L’immigrazione nei media italiani. Disinformazione, stereotipi e innovazioni.

Résumés

L’Italia è un paese sempre più etnicamente e culturalmente pluralista. Gli immigrati rappresentano oggi nel paese il 7% della popolazione residente. Al lungo e complesso processo d’inserimento nella società italiana contribuiscono notevolmente i mass-media. Ma come essi presentano gli immigrati nelle loro narrazioni mediatiche? In quali contesti? Qual’è l’immagine che essi trasmettono? Qual è la percezione che i lettori italiani ne traggono? L’analisi condotta sul contenuto informativo delle reti televisive pubbliche e private e sui giornali nazionali e locali di diverso orientamento politico fa emergere un accostamento quasi costante dell’immigrazione alla devianza e alla criminalità, nonché una tendenza a produrre immagini stereotipate. I media, nell’essere dei luoghi di ruminazione di pregiudizi e di distorsione della realtà immigrata, contribuiscono a suscitare, soprattutto nei giovani un sentimento d’intolleranza e d’insofferenza nei confronti di alcuni gruppi etnici percepiti come maggiormente pericolosi per la sicurezza del paese e una minaccia per la propria identità. In controtendenza a questa realtà giornalistica sono nati i media multiculturali, interculturali ed etnici miranti a promuovere un’informazione sulla quotidianità degli immigrati, a valorizzare le loro culture e nei confronti dei quali noi cerchiamo di sottolinearne luci ed ombre.

Italy is a country with growing ethnic and cultural diversity. Currently, immigrants constitute 7% of the resident population. The media contributes greatly to the long and complex process of integration into the Italian society. But how does it portray the immigrant population ? In what context ? What image does it project of these immigrants? Our analysis of the content of public and private television channels as well as national and regional news journals of diverse political leanings exposes a recurring connection between immigration and deviance, criminal tendencies as well as a propensity for producing stereotypes. By participating in the reiteration of these prejudices and thereby transforming the reality of these immigrants, the media generates, especially among the youth, feelings of intolerance and hostility toward certain ethnic groups that are perceived as the most dangerous in regard to national security and a threat to their identity. Thus, a multicultural, intercultural, and ethnic media has emerged to combat this journalistic reality in order to spread a more appropriate image of the daily immigrant experience and promote their cultures ; we examine the strong and the weak points of this media.

Plan

Texte

Immigrazione reale : una lettura delle statistiche

Il fenomeno dell’immigrazione interessa l’Italia da poco più di trent’anni, un periodo piuttosto breve rispetto ad altri paesi occidentali con un passato coloniale ; al pari di questi paesi ma in un lasso di tempo molto più limitato esso ha assunto una dimensione strutturale e permanente. Gli immigrati fanno oggi parte del tessuto sociale ed economico italiano e il loro radicamento territoriale e sociale dimostra che l’Italia non è più un paese di transito ma una meta definitiva dove costruire un nuovo futuro. Nel gennaio 2011, gli immigrati regolari erano 4.563.000 ossia il 7,5% della popolazione italiana, una percentuale superiore alla media europea pari al 6,2%.

La loro origine è particolarmente variegata : il 49% sono Europei e provengono principalmente dall’Est (39%) ; il 26% dal continente africano, il 17,1% dai paesi asiatici e l’11,3% dall’America Latina. Tra i gruppi nazionali più numerosi spiccano i Romeni con 887.763 presenze, gli Albanesi (466.684), i Marocchini (431.529), seguiti dai Cinesi (188.352), Ucraini (174.129) e Filippini (123.584). Il policentrismo geo-etnico si traduce in pluralismo culturale e religioso : gli immigrati di religione cristiana, principalmente ortodossi, rappresentano il 43,7% del totale, i musulmani il 33,2% ; gli animisti il 19% mentre sono molto meno numerosi gli induisti (2,5%) e i buddisti (1,9%).

Gli immigrati sono relativamente giovani, l’età mediana è di 32,3 anni contro 43,9 anni degli Italiani ; il 47,6 % ha tra 18 e 39 anni. L’Italia è il paese europeo, dopo la Danimarca, ad ospitare la comunità straniera più giovane. La struttura per età, la stabilità e il carattere familiare dell’immigrazione favorisce la natalità ; nel 2009 le nascite straniere sono state pari al 16,5% del totale dei nati registrati in Italia e contribuiscono per il 92% alla crescita della popolazione residente. A lungo termine, secondo i demografi, esse potranno far evolvere la popolazione italiana che, come è noto, conosce da decenni, un calo dei nati e, dal 2009, un saldo persino negativo del  0,3 per mille. Per l’Istat l’apporto delle donne immigrate alla tenuta della popolazione italiana è determinante1. La dinamica migratoria ci lascia intravedere, per il futuro, una popolazione italiana sempre più variegata in cui le seconde generazioni d’immigrati rappresenteranno una quota significativa dei nuovi italiani.

Gli immigrati rappresentano un segmento non trascurabile del mercato del lavoro, essi sono circa 2 milioni e lavorano soprattutto nei settori tralasciati dalla popolazione autoctona : agricolo, edile e dei servizi alla persona. Essi rappresentano globalmente il 10% del totale degli occupati italiani. Pur svolgendo attività generiche, poco valorizzanti agli occhi delle nostre società post-industriali, sovente discontinue e quindi anche poco remunerative, gli immigrati hanno prodotto nel 2010 il 9,7% del Pil nazionale e sono titolari del 3,5% degli esercizi economici del paese Italia2.

I vantaggi di quest’immigrazione da lavoro si evidenziano attraverso altri indicatori : i lavoratori stranieri nel 2010, secondo il rapporto Caritas, hanno versato all'Istituto per la Previdenza Sociale contributi previdenziali pari a 7,5 miliardi di euro e dichiarato al fisco italiano un imponibile di 33 miliardi di euro. Inoltre il 57% degli immigrati nel 2005 aveva un conto presso una banca italiana e rappresentavano il 15% di coloro che accedevano alla proprietà attraverso l’acquisto del bene casa3. Questi dati suggeriscono che gli immigrati oltre ad essere dei lavoratori necessari, oltre ad essere dei produttori, partecipano allo sviluppo del paese come contribuenti, consumatori e persino come risparmiatori.

Altri indici confermano la natura strutturale dell’immigrazione e del suo radicamento nella società italiana. Se la stragrande maggioranza degli immigrati s'inserisce professionalmente con la qualifica di generico, un quarto di essi evolve verso un lavoro qualificato o specializzato. La progressione, sia pure lenta della carriera, è un fattore fondamentale dell’integrazione poichè favorisce la mobilità sociale, una migliore e rispettabile collocazione nella società e la rottura con lo stereotipo dell’immigrato precario, marginale o escluso. Va inoltre sottolineato che un immigrato regolare su due è iscritto ad un’organizzazione sindacale italiana, una quota significativa che denota una lampante volontà di partecipazione e d’integrazione4. Ulteriori indici di radicamento sono evidenziabili nei matrimoni misti che rappresentano il 14% del totale delle unioni celebrate in Italia5 e nel numero crescente di alunni stranieri che frequentano la scuola italiana, pari nel 2009, al 7% della popolazione scolastica6.

L’altra faccia del fenomeno migratorio della quale il discorso mediatico abusa, tanto da sommergere o da occultare l’immigrazione ordinaria, è l’immigrazione irregolare e gli atti devianti attribuiti o realmente commessi dagli stranieri. Nel 2010, per l’OCSE gli immigrati clandestini in Italia si sarebbero attestati intorno ai 750 mila, rappresentando l’1,3% della popolazione totale e il 16,3% dei regolari. Se nella penisola il fenomeno della clandestinità ha una certa rilevanza è doveroso precisare che esso è presente, sempre secondo l’OCSE, in altri paesi europei ; in Francia il numero di illegali oscillerebbe tra i 200.000 e i 400.000, in Germania il numero è stimato intorno ai 200 mila, pari allo 0,73% della popolazione ; in Spagna ad oltre 412 mila, pari allo 0,94% della popolazione totale. Secondo i dati Istat, il tasso di criminalità degli immigrati in Italia è leggermente superiore a quello degli Italiani, l'1,3% contro lo 0,75%. Va però precisato che nell'87% dei casi l’infrazione contestata agli immigrati è l’assenza del permesso di soggiorno ossia la clandestinità considerata alla stregua della legge Bossi-Fini un reato punibile con la reclusione da 3 a 12 mesi7.

Questo il profilo demografico, economico e sociale del fenomeno migratorio. Alla luce di questa lettura statistica ci è sembrato legittimo chiederci cosa sanno gli Italiani dei propri immigrati. I sondaggi, al pari degli esperti, ci dicono che solo di rado la conoscenza del fenomeno è il frutto dell’esperienza diretta ; la stragrande maggioranza degli Italiani ne ha una visione astratta, filtrata dalla percezione delle diverse culture ed etnie e soprattutto influenzata dall’immagine veicolata dai media. Quest’ultimi nel dar forma alla realtà, nell’interpretarla hanno una responsabilità primaria nella costruzione del Noi e dell’Altro, costruzione che si ripercuote sulla condizione dello straniero, sul suo status simbolico, sulla legittimazione di politiche d’inclusione o d’esclusione. La comunicazione di massa può diventare di fatto, come afferma il sociologo Mario Marcellini, il perno stesso e l’elemento chiave nella costruzione di una società diffidente e intollerante o all’opposto più pluralista e multiculturale8. Insomma i media contribuiscono sensibilmente a costruire dei percorsi d’incontro o di scontro tra culture.

Data l’importanza che i mezzi di comunicazione di massa hanno nella costruzione delle rappresentazioni collettive e di fronte ad una società italiana sempre più etnicamente e culturalmente pluralista, ci siamo interrogati se in Italia vi è un’informazione all’immagine di questa società, se i media sono specchio dell’immigrazione reale che abbiamo sommariamente tracciato e se essi favoriscano un’informazione inclusiva dell’alterità e rispettosa delle diversità.

Rappresentazione mediatica : le voci sugli immigrati

La complessa tematica del come la televisione e la stampa italiana parlano dei migranti, in quali contesti e qual è l’immagine che essi veicolano è stata affrontata in diversi studi e indagini sin dagli inizi degli anni 2000. Una delle primissime analisi, L’immagine degli immigrati e delle minoranze etniche nei media, è stata condotta dal Censis nel 2002 nell’ambito del progetto europeo Tuning into diversity9. A questo studio ha fatto seguito, nel 2003, l’indagine L’immigrazione e i media italiani, promossa nell’ambito del progetto europeo Etnequal Social Communication e realizzata congiuntamente dal dipartimento di Sociologia e Comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma, Amnesty International Sezione Italiana, Caritas di Roma e la Rai10.

In tempi più recenti, sono state promosse altre indagini sulla carta stampata da parte di attori associativi : nel 2005, Immigrazione nei media. Rete di monitoraggio sui media locali bolognesi, o ancora nel 2010 Osservatorio Carta di Roma. Il tempo delle rivolte. Queste indagini però hanno la caratteristica di essere tendenzialmente localistiche o d’osservare il discorso mediatico in riferimento ad un avvenimento ben preciso11. Al fine di ottenere una visione più globale e aggiornata ho lanciato io stessa, in collaborazione con gli studenti del mio corso in comunicazione, un’indagine su 15 quotidiani nazionali e locali di diverso orientamento. I giornali esaminati, da maggio ad ottobre 2010 sono stati : Il Corriere della Sera, La Stampa, Il Giornale, L’Unità, Liberazione, Il Secolo XIX, Libero, Il Foglio, Il Messaggero, Il Resto del Carlino, Romagna Oggi, Il Tirreno, La Gazzetta del Sud, Il Mattino e Il Giornale di Sicilia12.

In Italia il 90% degli adulti s’informa attraverso la televisione ; in virtù della sua larghissima diffusione cominceremo con l’analizzare questo media e ci avvarremo in particolare del rapporto Censis ; il suo studio resta ancora oggi il più approfondito, il più esaustivo e non ancora superato da inchieste successive. Dall’esame dei contenuti dalle principali emittenti televisive nazionali sia pubbliche che private13 emerge che l’immigrazione viene trattata per il 90% dai telegiornali, che è confinata per l’80% all’interno dei fatti di cronaca e per il 56,7% è relegata tra gli argomenti di criminalità/illegalità. Complessivamente il 78% delle notizie inerenti agli immigrati sono negative e riferiscono, con un certo grado di sensazionalismo, di atti criminosi, spaccio di droga, furti, omicidi, prostituzione, clandestinità, illegalità nonchè di situazioni di degrado sociale generato o subito dagli immigrati. Gli sbarchi di irregolari sulle coste meridionali occupano regolarmente i Tg. Le notizie meno drammatiche, espressione di normalità o positive, compaiono in maniera marginale : il lavoro e le attività socio-culturali degli immigrati rappresentano rispettivamente il 3% e il 3,5% dei fatti riportati, l’assistenza e i comportamenti di solidarietà il 13%.

Nel 76% delle notizie gli immigrati vengono designati con la loro nazionalità, la loro etnia o il loro luogo di provenienza. Una tale consuetudine oltre a produrre stereotipi pericolosi tende a considerare l’immigrato piuttosto come un rappresentante di una categoria che un individuo con le sue specificità. L’immigrazione in quanto tematica viene raramente affrontata con dibattiti, rubriche o inchieste come avviene per i fatti che riguardano la società degli Italiani. Inoltre la narrazione delle notizie di cronaca tende a coinvolgere la sfera emozionale del fruitore : nell’81% dei casi esse suscitano compassione, pietismo o preoccupazione. Gli immigrati, pur essendo frequentemente presenti sugli schermi hanno solo marginalmente la possibilità d’esprimersi su questioni in cui sono direttamente coinvolti : nel 65% dei casi essi sono soltanto citati e solamente nel 25% vengono consultati o intervistati. Nell’85,8% delle notizie televisive si parla di uomini sottorappresentando le donne che invece costituiscono il 49% del totale della popolazione immigrata.

Il ritratto fornito dalla carta stampata non è molto diverso da quello televisivo, anzi, riferendoci agli studi precedentemente citati e più specificatamente all’indagine da noi compiuta nel 2010, potremmo definirlo speculare14. Dallo studio complessivo delle testate emerge una prevalenza a parlare degli immigrati solo quando essi sono protagonisti di cattive notizie e in riferimento ad episodi di cronaca fortemente sbilanciati sulla criminalità e marginalmente sul terrorismo. Se analizziamo i dati nello specifico si nota che nei quotidiani, sezione notizie nazionali, gli articoli di cronaca rappresentano il 44,8%, i fatti di terrorismo il 7,4% ; il 35,6% degli articoli è invece dedicato agli sbarchi, alla clandestintà, al dibattito o alle polemiche sulla regolamentazione del fenomeno migratorio, articoli anch’essi non positivi. Le notizie sulla criminalità immigrata sono ancora più numerose nei giornali locali dove la percentuale raggiunge il 70% degli articoli sull’immigrazione. Per il 63% dei mainstreams nazionali e per il 96% dei giornali locali queste notizie sono collocate nelle pagine di cronaca.

Relativamente ai reati notiziati spiccano quelli contro la persona, il 42,3% degli articoli di cronaca rispetto al 29,7% contro il patrimonio e il 10,4% contro l’economia. Questa trattazione mediatica è in contrasto con i dati del Ministero della Giustizia secondo i quali nella tipologia dei reati commessi dagli immigrati prevalgono nettamente i furti, sulle violenze contro le persone ; essa è anche in contrapposizione con le inchieste dell’Istat secondo le quali il reato più diffuso è la clandestinità15. Al pari della televisione l’85% degli articoli si focalizza su un’immigrazione al maschile. L’80% degli articoli pubblicati dalle testate nazionali e il 95% dai giornali locali sono brevi, il 47.5% non firmati e solo l’11% delle notizie che riguardano l’immigrazione conosce un’aggiornamento o una trattazione tematica. È alquanto raro che lo stesso fatto venga seguito nei suoi sviluppi nel tempo o approfondito da più articoli nella stessa edizione.

La trattazione informatizzata del lessico utilizzato dai quindici quotidiani conferma la tendenza ad associare l’immigrazione alla criminalità e alla devianza. I lemmi che più frequentemente accompagnano i termini immigrato/immigrazione sono : clandestini, irregolari, illegali, trafficanti, reato, denuncia, controlli di polizia, arresti, forze dell’ordine, riconduzione alla frontiera, espulsione, rimpatrio, insicurezza16. L’uso di un tale registro linguistico contribuisce a creare lo stereotipo - Immigrazione uguale pericolosità - e ineluttabilmente ad alimentare la diffidenza nonché ad innalzare barriere sempre più alte tra Noi e Loro. È consuetudine anche nella carta stampata di avvalersi della nazionalità come unico riferimento ai protagonisti o alle vittime delle vicende narrate. Questa categoria etnica appare sin dai titoli :

Forzano un posto di blocco. Presi due Romeni e un Albanese

Ferisce un carabiniere. Albanese in manette

Clandestini in yacht, in manette scafista ucraino

Non sono terroristi islamici. Assolti due operai marocchini

Arrestati due Albanesi

Romeno bloccato all’ufficio immigrazione

Tratta di uomini, arrestato Pakistano 17.

Il Romeno e l’Albanese sono gli stereotipi più ricorrenti. La stampa attraverso questa riferimento generalizzato alla nazionalità tende ad associare intere etnie con la criminalità e l’illegalità, essa procederebbe, come sostiene lo scrittore romeno Mihai Butcovan, « ad una condanna collettiva di tutte le persone che appartengono ad un medesimo popolo o nazione »18. Questa etichettizzazione attraverso l’appartenenza geo-culturale rischia di attribuire alla nazionalità una valenza ingiuriosa e di diventare un fattore discriminante. L’immigrazione come pericolo è però un rumore di fondo presente anche in articoli che esulano dalla criminalità e che riferiscono di sbarchi o di profughi. I mainstreams tendono a presentare anche questo flusso come ‘un problema’, una ‘situazione allarmante’, sovente come ‘un’invasione’. Per le testate leghiste, in particolare La Padania, gli immigrati che giungono sulle coste dell’Italia meridionale si trasformano in ‘eserciti di clandestini’ o ‘orde di barbari’. L’uso di queste metafore rischiano di colpire il lettore e di rimanere a lungo impresse nelle loro menti.

Quando i toni allarmistici si attenuano, l’immigrazione diventa invece strumentale al mercato del lavoro italiano ; l’attenzione si focalizza non tanto sulle esigenze delle persone migranti in cerca di una vita migliore o sulle iniziative economiche da esse intraprese quanto sulle esigenze dell’economia italiana. L’immigrato viene presentato come colui che deve collocarsi solo nel vuoto occupazionale lasciato dall’Italiano.

Nella carta stampata è alquanto esigua la quota di articoli, l’11,6%,  inerenti alle condizioni economiche, lavorative, sanitarie del migrante ; ancora più bassa è l’attenzione prestata alla sua cultura, alla sua religione e all’integrazione ; queste notizie rappresentano l’8.8% del totale degli articoli sull’immigrazione. Inoltre essa considera gli immigrati come un tutto unico, come un blocco di individui indistinti.

Il paradigma immigrazione-pericolosità sociale è particolarmente dilagante nella stampa conservatrice e populista la quale tende a presentare sistematicamente gli stranieri come un elemento di disturbo, di disordine, di degrado. Questi giornali tendono a costruire un canovaccio narrativo in cui sono gli Italiani, essenzialmente del Nord, le ‘vittime dell’immigrazione’, i ‘veri discriminati’ perchè, citiamo testualmente, ‘sommersi da individui che invadono i nostri spazi, che non rispettano le nostre regole, che violano i nostri valori’. In questi media il quadro si capovolge : l’aggressore è l’immigrato perchè ‘invasore, sporco, incivile, corpo estraneo alla nostra comunità, ai nostri valori’, mentre l’aggredito è il buon cittadino italiano ‘debole, indifeso, abbandonato dalle istituzioni’.

Da quest’immagine si discosta la stampa progressista e di sinistra. Dall’analisi lessicale, di contesto e dei contenuti dei quotidiani L’Unità e Liberazione emerge una tutt’altra visione. L’immigrato è rappresentato come un essere umano, un soggetto titolare di diritti e doveri, da integrare nella società italiana, da difendere dalle spinte xenofobe e razziste come dimostrano i lemmi più ricorrenti associati all’immigrazione : diritti, cittadinanza sociale, uguaglianza, tolleranza, solidarietà, integrazione, antirazzismo, anti-discriminazione. Andando controcorrente questi giornali si occupano piuttosto degli aspetti sociali dell’immigrazione con una tematizzazione, un approfondimento del loro vissuto, del loro disagio, dei soprusi e le ingiustizie subite. La cronaca subentra solo per illustrare fatti d’intolleranza, di razzismo, di discriminazione compiuta da singoli individui o da attori pubblici.

Questa visione che alcuni definiscono buonista è comunque minoritaria nei media italiani ; la maggior parte dei mainstreams restituisce un’immagine di uno straniero dedito o coinvolto in attività illecite, riferisce di storie di convivenza forzata, di un clima di tensione o di rapporti esasperati con la comunità ospitante. Come in un gioco di specchi i mezzi di comunicazione sia cartacei che televisivi da un lato pensano d’interpretare sentimenti di paura e di diffidenza insiti nella società e dall’altro li alimentano. In filigrana essi finiscono per insinuare o fomentare un senso di fastidio o di rigetto.

La trattazione mediatica dell’immigrazione suscita diverse considerazioni e prima tra tutte la lampante discrepanza tra l’immigrazione reale e l’immigrazione mediatica. La rappresentazione sostanzialmente distorta rispetto alla reale condizione dell’insieme degli immigrati, tende a creare confusione tra quotidianetà migrante e la sua parte deviante o eccezionale, a favorire una percezione collettiva in cui la delinquenza s’identifica con l’immigrazione e in cui lo straniero diventa un fattore di rischio e d’insicurezza sociale. Per il sociologo Alessandro Dal Lago l’immagine denigratoria o pietistica costruita dalla narrazione mediatica fa dell’immigrato un soggetto naturalmente miserabile, minaccioso, disponibile al crimine e quindi non integrabile19. L’informazione nel prestare poca attenzione alla vita ordinaria degli immigrati, alla conoscenza delle loro culture, alla riconoscenza del loro contributo al paese Italia di fatto contribuisce a rallentarne, se non ad ostacolare il loro inserimento nella società italiana.

Il riferimento alla nazionalità come unico elemento d’identificazione è un altro elemento frenante di tale lungo e delicato processo. Il costante richiamo al luogo d’origine infatti riconduce l’immigrato alla sua dimensione di straniero, lo ricolloca nel suo paese di provenienza, lo isola dalla società d’accoglienza, lo esclude e sembra quasi suggerire l’esistenza di due mondi contrapposti, il nostro, caratterizzato da un’autopresentazione positiva e, il loro mondo, carico di negatività. L’assenza di commenti, di problematizzazione e d’approfondimenti, solo ad una prima lettura può apparire espressione di un giornalismo neutrale o oggettivo, in verità siamo di fronte ad un’informazione profondamente semplificata ed appiattita tanto da sfociare in una rappresentazione stereotipata dell’immigrato.

Una prima risposta sul perchè di un tale atteggiamento mediatico ci viene suggerita da alcune pratiche giornalistiche. Dall’inchiesta realizzata dall’esperto in comunicazione, Marco Binotto, emerge che sovente i cronisti attingono le loro informazioni dal Ministero degli Interni, dalle Forze dell’Ordine o dalle Questure20. Talvolta semplici conferenze stampa o comunicati provenienti da queste fonti istituzionali si trasformano in articoli che risentono fortemente dell’immagine poliziesca dell’immigrazione focalizzata sull’attività criminosa e repressiva, sullo scontro tra ordine e devianza, sulla collisione tra civiltà e arcaismi. D’altro canto è risaputo che le notizie scandalistiche, spettacolari o che enfatizzano il male sono fanno maggiore incetta di audience ; nell’ambito dell’immigrazione sono quindi più notiziabili gli atti devianti, sia pure quantitativamente ridotti, che le esperienze virtuose e positive. Per Maurizio Corte, esperto in comunicazione, non c’è dubbio che fa maggiormente notizia l’immigrato che infrange la legge che non colui che la rispetta21.

Le ragioni per le quali i media tendono a veicolare principalmente stereotipi negativi sull’immigrazione sono anche culturali e politiche come ci suggeriscono i risultati delle inchieste e alcuni opinions makers. Nell’allarmismo mediatico possiamo leggere una serie d’apprensioni tra le quali il timore che l’Italia nell’accogliere i clandestini o nell’essere una sponda facilmente raggiungibile, venga percepita dai paesi europei come il ventre molle dell’Unione e quindi come un partener inaffidabile. Le metafore sull’invasione possono esprimere altresì la paura d’essere assimilati ad un paese povero, poco civile, in via d’imbarbarimento. Nel nuovo contesto di pauperizzazione della classe media e di uno sviluppo senza crescita, nell’immigrato tende a riflettersi l’inquietudine per la regressione sociale, la perdita di quel benessere così faticosamente raggiunto, la preoccupazione per lo scollamento dai paesi europei più progrediti.

La visione negativa dell’immigrato può altresì fungere da diversivo nei confronti dei problemi sociali che attanagliano il paese : la disoccupazione, la precarietà, lo stallo economico, i cambiamenti strutturali della società post-industriale. Lo scrittore algerino, Amara Lakhous da anni in Italia, non ha dubbi a tale proposito « l’immigrazione, egli sostiene, è un tema funzionale alla politica interna, alle campagne elettorali ; essa serve ad indirizzare il malcontento dei cittadini verso il diverso, a focalizzare l’attenzione mediatica per far passare in secondo piano altri temi scottanti e scomodi »22. Il discorso mediatico all’insegna della negatività è inoltre un’eccellente strumento del quale gli opinions leaders, piuttosto conservatori, si avvalgono per creare consenso intorno a politiche migratorie sempre più rigide come la militarizzazione delle frontiere, la criminalizzazione della clandestinità o le quote d’ingresso. D’altro canto il discorso mediatico incentrato sulla contrapposizione Noi-Loro serve a rassicurare il cittadino italiano e a legittimare pratiche sociali ed istituzionali basate sull’esclusione e l’inferiorizzazione dei migranti.

Un’altra chiave di lettura viene suggerita dall’antropologa Annamaria Rivera. Il migrante viene rappresentato come un fuorviante o deviante perchè accede al nostro spazio nazionale con la sua diversità, perchè entra a far parte della Nazione con una cultura diversa della nostra e a noi ignota. « Tanto più il migrante oserà, afferma A. Rivera, oltrepassare la frontiera simbolica della Nazione tanto più esso verrà avvertito come un nemico »23. Dietro questa rappresentazione mediatica potrebbe quindi nascondersi la paura per la perdita della propria identità. Lo straniero è portatore di una diversità che ci induce inevitabilmente ad interrogarci sulla nostra identità, la nostra storia, i nostri valori. Il rapporto con l’Altro fa sorgere la domanda « Chi siamo? Che cosa significa oggi essere Italiani? Chi saremo domani? ». Questo confronto con la diversità può risultare più problematico per il paese Italia che ha un’identità più fragile. La presenza dell’Altro può essere rivelatrice di aporie e contraddizioni irrisolte in merito al sentimento d’appartenenza ad una comunità nazionale.

Questa continuo dipingere l’immigrazione con foschi colori, la disinformazione, le omissioni, il distillare quotidianamente la paura dell’Altro oltre a rendere più ardua l’integrazione, a porre la società italiana di fronte a maggiori difficoltà, contribuirebbe a favorire atteggiamenti d’intolleranza, d’ostilità nonché a diffondere una cultura neo-razzista, ossia un razzismo contemporaneo molto diverso dal passato. Il razzismo, come sostengono i sociologi Hall Stuart et Dorothy Hobson24, è una costruzione ideologica storicamente contestualizzata che cambia in funzione della condizione economica, politica e socioculturale. Lo studioso Martin Barker, nel suo saggio Nuovo Razzismo nel Regno Unito, ha esaminato i cambiamenti, avvenuti dal dopoguerra in poi : le presunte differenze genetiche di ieri, sono oggi sostituite da differenze tra culture, religioni o nazioni. Nelle società occidentali, il nuovo razzismo assume una forma nuova, la difesa dei nostri valori, del nostro modo di vita, delle nostre tradizioni nei confronti di estranei non perché questi siano inferiori ma perché appartengono ad altre culture. Le pratiche razziste si sviluppano grazie alla diffusione di stereotipi, pregiudizi e rappresentazioni comunemente condivise. Questo razzismo culturale finisce con legittimare un diverso trattamento economico, giuridico e sociale degli alieni alla propria cultura. La differenziazione di statuto espresso da un numero limitato di diritti e di opportunità sfocia nella legalizzazione del principio discriminatorio25.

Il nuovo razzismo, come osserva il linguista Tuen Van Dijk, viene praticato da persone o soggetti politicamente moderati, di destra o di sinistra, che pur dichiarandosi democratici, tolleranti e rispettosi del multiculturalismo, nel comunicare si distanziano dalle minoranze etniche. I media hanno accelerato o diffuso questa forma subdola di razzismo facendo, per l’appunto, perno sugli stereotipi, sulla polarizzazione Noi-Loro, sulla minimizzazione o l’occultamento delle virtù dell’Altro e l’enfatizzazione delle proprie26.

Rappresentazione collettiva degli immigrati e svolta etica dei media

Il peso che i mezzi di comunicazione hanno sia sulla società che sul discorso pubblico ci invoglia ad esaminare come gli immigrati vengono percepiti dagli Italiani. La comunità scientifica pur riconoscendo, come sottolineato dallo studioso in psicologia sociale Serge Moscovici, che la recezione collettiva dipende da diversi fattori quali l’esperienza, la cultura individuale, lo status sociale, l’habitat, unanimamente però ritiene che vi è un legame molto stretto tra rappresentazione mediatica e collettiva a tal punto che l’opinione pubblica tende a percepire come reale, come verità cio’ che appare in televisione o legge sulle testate27. Nella nostra società mediatizzata il fenomeno migratorio assumerebbe nell’immaginario collettivo forme e modi declinati dai media. Per conoscere la visione che gli Italiani hanno degli immigrati e per misurare l’impatto dei media ci siamo avvalsi di una ricerca-inchiesta, Io e gli altri. I giovani italiani nel vortice dei cambiamenti, condotta nel 200928. Le risposte del mondo giovanile sono composite e multipolari : se da un lato esse rivelano una larga apertura verso la diversità, l’universalismo, la valorizzazione del diverso, grazie probabilmente al fenomeno della globalizzazione, dall’altra non sono aliene da quelle medesime paure e diffidenze veicolate dai mainstrains.

Il 72% dei giovani intervistati ritiene che gli immigrati, purchè regolari, debbono poter avere gli stessi diritti sociali degli autoctoni ; il 63% si dice favorevole all’estensione della cittadinanza agli immigrati ; il 52% accorderebbe loro il diritto di voto. In generale, i giovani che si sono espressi in questo senso hanno un livello d’istruzione medio alto e sono dei cattolici non praticanti. I 2/3 dei giovani intervistati nel dichiararsi propensi a condividere i loro diritti con dei non-nazionali esprimono di fatto un’immagine alquanto positiva degli immigrati.

Questa positività è avvalorata dalle risposte inerenti al ruolo degli stranieri nell’ambito del lavoro. Il 68% dei giovani dichiara di non temere la loro concorrenza e il 47% sottolinea i benefici che l’Italia trae dalla loro attività in termini di sostegno al sistema pensionistico e al welfare state. Solo il 24% crede che gli immigrati portano via il lavoro agli Italiani. Questi dati, secondo i ricercatori del centro di ricerca Iard, dimostrano che, dopo trent’anni di presenza immigrata e per dei giovani che hanno conosciuto e vissuto in una società etnicamente variegata, il vivere accanto a persone prevenienti da altri paesi fa parte della normalità.

Quest’atteggiamento d’apertura comincia però a sfilacciarsi alloquando subentra la variabile crisi economica / scarsità di lavoro ; alla luce di questo parametro il 49% ritiene giusto che nelle assunzioni venga data la precedenza agli Italiani ; il 26%, principalmente i meno abbienti, trovano ingiusto aiutare gli immigrati prima di vedere risolta la loro situazione. Inoltre il sentimento di solidarietà economica nei confronti degli immigrati prevale solo nel 37% dei giovani contro il 36% che si colloca nel mezzo, indeciso. Questi dati denotano una tolleranza vacillante o comunque una tendenza ad una certa supremazia. L’immagine positiva tende ad attenuarsi ulteriormente allorquando si passa dall’apprezzamento economico dell’immigrazione a quello culturale ; se il 43% sostiene che la presenza degli immigrati non rappresenti una minaccia per l’identità italiana, il 31% esprime un parere esattamente opposto, percentuale rafforzata dal 26% di esitanti. Il timore è più diffuso tra i giovani del Nord. 

Da questo quadro i ricercatori non traggono affatto conclusioni ottimistiche. I giovani italiani sarebbero anch’essi permeabili ad immagini stereotipate e attraversati da pulsioni di rigetto o di reticenza agli immigrati come dimostrano le risposte inerenti alla criminalità e al livello di gradimento delle diverse etnie. I giovani intervistati pur non condividendo per il 47% l’equazione, immigrazione uguale criminalità, il 54% ritiene che alcune etnie siano più inclini alla violenza. Nella graduatoria dei più aggressivi ci sono i Rom, i Romeni, e gli Albanesi, seguiti dagli Arabi, i Maghrebini e i Balcani. Tra le etnie meno pericolose : i Cinesi, i Filippini, gli Indiani e gli Africani. In questa hit-parade della violenza etnica si dispiega tutto il condizionamento dei media. È palese che l’accostamento ricorrente, nazionalità-criminalità, possa aver prodotto nei giovani questo tipo di stereotipo. Il binomio immigrazione-criminalità è sottolineato soprattutto dai giovani meno istruiti e dai cattolici più convinti.

Si presume che l’insistenza con la quale i media forniscono notizie sui reati sottolineando l’etnia fanno da battistrada alla costruzione tra i giovani di giudizi, o meglio di pregiudizi, che si trasformano in sentimento d’insofferenza o d’avversione. Il 69% dei giovani prova antipatia nei confronti dei Rom, il 55% per i Romeni, il 52% per gli Albanesi ; il 47% per gli Arabi mediorientali, il 43% per i Balcani, il 40% per i Turchi mussulmani, il 39% per i Cinesi, il 36% per i Magrebini, il 31% per Russi, Ucraini, mentre Africani, Sud Americani, Indiani e altre popolazioni asiatiche hanno un indice di antipatia inferiore a 30%.

Quest’inchiesta e ben altri studi fin ora condotti, in particolare da Maurizio Corte, dimostrano come i media sono dei luoghi di ruminazione di stereotipi, di distorsione della realtà immigrata nonché di xenofobia strisciante29. Queste pratiche giornalistiche sono in contrasto non solo con la normativa italiana ed europea ma altresì con lo stesso codice deontologico dell’Ordine dei Giornalisti. Basta il richiamo alla legge italiana del 1963 per rendere l’idea :

il giornalista ha l’obbligo inderogabile di rispettare la verità sostanziale osservando sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede.

Inoltre la «Carta dei doveri : etica e deontologia » del 1993, stilata dall'Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione Nazionale della Stampa, stabilisce come dovere fondamentale :

il rispetto della persona, della sua dignità, il suo diritto alla riservatezza e la non discriminazione per razza, religione, sesso, opinioni politiche, condizioni fisiche o mentali30.

Altre raccomandazioni finalizzate a promuovere un’informazione libera, veritiera e non razzista sono contenute nella Dichiarazione d’impegno per un’informazione a colori del 1994 e la Carta per un’informazione non razzista del 1996. La RAI, stando alle sue proprie regole, ha l’obbligo di garantire una programmazione : obiettiva, imparziale, rispettosa della dignità della persona e delle diversità etniche. Essa deve altresì promuovere il senso critico. Questo codice deontologico, palesemente disatteso, ha portato in quest’ultimi anni alcuni cronisti ad interrogarsi sulle loro pratiche, sulla rappresentazione che i media offrono degli immigrati e sulla loro responsabilità sociale nella formazione di un’opinione prevalentemente negativa. Il presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), Roberto Natale, nel commentare nel febbraio 2010 l’inchiesta sulla percezione dell’immigrazione tra i giovani italiani, affermava :

I media devono sentire forte la responsabilità del clima di xenofobia che respirano molti giovani italiani […]. Se tra i ragazzi circolano paura, ignoranza, stereotipi negativi, noi dell’informazione siamo chiamati direttamente in causa : per le tante volte in cui enfatizziamo singoli casi di cronaca, per le troppe volte in cui ai reati diamo titoli e spazi molto diversi a seconda che gli immigrati siano nella parte dei colpevoli o nella parte delle vittime. La ricerca conferma una volta di più l’esigenza che il giornalismo italiano divenga più consapevole degli effetti che sta producendo e cambi strada31.

L’Ordine Nazionale dei Giornalisti ha scelto d’intraprendere la via del cambiamento sin dal 2007 dando vita alla Carta di Roma, un protocollo deontologico, in cui si invitano i mezzi di comunicazione ad un trattamento più corretto e approfondito, sia nel linguaggio che nei temi, delle notizie sull’immigrazione. Per un’informazione irreprensibile la Carta di Roma stabilisce di rispettare le seguenti regole32 :

• evitare giudizi sommari e discriminatori nella titolazione e nel linguaggio

• stimolare una conoscenza più approfondita dei fenomeni migratori

• combattere gli stereotipi sull'immigrazione

• non confinare l'immigrazione nella cronaca nera

• denunciare sistematicamente gli atti di discriminazione e razzismo

• allargare gli spazi d’inchiesta sociale ponendo in evidenza le analogie fra i problemi sociali vissuti dagli stranieri e da parti consistenti della società italiana

• non menzionare nazionalità, religione, cultura a meno che questo non costituisca parte integrante dell'informazione

• valorizzare le differenze culturali

• buon uso delle parole.

Questo codice deontologico getta le premesse per un’informazione non discriminante, rispettosa degli stranieri, contestualizzata, problematizzata e più inclusiva dei cittadini migranti. L’applicazione di questa Carta comporta un radicale mutamento della cultura dell’informazione, l’alienazione dal potere politico nonché una forte dose d’autocritica. Questa Carta, secondo Corrado Giustiniani giornalista al Fatto Quotidiano, ha un solo limite : la sua scarsa diffusione nelle redazioni33.

Per permettere una sua concreta applicazione alcuni cronisti hanno intrapreso una riflessione sul significato e sull’impatto del lessico utilizzato. Cominciare a modificare l’informazione sull’immigrazione attraverso l’uso corretto dei termini non è affatto un atto minore, un lezioso problema linguistico, per una professione che lavora e che fabbrica immagini con le parole. Le parole mediatiche hanno una grande importanza perchè esse non sono né neutre, né senza storia ; perchè esse possono suonare come una condanna oppure come una salvezza ; perchè esse possono umiliare, ferire, escludere ; perchè lasciano comunque un segno, un‘impronta. Le parole, come sostiene la filosofa statunitense Judith Butler, « producono soggettività sociale e personale ; una volta pronunciate non possono essere azzerate ; esse possono creare lacerazioni collettive difficilmente ricucibili »34.

Una riformulazione del linguaggio giornalistico, la sua de-antropologizzazione potrebbe favorire altre interazioni sociali e creare i presupposti per una riflessione di alto profilo sulla cittadinanza, sui modelli di società multi o pluriculturali che s’intendono immaginare.

La campagna di sensibilizzazione sul giusto uso dei vocaboli prevede l’introduzione di un nuovo glossario dell’immigrazione dal quale sono banditi alcuni lemmi irrispettosi, svilenti  e che risentono largamente di pregiudizi e luoghi comuni ; in questo glossario sono invece favorite parole più appropriate per conoscere l’Altro e che dovrebbero aiutare la società italiana, sempre più plurale, a convivere con persone che hanno storie e culture diverse35. Tra le parole fuoriluogo che andrebbero evitate vi è ‘clandestino’, vocabolo molto usato dai media italiani per indicare persone straniere che non posseggono un permesso di soggiorno ma che nell’immaginario collettivo evoca segretezza, vite torbide condotte nell’ombra, legami con la criminalità. Sono così definite clandestine delle persone che commettono un’infrazione amministrativa. Questo termine oltre ad essere quindi improprio suscita immagini negative e stigmatizzanti. Al posto di clandestino l’Ordine dei Giornalisti consiglia d’utilizzare termini più adeguati al contesto delle singole notizie come irregolare, illegale, senza documenti, richiedente asilo oppure profugo.

Un’altra locuzione utilizzata con grande frequenza e in modo dequalificante è extracomunitario ; letteralmente dovrebbe indicare i cittadini esterni all’Europa ma di fatto non è mai adoperata per gli Elvetici o gli Statunitensi ; essa viene impiegata solo per designare persone provenienti dai paesi poveri. Questo termine enfatizza l’estraneità all’Italia, all’Europa e il prefisso ‘extra’ sottolinea la loro esclusione, la loro diversità, il loro essere alieni dalla nostra cultura. Tra le espressioni che andrebbero eliminate vi è anche badante, vu cumprà, zingaro, nomade. In alternativa, l’Ordine dei Giornalisti propone d’adottare vocaboli meno irrispettosi e discriminanti come : collaboratrice familiare, venditore ambulante, Rom e Sinti36. Come ricorda Corrado Giustiniani su Il Fatto Quotidiano « ben venga l’uso di termini alternativi » ; l’informazione comunque, per questo giornalista, trarrebbe un grande beneficio semplicemente attraverso « la de-etnicizzazione delle notizie e anteponendo il vocabolo ‘persona’ al termine immigrato senza altre etichette »37.

Dare un’informazione corretta sull’immigrazione significa anche evitare gravi confusioni e distorsioni di alcune realtà. I Cpt (Centri di Permanenza Temporanea), spazi dove vengono collocate le persone che arrivano clandestinamente in Italia, diventano sinonimo nella terminologia mediatica di luoghi di accoglienza. Questo definizione tradisce la realtà ; i Cpt non hanno nulla d’accogliente ; essi sono al contrario dei luoghi di detenzione, dei campi d’isolamento, per persone senza documenti e in attesa d’espulsione.

Un sostegno agli sforzi compiuti da una parte del giornalismo italiano per favorire un’informazione più rispettosa delle persone è arrivato dalla società civile. Nel 2008 è nato un sito « occhioaimedia » avente come funzione principale d’osservare i mass-media e di raccogliere titoli e articoli offensivi nei confronti delle minoranze etniche presenti in Italia o di stampo razzista o xenofobo38. Attraverso quest’azione, questo sito intendeva denunciare e protestare contro l’informazione parziale, riduttiva, spesso subdolamente razzista e far pressione affinchè la Carta di Roma venisse rispettata alla lettera. Un’iniziativa simile e coeva è stata intrapresa dal gruppo Giornalisti contro il Razzismo in risposta ad un’ondata di articoli e servizi in cui i Rom, in quanto popolo, venivano additati come « […] pericolosi, violenti, legati alla criminalità, fonte di problemi per la nostra società ». Questo gruppo di pubblicisti ha invitato i lettori ad indicare all’Ordine dei Giornalisti gli articoli di stampo discriminatorio, xenofobo, d’incitamento all’odio razziale nell’intento di spronare i media a rispettare scrupolosamente le regole deontologiche. I promotori dell’appello, scandalizzati e preoccupati dai toni xenofobi, non avevano esitato a comparare gli articoli anti-Rom del 2008 alla campagna antisemitica, antizingari condotta dai quotidiani italiani degli anni trenta e che aveva preparato il terreno all’emanazione delle leggi razziali del 1938 e favorito la deportazione di migliaia di Rom nei campi di sterminio nazisti39.

Un ulteriore impulso ad un’informazione meno stereotipata potrebbe anche venire dalla ratificazione del Trattato dell’Unesco sulla Protezione della Diversità Culturale ad opera dei mezzi di comunicazione. Queste iniziative però vengono considerate da alcune frange di giornalisti ed intellettuali come insufficienti alla promozione delle buone pratiche. Alcuni hanno persino richiesto l’istituzione, alquanto problematica, di organi di vigilanza sulla correttezza dell’informazione e sul pluralismo culturale dei media, dotati di poteri sanzionatori (ammende o sottrazione di finanziamenti pubblici) nei confronti di quei mainstreams che favoriscono una rappresentazione oligoculturale o monoculturale dell’Italia.

Un nuovo orizzonte mediatico : i media multiculturali ed interculturali

Tutti gli studi sui media ed immigrazione fanno emergere un’altra anomalia da noi già sottolineata ma sulla quale vorremmo soffermarci : i mainstreams parlano frequentemente degli immigrati senza dar loro la parola, senza dar loro la possibilità d’esprimersi sul loro quotidiano, i loro bisogni, le loro aspettative, sulla maniera in cui ci vedono o su come intendono integrarsi. La società italiana chiede ai propri immigrati un rapido inserimento sociale e culturale senza che i mezzi di comunicazione forniscano loro un’informazione che favorisca tale processo. Paradossalmente essi non sono destinatari dell’informazione allorquando, come ci ricordano gli autori del rapporto Censis, « l’informazione è per gli immigrati un bene di prima necessità, indispensabile per conoscere le realtà e i codici del paese d’accoglienza nonchè per crearsi delle relazioni sociali e per integrarsi »40.

Da questo stridente paradosso sono nati i media multiculturali, interculturali ed etnici, una realtà complessa e variegata. Dei media multiculturali fanno parte le trasmissioni televisive o radiofoniche dette d’utilità sociale finalizzate ad accendere i riflettori sui disagi, la solitudine, le difficoltà incontrate dagli immigrati senza pietismo e stigmatizzazione e a fornire informazioni pratiche circa i loro diritti, doveri, procedure amministrative, normative inerenti al lavoro, salute o carta di soggiorno. In aperta contrapposizione con i meanstrems, questi media di servizio cercano di soddisfare i bisogni reali del cittadino immigrato fornendogli risposte concrete. Distribuendo questo tipo d’informazione essi tendono a promuovere da un lato un graduale inserimento degli immigrati e dall’altro a sviluppare nel cittadino italiano una maggiore sensibilità nei confronti dei migranti. Essi fan parte dei primissimi media a considerare gli immigrati come dei nuovi cittadini e non come ospiti indesiderati.

Le trasmissioni d’utilità sociale sono state inaugurate, sin dagli anni novanta, dalla Rai e rientrano tra i compiti del servizio pubblico d’informare tutti i cittadini residenti sul territorio nazionale. In virtù del carattere universalistico dell’informazione l’offerta è impartita in lingua italiana. In questo segmento informativo possiamo annoverare gli ormai storici programmi : NonSoloNero (in onda su Rai TV 2 dal 1989 al 1997), Shukran (trasmesso su Rai TV 3 dal 2000 al 2010), Permesso di Soggiorno (programma radiofonico quotidiano di Rai Radio1), Un mondo a colori dalla cui esperienza e nata ultimamente Crash - Contatto, Impatto, Convivenza (Rai Education in onda su satellite). Lontani dalla narrazione sensazionalistica dei meanstreams, interamente dedicati all’integrazione, al contatto positivo con gli immigrati, al superamento delle diffidenze, questi programmi hanno due grandi limiti : vengono trasmessi in orari marginali e quindi hanno un’audience insignificante ; sono costantemente in bilico perché sono le prime vittime dei tagli finanziari della Rai41.

A questa prima tipologia di media si affiancano i mezzi di comunicazione interculturali promossi e prodotti dall’associazionismo italiano sia di sinistra che cattolico in collaborazione con singoli immigrati di più remota presenza. Essi si rivolgono a tutte le minoranze etniche e agli Italiani con un intento informativo e culturale. Essi mirano principalmente a far conoscere e valorizzare le culture e gli stili di vita degli immigrati, a promuovere il dialogo e lo scambio tra comunità straniere e ospitante nonché tra i diversi gruppi etnici. Operando trasversalmente i media interculturali sono dei potentissimi canali d’educazione alla diversità, alla convivenza, al rispetto per le diverse culture. Questa categoria di media riparano i danni d’immagine provocati dai mainstreams. Fiorente soprattutto nel Centro-Nord, queste esperienze mediali hanno un carattere principalmente locale e vivono di volontariato, due caratteristiche che costituiscono contemporaneamente una forza e una debolezza : se da un lato esse sono in stretto contatto con le realtà vissute dagli immigrati e ne promuovono un immagine dignitosa e rispettosa, dall’altro la lor fibra militante le rende effimere e talvolta estemporanee42.

Il giornalismo interculturale si esprime sia sottoforma d’inserti o pagine speciali nella stampa tradizionale o come giornale del tutto autonomo. Tra le primissime esperienze interculturali che trovano spazio nei giornali italiani vi è MondoInsieme, un inserto abbinato alla Gazzetta di Reggio Emilia ; Incroci. Vicenza crocevia delle culture, supplemento mensile ospitato dal quotidiano Il Giornale di Vicenza ; Bergamondo, inserto settimanale del quotidiano L’Eco di Bergamo ; la pagina del lunedì del Sole 24 Ore dedicata al mondo dell’immigrazione. Insolita l’esperienza di Yalla Italia, una rivista prodotta da giovani donne mussulmane di seconda generazione distribuita insieme al settimanale Vita. In alcune città sono state invece lanciate delle iniziative autonome come Città Meticcia a Ravenna, Métissage ad Aosta e tra le ultime creazioni, Il Tamburo, nato nel 2007 a Bologna43.

Al localismo sfugge Metropoli, supplemento settimanale de La Repubblica a diffusione nazionale interamente pensato e dedicato agli stranieri che vivono in Italia. Con una foliazione di 24 pagine, una tiratura di 450.000 copie settimanali, e con delle edizioni locali sparse un po’ in tutte le grandi città italiane, Metropoli ha esordito nel 200644. Questa prima ed unica iniziativa editoriale lanciata da un grande quotidiano nazionale in direzione degli immigrati è nata al fine di – « scoprire e valorizzare », come scriveva Ezio Mauro, il direttore di La Repubblica nell’editoriale del primo numero – « la cultura e i modi di vita dei nuovi Italiani. Metropoli è il segno, proseguiva il direttore, del cambiamento della realtà sociale italiana, è un atto di fiducia nel dialogo e nella convivenza civile »45. Le sue pagine volevano essere uno spazio di trasmissione d’esperienze, di tradizioni, di culture, di storie di vita, di traiettorie individuali sovente esemplari, che meritano d’essere scoperte, valorizzate e portate dentro la società italiana46.

Metropoli si è collocato in controtendenza con i mainstrems bandendo la cronaca nera e dando ampio spazio alle notizie relative alla quotidianità dei migranti fatta di normalità ma altresì di soprusi, d’ingiustizie, di sfruttamento ad opera d’Italiani poco scrupolosi, amorali, di un’amministrazione complessa e irrispettosa. Il settimanale ha aperto le sue colonne alla denuncia e all’indignazione contro le pratiche anti-immigrati, i comportamenti xenofobi, il lavoro nero e il caporalato al sud. Pagine intere sono state dedicate alle manifestazioni culturali in favore della diversità etnica o alle iniziative culturali promosse dalle comunità. Il giornale si è interessato inoltre all'attualità dei paesi di provenienza memore che i migranti hanno delle radici che se coltivate, se rispettate possono permettere un’integrazione meno conflittuale. Ampio spazio veniva attribuito al giornalismo di servizio ritenuto essenziale per accompagnare l’immigrato al momento del suo arrivo in Italia e nel suo vivere quotidiano.

Metropoli si è distinto dalla stampa dominante perchè ha introdotto profondi cambiamenti : gli immigrati sono stati i destinatari dell’informazione, si esprimevano con la loro voce, l’immigrazione veniva trattata con maggiore sensibilità e preparazione ed infine, novità fondamentale, i cronisti ne hanno dato una rappresentazione positiva e valorizzante. Questa narrazione giornalistica traduceva senza ambiguità la posizione integrazionista e pluriculturale del giornale.

L’uso della lingua italiana è stato il segno lampante della sua impostazione intercuturale e dialogante ; Metropoli infatti è stato un giornale che intendeva fare da ponte tra migranti e Italiani e tra le diverse comunità. L’Italiano come lingua di comunicazione era una scelta antidiscriminatoria e unificante ; nell’impossibilità d’adottare tutte le lingue parlate dalle oltre 80 nazionalità o etnie presenti in Italia, l’Italiano, come spiegato dallo stesso giornale, è l’unica lingua che possa fare da collante e risultare utile ai fini dell’integrazione47. Metropoli aveva quindi un’identità chiara : è stato un giornale che si è schierato in favore dell’integrazione, che si è rivolto ai cittadini italiani e stranieri che intendevano arricchirsi delle reciproche esperienze e che credevano nella crescita comune48.

Quest’immagine, volutamente positiva, ha suscitato delle perplessità in alcuni lettori e ricercatori ; la ricercatrice Eugénie Saitta in un suo recente studio su Metropoli ne ha evidenziato due rischi : l’occultamento di una faccia dell’immigrazione fatta di prostituzione, droga, traffico illegale di uomini, avvalorerebbe la tesi sostenuta dai giornali conservatori secondo la quale esiste una buona ed una cattiva immigrazione. Per Eugénie Saitta, la cronaca nera piuttosto che essere esclusa andrebbe commentata, contestualizzata per farne emergere la complessità del fenomeno migratorio49. L’omissione dei temi polemici e une visione univoca avrebbe fatto cadere Metropoli nella trappola della semplificazione e il lettore nell’illusione che l’Italia sia un paese pluriculturale e rispettosa delle diversità. Insomma Metropoli avrebbe rappresentato una realtà idealizzata, una società senza barriere e pacificata.

Questo giornale è stato innovativo anche per aver favorito l’ingresso in redazione di giornalisti stranieri o d’origine immigrata, in particolare donne. Questa scelta spiega la diversa sensibilità con la quale è stata trattata l’informazione sull’immigrazione, la tendenza a controbilanciare le cattive notizie che riempiono i mainstreams con notizie positive e valorizzanti. La presenza, in numero non trascurabile di cronisti d’origine immigrata in Metropoli ha contribuito, in maniera sostanziale, a costruire l’immagine di un media interculturale. L’inchiesta condotta da Eugénie Saitta sulla composizione della redazione e la ripartizione del lavoro ha messo però in evidenza alcune distorsioni in contrasto coll’immagine del giornale e il suo discorso.

Metropoli ha avuto una redazione al femminile ed immigrata ma diretta e controllata da redattori italiani, di sesso maschile. Le giornaliste straniere relegate al rango di collaboratrici avrebbero avuto uno statuto principalmente precario che di fatto le avrebbe tenute lontane dalla partecipazione e dalle decisioni redazionali. Considerate poco esperte dei meccanismi burocratico-legislativi ad esse sarebbero state volentieri affidati gli articoli sulla quotidianità e la cultura degli immigrati mentre i redattori italiani avrebbero trattato le rubriche del giornalismo di servizio ; in nome della loro insufficente familiarità con i codici culturali italiani le giornaliste straniere sarebbero state indotte a sottoporre i propri pezzi al controllo dei loro omologhi italiani. Eugénie Saitta ha intravisto in questa direzione centralizzata e rigidamente ripartita una forma larvata di discriminazione.

Malgrado la sua audience, Metropoli ha conosciuto un progressivo declino : il numero delle sue pagine si è progressivamente ridotto, così come le redazioni locali e nell’estate del 2009 il gruppo editoriale decideva di mettere un termine a questa singolare esperienza, dirottando parte delle notizie a carattere interculturale sulle edizioni cittadine del quotidiano nazionale. Le difficoltà finanziarie del gruppo Espresso, la carenza d’inserzionisti non sono certo estranee a questa decisione che purtroppo ha sacrificato sull’altare della crisi il target degli immigrati e di converso una forma alternativa d’informazione. Sulla falsa riga di Metropoli, nel 2009, è nato Mixa. Gli Italiani Nuovi, un mensile milanese in lingua italiana, luogo anch’esso d’informazione, di confronto tra le culture, di consolidamento dei legami attraverso gli sguardi incrociati e di dibattito soprattutto sulla condizione immigrata, sulle modalità d’integrazione e sulle politiche migratorie. Questa rivista sorta inizialmente online oggi è pubblicata anche in formato cartaceo e distribuita gratuitamente a Milano.

Ai media interculturali si affiancano quelli etnici, un vasto aggregato informativo costituito da giornali e trasmissioni radiotelevisive in lingua d’origine destinato e dedicato a specifiche comunità nazionali, linguistiche o geografiche. Il pubblico a cui si rivolge questo tipo di media è costituito da ben 190 nazionalità o etnie e conta oltre 3 milioni di fruitori di cui un milione e mezzo di lettori.

Dall’ultima inchiesta elaborata dal Cospe (Cooperazione per i Paesi Emergenti), i media etnici presenti in Italia nel 2010 erano costituiti da oltre 150 testate di comunità nella lingua di provenienza ; 65 a mezzo stampa, 59 radiofoniche, 24 format televisivi, più varie esperienze online ; tra le più rilevanti StranieriInItalia.it il cui portale oggi conta più di 400.000 visitatori al mese50. Questa mappatura probabilmente non rappresenta l’intero universo editoriale. Infatti se molte pubblicazioni sono il frutto d’esperienze e di professionalità e si avvalgono di vere e proprie redazioni altre sono spesso improvvisate, soffrono di gravi problemi finanziari e faticano ad affermarsi. I nomi delle loro testate ricordano quasi sempre la terra d’origine : African News, Africa Nouvelles, Expreso Latino, Mundo Brasil, per le comunità sub-sahariane e dell’America Latina, Gazeta Româneasca, Bota Shquiptare per le comunità albanesi, Al Maghrebiya, mensile in lingua araba per la comunità magrebina. Questi titoli sono solo alcuni dei molteplici media stilati nelle 18 lingue utilizzate dalle comunità immigrate più rappresentative. Le singole pubblicazioni hanno una diffusione che oscilla tra le 10mila e le 20mila copie.

I giornali etnici spaziano dalle notizie di eventi politici e culturali del paese di provenienza alla cronaca e ai commenti su quanto accade in Italia con una particolare attenzione alle problematiche dell’immigrazione e all’informazione di servizio. Questi media sono quindi degli spazi autogestiti dalle singole comunità linguistiche con la funzione d’impartire, soprattutto ai nuovi arrivati, informazione di prima necessità sulla realtà e le regole burocratiche italiane. Fungendo come una sorta d’informazione di mutuo soccorso tra connazionali essi rappresentano dei veri strumenti d’accoglienza. In una fase di forte isolamento e sdradicamento i media etnici rispondono altresì al bisogno di mantenere un legame con il proprio paese e la propria cultura e di coltivare la propria identità.

Questi spazi identitari, come rivela il rapporto del Cospe, sono indispensabili in una fase di transizione da una cultura all’altra, da un paese all’altro ma possono diventare dei luoghi di protezionismo identitario, d’autoesclusione dal paese ospite se non superati da iniziative editoriali interculturali, da esperienze mediatiche basate sull’ibridazione culturale. L’incamminarsi verso dei media di tipo interculturale non significa, come rileva Agostino Portera, « la negazione della propria identità, la rinuncia ai propri valori o l’accettazione acritica della diversità ma ‘iniziare un percorso comune sulla base di valori condivisi’ »51.

Gli immigrati sono ormai una componente strutturale della popolazione italiana e nell’attuale contesto pluriculturale e multietnico diventa sempre più indispensabile un’informazione meno etnocentrista, libera da generalizzazioni, fobie e pregiudizi. Un’informazione rispettosa della diversità, che consideri la differenza come un bene da tutelare, che guardi alla diversità come una risorsa può avere un ruolo capitale sia nel processo d’inclusione dei nuovi cittadini italiani che nel dar loro una ragione in più per riflettersi con fiducia e speranza nel paese Italia e per sentirsi parte costruttiva nella società d’adozione.

Note de fin

1 Per un resoconto dettagliato degli indicatori inerenti alla popolazione immigrata rinviamo al Rapporto Istat del 2009 e 2010 e al Dossier Statistico Immigrazione Caritas-Migrantes 2010.

2 Il contributo al valore aggiunto degli immigrati nelle macroaree di maggiore inserimento, ossia il Nord, sfiora l’11%. Questi dati sono stati elaborati nel 2008 dal Centro Studi Unione Camere Italiane.

3 Dati Abi-Cespi, 2005, inserto n. 4 Sole 24 Ore del 18 dicembre 2006 nel Rapporto Istat 2005.

4 Secondo i dati sul tesseramento 2009 gli stranieri iscritti ai sindacati sono 963 mila su circa due milioni di lavoratori immigrati regolari. Essi rappresentano il 15% del totale degli iscritti, una fetta davvero alta se paragonata a quella dei lavoratori italiani pari al 30%. I lavoratori immigrati rappresentano il 6,6% degli iscritti della Cgil ; 8,4% della Cisl e il 9,5% della Uil. Vedi : Sole 24 Ore del 10 maggio 2010.

5 Sul totale di 250 mila matrimoni annui le unioni miste sono circa 35 mila (Rapporto Istat 2009). Le regioni con il maggior numero di matrimoni misti sono l’Emilia Romagna e la Lombardia.

6 Gli alunni stranieri sono 629.360 rispetto ad una popolazione scolastica complessiva di 8.945.978 unità. I valori mostrano una massiccia presenza della fascia di età tra i 6 e 15 anni (Servizio Statistico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, 2009).

7 Vedi Rapporto Istat 2010 ; Rapporto Caritas-Migrantes 2010 ; La Repubblica del 28 gennaio 2010.

8 Mario MARCELLINI, « Alle porte della citadella mediale, preludio alla lettura », in Fuoriluogo. L’Immigrazione e i media italiani, a cura di Marco Binotto e Valentina Martino, Cosenza, Pellegrini Editore, 2004, p.7.

9 Cfr. il Rapporto finale della Fondazione Censis 2002, Roma, Fondazione Censis, 2002.

10 Questo studio è pubblicato in BINOTTO Marco, MARTINO Valentina, Fuoriluogo. L’immigrazione e i media italiani, op. cit. Il campione sul quale è stato compiuta l’indagine era costituito da 8 quotidiani nazionali : Il Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore, La Repubblica, La Stampa, Il Messaggero, Quotidiano Nazionale, Il Giornale, Il Tempo e da 5 settimanali : Gente, TV Sette, Famiglia Cristiana, Panorama e L’Espresso.

11 La prima inchiesta è stata curata dalle rete Associazioni Bologna Media Monitoring e ha riguardato i giornali locali : Il Resto del Carlino, Il Domani, Il Corriere di Imola, Il Carlino di Imola e le pagine locali di La Repubblica e L’Unità. I risultati dell’inchiesta sono consultabili alla pagina : www.meltingpot.org/IMG/ppt/risultati-parziali.ppt. La seconda inchiesta, promossa dall’Associazione dei Giornalisti Italiani, analizza lo scenario informativo dei drammatici fatti di Rosarno (Calabria) dove nel luglio del 2010 v’era stata una vera e propria caccia all’immigrato. I risultati dell’inchiesta sono consultabili sul sito « Cartadiroma » alla pagina : www.cartadiroma.com/blog2010/07/presentazione (20 luglio 2010).

12 La scelta delle testate riposa in parte sull’accesso gratuito all’archivio numerico del giornale. Tale criterio spiega il perché non sono state esaminate alcune testate di rilievo tra le quali quelle leghiste.

13 Le TV esaminate sono state Rai 1, Rai 2, Rai 3, Retequattro, Canale Cinque, Italia Uno.

14 Lo studio è stato condotto su 1058 articoli. Tra i giornali che hanno pubblicato il numero maggiore di pezzi : La Gazzetta del Sud (413), Il Corriere della Sera (189), Libero (170), Il Resto del Carlino (164), Il Tirreno (150), L’Unità (97). Per le altre testate il numero è inferiore a 50.

15 Rapporto sulla Criminalità in Italia, Ministero degli Interni, 2006 (Rapporto Istat 2009).

16 Questi lemmi sono nettamente meno ricorrenti nella stampa di sinistra come L’Unità e Liberazione. Questa nostra trattazione informatica è confermata da una ricerca condotta nel 2010 da alcuni ricercatori dell’Università di Torino su 1852 articoli e 3.412.339 parole. Questa ricerca intitolata Mass-media e intercultura è stata promossa dall’Istituto Paralleli e finanziata dall’Ordine Regionale dei Giornalisti del Piemonte. Per il contenuto si veda il web site : www.meltingpot.org

17 Il Resto del Carlino 2 settembre 2010, Gazzetta del Sud 28 agosto 2010 e 23 agosto 2010, Corriere della Sera 7 luglio 2010, Il Secolo XIX giugno 2010, Il Tirreno 10 e 14 agosto 2010.

18 Intervista di Mihai Butcovan dal titolo Butcovan, immigrazione e lingua del cuore, 13 ottobre 2009 pubblicata sul sito Osservatorio Balcani e Caucaso.

19 Alessandro DAL LAGO, Non-persone L’esclusione dei migranti in una società globale, Milano, Feltrinelli, 2004.

20 Marco BINOTTO, « La cronaca », in Fuoriluogo. L’Immigrazione e i media italiani, op. cit., p. 45-81.

21 Maurizio CORTE, Giornali : Stereotipi in redazione, 15 giugno 2007, sito : www.cestim.it/argomenti/34giornalismo interculturale.

22 Intervista a Amara LAKHOUS del 25 novembre 2006 pubblicata sul sito della Rivista Europea Cafébabel.com.

23 Annamaria RIVERA, Estranei e nemici. Discriminazione e violenza razzista in Italia, Roma, Derive-Approdi, 2003.

24 Hall STUART - Dorothy HOBSON, Culture, Media, Language, London, Hutchinson, 1980.

25 Per le posizioni sul razzismo culturale vedi : Martin BARKER, The new racism, London, Junction books, 1981.

26 Teun VAN DIJK, Ideologie. Discorso e costruzione sociale del pregiudizio, Roma, Carocci, 2004 ; dello stesso autore : Il discorso razzista. La riproduzione del pregiudizio nei discorsi quotidiani, Catanzaro, Rubettino, 1994. In lingua originale vedi : Analyzing racism through discourse analysis. Some methodological reflections, in : J. Stanfield, Race and ethnicity in Research Methods, Newbury Park, CA : Sage, 1993, p. 92-134 ; Van Dijk T., New(s) Racism : A discourse analytical approach, in Simon Cottle, Ethnic Minorities and the Media, Milton Keynes, UK, 2000.

27 Serge MOSCOVICI, Robert FARR (a cura di), Le rappresentazioni sociali, Bologna, Il Mulino, 1989.

28 Questa ricerca-inchiesta è stata realizzata su un campione di 2085 giovani italiani di età compresa tra i 18-29 anni. Essa è stata promossa dalla Conferenza dei Presidenti Regionali e condotta dall’Istituto Iard (Istituto di ricerche socio-economiche). Il rapporto è consultabile sul sito : www.parlamentiregionali.it.

29 Maurizio CORTE, Stranieri e mass-media. Stampa, immigrazione e pedagogia interculturale, Padova, Cedam, 2002. Dello stesso autore, Comunicazione e giornalismo interculturale. Pedagogia e ruolo dei media in una società pluralista, Padova, Cedam, 2006.

30 Il testo della Carta è consultabile sul sito internet della RAI alla pagina seguente : www.segretariatosociale.rai.it/atelier/carte_diritti.

31 FNSI : I media sentono la responsabilità per la xenofobia dei giovani, 19 febbraio 2010, sito : www.meltingpot.org.

32 La Carta è consultabile sul sito dell’ordine dei giornalisto : www.odg.it/content/carta-di-roma.

33 « Un linguaggio da cambiare », Il Fatto Quotidiano, 23 agosto 2010.

34 Judith BUTLER, Per una politica del performativo, Cortina editore, Milano 2010.

35 Una delle prime campagne di sensibilizzazione è stata lanciata della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, cfr : Le parole lasciano impronte. Campagna contro le discriminazioni nell’informazione, marzo 2005, sito : www.meltingpot.org. La campagna è stata ripresa da alcune agenzie stampa come l’Agenzia Dire e l’Agenzia Redattore Sociale, cfr. il comunicato stampa : La parola clandestino scompare dal notiziario, in Dires , 10 novembre 2008, www.meltingpot.org. La campagna è stata parallelamente portata avanti dall’Associazione Giornalisti contro il Razzismo, all’origine di un lessico alternativo, cfr. : Glossario-Vademecum : le parole da mettere al bando, 29 luglio 2008, sito web : www.giornalismi.info/mediarom/indici/ind_232.html. Queste iniziative sono state approvate dall’Ordine dei Giornalisti.

36 Cfr. gli articoli : « Glossario-Vademecum : le parole da mettere al bando », op. cit. ; « Sette giorni tra media e razzismo » / 15, 23 giugno 2010 ; « Sette giorni tra media e razzismo » / 19, 22 ottobre 2010, www.giornalismi.info/mediarom/articoli/art_7565.html ; « Ma che lingua parliamo », Il Fatto quotidiano, 23 agosto 2010.

37 « Ma che lingua parliamo »,  Il Fatto Quotidiano, op. cit.

38 Cfr : www.occhioaimedia.org.

39 Giornalisti contro il razzismo : appello al rispetto dei Rom, 27 maggio 2008, www.meltingpot.org/stampa12749.html

40 Rapporto Censis, L’immagine degli immigrati e delle minoranze etniche nei media, op. cit.

41 Per uno studio approfondito dei media multiculturali vedi : Maurizio CORTE, Comunicazione e giornalismo interculturale, op. cit., p. 137-254.

42 Un esame dettagliato dei media multiculturali e interculturali è stato realizzato dal Cospe nel 2002 : L’offerta multiculturale nella stampa, tv e radio in Italia, pubblicata dal Censis nel 2003. Questo rapporto è stato aggiornato dal Copse nel 2007. Vedi anche : Immigrazione e mass-media. Per una corretta informazione (a cura di Alessandra Montesano), Milano, Arcipelago Edizioni, 2010.

43 Gaia FARINA, Un giornale interculturale. Il caso de ‘Il Tamburo’ di Bologna, tesi di laurea in comunicazione e informazione sociale, Facoltà di lettere, Università di Bologna, 2007.

44 Cfr. Elida SERGI, Informazione per immigrati : L’esperienza di ‘Metropoli’, in Pantaleone Sergi, Stampa migrante. Giornali della diaspora italiana e dell’immigrazione in Italia, Rubbettino, 2010, p.169-172.

45 Ezio MAURO, « Voce ai cittadini dell’Italia futura », Metropoli-La Repubblica, 15 gennaio 2006.

46 Ibidem

47 Metropoli-La Repubblica, 7 febbraio 2006.

48 Editoriale Ezio MAURO, « Voce ai cittadini dell’Italia futura », Metropoli-La Repubblica, 15 gennaio 2006.

49 Eugénie SAITTA, L’espace des médias des migrants en Italie et plus précisément le cas du supplément ‘Metropoli’, 17 dicembre 2009, sito : Figures médiatiques de la représentation. 

50 A proposito dei media etnici vedi : Alen CUSTOVIC, Il successo dei media etnici, 16 marzo 2010, sito : www.resetdoc.org ; Il boom dei giornali etnici, 27 marzo, 2009, sito www.magazine.it ; I giornali degli stranieri in Italia, 7 giugno 2010, sito del Consiglio Nazionale della Ricerca, www.dialoghi.cnr.it. Quest’articolo contempla un censimento di tutti i periodici etnici pubblicati in Italia.

51 Agostino PORTERA, L’educazione interculturale nella teoria e nella pratica, Padova, Cedam, 2000. Vedi anche : Elena GARCEA, La comunicazione interculturale, Roma, Armando, 1996.

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Référence électronique

Carmela Maltone, « L’immigrazione nei media italiani. Disinformazione, stereotipi e innovazioni. », Line@editoriale [En ligne], 3 | 2011, mis en ligne le 02 février 2017, consulté le 03 mai 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/314

Auteur

Carmela Maltone

carmela.maltone@free.fr

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