% del totale mentre la stampa repubblicana era presente con 8 periodici, pari al 4,5%. Ai titoli politicamente più tradizionali vanno aggiunti i 5 giornali social-liberali facenti riferimento al movimento Giustizia e Libertà e corrispondenti al 2,8% e le testate democratiche comprensive di ben 23 giornali, pari al 12,8% del totale, tra cui spiccava la Libertà, l’organo del movimento antifascista coalizzato. Il numero limitato di testate appartenenti alle aree più moderate è strettamente legato all’indice di gradimento percepito dalle autorità francesi, più quest’indice era elevato più il turn-over dei giornali diminuiva. Nell’ambito della stampa antifascista si collocavano i giornali sindacali d’ispirazione socialista e comunista con 6 titoli, pari al 3,4% del totale. Alle testate antifasciste legali va aggiunta la stampa comunista clandestina prodotta durante il regime di Vichy e l’occupazione nazista della Francia. Tra i fogli arrivati fino a noi vi è la Lettere di Spartaco e La Parola degli Italiani.

Per completare la mappa dei giornali italiani di matrice politica stampati in questo periodo in Francia vanno menzionati i periodici di segno opposto ossia gli organi di stampa fascisti. L’inchiesta dell’Istituto ne ha censiti 9, tra i più influenti, Il Legionario, l’organo dei Fasci Italiani all’Estero. L’interesse che la chiesa cattolica prestava all’emigrazione faceva nascere ad Agen Il Corriere, organo eminentemente politico delle Missioni Cattoliche in Europa, diffuso in Francia e in Belgio. Il Corriere fu particolarmente longevo poichè edito dal 1926 al 1944. Lungi dall’occuparsi di questioni di chiesa o di fede settimanalmente commentava la politica italiana in chiave apertamente nazionalista.

Vi erano infine i giornali emanazione di associazioni economiche, per lo più agricole, creati sia da antifascisti che fascisti. Rientrano in quest’area 32 testate pari al 14% del totale dei giornali italiani in Francia. Se la stragrande maggioranza della stampa antifascista in Francia era in lingua italiana non mancarono esempi di testate bilingue come L’Attesa, edita ad Agen, o interamente in francese come Italie organo attraverso il quale per un tempo brevissimo la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (LIDU) si indirizzò all’opinione francese e internazionale.

Insieme ma divisi: idee, ostacoli, speranze della stampa antifascista

Addentrandoci nell’analisi del loro contenuto emergono degli elementi di convergenza. Pur nella diversità di orientamento un filo rosso legava la stampa antifascista: essa fu strumento di collegamento tra gli esuli, il luogo di contro-informazione sulla politica italiana nonché spazio d’educazione ideologica. Unanimamente essa considerò il fascismo come il ritorno all’oscurantismo, l’espressione di un potere oligarchico, incivile e antistorico.

Le divergenze furono però altrettanto numerose e profonde cristallizzandosi intorno a tre clivages: le cause del fascismo, i metodi per combatterlo ed infine il tipo di società da ricostruire dopo l’intermezzo totalitario. In merito alla primo punto le contrapposizioni si coagulavano intorno alla lettura duale del fascismo. Se per la stampa socialista e comunista la dittatura rappresentava la reazione della borghesia alla conflittualità sociale dell’immediato dopoguerra, per la stampa repubblicana e social-liberale il suo avvento trovava le sue radici nel deficit di democrazia esistente nell’Italia liberale, nell’arretratezza civile e morale degli Italiani, situazione che li predisponeva alla subordinazione.

In merito alle modalità di lotta al fascismo il terreno di divisione era costituito dall’uso di mezzi illegali. Se per i giornali socialisti, sia massimalisti che riformisti il regime andava fronteggiato informando e denunciando gli abusi, la stampa repubblicana ed in particolare Giustizia e Libertà premeva per l’organizzazione di un’azione clandestina in Italia finalizzata ad un’insurrezione popolare; questa posizione era in parte condivisa dalla stampa comunista che premeditava il crollo della dittatura attraverso l’infiltrazione delle strutture fasciste. Arroccata su posizione d’illegalità più estreme la stampa anarchica per la quale la dittatura andava colpita attraverso l’organizzazione di attentati.

Rispetto al progetto politico del dopo-regime tutta la stampa antifascista non comunista prevedeva una rinascita dell’Italia su basi democratiche perchè solo dalla democrazia poteva germogliare una società socialmente equa. Nel corso degli anni trenta anche la stampa comunista evolveva in questo senso. La maggior parte dei giornali antifascisti ebbero un contenuto altamente intellettuale dovuto alla composizione delle loro redazioni e allo spessore culturale dei loro collaboratori. Quasi tutti i giornali furono diretti da leaders politici con un livello culturale medio alto, talvolta universitario, o da intellettuali che avevano rivestito in Italia cariche partitiche ed istituzionali di un certo rilievo e che avevano anche un’esperienza giornalistica alle spalle.

L’attività pubblicistica sia pure facilitata dall’esperienza dei redattori dovette barcamenarsi tra un rivolo di difficoltà prima tra tutte il reperimento delle notizie. Non potendo avere in Italia i loro propri corrispondenti o inviati tutti i giornali antifascisti dovettero crearsi una rete clandestina d’informatori costituita da persone fidate che facevano giungere, attraverso percorsi insoliti, immaginativi e discreti, le notizie che rilevavano il volto antidemocratico del regime e che la stampa fascista passava sotto silenzio. Attraverso questa rete le notizie però arrivavano in maniera discontinua e sovente solamente da alcune zone. In uno stampato dal titolo Per Comunicare con i fuoriusciti si legge:

Non si possono inviare fiduciari perchè il governo non concede passaporti che ai fascisti; non si possono scrivere lettere e specialmente quelle che entrano in Italia vengono censurate. Certamente tu conosci un indirizzo di un tuo compaesano, di un tuo ex-compagno di partito, di un emigrato qualunque che sai di idee antifasciste. Ebbene tu devi inviare periodicamente e con la massima regolarità delle lettere a quest’amico. Naturalmente tu non devi firmare. Scrivi le lettere a macchina o con una calligrafia alterata. [...] . Le tue lettere devono servire prima di tutto ad informare gli emigrati i quali dispongono di una stampa in Europa e in America [...]. Tutto ciò che la stampa fascista non pubblica è utile a noi. Manda anche giornali fascisti di provincia che difficilmente giungono all’estero, ritagli, manifesti di propaganda4.

Le informazioni venivano attinte anche della stampa straniera, piuttosto inglese, perchè più ricca di notizie sull’Italia nonchè dalla stampa fascista o fascistizzata della quale i fuoriusciti ne facevano una contro-lettura; anche le noiose cronache di governo, il propagandistico cerimoniale fascista, le omissioni era oggetto d’esegesi.

L’informazione antifascista dovette fare i conti con un’altra difficoltà, assai più grave, il suo finanziamento. Le fonti finanziarie dei quali i giornali si avvalevano: le vendite, le sottoscrizioni presso i lettori agiati, le formazioni politiche progressiste francesi o internazionali e la pubblicità si rivelarono insufficienti ed inaffidabili perchè la cerchia dei lettori, come abbiamo già detto, era molto ristretta e disponeva di scarse risorse, perchè i ricchi filantropi erano rari e poco generosi, perchè le somme provenienti dalla solidarietà internazionale erano modeste e la pubblicità commerciale quasi assente. Il socialista Filippo Turati a proposito delle inserzioni pubblicitarie scriveva in una sua lettera a Torquato Di Tella, un sottoscrittore chiave dell’antifascismo del quale parleremo più in basso:

Troverete strano che la pubblicità renda così poco neppure 4000 franchi, si è tentato e ritentato invano di farla rendere di più. I commercianti italiani pur così numerosi qui temono le rappresaglie del fascio e dei consolati e se qualcuno, crepi l’avarizia, mette fuori 50 franchi si raccomanda che non si pubblichi il suo nome5.

L’indebitamento cronico fu il male endemico del quale soffrì la stampa antifascista e la chiusura fu l’assillo permanente. La scomparsa di molte testate fu in effetti causata dallo strangolamento finanziario.

I primi giornali vennero fondati all’inizio degli anni venti con l’arrivo in Francia della prima ondata di rifugiati costituita principalmente da comunisti, i primi ad essere perseguitati dal regime. Per salvaguardare la loro indipendenza rispetto al PCF questi primi profughi davano vita ai primi bollettini in lingua italiana di matrice antifascista e anticapitalista; il primo tra tutti fu l’Araldo fondato a Parigi nel marzo del 1922 e proibito dalle autorità francesi alla fine del 1923. In seguito a questo primo divieto la pubblicazione assunse il nome di Ordine Nuovo, poi La Riscossa dal 1924 al 1926. La censura sistematica dovuta ad una maggiore severità del governo francese nei confronti dei comunisti portò alla creazione, sempre nella capitale, di una lunga serie di altri fogli: Il fronte antifascista (1927-1930), La Riscossa della Gioventù (1928), La Voce Proletaria (1928-1929), Bandiera Rossa (1933), La Nostra Bandiera (1933-1934), La Bandiera dei Lavoratori (1934), Vita Operaia (1934), Voce Operaia (1934), L’Idea Popolare (1935-1936), Il Grido del Popolo (1936-1937), Fraternité (1937-1938), La Voce degli Italiani (1937-1939)6. Tra i giornali dei dissidenti comunisti possiamo citare il Bollettino dell’Opposizione (1931-1933) organo del gruppo trotskista.

L’unico giornale comunista ad aver avuto un’esistenza di lunga durata fu Stato Operaio7, pubblicato dal 1927 al 1939, sempre a Parigi, e dal 1940 al 1943 a New-York. Teresa Noce nelle sue memorie, Rivoluzionaria di professione spiega con chiarezza le ragioni del gran numero di titoli comunisti:

Nei tre anni in cui mi occupai del giornale comunista dell’emigrazione dovemmo cambiargli nome almeno una ventina di volte8. Quantunque la Francia avesse governi più o meno democratici, l’ambasciata italiana e la polizia fascista intervenivano di continuo sicchè ogni tanto prendendo a pretesto questo o quell’articolo il settimanale veniva sospeso. Poichè il giornale costituiva un legame organizzativo con i lavoratori italiani che non potevamo lasciare interrotto neppure per qualche settimana imparammo a neutralizzare le misure reazionarie del governo francese tenendo sempre pronta in redazione una nuova testata e relativa autorizzazione per un altro direttore responsabile. In tal modo, con un ritardo tutt’al più di un giorno o due, il nuovo giornale prendeva il posto di quello sospeso.

Dalla testimonianza di Teresa Noce emerge che il contenuto della stampa comunista sarebbe stata elaborata da una redazione proletaria costituita da semplici militanti, assidui lettori, che suggeriva ai redattori o quadri di partito, gli argomenti da trattare, discuteva gli articoli già pubblicati, si adirava per gli argomenti suggeriti e non trattati ma soprattutto forniva notizie arrivate dall’Italia. Teresa Noce racconta: « Dopo aver ben criticato il giornale i compagni tiravano fuori foglietti e buste sdrucite. Sui foglietti vi erano brani di lettere appena giunte dall’Italia con notizie dirette dalle fabbriche e dalle città italiane »9.

Dai fogli comunisti elaborati dal basso si distingueva Stato Operaio, l’organo ufficiale del PCI in esilio che aveva un carattere prevalentemente teorico con il compito d’elaborare la linea del partito e di costruire un pensiero organizzato in sintonia con la dottrina marxista-leninista-stalinista e contro le derive trotzkiste. Stato Operaio, come sostenuto da Ruggero Grieco, non era un organo di massa bensì uno strumento destinato a formare i quadri di partito ad essere dei buoni propagandisti, delle efficienti cinghie di trasmissione delle direttive del partito. Per il suo alto profilo ideologico la rivista « non andava solo letta ma studiata »10. Nella sua lunga esistenza si alternano periodi di forte rigidità nei confronti dei socialisti a fasi d’aperture soprattutto nell’età dei fronti popolari.

Questa rivista benchè autorevole ebbe per la sua non facile comprensione una tiratura oscillante tra le 2000 e le 3000 copie di cui solo la metà diffuse in Francia contro le 12 000 dell’Araldo alla fine del 192311. Paradossalmente l’organo di stampa ufficiale del partito che aveva il maggior numero d’iscritti e di militanti, la maggiore influenza sulle masse emigrate aveva un numero di lettori relativamente basso. Alle richieste della base di renderlo più accessibile con articoli più semplici, più brevi, più popolari, i redattori della rivista si mostrarono alquanto intransigenti come leggiamo nel numero del maggio 1927: « Ci si è detto che la rivista è pesante ma bisogna che i compagni, i lettori facciano lo sforzo non solo di leggere ma di studiare almeno un po’ ». Nel numero del marzo 1928 essi ribadivano la stessa posizione scrivendo: « Stato Operaio ha bisogno d’affrontare tematiche complesse che non si possono piegare a facili volgarizzazioni in quanto farebbe della rivista un corso di dispense scolastiche ». Questo periodico poté mantenere fino al suo trasferimento a New-York, nel 1939, un profilo prettamente concettuale perchè il PCI in esilio informava e mobilizzava i suoi militanti attraverso le testate su citate, dal profilo molto più semplice.

Fig.01

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voce degli italiani

Fig.02

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grido del popolo

Il giornale comunista più popolare fu inconfutabilmente La Voce degli Italiani12, portavoce dal 1937 al 1939 dell’Unione Popolare Italiana (UPI), un’organizzazione nella quale il PCI, al di sopra di ogni tendenza politica, aspirava a federare tutti gli antifascisti e tutti gli emigrati italiani « onesti, amici della pace e del progresso ». L’UPI era la risultante del Fronte Popolare francese e delle nuove direttive sovietiche secondo le quali, di fronte alla minaccia nazista, la compattezza della sinistra doveva prevalere sulla rivoluzione anticapitalistica.

La Voce degli Italiani assumeva la veste di quotidiano, una cadenza molto rara nella stampa degli esuli e conosceva sin da subito una larga diffusione, 20 000 copie al giorno e 4000 abbonati13. La chiave del suo successo era dà attribuirsi alle sue posizioni ampiamente condivisibili e riassumibili in una lotta incentrata su « pane, pace e libertà »; al suo voler essere il polo d’aggregazione degli Italiani al di là delle barriere ideologiche ed infine al profilo dei suoi direttori, due figure molto influenti e popolari: Giuseppe Di Vittorio, il leader dell’organizzazione sindacale CGDL (Confederazione Generale del Lavoro), e Luigi Campolonghi, il presidente della LIDU, la più nota delle organizzazioni antifasciste. La Voce degli Italiani, legata alle sorti dell’Upi, scompariva nel 1939 quando, in seguito al patto di non aggressione nazi-sovietico, tutte le organizzazioni comuniste in Francia vennero vietate.

La pubblicistica socialista edita in Francia risentì fortemente delle divisioni interne al partito tra riformisti, unificazionisti (fautori dell’unità dei socialisti), terzisti (fautori dell’unità tra socialisti e comunisti) e massimalisti (contrari ad una qualsiasi unificazione). Con l’esilio dell’establishment socialista nel 1926 veniva ricreato a Parigi un’edizione dell’Avanti! 14 il cui controllo fu assunto dalla corrente massimalista. Questo giornale fu pubblicato fino al 1940; per alcuni periodi esso fu diretto da Angelica Balabanoff una delle rare donne di spicco del movimento antifascista ad aver assunto le redini di un giornale.

I socialisti riformisti si raccolsero invece a partire dal 1928 attorno a Rinascita Socialista, rivista diretta da Giuseppe Modigliani insieme a Filippo Turati e Claudio Treves, esponenti storici di questo partito, nonché ex-parlamentari15. Mentre i terzini prima di confluire nel 1930 nel PCI creavano Il Nostro Avanti. Gli unificazionisti di fronte all’impossibilità di strappare la direzione de L’Avanti ai massimalisti fondavano nel 1934 Il Nuovo Avanti diretto fino al 1939 da Pietro Nenni. Sia pure nella diversità tutte queste testate dell’area socialista furono i custodi del loro patrimonio, luogo d’analisi della loro sconfitta di fronte al fascismo, di riflessione sul come superare le divisioni interne all’antifascismo e sul come conciliare, in una società tutta da costruire, la democrazia con il socialismo.

La loro diffusione non fu però all’altezza dell’eredità della quale si consideravano depositari: L’Avanti non raggiunse mai una tiratura superiore alle 5000 copie mentre Il Nuovo Avanti raggiunse le 7000-8000 copie tra il 1934-35 diffuse in Francia, Svizzera, Belgio e America16. A fronte d’una tiratura alquanto modesta la stampa socialista, in particolar modo l’Avanti! e Rinascita Socialista, non ebbe gravi problemi finanziari. Quest’ultimo organo poté infatti confidare su svariati aiuti provenienti dagli ambienti socialisti nord americani e argentini, dalle cooperative edili, l’Emancipazione e il Progresso, create dagli stessi socialisti soprattutto del Sud-Ovest, ed infine su un sussidio annuo versato dall’Internazionale Operaia Socialista (IOS). Quest’organizzazione portava soccorso agli esuli socialisti provenienti dai paesi privati di democrazia attraverso il fondo Matteotti17. Nella corrispondenza tra Friedrich Adler, il segretario della IOS, e Giuseppe Modigliani si fa riferimento ad un contributo mensile di 15000 franchi che veniva utilizzati non solo per riequilibrare i bilanci del giornale ma anche per finanziare iniziative antifasciste condotte unitariamente con altre formazioni politiche18. Un sostegno sia pure al di sotto delle aspettative della redazione veniva anche dai socialisti moderati europei. Filippo Turati in una lettera a Valentino Pittoni, ex-dirigente socialista triestino, sottolineava gli sforzi da compiere per poterli ottenere:

In sostanza che abbiano capito i nostri bisogni e che si siano interessati davvero, anche materialmente, ossia a suon di quattrini [...] non ci sono, o almeno non ci furono fino a ieri che i compagni austriaci: un po’ per l’influenza tua e di Ellembogen, un po’ perchè vi sentite anche voi minacciati da presso dal flagello che colpì noi altri. Per l’ultima di queste ragioni ci mostrano simpatia i Belgi, […]: ma miserabili quattrini neanche l’intenzione […]. I Francesi che hanno l’onore (?) di ospitarci sono i primi... ad essere gli ultimi. Gli Inglesi gareggiano con essi (....). I Tedeschi si decisero solo ora in seguito a una mia lettera a Stampfer del settembre scorso a slacciare il borsellino offrendoci, crepi l’avarizia, 2000 marchi […]19.

L’azione pubblicistica dei socialisti riformisti si espresse anche attraverso La Libertà, organo di stampa della Concentrazione, cartello che tra il 1927-1934 unì le forze antifasciste non comuniste20. In sintonia con lo spirito pluralista dell’organizzazione la redazione della Libertà era costituita da Treves e Modigliani, esponenti del socialismo moderato, da Nenni e Angelica Balabanoff, dirigenti della corrente socialista massimalista, da Mario Pistocchi e Ferdinando Schiavetti responsabili del partito repubblicano, da Alceste De Ambris e Alberto Cianca rappresentanti della LIDU e da Bruno Buozzi e Felice Quaglino per la CGDL (Confederazione Generale del Lavoro).

Fig.03

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Avanti

Fig.04

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libertà

Dall’analisi del giornale emergono i suoi obiettivi principali: tenere unito l’antifascismo non comunista e fare dell’informazione l’arma che avrebbe dovuto contribuire all’indebolimento del regime. Fornire agli emigrati italiani e all’opinione pubblica in generale una conoscenza precisa del fascismo avrebbe, secondo la linea del giornale, creato intorno al regime un isolamento tale da minarne la sua esistenza. L’azione antifascista, per la redazione della Libertà, si identificava con l’attività informativa. Nel giornale si rifletteva lo spirito aventiniano della Concentrazione – ossia la persuasione che il fascismo fosse un incidente di percorso sul cammino della democrazia italiana, che avesse un carattere transitorio, che l’opposizione doveva limitarsi alla sua denuncia in attesa della sua disintegrazione e prepararsi a ripristinare lo Stato democratico in continuità con quello esistente nel periodo pre-fascista. Assumendo questa posizione il giornale abbracciava, agli occhi degli anti-concentrazionisti, una visione alquanto statica ed attendista dell’antifascismo.

Passando dalla linea editoriale agli aspetti informativi, La Libertà non avendo in Italia una rete clandestina recepiva con tempestività le notizie sull’Italia grazie alla lettura critica di quasi tutti i giornali fascistizzati ai quali era abbonata: Il Corriere della Sera, La Gazzetta Ufficiale, Il Corriere Padano, L’Osservatore Romano, Il Popolo di Romagna, Il Resto del Carlino, Il Tevere, La Tribuna, e da alcune riviste come La Nuova Antologia e Problemi di Lavoro. Inoltre per l’elaborazione delle argomentazioni i collaboratori del giornale potevano avvalersi di una ricca biblioteca-archivio21. Questa testata ebbe anche il pregio di spostare il dibattito sulla democrazia dall’Italia all’Europa e di ospitare le penne più prestigiose del fuoriuscitismo ivi compresi alcuni comunisti.

La diffusione purtuttavia deluse le aspettative dei redattori: La Libertà dichiarava nel 1927 una tiratura di 15 000 copie e 2500 abbonati22. L’impossibilità o l’incapacità del giornale d’aumentare il numero dei lettori fedeli ebbe gravi conseguenze finanziarie che non furono estranee alla sua chiusura. Le sue maggiori fonti di finanziamento erano le cooperative di lavoro edili23 e le sottoscrizioni i cui introiti venivano settimanalmente pubblicati sul giornale per ragioni emulative. Dai dati pubblicati dalla testata e dal carteggio di Filippo Turati emerge che La Libertà trovava in un industriale italo-argentino, Torquato Di Tella, il maggiore sottoscrittore24. Di Tella era definito da Turati « il raro amico idealista all’estero ». Una lettera del 21 gennaio 1929 in cui il leader socialista ringraziava il generoso Di Tella getta una gelida luce sugli Italiani agiati che vivevano fuori dell’Italia e suoi quali il movimento antifascista contava molto:

Siete [rivolto a Di Tella] un raro sostenitore fra i tanti amici abbienti che per lo più mascherano sotto il pretesto della paura la loro avarizia e non capiscono che non mai come in questo momento, se volessero, potrebbero mettere a frutto, morale certo, forse anche a frutto materiale, le loro inutili ricchezze. Quando il giorno verrà, e certamente verrà, che potrete uscire dall’anonimo (sempre rivolto a Di Tella) e potremo scrivere la storia di questi anni di passione, il vostro nome dovrà essere posto in ben chiara luce per avere voi di lontano, e senza alcuno immediato interesse egoistico, finanziato, quasi solo, e così efficacemente, il nostro modesto ma non inutile lavoro.25

Il sostegno di Di Tella figura nella lista delle sottoscrizioni pubblicate dalla Libertà sotto la dicitura « argentina », sotto diversi pseudonimi e in somme spezzettate per proteggere il suo unico sostenitore dalle ritorsioni del regime e per dimostrare che l’antifascismo era alquanto diffuso. Tra il 1928 e il 1931 Di Tella inviava alla Concentrazione, affinché essa potesse finanziare le attività editoriali, ben 419 000 franchi26. Le laute sovvenzioni di Di Tella servirono anche ad arricchire la biblioteca-archivio del giornale e a sottoscrivere i numerosi abbonamenti alla stampa fascista.

La Libertà usciva di scena nel 1934 in seguito ad una nuova ricomposizione delle forze antifasciste: l’alleanza dei socialisti con i comunisti italiani metteva un termine al cartello delle forze socialiste e socialdemocratiche e di riflesso al giornale, il loro strumento di coesione. Ad accelerare la sua chiusura contribuì, come già accennato, il grande deficit che il giornale aveva accumulato dal 1931, ossia da quando Di Tella, colpito dalla crisi economica, aveva rallentato le sottoscrizioni. Per tirare avanti e chiudere il bilancio del 1932 il giornale lanciava presso i lettori una sottoscrizione straordinaria pubblicando il 24 novembre 1932 quest’appello:

Noi siamo poveri, poveri, poveri; non abbiamo fondi segreti. Noi viviamo finanziariamente della sola attività industriale della Libertà e della sottoscrizione pubblica; noi contiamo esclusivamente sull’antifascismo. All’antifascismo noi ci rivolgiamo con sicura fiducia. Noi abbiamo bisogno di 30.000 franchi per chiudere il 1932. Noi abbiamo bisogno di 5000 nuovi abbonati (...). Questi, lo diciamo con tutta franchezza e fermezza, sono per noi necessità di vita.

La sottoscrizione straordinaria fruttò, come annunciato da La Libertà del 5 gennaio 1933, ben 50.000 franchi, insufficienti però ad assorbire il debito. La crisi economica riflettendosi su quella politica portava alla scomparsa del giornale.

Al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi di contagione del fascismo, sul pericolo che esso rappresentava per l’Europa le formazioni coalizzate nella Concentrazione fondavano nel 1928 Italia, un bollettino quindicinale in francese27. Nel 1930 venne anche stampata una versione in inglese, Italy Today a cura del gruppo londinese Friends of Italian Freedom. Venne progettata anche una versione in tedesco che non vide mai la luce. La versione francese aveva una tiratura di 3000 copie e veniva diffusa gratuitamente presso i membri del governo francese, le ambasciate straniere in Francia, gli organi di stampa francesi e stranieri. Il bollettino Italia fu in gran parte finanziato da Di Tella; esso scompariva nel 1932 quando le sottoscrizioni del generoso donatore calarono sensibilmente28.

I Repubblicani oltre ad essere attivi nella redazione della Libertà si esprimevano attraverso i loro propri giornali. Con l’esilio in Francia di alcuni leader di rilievo come Cipriano Facchinetti, Mario Pistocchi, Mario Bergamo, Aurelio Natoli, Randolfo Pacciardi veniva fondato a Parigi nel 1926 l’Italia del Popolo, l’organo della Federazione dei Repubblicani d’Europa diretto da Aurelio Natoli. Questo giornale oltre ad essere particolarmente attivo nella denuncia del fascismo, si fece l’eco delle posizioni della Concentrazione essendo un palese difensore dell’unione delle forze antifasciste in esilio. Quando però nel 1932 l’appoggio alla Concentrazione diventava pomo di discordia per i repubblicani, la corrente di sinistra che l’accusava d’immobilismo dava vita ad un nuovo quindicinale L’Iniziativa (1932-1933). I dibattiti teorici trovavano invece spazio sul mensile Problemi della Rivoluzione Italiana (1931-1939), una rivista aperta alla diversità d’opinione. In questa testata ritroviamo articoli firmati dal socialista Sandro Pertini, dal gellista Silvio Trentin, dall’ex-anarchico sindacalista Alceste De Ambris. Questa rivista attraverso il confronto e il dibattito favorì l’avvicinamento tra i repubblicani di sinistra e i socialisti. Di rilevante profilo intellettuale venne pubblicata prima a Marsiglia, poi a Nancy.

Il partito repubblicano per ricollegarsi con il mondo degli emigrati italiani, dal quale si era separato a causa delle sue lacerazioni interne creava a Parigi nel 1937 un’ultimo giornale, il settimanale La Giovane Italia, pubblicato fino al 194029.

Fig.05

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giovane italia

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giustizia e libertà

Nel 1929 nasceva a Parigi una nuova formazione, Giustizia e Libertà, e con essa il panorama pubblicistico antifascista si arricchiva di un nuovo titolo: Quaderni di Giustizia e Libertà30, creati nel 1932 e diretti da un giovane intellettuale, Carlo Rosselli. Questa rivista si contraddistingueva dalla pubblicistica antifascista perchè si contrapponeva in egual misura sia al conformismo dei socialisti moderati che al marxismo del PCI. I Quaderni, specchio del movimento omonimo, erano il luogo in cui veniva tracciata una terza via politica, alternativa sia al comunismo che al liberalismo. Attraverso il sincretismo delle due dottrine e prelevando il meglio da entrambe, la rivista elaborava una terza corrente di pensiero, il liberal socialismo. Dal liberalismo attingeva le libertà universali, il principio di sussidiarietà, la collegialità, la piena realizzazione dell’individuo e dal socialismo la solidarietà, l’equità, il senso del bene comune.

La rivista era contemporaneamente teorica e pragmatica essendo il luogo in cui veniva tratteggiata la società futura e venivano proposte misure concrete per lottare contro il fascismo. Innalzando la lotta eroica del Risorgimento a modello d’azione, la rivista proponeva che la liberazione dal fascismo avvenisse attraverso la costituzione di un esercito di valorosi esiliati, armati dalle potenze democratiche europee, in primis dalla Francia. In controtendenza con le posizioni della Concentrazione i Quaderni sostenevano che l’azione antiregime andava condotta sul territorio italiano preparando clandestinamente le masse all’insurrezione. Quest’azione andava completata con una rivoluzione antifascista consistente in un ricambio integrale della classe dirigente pre-fascista perché ritenuta responsabile dell’avvento del regime e in un superamento del partito come strumento d’organizzazione politica. Per i Quaderni nessun partito era ormai in grado di proporre un autentico cambiamento politico-sociale, il cui ruolo veniva attribuito a dei nuclei sociali fortemente coesi, comitati di fabbrica, di contadini o di quartiere. I Quaderni ambivano a preparare la nuova classe dirigente che avrebbe dovuto guidare il cambiamento in Italia, un’avanguardia politica che essi desideravano energica e ricca di idee31.

La stigmatizzazione della classe politica prefascista e la rimessa in questione del ruolo dei partiti valse alla rivista non pochi detrattori tra i quali i comunisti per i quali i Quaderni esprimevano posizioni meramente « utopiche, intellettualmente sterili, piccolo borghesi, antimarxiste »32. I Quaderni, per non separarsi della realtà italiana, venivano distribuiti clandestinamente e gratuitamente nella penisola. Quando nel 1935 essi decidevano di concludere il loro ciclo di pubblicazione la loro linea editoriale veniva ripresa da un nuovo periodico gellista dal titolo Giustizia e Libertà. Movimento unitario d’azione per l’autonomia operaia, la repubblica socialista, un nuovo umanesimo. In continuità con i Quaderni nel numero del 15 giugno 1934, possiamo infatti leggere: « […] il nostro compito è di formare i quadri del movimento GL, di parlare alla massa, di stabilire un legame ideale tra emigrazione e movimento in patria, preparare l’antifascismo emigrato ai compiti che riserba l’Italia di domani »33. Questo periodico che aveva cominciato le sue pubblicazione nel 1934 uscì fino al 1940.

Tra gli esuli vi erano anche degli esponenti del Partito Popolare che pur non essendo organizzati politicamente continuarono individualmente a fare politica e a svolgere un’attività pubblicistica. Giuseppe Donati, ex direttore del Popolo, organo molto vicino al PPI, nel 1926 fondava a Lyon insieme a Ricciotti Garibaldi e Carlo a Prato il Corriere degli Italiani34, una tribuna che nasceva sulla falsa riga di un piccolo giornale commerciale. Trasportato, qualche mese dopo, a Parigi assumeva un contenuto meramente politico e nella sua redazione entravano profughi di altri orizzonti, il repubblicano Mario Pistocchi e i socialisti Oddino Margari e Francesco Frola accomunati dall’idea che l’antifascismo aventiniano fatto di passività e di rassegnazione andava superato con un’azione rivoluzionaria « […] serissima e profonda ». Il Corriere, se dalle sue colonne stigmatizzava l’antifascismo verbale, pur tuttavia mal definiva le azioni da compiere contro il fascismo. All’impalpabilità del suo piano d’azione faceva da contrappeso la sua intolleranza nei confronti degli antifascisti aventiniani ai quali il giornale chiedeva di avere l’accortezza di farsi da parte o addirittura di scomparire per un certo tempo dalla scena politica. In un articolo dell’8 luglio 1927 dal titolo « Processare l’antifascismo vuol dire purificarlo », il Corriere scriveva, « […] i vecchi uomini, il vecchio sistema sono zavorra ingombrante che ostacola ogni azione e impedisce il sorgere di energie nuove ».

L’avversità verso la vecchia guardia antifascista ritorna nel Corriere come un leitmotiv. In un altro articolo del 18 agosto 1927 dal titolo « Verso un definitivo orientamento delle forze sane dell’antifascismo », si legge, « [...] il fuoruscitismo non tarlato da ambizioni, da suscettibilità vane, da arbitrari monopoli, da meschine e vecchie viltà, deve purificando e armonizzando l’ambiente, occupare il suo posto decisivo nella lotta contro il fascismo ».

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corriere degli italiani

Fig.08

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becco giallo

Il Corriere non solo faceva pesare la tragedia italiana sulle spalle della vecchia classe dirigente preliberale costitutiva del movimento antifascista esule in Francia ma l’accusava di favorire il fascismo con le sue divergenze e disunioni. Quest’antifascismo definito da questa tribuna « settario e litigioso » andava combattuto alla stregua del fascismo. L’asprezza dei toni e le difficoltà economiche fecero di questa testata un giornale di facile infiltrazione fascista. Ci furono effettivamente dei tentativi da parte dell’ambasciata italiana a Parigi d’accaparrarsi il giornale.

Il tono polemico si accentuava con la fuoriuscita, nel febbraio 1927, di Donati e con l’entrata nel consiglio d’amministrazione di esponenti del mondo della finanza francese e del grande gruppo chimico italiano, SNIA Viscosa. La martellante campagna contro i partiti antifascisti, l’insulto nei confronti dei suoi responsabili, l’enfatizzazione della violenza come metodo di lotta fece del Corriere degli Italiani un giornale sempre più isolato e mal tollerato non solo negli ambienti del fuoriuscitismo ma persino dalle autorità francesi le quali, nel dicembre del 1927, sospendevano le sue pubblicazioni35 .

Con questa misura la Francia, secondo alcuni, spegneva una voce che rappresentava un’antifascismo « spregiudicato », secondo altri metteva a tacere coloro che erano insoddisfatti dell’azione dei partiti, che si collocavano al fuori dalle organizzazioni tradizionali e che non avevano nessun punto di riferimento politico. La chiusura del giornale non suscitò rimpianto nel mondo del fuoriuscitismo ormai liberato da un giornale che veniva percepito come ostile e discreditante del movimento antifascista. Non è però da escludere che Il Corriere sia stato oscurato su richiesta di Roma avendo questo giornale toni molto polemici anche nei confronti del fascismo. È anche plausibile che sulla sua sospensione avesse pesato l’avvicinamento della Francia all’Italia fascista questione sulla quale il giornale era molto critico.

La linea editoriale del Corriere degli Italiani veniva ripresa con toni più dimessi da Donati nel giornale Il Pungolo che egli animò insieme a penne prestigiose come quella di Silvio Trentin tra il 1928 e il 1929. Il Pungolo convinto che il fascismo avesse trionfato a causa del deficit di moralità e di senso civico degli Italiani, per debellare il regime faceva perno sull’educazione morale e civile dei transalpini. Il fascismo, per questo giornale era il prodotto stesso del carattere degli Italiani, dei loro comportamenti faziosi e particolaristici. L’esilio veniva inoltre visto da questo giornale come salutare per rifondare su solide basi morali una nuova classe politica.

La stampa anarchica insieme alla stampa comunista fu molto prolifera perchè la più censurata; molti titoli pubblicati in Francia sono costituiti da pochissimi esemplari se non addirittura da numeri unici. Gli anarchici essendo con i comunisti tra i primi a trovare rifugio in Francia già nel 1923 pubblicavano La Voce del Profugo, nel 1924 Campane a Stormo e tra il 1923-1925 il settimanale La Rivendicazione. A questi primi fogli parteciparono anche alcuni sindacalisti della CGDL, dell’USI (Unione Sindacale Italiana) e dei socialisti massimalisti. Successivamente nacquero giornali integralmente anarchici, Il Monito nel 1925, L’Agitazione, La Diana, Fede, nel 1926 e Lotta Umana nel 1927, fondata dai seguaci di Enrico Malatesta. In questa rivista destinata all’Italia, veniva espressa la loro viva opposizione all’antifascismo riformista sostenuto dalla Concentrazione. Nel 1929, con l’espulsioni dalla Francia dei suoi redattori la rivista venne sospesa. La sua linea editoriale veniva ripresa nel 1931 da Lotta Anarchica, organo dell’Unione Comunista Anarchica dei Profughi Italiani in cui si teorizzava sull’insurrezione armata contro il fascismo. Tale rivista era diretta da Camillo Berneri, un brillante intellettuale, assassinato in Spagna, nel maggio 1937 durante la guerra civile, su ordine degli stalinisti. Negli anni trenta vi fu una ripresa delle pubblicazioni anarchiche con Lotte Sociali (1933-1935), La Lanterna e Umanità Nova. La presenza di gruppi anarchici nelle grandi città francesi fece nascere dei fogli locali come Non Molliamo a Marsiglia, nel 1927, concepito per essere diffuso anch’esso in Italia36.

Tra le testate censurate in Italia e ripubblicate in Francia va menzionato Il Becco Giallo37, un settimanale satirico riapparso nel 1927 a Parigi per essere diffuso clandestinamente in Italia. La sua durata fu alquanto breve, in effetti scompariva nel 1931 per mancanza di fondi.

Nell’ambito della stampa antifascista vi sono anche delle assenze; la LIDU, una delle organizzazioni italiane tra le più note tra gli emigranti e gli esuli, non ebbe un suo organo di stampa scegliendo d’esprimersi prima attraverso la testata unitaria degli antifascisti, la Libertà, poi attraverso la rivista della sua omologa francese, Cahiers des Droits de l’Homme38.

Il panorama sui mezzi d’informazione antifascista comprende anche la stampa sindacale. Le leggi fascistissime del 1926 portavano allo scioglimento forzato dei partiti ma altresì delle due maggiori organizzazioni sindacali, l’USI e la CGDL. Quest’ultima nello sciogliersi conobbe una scissione: la corrente dominata dai comunisti decideva di entrare nella clandestinità e di rimanere quindi in Italia mentre la corrente di matrice socialista seguiva i quadri del partito e trovava riparo a Parigi dove si ricostituiva all’interno della CGT francese e fondava un suo organo di stampa, L’Operaio Italiano.

Questo giornale si proponeva da un lato di far crescere tra gli emigrati italiani la coscienza democratica – considerata una condizione fondamentale per l’esercizio della libertà sindacale – e dall’altro di spingerli a rispettare le regole sociali del paese d’accoglienza e a solidarizzare con lavoratori francesi onde evitare l’isolamento e il crumiraggio. Il settimanale sindacale ebbe però una diffusione alquanto limitata, non superando i 1500 abbonati39. L’Operaio Italiano, diretto da Bruno Buozzi, veniva pubblicato grazie al contributo della Federazione Internazionale degli Edili affiliata alla Federazione Sindacale Internazionale con sede ad Amsterdam. Il suo deficit di 70 000 franchi venne da essa appianato attraverso una sottoscrizione internazionale40.

Sebbene la corrente comunista della CGDL avesse scelto di continuare a svolgere la sua attività, in maniera sotterranea in Italia, si ricostituiva anch’essa a Parigi e dava vita, tra il 1928 e il 1939, a Battaglie Sindacali, giornale nel quale denunciava la politica antiproletaria del fascismo, i suoi metodi brutali, sensibilizzava gli emigrati italiani alla difesa delle vittime fasciste41. Battaglie Sindacali, al pari dell’Operaio Italiano, faceva della solidarietà tra emigrati italiani e lavoratori francesi un valore cardine.

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battaglie sindacali

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parola degli italiani

Il Movimento antifascista fu costituito anche da donne, dalle compagne, le moglie, le figlie degli esuli che svolsero, sia pure molto spesso nell’ombra dei loro uomini, una vera attività politica e pubblicistica. Nel 1933, Teresa Noce, alias Estella, compagna di Luigi Longo, riceveva l’incarico dal Comitato Mondiale delle Donne contro la guerra e il fascismo, – un organismo controllato dall’Internazionale Comunista – di organizzare le donne italiane in un movimento antifascista. Questo Comitato finanziò in gran parte la rivista del movimento neo nascente, La Voce delle Donne, pubblicata a Parigi tra il 1934 e il 1937, anno in cui prese il nome di Noi donne42. Questa seconda rivista diretta da Xenia Silberberg, alias Marina moglie del leader comunista Emilio Sereni, divenne l’organo dell'Unione Donne Italiane (UDI), ossia l'associazione affiancata all’Unione Popolare Italiana (UPI). Questa rivista aveva il compito di fare delle donne italiane una forza d’urto contro la politica bellicosa fascista e una risorsa in favore della pace. Con la liberazione dell’Italia meridionale la redazione di Noi donne veniva trasferita a Napoli e dal luglio 1944 diventava la rivista di riferimento del movimento femminile italiano rimasta tale fino alla sua scomparsa avvenuta nel 2000.

Lo scoppio del conflitto mondiale, il patto di non aggressione tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica dell’agosto 1939 nonché l’entrata in guerra dell’Italia, nel 1940 contro le democrazie occidentali, ebbero un impatto dirompente sulla stampa antifascista. In seguito a questi drammatici eventi i partiti antifascisti che avevano trovato rifugio in Francia venivano sciolti, la fragile unità antifascista si lacerava, alcuni rifugiati riprendevano la via dell’esilio mentre altri furono incarcerati e internati. Nel giro di pochi mesi la stampa antifascista si disintegrava a causa delle divisioni interne, del disorientamento ma soprattutto dell’azione repressiva del governo francese.

Agli inizi del 1940 il gruppo dirigente comunista si ricostituiva clandestinamente e nel tentativo di ricollegarsi alla sua base smarrita e scoraggiata dal patto germanico-sovietico dava vita a Parigi, ad un foglio, anch’esso clandestino, Lettere di Spartaco43. Il PCI identificandosi al mitico gladiatore dell’antichità che aveva capeggiato la rivolta degli schiavi contro la Roma imperiale continuò, attraverso questo foglio, a condurre la sua lotta contro il fascismo e quei paesi occidentali considerati delle potenze imperialiste. Fino al 1941, ossia fino all’aggressione nazista dell’URSS, Lettere di Spartaco continuò ad esprimere la fedeltà del PCI all’Unione Sovietica e all’Internazionale Comunista.

A questo primo foglio clandestino diffuso fino al 1943 si affiancò tra il 1942 e il 1944 un secondo foglio, La Parola degli Italiani44, diffuso in un nuovo contesto: l’occupazione nazista della Francia e la rottura del patto nazi-sovietico. Attraverso questo ciclostilato gli emigrati italiani venivano esortati a rifiutare il lavoro coatto nelle fabbriche tedesche e ad entrare nella Resistenza francese non solo per solidarietà nei confronti del paese ospite ma per accelerare la sconfitta del nazi-fascismo.

Il 14 luglio del 1942 a Toulouse usciva sempre clandestinamente il primo numero di Libérer et Fédérer, organo di un movimento di resistenza locale costituito da intellettuali molto vicini al partito socialista francese dell’epoca, la SFIO (Section français Internationale Ouvrière). Questo giornale pur essendo francese ebbe tra i massimi ispiratori Silvio Trentin, figura di spicco dell’antifascismo non comunista, parlamentare e docente di diritto all’università di Venezia. Quando nel 1926 perdeva la sua cattedra si esiliava dapprima nelle campagne del Sud-Ovest francese, nel Gers, poi nel 1934, a Toulouse dove apriva la Libreria du Languedoc ben presto diventata luogo d’incontro e di dibattito degli intellettuali tolosani. È in questa libreria che nel 1941 il gruppo clandestino Libérer et Fédérer diede origine al giornale omonimo.

Questo giornale aveva due obiettivi, liberare la Francia e definire la società del domani. Per questo secondo obiettivo il gruppo si ispirò al pensiero di Silvio Trentin il quale aveva consacrato i suoi anni d’esilio a definire una nuova società45. Uno degli aspetti più innovativi del suo pensiero era il federalismo da applicare sia sul piano istituzionale che sociale46. Trentin proponeva di federare i popoli Europei onde evitare nuove guerre; federare nei singoli spazi nazionali operai, contadini, ceto medio, intellettuali al fine di creare una società armoniosa e non conflittuale. Il federalismo veniva proposto come strumento di pace, di civiltà, di maggiore concordia tra ceti sociali e popoli. Il gruppo tolosano fece proprio questa visione della società e dello Stato elaborata da Trentin e la divulgò attraverso il giornale Libérer et Fédérer al quale il medesimo Trentin partecipò attivamente fino al 1943, anno in cui rientrava in Italia per partecipare alla resistenza nella sua regione d’origine47. Libérer et Fédérer continuò ad uscire fino al 14 aprile 1944 grazie alla collaborazione della tipografia Lion. Quando i gestori di questa tipografia furono deportati, il giornale venne stampato clandestinamente dalla tipografia Castelvi. Nonostante le grandi difficoltà e i gravi rischi Libérer et Fédérer riuscì a pubblicare 14 numeri con una tiratura di 20 000 esemplari48.

La vivacità e l’originalità della stampa antifascista nel Sud-Ovest

L’attività pubblicistica antifascista fu alquanto vivace anche in provincia, ossia nelle zone in cui gli esuli trovarono rifugio e in particolar modo nel Sud-Ovest dove vennero fondati ben tre settimanali politici e altrettante riviste agricole.

Molti fuoriusciti esuli nel Sud-Ovest avendo in Italia operato nell’ambito della cooperative agricole sin dal loro arrivo, nel 1924 crearono con i contadini veneti emigrati in quel territorio delle associazioni agricole finalizzate all’acquisto e alla vendita collettiva di prodotti agricoli, attrezzi e macchinari da lavoro. Questi fuoriusciti accompagnarono queste iniziative con l’ideazione di una stampa specializzata che avrebbe permesso a questi contadini di conoscere sia i metodi tradizionali in voga localmente sia le tecniche dell’agricoltura moderna. La loro erudizione avrebbe non solo favorito la loro emancipazione sociale ed economica ma altresì permesso la valorizzare della loro immagine agli occhi dei Francesi e conseguentemente la loro integrazione.

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fédérer et libérer

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agricoltore FI

Queste testate agricole furono dirette da agronomi italiani e francesi i quali oltre ad impartire vere lezioni d’agricoltura informavano i contadini sulle norme in vigore in materia agricola, sociale e contrattuale. Queste riviste talvolta bilingue pubblicavano anche informazioni di servizio ossia i prezzi delle derrate, le date delle fiere, gli annunci di compra-vendita di terreni, le offerte di lavoro. La prima testata, l’Agricoltore Franco-Italiano, venne creata ad Agen nel 1925 da due agronomi italiani antifascisti i quali si avvalsero della collaborazione di tecnici agricoli locali. Per agevolare l’integrazione degli emigrati dalle sue colonne venivano impartite anche lezioni di francese, veniva pubblicato periodicamente un glossario agricolo e a puntate anche la storia di Francia. Questa testata veniva assorbita nel 1926 dal giornale politico L’Attesa, della quale parleremo più avanti. Questo giornale sin dal suo nascere per attirare a sé i contadini emigrati localmente prevedeva delle pagine consacrate ai lavori agricoli.

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voce dei campi

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mezzogiorno

Nel 1926, un giornalista italiano antifascista, Antonio Bettinardi insieme ad un farmacista francese, creava a Montauban la Voce dei Campi. Questo giornale agricolo pubblicato sia in italiano che in francese aveva ben tre edizioni nel Lot-et-Garonne, nel Tarn-et-Garonne e nella Haute-Garonne.

Nel 1929, negli ambienti antifascisti del tolosano maturava un’ultima rivista agricola L’Informatore, emanazione dell’Istituto di Credito Agricolo, fondato dagli antifascisti per permettere ai contadini italiani di accedere più facilmente al credito. La pubblicistica agricola di matrice antifascista destò l’attenzione dei fascisti locali che risposero a queste iniziative sia tentando una loro fascistizzazione come avvenne nei confronti della Voce dei Campi sia concorrenziandole. Nel 1927 a Toulouse nasceva una rivista agricola fascista, il Consorzio Agrario, organo della società agricola omonima, pubblicata fino al 192949.

L’impegno del nutrito gruppo dei fuoriusciti rifugiati nel Sud-Ovest sul versante politico fu altrettanto intenso. Il 10 ottobre del 1925 veniva pubblicato a Tolosa il primo numero de Il Mezzogiorno50 un organo fondato da un gruppo politicamente variegato; lo spettro andava dai Socialisti Riformisti ai Socialisti Massimalisti passando dai Repubblicani progressisti e i Liberalsocialisti. La maggior parte degli articoli erano effettivamente firmati dai riformisti Francesco Ciccotti, Enrico Cuzzani, Adelmo Pedrini, Ernesto Caporali, Francesco Frola, Giovanni Faraboli, dal liberalsocialista Luigi Campolonghi, e dall’anarco-sindacalista Alceste De Ambris che ne assunse la direzione.

Quasi tutti i collaboratori della redazione avevano avuto delle esperienze sindacali. Il Mezzogiorno veniva fondato ancor prima che questo gruppo di profughi desse vita nel Sud Ovest alle prime organizzazioni politiche e sindacali segno di quanto la stampa venisse considerata un mezzo privilegiato d’aggregazione e di mobilizzazione antifascista. La spinta alla creazione del giornale veniva altresì dalla ritrovata libertà di stampa esistente in Francia.

Il Mezzogiorno è da considerarsi tra i primissimi, se non il primo, giornale fondato da profughi appartenenti alla vasta area del socialismo; nel 1925 a Il Mezzogiorno faceva da sfondo in Francia solo la stampa comunista ed anarchica. Questo giornale nasceva quindi per permettere anche ai rifugiati di quest’aria di avere uno strumento d’informazione e uno spazio politico nel quale identificarsi. Al di là di quest’obiettivo il gruppo redazionale ambiva a diffondersi il più largamente possibile tra gli emigrati non politicizzati, per dar loro una coscienza antifascista, per farne un movimento di opposizione al regime o per evitare che cadessero sotto l’influenza delle istanze fasciste.

In questo scenario occupare lo spazio pubblico per degli esuli professionisti della politica e della comunicazione diventava una necessità che fu assecondata grazie al sostegno materiale e tecnico ottenuto dai socialisti di Toulouse i quali misero a loro disposizione la tipografia e il personale tecnico che stampava il loro organo di stampa, il Midi Socialiste51. Effettivamente Il Mezzogiorno e la testata locale socialista venivano stampati nella medesima tipogafia, la Société Meridionale, che era, a sua volta, amministrata dal socialista, Henri Berlia, vice sindaco di Toulouse. È in quest’appoggio che va probabilmente ricercata la ragione per la quale il giornale adottò un nome che oggi ci appare generico e privo d’identità politica e culturale. La documentazione d’archivio rivela che Il Mezzogiorno era in parte sostenuto dalla cooperativa edile italiana con sede a Toulouse, La Bassa Parmense, la quale aveva il compito di devolvere una parte dei suoi proventi al movimento antifascista.

Il Mezzogiorno era un organo indipendente dai partiti e come tale fungeva da luogo di confronto tra forze antifasciste nell’intento di creare un movimento d’opinione vasto e compatto. L’unione antifascista era per questo giornale il presupposto necessario affinchè l’Italia potesse ritrovare al più presto i diritti fondamentali dell’uomo e reintegrare così la comunità dei popoli civili. Dare un nuovo futuro all’Italia fu una delle maggiori preoccupazione del giornale; dalle sue colonne vennero esposti e dibattuti i diversi progetti propri alle varie forze in campo e lo stesso giornale elaborò un progetto di governo alquanto singolare: anziché ai partiti, Il Mezzogiorno riteneva che le redini del governo andassero attribuite ai sindacalisti, gli unici soggetti ad avere una profonda conoscenza della realtà, ad essere radicati nel tessuto sociale, ad avere uno spirito pragmatico, elementi considerati indispensabili per poter adottare delle politiche più rispondenti alle esigenze della società e in particolare dei lavoratori52. Questa proposta non era affatto estrosa per una redazione costituita da soggetti provenienti dall’ambiente sindacale.

Il dibattito fu, in questo giornale, sempre molto misurato e pacato, stile che contraddistinse questa tribuna da altri giornali antifascisti coevi che ben volentieri adottavano toni particolarmente aggressivi e minacciosi. Stando ai dati che il prefetto di Toulouse comunicava al Ministro degli Interni francese, sin dal secondo numero, il giornale stampava ben 7000 esemplari ed aveva 500 abbonati53. La sua diffusione crebbe ulteriormente: a cinque mesi dal suo debutto, il giornale dalle sue colonne affermava di stampare ben 12 000 copie, di avere tra i 20 000 e i 30 000 lettori e d’essere in vendita in ben oltre 800 località francesi, belghe e lussemburghesi54. Un diffusione così elevata e territorialmente estesa faceva de Il Mezzogiorno il giornale maggiormente letto dagli antifascisti socialisti e lo rimase anche quando a Parigi ripresero le pubblicazioni de L’Avanti, l’organo del partito socialista.

I soddisfacenti risultati inerenti alla diffusione vennero offuscati dalle difficoltà finanziarie; a soli pochi mesi dalla sua nascita il giornale accusava un deficit di 10 000 franchi che la redazione sperava di colmare grazie alla generosità, al senso di solidarietà e di responsabilità dei propri lettori55. Le sue pubblicazione s’interrompevano definitivamente con il numero del 26 marzo 1927 senza neppure una parola di congedo per i lettori, senza alcun commento sulla stampa antifascista. Il suo eclissarsi nel silenzio è alquanto emblematico. Sapendo quanto fosse dissestata la sua situazione finanziaria è legittimo pensare che le sottoscrizioni non furono sufficienti a salvare il giornale. Da un presa in considerazione del contesto possiamo ipotizzare anche una causa d'ordine politica, la creazione dell’organizzazione unitaria antifascista tanto attesa dalla stessa redazione del giornale. Mentre andava in macchina quello che sarebbe stato l'ultimo numero del Mezzogiorno si apriva a Parigi il congresso nazionale della LIDU dove venivano gettate le basi della Concentrazione Antifascista e si decideva di munire questo nuovo soggetto politico di un proprio organo di stampa, La Libertà.

È palese che nel piccolo e poco agiato mondo del fuoriuscitismo e dell’emigrazione non vi era spazio per due giornali aventi la stessa sensibilità e la stessa missione. Gli esponenti di punta dell’antifascismo avendo deciso di avere un nuovo forum di fatto stabilivano che tutti gli sforzi, tutte le risorse finanziarie ed intellettuali dell’area socialista e repubblicana dovevano essere concentrate sulla nuova testata verso la quale andavano convogliati anche tutti i lettori delle medesime tendenze. La nascita del giornale La Libertà di fatto sanciva l’uscita di scena de Il Mezzogiorno.

Nel Sud-Ovest Il Mezzogiorno non fu un’esperienza editoriale isolata; nel novembre del 1926 ad Agen usciva un altro giornale antifascista L’Attesa56, titolo che tendeva a riassumere un certo stato d’animo e la condizione dell’esule: aspettare il crollo di quel sistema politico che lo aveva reso errante, attendere di poter rientrare in Italia da uomo libero. Un’attesa che gli autori della nuova testata concepivano come la più attiva possibile e che intendevano accorciare informando l’opinione pubblica, sensibilizzandola e mobilizzandola.

Questa nuova tribuna antifascista, al pari del Mezzogiorno, sorse anch’essa grazie alla solidarietà francese e più precisamente al sostegno di Pierre Saint Lannes, direttore del quotidiano L’Indépendant du Lot-et-Garonne e del bollettino agricolo Le Garonnais. Saint Lannes in virtù delle sue convinzioni radical-socialiste, accettava di mettere a disposizione dei fuoriusciti da tempo presenti nel dipartimento e noti per la loro vivacità intellettuale il suo settimanale agricolo. Le Garonnais si trasformava così ne L’Attesa e la direzione veniva assunta da Oreste Ferrari, un giovane antifascista d’origine piemontese insofferente alle disquisizioni teoriche, ai discorsi dogmatici, alle critiche astratte. Egli fondava quindi un giornale dallo stile chiaro, semplice, concreto, accessibile ai contadini emigrati poco istruiti e scarsamente politicizzati.

Il pragmatismo di questa nuova tribuna si traduceva in un’informazione focalizzata sulla denuncia metodica degli atti illeciti e scellerati compiuti dal regime in particolar modo contro gli esponenti del mondo cattolico – deputati del Partito Popolare, autorità ecclesiastiche, parroci del Nord-Est dell’Italia, ossia dei luoghi d’origine degli Italiani emigrati nel Sud-Ovest – personalità talvolta a loro ben note e alle quali essi riconoscevano grande autorevolezza57. Nel focalizzare l’informazione sulla violenza fascista sferrata nei luoghi o contro persone che avevano un grande valore affettivo e simbolico, L’Attesa pensava di suscitare tra i propri lettori un’ostilità ben più intensa di quanto non potessero generare le forbite analisi sulle origini e la natura del fascismo.

Il senso pratico, la chiarezza, la fermezza erano le coordinate entro le quali L’Attesa si muoveva anche quando affrontava la questione del come e del chi avrebbe determinato la caduta del regime. La sola chiave di volta dell’implosione del sistema era, per questa testata, la delegittimazione del regime attraverso un’opposizione compatta degli antifascisti, una lotta condotta sotto un’unica bandiera, la più generica possibile58. Questa tribuna iniziava il suo percorso stampando settimanalmente 1000 copie portate, alcuni mesi dopo, a 2000, quantità non trascurabile rispetto al numero d’Italiani presenti nel 1926 nel Lot-et-Garonne, 7000 tra minori ed adulti, quest’ultimi non tutti alfabetizzati ed avvezzi all’informazione. La diffusione de L’Attesa non era così irrilevante se comparata alle grandi testate socialiste parigine59.

L’uscita di questo giornale suscitava vive reazioni negli ambienti fascisti locali. Ricordiamo che Agen nel 1926 era sede di un vice-consolato, di un fascio e di un’associazione degli ex-combattenti. Questi ambienti recepivano la nuova testata come un atto provocatorio. Le polemiche che ne seguirono, l’aggressione fisica di Oreste Ferrari ad opera di facinorosi locali, la denuncia, i tafferugli tra fazioni opposte vennero mal tollerate dai poteri pubblici francesi. Il prefetto vide in questo giornale un elemento di rottura della quiete che regnava nel dipartimento e nella comunità emigrata italiana60.

A soli cinque mesi dalla sua nascita L’Attesa scompariva, molto probabilmente, in nome della pace sociale invocata delle autorità pubbliche francesi. Essa si estinse in concomitanza con Il Mezzogiorno e a pochi giorni dal famoso congresso della LIDU dal quale sarebbe nato il cartello delle forze antifasciste. Non ci sembra azzardato presumere che l’unità del fuoriuscitismo finalmente raggiunta e così caldamente sostenuta anche da L’Attesa andava a vanificare, agli occhi del suo direttore, l’esistenza delle tante voci periferiche. Anche se l’unione non avveniva sotto la bandiera della LIDU come avrebbe voluto questa testata, rappresentava comunque una svolta nell’ambito dell’antifascismo che valeva la pena appoggiare anche a costo di sacrificare sull’altare dell’unità i canali informativi attraverso i quali s’esprimeva la vivacità intellettuale dei fuoriusciti del Sud-Ovest.

Fig.15

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attesa

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intendiamoci

L’ultima impresa pubblicistica veniva intrapresa nel Sud-Ovest nel marzo del 1931 quando a Toulouse veniva pubblicata prima col nome di Lidu, poi di Intendiamoci ! l’organo di stampa dell’organizzazione omonima locale61. Più che un giornale d’informazione esso era un bollettino interno. In effetti questo foglio era diffuso gratuitamente ai militanti e agli iscritti di tutte le sezioni LIDU presenti sul territorio francese. Questa pubblicazione diretta dalla componente socialista e repubblicana più radicale del Sud-Ovest nasceva per contrastare l’immobilismo politico dei vertici riformisti parigini della Concentrazione, ritenuti responsabili – a causa del loro immobilismo, del loro legalismo, della loro prudenza – di soffocare la parola, di stroncare l’azione, d’imporre in maniera autoritaria la propria linea. Il bollettino Intendiamoci! (nel senso di « discutiamo ! ») nasceva per dare la parola a tutte le voci escluse dal giornale La Libertà a causa dell’ostruzionismo dell’oligarchia riformista.

Per i redattori di questo giornale, Ettore Cuzzani, Augusto Mione, Oreste Ferrari, molto vicini al movimento Giustizia e Libertà, il dibattito leale, il confronto aperto, l’opposizione costruttiva, il rispetto della diversità d’opinione era un metodo irrinunciabile dell’antifascismo perchè essenza stessa della democrazia. Pur di rifuggire dall’uniformità di pensiero e spingere i riformisti a praticare la democrazia dalla loro tribuna si dicevano pronti a « […] frantumare in mille pezzi qualche idolo caro alle masse e ad affondare il bisturi nel corpo della Concentrazione »62.

L’ultimo numero di Intendiamoci! usciva il 29 luglio 1931, dopo solo sei pubblicazioni. La scomparsa avveniva a ridosso del congresso annuale della LIDU nel quale i fuoriusciti del Sud-Ovest avevano riposto molte speranze di cambiamento. Essi si aspettavano un affrancamento del movimento antifascista dall’influenza dei vertici riformisti. Questo congresso, al pari dei precedenti, si concludeva invece con un nulla di fatto. All’indomani del congresso, Intendiamoci! non ricompariva. Scoraggiamento, logoramento, subordinazione forzata alla volontà della maggioranza? Il materiale d’archivio tace.

Da questo breve panorama emerge con evidenza che la stampa antifascista pubblicata in Francia rappresenta una fonte primaria di grande importanza per la conoscenza del movimento antifascista in tutte le sue sfaccettature oltre che essere una prova fattuale della sua vitalità. L’insieme del materiale giornalistico ritrae come in un gioco di specchi le divisioni interne al movimento antifascista, le difficoltà a costituire un’opposizione efficace al fascismo, l’insanabile frattura tra vecchia classe dirigente dell’età liberale e le nuove leve intellettuali così come il profondo impegno contro il fascismo e i fascismi, la ricchezza delle idee, dei dibattiti e dei progetti per un’Italia futura. I fogli, le riviste via via passate in rassegna ci restituiscono la parabola di quel movimento nel quale si formò in parte la nuova classe dirigente italiana.

Note de fin

1 La bibliografia sull’avvento del fascismo e la sua controffensiva antidemocratica essendo molto vasta ci limitiamo a citare solo qualche titolo: Renzo DE FELICE, Mussolini il fascista. La conquista del potere.1921-1925, vol.2, Einaudi, ed. 1995; Angelo TASCA, Nascita e avvento del fascismo. L’Italia dal 1918 al 1922, vol.1, Laterza, edizione del 1976; Franco DELLA PERUTA, Ettore LEPORE, (a cura di), Storia della società italiana. La dittatura fascista, vol.22, Milano, Teti, 1982; Salvatore LUPO, Il fascismo. La politica in un regime totalitario, Roma, Donzelli, 2000; Emilio GENTILE, Il partito e lo Stato nel regime fascista, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1995.

2 A proposito dell’esilio in Francia e dell’attività antifascista cfr: AAVV, L’Italia in esilio. L’emigrazione italiana in Francia tra le due guerre, Roma, Istituto Poligrafico di Stato, 1984; Aldo GAROSCI, Storia dei fuoriusciti, Bari, Laterza, 1953; Simona COLARIZI, L’Italia antifascista dal 1922 al 1940, Bari, Laterza, 1976; Santi FEDELE, Il retaggio dell’esilio. Saggi sul fuoriuscitismo antifascista, Catanzaro, Rubettino, 2000; Simonetta TOMBACCINI, Storia dei fuoriusciti italiani in Francia, Milano, Mursia, 1988. Per una bibliografia molto più approfondita rinvio al saggio: Carmela MALTONE, Exil et Identité. Les antifascistes italiens dans le Sud-Ouest de la France, 1924-1940, Bordeaux, PUB, 2006.

3 Il censimento si presenta sottoforma di dattiloscritto non datato con un titolo scritto a mano Elenco dei periodici prodotti dall’emigrazione italiana in Francia negli anni venti e trenta. E’ conservato presso l’archivio dell’INSML situato a Milano.

4 Sulla questione dei canali d’informazione con l’Italia è illuminante uno stampato Per comunicare con i fuoriusciti, Archivio Centrale di Stato (ACS), Ministero Interno, Direzione generale di Pubblica Sicurezza (Dir. Gen. PS), Affari Generali (Aff.Gen), F 4, busta (b.) 52, fascicolo (fasc.) I, La Libertà.

5 Lettera del 5 luglio 1931, Fondo Tarquato Tella, Buenos Aires, fonte citata in Bruno TOBIA, « Il problema del finanziamento della Concentrazione d’azione antifascista negli anni 1928-1932 », in Storia Contemporanea, n°3, 1978, p. 462.

6 Di questi fogli rimangono solo alcuni numeri dispersi tra l’Archivio Nazionale del Partito comunista italiano « Istituto Gramsci » di Roma, la Fondazione Feltrinelli Studi Storici di Milano, l’Archivio Centrale di Stato di Roma e l’Istituto Nazionale per la Storia della Liberazione e la Resistenza di Milano.

7 La collezione completa, riprint del 1966, si trova presso l’archivio storico della Fondazione Feltrinelli.

8 Teresa Noce fu nel 1936 redattrice del giornale il Grido del Popolo, cfr. scheda di polizia, Casellario Politico Centrale (CPC), ACS, b. 3553.

9 Per i passaggi della testimonianza, cfr. Teresa NOCE, Rivoluzionaria di professione, Milano, La Pietra, 1974, p. 169.

10 Stato Operaio, dicembre 1936, ottobre 1938.

11 Massimo LEGNANI, « La stampa antifascista 1926-1943 », in Valerio CASTRONOVO, Nicola TRANFAGLIA, La stampa italiana nell’età fascista, Bari, Laterza, 1980, p. 312-313; Loris CASTELLANI, « I Comunisti (1922-1936) », in AAVV, L’Italia in Esilio. L’emigrazione italiana in Francia tra le due guerre, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1984, p. 286.

12 Consultabile presso l’Archivio Centrale di Stato di Roma (ACS), Biblioteca Ministero Interno (BMI). Giornali dell'Emigrazione (GE).

13 Per i dati, cfr. AAVV, France des Étrangers. France des Libertés. Presse et Mémoire, Paris, Génériques Éditions, 1990, p. 85.

14 La collezione completa è consultabile presso ACS, BMI, GE.

15 La rivista si trova presso l’archivio storico INSML nonchè presso ACS, BMI, GE.

16 Gaetano ARFE, Storia dell’Avanti! 1926-1940, Roma, Avanti Edizione, 1956, p. 29 e 121.

17 Cfr. Troisième Congrès de l’Internationale Ouvrière et Socialiste. Rapports et compte rendus. Questions d’organisation, Zurigo, 1928, p. 11 e 75.

18 Lettera di Friedrich ADLER a Giuseppe MODIGLIANI, 20 aprile 1927, Archivio dell’Istituto di Storia Sociale di Amsterdam, 2244, citata in Bruno TOBIA, « La stampa della concentrazione d’azione antifascista », op. cit., p. 56.

19 Cfr. Alessandro SCHIAVI, Esilio e morte di Filippo Turati (1926-1932), Roma, Edizioni Opere Nuove, 1956, p. 221.

20 La Libertà è conservata presso gli archivi INSML, Fondazione Feltrinelli, ACS BMI GE.

21 Dell’archivio-biblioteca ne parla un articolo de La Libertà del 1 dicembre 1929.

22 Cfr. AAVV, France des Étrangers. France des Libertés. Presse et Mémoire, op. cit., p. 83. Il dato reso noto dal giornale diverge dalla tiratura annunciata dalle fonti di polizia francese e italiana. Il rapporto di polizia francese del maggio 1927 parla di 12.000, cfr. Archives Nationales de Paris, F/7, 13460. Il telegramma dell’Ambasciata Italiana a Parigi al Ministero dell’Interno del 29 novembre 1929 parla di una tiratura oscillante tra le 3000 e 6000 copie. Cfr. ACS, MI, Dir. Gen. PS, Aff. Gen., F 4 , b. 52 e 53, fascicolo I e III la Libertà. Questi dati vanno comunque presi con le dovute cautele.

23 Da una lettere del 19 maggio 1929 inviata da un informatore di polizia al commissario di Modena emerge che nel 1929 La Libertà avrebbe avuto un deficit di 100 000 franchi colmato con i fondi dell’Unione delle Cooperative Edili il cui bilancio si sarebbe chiuso con un attivo di circa 2 milioni di franchi. Cfr. ACS, Polizia Politica per materia, pacco 9, Francia, Partito Socialista.

24 Di Tella era emigrato in Argentina nel 1892; nel 1910 aveva aperto una piccola officina meccanica diventata in seguito tra le più importanti fabbriche meccaniche del paese, la Sociedad Industrial Americana de Maquinaria. Di Tella impartì corsi d’economia all’università di Buenos-Aires e fu uno dei fondatori del giornale Italia Libera di Buenos Aires. Sorvegliato dalla polizia fascista, la sua scheda presso ACS, CPC porta il numero 64831.

25 Bruno TOBIA, « Il problema del finanziamento della Concentrazione », op. cit., p. 433.

26 Sul rapporto Turati e Tella, cfr: Bruno TOBIA, « Il problema del finanziamento della Concentrazione », op. cit., p. 432-465. Tobia ci informa che il carteggio tra Tella e Turati è conservato presso l’archivio della fondazione Torquato di Tella a Buenos Aires. In questo medesimo archivio sono conservati i bilanci della Concentrazione elaborati da Turati tra il 1928 e il 1931.

27 Questo bollettino è consultabile su microfilm presso la BNF e l’ACS BMI GE.

28 Alla diffusione di Italia fa accenno Aldo SCHIAVI, Esilio e morte di Filippo Turati, op. cit., p. 242-243.

29 I periodici repubblicani citati sono conservati presso l’ACS BMI GE tranne Problemi della Rivoluzione Italiana. Sulla stampa repubblicana, cfr: Massimo LEGNANI, « La stampa antifascista », op. cit., p. 328-332; AAVV, France des Étrangers. France des Libertés. Presse et Mémoire, op. cit., p. 83.

30 I Quaderni sono conservati presso l’archivio storico della Fondazione Feltrinelli, riprint del 1966.

31 Quaderni di GL gennaio 1935.

32 Stato Operaio, settembre 1931, articolo firmato Ercoli (alias Togliatti) dal titolo Sul movimento Giustizia e Libertà.

33 Giustizia e Libertà 15 giugno 1934.

34 Il giornale è conservato presso la BNF, non tutti i numeri sono consultabili. La collezione è invece disponibile alla consultazione presso ACS, MI, PS F4, (1923-1943), b. 21 fasc. 1 Corriere degli Italiani, edizione Parigi.

35 Del materiale interessante inerente alle vicende del giornale è stato rintracciato presso l’archivio INSML, fondo Carlo a Prato, b. 45, fasc. 5 e 6. Alcune informazioni sono contenute nella pubblicazione di Francesco FROLA, Vent’un anni di esilio 1925-1946, Torino, Quartara Editore, 1948, p. 12-14. Sulle vicende della sua chiusura, cfr: Aldo GAROSCI, Storia dei fuoriusciti, op. cit.

36 Per la ricostruzione della stampa anarchica cfr: Leonardo BETTINI, Bibliografia dell’anarchismo, vol. 1 e 2, Firenze, CP Editrice, 1972. Sull’attività politica degli anarchici italiani in Francia cfr: Luc NEMETH, « Gli anarchici (1918-1939) », in AAVV, L’Italia in esilio. L’emigrazione italiana in Francia, op. cit., p. 306-308.

37 Alcuni numeri sono presenti presso l’archivio storico Feltrinelli e Istituto Gramsci.

38 Nei Cahiers des Droits de l’Hommes abbiamo censito tra il 1930 e 1939 numerosi articoli di Luigi Campolonghi, presidente della Lidu.

39 Il giornale è conservato presso l’ACS, fondo MI, Dir. Gen., PS, Div. Polizia politica. Gli intenti del giornale venivano chiaramente definiti nel suo primo numero del 1 maggio 1926. Per i dati sulla sua diffusione rinviamo ad una lettera di un informatore fascista del 7 ottobre 1928, ACS, MI, Dir. Gen. PS, Aff. Gen, 1928, b. 156 (C2); cfr anche: Bruno TOBIA, « La stampa della Concentrazione », op. cit., p. 60.

40 Cfr. AAVV, Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943), a cura di Aldo FORBICE, Milano, Franco Angeli, 1994, p. 238; L’Operaio Italiano 1 maggio 1926, 10 settembre 1927.

41 Per i suoi compiti, cfr. il numero del 13 marzo 1928. Battaglie Sindacali è consultabile ACS BMI GE, e presso l’archivio Feltrinelli.

42 Questi frammenti d’informazione sono stati ritrovati nella scheda personale di Teresa Noce, ACS, CPC, b. 3553. Alcuni numeri di questi giornali sono conservati presso l’ACS e l’Istituto Gramsci.

43 Il foglio si trova presso l’ACS, MI, Dir. Gen., PS, Div. Polizia politica. Accenni al foglio in: Massimo LEGNANI, « La stampa antifascista », op. cit., p. 349-350; Paolo SPRIANO, Storia del partito comunista italiano, vol 3, Torino, Einaudi, 1975, p. 331-333.

44 Il foglio si trova presso l’archivio INSML.

45 La collezione del giornale è conservata presso la BNF e la Bibliothèque de Documentation Internationale Contemporaine. Per il programma d’azione, cfr. Libérer et Fédérer, 14 luglio 1942.

46 Per una conoscenza del suo pensiero, cfr. Silvio TRENTIN, Federalismo e libertà. Scritti teorici 1935-1942, a cura di Norberto BOBBIO, Venezia, Marsilio, 1987.

47 Nei suoi 18 anni d’esilio l’attività di Silvio Trentin, così come quella di tutti i fuoriusciti, fu accuratamente osservata dagli informatori fascisti e trasmessa al Casellario Politico Centrale (CPC) dove si trova ancora oggi il suo nutrito fascicolo con il numero 5206.

48 Per un breve cenno alla sua esistenza vedi la presentazione di Michel Dreyfus alla pubblicazione AAVV, Libérer et Fédérer, Paris, Cedei, 1985, p. 5-6.

49 Questi giornali sono conservati presso gli Archives Départementaux du Lot-et-Garonne, della Haute-Garonne et del Tarn-et-Garonne.

50 Il giornale è conservato presso gli Archives Départementales de la Haute Garonne, Toulouse e ACS BMI GE. Per uno studio approfondito della stampa antifascista nel Sud-Ovest rinviamo a Carmela MALTONE, Exil et Identité. Les antifascistes italiens dans le Sud-Ouest 1924-1924, op. cit., p. 159-188.

51 Cfr. Il Mezzogiorno 16 marzo 1926.

52 Cfr. Il Mezzogiorno 27 febbraio 1926.

53 Lettera del Prefetto della Haute-Garonne al Ministro dell’Interno francese del 22 ottobre 1925, Archives Départementales de la Haute-Garonne, Toulouse, Série M 970.

54 Cfr. Il Mezzogiorno 24 aprile 1926.

55 Cfr. Il Mezzogiorno 21 agosto 1926.

56 Il giornale è conservato presso gli Archives Départementales du Lot-et-Garonne, Agen fasc. 135 JX.

57 A titolo di esempio, cfr. L’Attesa 5 dicembre 1926.

58 L’Attesa, 19 dicembre 1926.

59 I dati sulla tiratura dell’Attesa provengono dal rapporto del 24 novembre 1926 del Commissario di polizia di Agen al prefetto del Lot-et Garonne, Archives Départementales du Lot-et-Garonne, Agen, Série 1825, fasc. Italiens en Lot-et-Garonne, Journaux 1925-1928.

60 Cfr. L’Attesa 5 dicembre 1926 e rapporto del Prefetto del Lot-et-Garonne al Ministro dell’Interno francese del 26 novembre 1926, Archives Départementales du Lot-et-Garonne, Agen, Série 1825 W 32.

61 Il giornale è conservato presso gli Archives Départementales de la Haute Garonne, Toulouse.

62 Per avere un saggio sull’asprezza del tono, cfr. Intendiamoci !, 25 aprile 1931.

Illustrations

Citer cet article

Référence électronique

Carmela Maltone, « Scrivere contro. I giornali antifascisti italiani in Francia dal 1922 al 1943 », Line@editoriale [En ligne], 5 | 2013, mis en ligne le 15 mars 2017, consulté le 02 mai 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/675

Auteur

Carmela Maltone

Carmela.Maltone-Bonnenfant@u-bordeaux3.fr

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