Autopsia dell’animo : la migrazione nei romanzi di Elvira Dones, Ornela Vorpsi e Anilda Ibrahimi.

Résumés

La letteratura italiana della migrazione femminile albanese ha tre romanziere protagoniste: Elvira Dones, Ornela Vorpsi e Anilda Ibrahimi. L’opera prima di tutte e tre è autobiografica, mentre le seguenti pubblicazioni sviluppano il tema della migrazione, declinato secondo modelli differenti. In una prima fase quindi l’autrice si specchia nel tempo passato albanese, successivamente invece modella nuovi personaggi sul proprio vissuto, costruendo storie diverse, ambientazioni altre e post-diasporiche. Ci siamo chiesti come evolve, durante tale maturazione letteraria, la nozione di luogo, lo stare in un posto, il desiderarlo prima di conoscerlo e infine l’approdare ad una scrivania e, da lì, parlarne.

Elvira Dones, Ornela Vorpsi and Anilda Ibrahimi are the three Albanese female novelists who represent women’s migration in Italian literature. Whereas the first works of these three authors are autobiographical, their later publications are devoted to the theme of migration, developed according to various paradigms. What is brought to the fore in these first works is the confrontation of the writer with her past in Albany. In the following works, new characters take shape in the wake of her own experience, new stories and situations are built up, talking place in the post-diaspora period and leaving behind any connections with the past. The present paper investigates the evolution of the sense of place as applied both to the notion of residence and to an unknown territory whose appeal ultimately gives birth to writing.

Plan

Texte

Ho preso dimora in un territorio dai confini incerti

che sono solito definire il paese

della mia immaginazione.

( Nuruddin Farah, Rifugiati1)

Tre sono le romanziere di migrazione albanese che scrivono in italiano : Elvira Dones, Ornela Vorpsi e Anilda Ibrahimi. Provenienti da diversi contesti albanesi e giunte in epoche differenti in Italia, tutte sono approdate nei recenti anni alla prestigiosa e altamente valida editoria Einaudi.

Accostandoci alla loro produzione notiamo una duplice costanza : da una parte la scelta comune del genere autobiografico nel primo romanzo, dall’altra il declinarsi nelle opere successive di storie sul « tempo » del migrare.

Riconsiderando quanto diceva già Armando Gnisci, l’esodo incide profondamente la vita di un uomo, tanto da dividere la sua esistenza in un ante-migrazione ed un post-migrazione2, così il migrante che scrive non potrà non riferirsi incessantemente a tale frattura, ed i romanzi di Dones, Vorpsi e Ibrahimi ne sono davvero esempio evidente : quell’opera prima, specchio di se stesse, si riferisce al periodo albanese, in gran parte coincidente con la dittatura di Enver Hoxha, e si conclude con l’abbandono dei Balcani, mentre i testi successivi sono, come fossero variazioni sul tema, altre vicende di donne che ancora hanno dovuto migrare e che si reinventano nella terra al di là del mare.

Almeno tre dunque i luoghi dei romanzi : la patria natia, lo spazio vuoto del viaggio verso l’altrove, il posto d’arrivo. Per « tempo » del migrare, quindi, intendiamo le fasi di tale diaspora – la permanenza in Albania, l’esodo, il giungere ed eventualmente l’integrarsi nel nuovo mondo. L’idea di tempo e di luogo si fa una, coincidente, e si mescola in una nozione topologica che è insieme cronologica e puntuale : è filo che si dipana dal presente alla proiezione utopica, ma è anche punto fermo per ogni momento di un’esperienza iniziatica oramai acquisita. Nella scrittura il luogo cresce e si modella insieme ai protagonisti e alle autrici e torna a farsi chiaro nella memoria, soggettivo e oggettivo, simbolico e reale.

Ritornando alle due fasi della produzione romanzesca di queste tre scrittrici, come punti significativamente comuni, un confronto ci sembra utile all’analisi di quel procedimento che, attraverso e nella scrittura, elabora una concezione di luogo che è propria della letteratura della migrazione.

L’autobiografismo delle opere prime

1) Senza bagagli di E. Dones (1997)

Senza bagagli3 è la storia di Klea Borova, operatrice della televisione di Stato, madre, divorziata, dai vestiti troppo appariscenti nell’Albania anni Ottanta di Enver Hoxha, un personaggio pubblico quindi non allineato con i precetti socialisti. Durante un privilegiato e brevissimo viaggio di lavoro, le si spalanca il mondo lontano dal dittatore in uno sprazzo luminoso di Danimarca che la incanta con cibi stranieri, con facce diverse, con l’assenza di letteratura proibita e, soprattutto, con i riccioli dello svizzero Yves Montalban. Egli diviene la sua vocazione, gli scrive formali cartoline e tiene per lui un diario in inglese, nascosto sotto il materasso, ché neanche suo figlio possa pensarne l’esistenza. Questo l’antefatto, raccontato nel soffocante presente a Tirana, dove unico è il mare a lenire il dolore, e tanti i dolori a dover essere leniti : il suo rapporto con l’ex marito Giorgio, la tristezza inguaribile del figlio Anthony, la tragedia di Linda che non vuole « morire dentro »4, i tentacoli ossessivi del Partito e del popolo, la carne bovina introvabile, l’amore per Yves lontano.

È così che appena si ripropone la fortuita occasione per tornare all’estero, a Milano stavolta, basterà uno sguardo di Yves per salire in macchina, senza averlo progettato, senza bagagli, e finire con lui nella Svizzera italiana. Disonore dell’Albania, negatale ogni possibilità di contatti con la sua famiglia, con il figlio, da una parte, e dall’altra immigrata, senza lavoro, controllata a vista dalla polizia svizzera : « sola poiché non esiste ancora una diaspora albanese per cui il suo isolamento è anche linguistico », senza contare poi « il dover vivere a distanza i grandi cambiamenti che avvengono in Albania all’inizio degli anni Novanta »5. Osservata da lontano la caduta di Hoxha, ritrovata infine la sua famiglia fuggita in Grecia e ripreso il lavoro, Klea-Elvira scrive. E scrive, in un gioco di specchi, proprio il romanzo che è appena concluso :

Avrebbe provato. Non sapeva ancora se aveva cose da raccontare alla gente, agli altri, al mondo là fuori. Ma aveva cose da dire a se stessa. E alla terra da cui proveniva. E quello era il modo migliore, il più desiderabile, il più personale, per dire quanto serbava in sé.

[…] Cosa sto facendo? […]

Scrivo.

Pensò nella lingua che non le apparteneva e che spesso, involontariamente, violava la sua.

Shkruaj.6

Presente lo scrivere per « la terra da cui proveniva », in risposta alla richiesta dei suoi amici e parenti (« guarda anche per noi »7), e quindi l’inequivocabile scelta della lingua albanese nella redazione. Ma anche presente la necessità di scrivere per « se stessa », e per « la gente, gli altri, il mondo là fuori », un unico destinatario, vasto e temuto, che si fa trino. E quindi presente l’addensarsi di lingue diverse scrivo-shkruaj, prima eco dell’alternanza linguistica che succederà.

Il romanzo si apre con le parole di Jamarbër Marko, un poeta albanese che è stato costretto a una prigionia di sette anni per aver insultato Hoxha, quindi « un ribelle »8, e si conclude con l’iscrizione « Ticino, Svizzera, dicembre 1994 – novembre 1995 »9 : Senza bagagli è il racconto di una nuova ribelle albanese che fugge da Hoxha e che alla fine del 1994, in Svizzera, decide di scrivere la sua storia ; è quindi l’autobiografia di Elvira Dones10. Così d’altronde l’autrice riassume il suo vissuto nella breve presentazione che apre il sito web ufficiale, da lei stessa pedissequamente aggiornato :

Elvira Dones è nata a Durazzo e cresciuta a Tirana (Albania). All’età di dieci anni scrive « un libro » (una dozzina di pagine) che intitola « Romanzo ». A sedici anni inizia a condurre programmi televisivi. Nel 1988 lascia il suo paese – a quel tempo ancora una dittatura stalinista – e si stabilisce in Svizzera. Nel ‘97 pubblica il suo primo vero romanzo, Dashuri e huaj (Senza bagagli). […] I Balcani sono la sua culla, i figli la sua casa. Vivere senza bagagli è la sua adorata condizione perenne.11

Senza bagagli si fa significante della sua esistenza, come condensasse la sua vita. La letteratura di Elvira Dones si apre « senza bagagli » e la descrizione di se stessa si conclude, con una frase quasi da epitaffio, ancora « senza bagagli », in una ring composition in cui si mescolano arte e vita, finzione e realtà esperimentata. È da notare che il titolo originale albanese è Amore straniero12, sottolineando così la relazione tra i due personaggi principali : la versione italiana, destinata a quel triplice enorme destinatario, focalizza invece la condizione della scrittrice migrante.

Senza bagagli di Elvira Dones è il racconto di una migrazione. Ma non solo : vi è nel romanzo il compendio della riflessione che si propagherà nelle opere successive. Il dramma di Elvira Dones fu l’abbandono di suo figlio Anthony per fuggire nascostamente in Occidente e la scrittura autobiografica è conseguenza di tale trauma. Così in effetti si confida alla studiosa Mauceri :

Senza bagagli rappresenta i fatti con onestà, senza cercare di abbellire nulla […] (è stato il mio « divano dello psicanalista », in un certo senso) una tappa obbligatoria per continuare poi e scrivere in tutta serenità. Dopo il recupero di mio figlio (appena l’Albania si aprì) io ebbi il vero crollo psicologico. Lui dormiva e io passavo la notte ai piedi del suo letto dalla paura che, se fossi tornata nella mia camera, al mattino non l’avrei più trovato lì. Scrivere il libro era un modo per poter ritrovare la normalità.13

Il fatto di scrivere in terza persona, invece che secondo l’istanza dell’io narrante, sottolinea l’identificazione fra l’autrice e il personaggio di Klea Borova : in questo modo la catarsi della scrittura come « divano dello psicanalista » si ottiene delegando l’esperienza del sofferto ad un terzo, Klea.

2) Il Paese dove non si muore mai di O. Vorpsi (2005)

In ordine temporale, dopo Elvira Dones, si ha la prima pubblicazione di Ornela Vorpsi, Il paese dove non si muore mai14, anch’essa autobiografica. Pur se l’autrice così la definisce, l’opera non è propriamente un romanzo, con un filo che si trama : è piuttosto una matassa di numerose storie, che si annodano e si confondono. Commenta la scrittrice stessa :

È un romanzo che non segue una forma ortodossa. Io provengo dalle arti plastiche e sono di formazione frammentaria, la mia struttura mentale è fatta di immagini, ed avevo voglia di giocare con questo romanzo come fosse un puzzle […] Mi è piaciuta l’idea di far perdere il lettore in questi personaggi che cambiano nome, però capendo che alla fine si trattava dello stesso personaggio.15

È il racconto autobiografico di Ornela, che è anche Ina, Eva, Elona : adolescente dell’Albania di Hoxha. Bollata la famiglia come « nemica del popolo », poiché è in prigione il padre, e quindi bollata la giovane secondo la categoria della « puttaneria » – dettami di « Madre Partito », Nëna parti. « Come struttura di fondo » a fare dei frammenti un’unica giovinezza « c’è la pulsione erotica, che induce gli uomini a considerare tutte le donne capaci di tradimento e perversione. Il sesso femminile si cuce e si scuce con facilità. Sembra che la possibilità di una coerenza di fedeltà non possa esistere. […] A questa pulsione erotica non sfugge nessuno »16. Le sembianze maschili sono incarnate dagli uomini i cui « sguardi t’incrociano penetrandoti fino al midollo »17, uomini che non cadono mai e che non si suicidano come invece fanno le donne disonorate18 ; è maschio il Partito, che pure si chiama Madre, e virili i suoi rappresentanti, anche donne, tra cui la laida maestra delle elementari nel capitolo Tuorli d’uovo19, che malmena con un righello rovente Ormira perché la sua mamma ha una pelle splendida e i capelli ondulati. « La bellezza non doveva turbare lo spirito », riflette la scrittrice, illustrando la sua vita sotto Hoxha : « se in una società comunista si poteva essere uguali in tutto sarebbe stato meglio. Ma non è solo effetto del dominio ottomano, questo machismo lo si trova in tutto il mediterraneo »20. E in effetti l’epilogo del romanzo, il racconto Terra promessa, ripropone, in botta e risposta, la speculare situazione di madre e figlia giunte infine in Italia, vittime stavolta di pretese d’acquisto da parte di un uomo italiano. Tali a Tirana, a Durazzo, così a Roma : ma gli uomini italiani non si lasciavano stendere a terra come il bucato lavato con Dash ?, si chiede Eva, che si era incantata davanti alle immagini in TV che arrivavano dalla sponda di fronte21.

Sono evidenti le giunture tra tale trama e la vita dell’autrice. Giunta a Milano nel 1991, all’età di 23 anni, dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Tirana, Ornela Vorpsi si iscrive all’Accademia di Brera, alternando allo studio professioni notturne e precarie :

Una conoscente mi portò in un’agenzia di modelle. Non andavo forte, troppo mediterranea. Mi portarono in discoteca come ragazza immagine. Poi capii che le cubiste guadagnavano di più e non avevano alcun contatto con il pubblico. […] Dopo sei anni, ho scelto Parigi. Era più aperta. Ma l’Italia mi ha fatto un grande regalo. La lingua che mi ha consacrato scrittrice.22

L’italiano diviene una lingua malleabile, nella penna della scrittrice, acquista anche un’originalità data dal relativo uso, come fosse un idioma poco consunto, ancora giovane : « l’italiano è una lingua che non vivo nella sua pienezza – certo lo vivo a casa con mio marito, con mia figlia, però è un contesto estremamente rinchiuso per poter vivere una lingua : una lingua ha uno spazio molto più ampio che un nucleo famigliare, la mia vita evidentemente si svolge in francese ». È questa una condizione tipicamente migrante : « la mia condizione è proprio essere tra le lingue »23. Lo stare tra le lingue è il privilegio di chi non appartiene più ad una nazione : « ovunque io sia, in Albania, in Italia o in Francia, non mi sento a casa da nessuna parte. Il mio posto è diventato abbastanza opportunista, nel senso che è il luogo dove posso creare, scrivere, insomma : stare in pace »24 - quasi echeggiando il pensiero di Elvira Dones, che così diceva mettendo ugualmente in relazione il migrare e lo scrivere nella woolfiana « stanza tutta per sé » : « questo andare in giro per il mondo, fluttuare in un certo senso, mi aiuta molto per lo scrivere, per guardare il mondo e poi ritirarmi nel mio cantuccio »25.

L’autobiografismo in Vorpsi è declinato in maniera differente che in Dones, la quale si era attenuta con scrupolo al vissuto, seguendone cronologicamente gli sviluppi : se per lei Senza bagagli era stato il « divano dello psicoanalista » e scrivere di sé voleva dire distanziarsi da sé, Ornela Vorpsi condivide la metafora ma non in relazione ad un proprio libro, piuttosto riferendosi alla lingua italiana. Scrivere in italiano è il balsamo con il quale lenire il ricordo del passato, confessa a Maïa Gabily : « se ho scelto di scrivere in italiano è perché avevo bisogno d’esser davvero distaccata da ciò che raccontavo »26. Ed i personaggi ed i luoghi del racconto sono legati alla sua giovinezza albanese, un tempo doloroso verbalizzato e al tempo stesso mantenuto distante attraverso l’uso d’un altro idioma : « avevo bisogno di una lingua che non portasse in sé l’infanzia »27.

3) Rosso come una sposa di A. Ibrahimi (2008)

La scrittura per Anilda Ibrahimi, invece, è il mezzo che l’autrice sceglie per tornare all’infanzia, per raggomitolarsi nel passato. La riflessione della scrittrice sul tempo si articola in pensieri legati alle scelte poetiche, alle scelte linguistiche : sono considerazioni sparse in interviste, in brevi scritti, in poesie.

Canto,

canto con voci desolate

nel silenzio della notte.

[...]

Oltre i miei occhi,

le labbra,

i capelli serpeggianti,

nascondo la corrente

disperata del tempo.28

Sulle stesse tonalità di Cristalli di tristezza, Anilda Ibrahimi nel 2008 pubblica per Einaudi il suo primo romanzo : Rosso come una sposa29, la saga di una famiglia in Albania o meglio, di quattro generazioni di donne, che si passano, come fosse un testimone, il ruolo di centri nevralgici e di punti d’illuminazione della storia, muovendosi in una narrazione epica, fatta di aneddoti ed episodi quasi leggendari, senza tempo30, nella prima parte, e, nella seconda, descritti da una voce narrante, a focalizzazione interna, nell’Albania contemporanea. Come se fossero due libri : echi di voci lamentose e piane di donne, la prima parte, che tessono per i morti le vicende dei vivi dell’Albania di Zog e Hoxha, i canti di Melinha e sua figlia Saba – e la voce chiara in italiano della donna moderna, Dora, nipote di nonna Saba, nella seconda.

Secondo Raffaele Taddeo due dialettiche nell’opera sviluppano il tema dell’opposizione tra arcaicità e modernità : la dialettica città/campagna, osservata sincronicamente, e la dialettica mito/realtà politica, sviluppata diacronicamente lungo le due parti del romanzo. Il tempo continua ad essere centro dei ragionamenti della scrittrice.

La campagna è il luogo dove la diversità o la novità non può resistere. Pensiamo alla bella Afrodita, sorella di Saba, che fa su e giù con la città, sovverte la tradizione e ingerisce pesanti anticoncezionali che la renderanno sterile, facendo il suo dovere di moglie « alla francese » invece che « alla turca », o alla storia di Esma, innamorata follemente del marito, che vive nell’attesa del suo ritorno nella campagna di Kaltra ogni fine del mese, e per l’occasione si imbelletta tutta, con cappellini e ombrellini della città, si fa una ceretta col tuorlo d’uovo e lava i capelli con la camomilla e si attira l’invidia e la maldicenza del villaggio che vigliaccamente l’accusa di kurvëria (la « puttaneria » già presente in Vorpsi), costringendola a subire il pubblico ripudio. La seconda parte è invece il racconto di Dora, che da quest’Albania leggendaria e arcaica, insieme ai suoi connazionali, emigra. È la narrazione in prima persona della diaspora contemporanea : la statua di Hoxha che si schianta per terra, gli assalti nelle ambasciate, l’esodo, quella stessa storia che Elvira Dones guardava con angoscia nella sua prigione d’oro in Svizzera.

Si ricompone la doppia dialettica di cui parlava Taddeo nell’essenza autobiografica dell’opera, espressa da Dora, maschera nell’Epilogo dell’autrice stessa, che dichiara di aver scritto a nonna Saba per continuare a intessere quella comunicazione immortale tra le generazioni, per parlare attraverso e oltre il tempo. Impossibilitata a sedersi sulla sua tomba e raccontarle le sue storie, come le vecchie facevano con i loro cari senza mentire loro, magari con qualche piccola negligenza perché non si angosciassero eccessivamente per i fatti dei vivi, Dora/Anilda scrive un romanzo a sua nonna che, da quando è morta, non le manda più segnali, come non volesse più saperne della nipote, migrata lontano e ormai italofona :

Forse, ho pensato, non è sbagliato il posto in cui l’aspetto, ma è sbagliata la lingua. Io parlo un idioma a lei sconosciuto e così ci rincorriamo da una parte all’altra. Forse lei cerca di riconoscermi dalle parole, dalla lingua piena di colori e sfumature che mi ha insegnato, dai nostri strani discorsi che solo noi sapevamo decifrare. Ma la sua lingua, azzurra, verde, gialla, come le stagioni dei suoi campi, quella che vorrebbe sentire da me non è più mia.31

Saba la cerca senza poterla riconoscere : la scrittrice non parla più la stessa lingua. Questa di adesso appartiene ai vivi, a chi nasce, alla nuova generazione della stessa stirpe : « le ho scritto nella lingua che parlo coi miei figli, questo le basterà »32. Il destinatario di questo romanzo, quasi un’epistola, è la nonna e la dedica ad apertura lo testimonia : « a lei, mia nonna Salihe, gradino tra vivi e morti ». La Saba di Dora è la Salihe di Anilda Ibrahimi : « con lei mi rimane un unico debito : i versi dei suoi lamenti, i versi che viaggiano senza sosta dalla vita alla morte per raccontare come va il mondo senza di noi, dopo di noi »33. L’amarezza dell’ultima generazione è di non saper cantare, quel canto di Cristalli di tristezza per i morti, aedi dell’aldilà : il compianto della fine della lirica in albanese. Ma la modernità ha donato alla vecchia Saba un romanzo in italiano, dove la poesia ha lasciato il posto alla prosa, una prosa comunque epica ed antica.

Se Senza bagagli di Elvira Dones è dichiaratamente autobiografico, Il paese dove non si muore mai di Ornela Vorpsi è popolato da alter ego dell’autrice dietro i quali la stessa si propone di far perdere il lettore. Rosso come una sposa, invece, non si fa né « divano dello psicanalista » come per Dones, né si promuove a specchio dell’autrice, ma, al contrario di questi altri pur propriamente autobiografici, è il solo dei tre che utilizza l’io narrante per buona parte della sua durata :

Era una storia che era da tanto tempo dentro di me, quindi non poteva fare che uscire. […] Questo libro l’ho scritto veramente in quattro mesi, in quattro mesi pieni. Avevo proprio l’emergenza, l’esigenza, […] ero abitata talmente tanto da queste storie che dovevano comunque venirne fuori. […] Cambio di registro del racconto : nella seconda parte parlo in prima persona, forse perché mi riguarda veramente da tanto vicino.34

È stata una scelta ben pensata e molto voluta di cominciare con le cose che si conoscono bene, il mio universo : è stato un bene che mi è stato dato dal mio universo femminile, che io ho vissuto nella mia infanzia e nella mia adolescenza. In qualche modo dovevo pure restituire questa bellezza, queste tradizioni, dovevo ricucire.35

L’atto del rintrecciare quell’antico legame matriarcale va di pari passo con il movimento rapsodico dell’epos, ma non sono le grandi gesta a definirne l’intelaiatura : l’autrice ricuce la propria tradizione attraverso infimi dettagli, dal semplice quotidiano sorgono illuminazioni di quella memoria, simboli che costituiscono l’epos. Il tempo epico è ciclico, il passato si fonde nel presente, nel primo romanzo di Anilda Ibrahimi, non è la migrazione che può interrompere tale flusso : « Le stagioni delle donne della mia terra, le stagioni delle mele cotogne piombano così nella mia nuova vita, altrove »36. A Roma, lontana dalla campagna albanese, come può riprendere il dialogo con le madri, così ha ritrovato le mele cotogne « quest’anno per caso, vicino a casa. […] Al mercato di via Andrea Doria le aveva solo un banco. Ho preso tutta la cassa, ne terrò qualcuna per il suo profumo, e con il resto farò la marmellata. Comunque, non avevano lo stesso odore di quelle della mia infanzia. Perché nulla ha l’odore della nostra infanzia »37.

Si è dunque visto come l’autobiografia è il necessario momento d’apertura letteraria, perché conseguenza di un bisogno narrativo, imprescindibile via di passaggio per poter attendere all’opera successiva. Nasce da un’intima istanza, una rifocalizzazione matura e adulta del passato albanese, ora che si è lontane ; in Albania si ambientano Senza bagagli, Il paese dove non si muore mai e Rosso come una sposa ed è un raccontare d’altro tempo. Ma l’argomento non è il solo elemento catartico, vi è anche un fattore di tipo linguistico : e, partendo via, a quella giovinezza si affida la lingua madre. Il luogo della memoria è uno, lo stesso, l’Albania, il tempo anche, quello antico ; la lingua invece è ancora multipla, è quella del luogo, per Dones, mentre è straniera per porre distanza, in Vorpsi e Ibrahimi. Gli stili differiscono, com’anche il modo di ricordare quella patria lontana, poiché diverse sono le età della fase pre-esodo : ma questo iniziale momento autobiografico ha una coerenza in sé, è concentrico – l’Albania ruota intorno alla figura della protagonista. La donna autrice illumina nella creazione il proprio corpo, i propri corpi, ambientando il ricordo nella madrepatria, l’origine. È quello che abbiamo definito come luogo puntuale, il luogo atavico dell’esperito acquisito che non può slabbrarsi nel desiderio futuro, il luogo che appartiene immobile a un tempo finito. La nostalgia e la formulazione di sé portano su questi lisi sentieri le romanziere migranti, vedette già sedute alla scrivania del luogo dell’altrove : così ogni prima storia autobiografica si chiude con il corpo in volo, lanciato verso altre terre : quella a cui ha approdato il narratore, quelle utopiche solo fortemente immaginate dai protagonisti di quest’opera prima.

L’esodo come cardine letterario

1) La « dolorosa » migrazione della donna : un’indagine sulla diaspora albanese

Se Il paese dove non si muore mai di Ornela Vorpsi e Rosso come una sposa di Anilda Ibrahimi sono opere di letteratura italiana, Senza bagagli di Elvira Dones è invece originariamente scritto in albanese. Vorpsi migra prima in Italia, poi in Francia, e solo una volta a Parigi scrive, in italiano ; così Dones : nella Svizzera italiana comporrà in albanese e sarà unicamente quando si sposterà a Washington D.C. che la sua scrittura sarà italiana. Non v’è corrispondenza tra lingua e luogo, perché, lo si è visto in Vorpsi e Ibrahimi, la lingua è mezzo per sondare il proprio passato prima che veicolo di narrazione, come intende Dones, e diventa quindi uno specchio dove guardarsi, un letto dove riposarsi, diventa un luogo per il proprio intimo.

La scelta della lingua, quindi, è legata alle intenzioni delle autrici, intenzioni a loro volta immerse in una profonda riflessione sulla nazione abbandonata : la confessione in una seduta terapeutica nel canton Ticino della Dones non sorprende che sia in albanese, mentre la ricerca di una lingua altra che sia lontana dalla propria giovinezza, e che permetta di raccontarla, per Vorpsi, giustifica senza dubbio l’italiano. D’altra parte, ancora, la centralità in cui Ibrahimi pone la sua famiglia, in una storia che si conclude con la nascita di una nuova generazione transnazionale, diventa il motore per scrivere un romanzo nella lingua che parla con i suoi figli, come lei stessa ammette. L’opzione linguistica è quindi stretta con un doppio nodo a quel momento nevralgico : la migrazione.

Tutti i testi successivi avranno come soggetto, fin dalle prime pagine, la diaspora albanese : d’altronde – è Gnisci stesso a dirlo – la letteratura italiana della migrazione ha come argomento gravitazionale l’esodo dello stesso autore38.

I romanzi successivi della Dones parlano di migrazione : Leila e il coro di ragazze trasportate in Italia da magnaccia albanesi, in Sole bruciato39 ; la disperazione dell’immigrato albanese Ilìr e della sua compagna sudamericana Blanca nella Svizzera italiana di Bianco giorno offeso40 ; la depressione di Andrea, in un continuo entra ed esci dagli ospedali psichiatrici, anche lei sudamericana fuggita in Svizzera dopo l’arresto del padre, e il suo viaggio in Irlanda per morire, ne I mari ovunque41. È la « trilogia del dolore », secondo la definizione dell’autrice medesima, il dolore che non si rimargina dei due grandi traumi della scrittrice, la migrazione e la separazione dalla famiglia. Il dolore di Elvira Dones torna nei suoi libri, ne diviene un tragico fil rouge che l’autrice tiene stretto in mano, ma i personaggi variano, si separano dall’autoritratto di Klea Borova e si sfaccettano in caratteri lontani da Dones. Le madri, ad esempio, sono senza dubbio le maschere più icastiche della sua opera (sorelle della stessa pena e della stessa penna di Klea) e si declinano nel romanzi successivi in diverse risoluzioni : Minira in Sole bruciato, ad esempio, si lascia schiavizzare con ogni barbarie perché il figlio, luce della sua vita, è tenuto in ostaggio dietro una porta chiusa a chiave accanto al luogo delle sue torture ; o Blanca di Bianco giorno offeso che, visto il figlio dilaniato in Argentina, non può sopportare altra vita e preferisce abortire il concepimento con Ilìr.

Il romanzo successivo alla « trilogia del dolore », il primo scritto in italiano, è Vergine giurata42, la storia di Hana che è divenuta Mark in Albania per avere tutti i diritti che sono propri degli uomini, secondo la consuetudine del Kanun43, e che raggiungendo sua cugina a Washington torna ad essere Hana. « In questo romanzo è descritta una duplice migrazione : la prima, metaforica, riguarda il cambio di gender (sarebbe più corretto dire un ritorno al gender originario) della protagonista, l’altra, reale, tratta del suo trasferimento dall’Albania agli Stati Uniti »44, oltre ad una terza migrazione : quella linguistica dell’autrice stessa, dalla scrittura nella propria lingua madre alla redazione nella lingua eletta, quella italiana.

Si ritrova un cospicuo autobiografismo anche nell’opera successiva di Dones : l’essere donna dei protagonisti (unica eccezione in Bianco giorno offeso) e con un vissuto sconvolgente, la presenza costante di albanesi e d’Albania, di svizzeri e di Svizzera (il contesto sarà poi quello degli Stati Uniti per i romanzi composti in America), il movimento migratorio, la condizione di vittime che cercano un riscatto. Ma ella non è solo una scrittrice, è soprattutto una ritrattista : fondamentale è la sua opera di testimonianza nei documentari, realizzati per la televisione svizzera, Cercando Brunilda45 e Vergini giurate46, entrambi poi divenuti materiale per i libri Sole bruciato e Vergine giurata. Sono storie che non è lei ad aver vissuto, sono storie di altri in cui lei è comunque presente, come donna, migrante, albanese. Ecco un estratto di quanto dice a proposito della nascita di Sole bruciato :

Ho trovato l’inizio del mio racconto, quando tutto era già costruito dentro di me, sul Corriere della Sera di quattro-cinque anni fa : c’era un trafiletto che parlava di un cadavere di una ragazza prostituta albanese, portata, riportata a casa, finalmente, dopo tre anni e mezzo di ricerche, da suo padre, il quale era stato avvisato dalla polizia italiana di venire a riprenderla. […] È stato l’inizio, qualcosa in me ha fatto clic, e quello era il personaggio, Leila l’ho chiamata, senza sapere il nome della ragazza.47

Sembra quasi un’indagine sulla diaspora albanese, quella che fa la scrittrice, uno studio sul perché dalla sua terra le genti partano. Non scappano le ragazze di Sole bruciato : passano il mare senza alcuna consapevolezza dello sciacallaggio di cui sono vittime ; e non è una fuga da qualcuno quella di Hana, ma da un intero sistema culturale di cui gli uomini sono depositari : presa lei la decisione di vestirsi da Mark, attratta dalle promesse di libertà di sua cugina già emigrata, si impone il viaggio oltreoceano ritrovando il suo corpo di donna. Sono entrambi vittime del potere maschile, dell’essere donna tra i loro conterranei.

2) La migrazione di corpi di donna

Il punto di vista di Ornela Vorpsi sono i suoi occhi (retaggio dei suoi studi artistici) e si muove così la scrittura al ritmo dei suoi passi, del suo corpo :

Sono davvero interessata ai corpi delle donne […]. Si considera spesso il corpo, le sue forme, come un bell’oggetto, un’incarnazione dell’erotismo. Invece per me il corpo di donna è luogo di pensieri, di cose effimere : subisce trasformazioni. Nessuno ha scelto il proprio corpo, bisogna accettarlo così, in tutti i suoi stadi successivi.48

La prima età del corpo umano è l’infanzia, ed il libro sull’infanzia è Vetri rosa49. Se nel testo precedente era riconoscibile la figura di Ornela Vorpsi, qui non c’è sovrapposizione di personaggi, il reale e il fittizio, dato inopinabile considerata la protagonista della short story, una giovane morta che ripensa il suo passato. È però appunto quel tempo albanese che ha il sapore di rievocazione, quell’infanzia da cui la scrittrice vuole liberarsi componendo. Una vita da bambina non raccontata in termini convenzionali, ancora bollente dei temi che distinguono la riflessione di Vorpsi su se stessa, Albania, corpo femminile e morte :

Sono morta per caso. Dico per caso perché ero ancora giovane e non ero malata. Ma tanto è frangibile l’umano che appena nato è già vecchio per morire. […] In vita ho molto meditato sulla morte. Non è trascorso giorno senza che il suo velo filtrasse le mie cellule; il suo pensiero non mi ha mai lasciata sola.50

L’infanzia è macigno per Vorpsi, età legata all’Albania e a corpi esangui, in dissidenza e « inversione »51 rispetto alla tradizionale visione letteraria della fanciullezza. Il libro della morte è Vetri rosa, appunto : affilato e tagliente è quel rosa, quel colore tipicamente di donna, quel colore che annuncia la nascita di una bambina. Muore durante una cena la nonna della narratrice, che all’epoca aveva sei anni :

Presi il coltello, quello grande a denti affilati, per mettere fine alla mia vita. La nonna era morta e io potevo morire. […] Il coltello non si decideva a incidere la mia carne. Dove doveva conficcarsi ? Per morire meglio, morire del tutto. Aprire il torace ? Le ossa avrebbero resistito, dure come sono. E la pancia ? Troppo molle e informe per trafiggerla. Avrebbe schizzato sangue, le viscere avrebbero visto la notte, quella notte. Tenevo stretto tra le mani l’oggetto fatto di metallo e legno con la speranza che si animasse, si svegliasse per fare ciò che io non potevo : uccidermi. […] Il coltello non si animò. Così, per puro caso, rimasi in vita.52

Il dolore per la morte è silenzioso, senza lacrime : « si poteva piangere per una bambola, per una ferita che spunta mentre cadi, ma non per la morte della nonna. Là non ci sono più lacrime. C’è il vuoto »53.

Parallelamente, nel racconto Bevete cacao van Houten !54, il primo dell’omonimo libro, la nipotina narra a Moma, la nonna vecchissima e morente, storie per distrarla – topos della novella antidoto contro la morte, dalle Mille e una notte al Decameron – e al tempo stesso accompagnarla e non lasciarla sola in prossimità della fine. Ancora rosa e silenziosa è la morte :

Un mercoledì pomeriggio l’eternità trovò il luogo in cui si sdraiava Moma. […] Un odore forte di rose, odore insolito, mi riempì i polmoni. Faceva bello. Non mi mossi, non piansi, non mi attraversò nessun dolore, ero là appesa. […] Il profumo di rosa aveva invaso il giardino, ovunque andassi sentivo cadavere e rose.55

Sono tra loro legati, i libri di Vorpsi, vi sono corrispondenze forti e i personaggi parlano tutti con lo stesso timbro di voce, coloristico e sensuale. In Bevete cacao van Houten ! l’echeggiare di corpi e pelle si fa erotico, l’infante cresce e il tempo del racconto si fa progressivamente adulto, post-migratorio, in Italia : « […] mi ritenevo fortunata che l’intrattabile natura si fosse inclinata generosa sulla mia culla, il mio emigrare certamente era meno sofferto di quello di tanti miei connazionali »56 : il corpo adulto si modella – e se al tempo albanese i temi allineati erano infanzia e morte, del periodo fuori l’Albania l’argomento prediletto è la bellezza, che però non è farmaco contro la morte.

In Albania non si muore, secondo il titolo del suo primo romanzo, mentre invece il migrare porta morte e in Italia i corpi affascinanti delle donne albanesi sono stati logorati :

« Non hai sentito che Lolly è morta ? »

« Cosa ? »

« Lolly è morta oggi. »

A ventisette anni, Lolly è morta.

Non si sa perché sia morta. Alcuni dicono di Aids, altri di epatite C.

Voleva essere cremata, dissero le ragazze.

Da quel momento ebbi una sola visione, il corpo biondo di Lolly, disciplinato dalle ore in palestra fino ai minimi dettagli, i suoi capelli platino, lucidi, il naso perfetto inventato dalla chirurgia estetica, gli occhi maliziosi, il sorriso che la sapeva lunga sugli uomini e sulla vita, i tacchi alti, i seni, i magnifici seni che strappavano i vestiti leggeri. Quei seni sognati da tutti, toccati da uomini potenti, politici, calciatori. I suoi splendidi seni di silicone.

Questo vedevo, il corpo, il sedere generoso di Lolly. Il suo corpo bramato che bruciava.57

Non solo quindi in Albania : anche in Italia il corpo si fa suggello, si fa fuoco delle attenzioni della scrittrice. È il medesimo corpo che fu d’infante, che è cresciuto e si è fatto adulto, è lo stesso corpo di cui si sono sentite le pulsioni, quella scatola di organi e sangue e muscoli che è stato analizzato dalla protagonista, quella materia mortale : questo corpo, sempre lo stesso, migra.

3) La narrazione della migrazione come « memoria del presente »

La carne è la via attraverso la quale penetra il dolore per Elvira Dones ed è il mezzo principale di mortificazione del corpo di donna, in Sole bruciato. Anche per Dones dunque l’arrivo in Italia, la vita fuori dell’Albania, la vita delle donne adulte, è straziante :

Vengono [le ragazze], alcune coll’inganno, alcune di loro rapite, e finiscono per strada torturate massacrate maciullate nell’anima e nel corpo. Ed era una cosa che aveva inorridito l’Albania, l’Albania che si chiedeva : « come mai da noi stessi è uscito tutto questo male ? » Ecco, ho cercato in un certo senso di fare la memoria del presente, che è sempre una cosa estremamente difficile perché la parola « storia » per antonomasia va con il passato.58

L’utilizzo di fonti e la creazione di documentari, per Dones, la costante albanese, per tutte e tre le scrittrici, modula questi romanzi di letteratura della migrazione come un lungo racconto storiografico, quello della Storia della migrazione albanese. Dopo un approccio di tipo autobiografico, i romanzi successivi di Dones, Vorpsi e Ibrahimi si fanno testimonianza della diaspora albanese : protagoniste le scrittrici in un tempo lontano ad apertura della loro letteratura, protagonista l’Albania moderna nelle altre opere, utilizzando quindi l’arte delle parole per fare la «  memoria del presente ».

La Grande migrazione è argomento di letteratura, fin dalla chiusura di quel primo romanzo autobiografico : Klea fugge in macchina verso la Svizzera, mentre i suoi cari scappano in Grecia ; Ornela e Dora giungono invece a Roma in aereo, una volta comprato il carissimo biglietto. L’avventura in mare, quella le cui immagini hanno riempito i giornali occidentali, è narrata da Dones, sia in Sole bruciato che in Bianco giorno offeso :

Ilìr era partito insieme a due vicini di casa, marito e moglie con una neonata in braccio. A fatica avevano preso posto sulla nave, e la neonata piangeva a squarciagola, e i boss delle navi urlavano e minacciavano che l’avrebbero buttata a mare se non la facevano smettere. [...] Era permesso dormire, a chi riusciva, in piedi come i cavalli, perché di spazio non ce n’era sul ponte della nave. […] Le teste dei viaggiatori sfiniti potevano rivolgersi solo verso l’alto, verso il sole che bruciava come il settimo cerchio dell’inferno e che non lasciava cadere pane né acqua. E la bimba tra le braccia dei vicini di Ilìr Bejko strillava strillava strillava, e la madre le dava il seno diventato sangue perché latte non ce n’era più. […] Tanti vivi col passare delle ore erano diventati morti e col trascorrere del tempo i morti erano aumentati da far spavento. […] Allo sbiancare del giorno, Ilìr Bejko si era guardato intorno con occhi gonfi. […] La piccola taceva finalmente, tra le braccia di papà. Se vuoi sgranchirti un po’ dammela che te la tengo io, gli aveva detto Ilìr. Papà non si era fatto pregare due volte. […] La neonata non si era mossa per ore, nemmeno aveva pianto, puzzava da matti, però, da ammazzare anche un bue, tanto era fetida. […] Dai, svegliati, le aveva sussurrato con dolcezza, ci siamo quasi, stiamo arrivando, piccola peste.59

Il viaggio di Ilìr, nella tipica scrittura di Elvira Dones, cruda ed emozionata, è tragico : la morte della neonata che egli tiene sulla spalla per tutto un giorno ha come sfondo la perdita d’ogni umana dignità tra suoni bestiali, escrementi e vomito e cadaveri. Finalmente l’arrivo in Italia : « aveva avuto la vaga impressione che il mare non avesse accolto con molto entusiasmo la fuga di quella gente verso l’altra sponda »60.

Riflette Ornela Vorpsi sull’approdo nella terra al di là del mare, in un’intervista :

Quando mi sono trovata finalmente libera, [della libertà] non sapevo che farmene e come gestirla, mi spaventava come una banca o una gelateria potessero essere private. Non avevamo più nessun riparo, nel senso che in Albania tutto era strutturato, dalla madrepartito avevi dei ripari buoni o cattivi che fossero. [...] Ti sposti da un paese che conosci e da un certo modo di concepire la vita e vai in un altro. Devi incominciare tutto, straniero di lingua e cultura, e hai a che fare con delle forme sconosciute di vita.61

E così Hana Doda, quasi a farsi forza delle parole di Vorpsi, racconta in Vergine giurata :

Basta essere attenta. Diligente. Puntuale. Non aver paura della lingua. Parlare agli automobilisti in cerca di informazioni scandendo le parole senza fretta. È nuova del paese e può tranquillamente confessarlo, le ha consigliato più volte Lila. In America essere appena sbarcati non è un handicap così grande. In Europa ti bollano subito come un essere inferiore, soprattutto nell’Europa centrale e meridionale : se dici che sei albanese poi, sei fritto.62

Con l’apertura delle frontiere albanesi furono in molti a fuggire in Occidente. Ma questo non è il solo momento d’esodo per il popolo albanese : più recentemente, durante la guerra del Kosovo, una turba di genti fu cacciata dalle proprie terre, in quella che fu l’ennesima rivendicazione di pulizia etnica nel Novecento. Si veda il racconto di Donika in Piccola guerra perfetta63, l’ultimo libro di Elvira Dones :

Durante il viaggio, Donika aveva visto case in fiamme e carovane disperate che si dirigevano verso il confine. Erano stati fortunati, lei e i suoi figli, a salire su quel treno.

Dopo poche ore però si erano fermati. I macedoni avevano chiuso la frontiera.

– Gli uomini devono scendere dal treno ! – urlavano le tute celesti.

– Non scendete ! – aveva gridato un vecchio. – Non scendete !

– Non ci possono uccidere ! – aveva detto un altro. – Siamo a pochi metri dal confine dove si trovano i giornalisti ! [...]

– Scenderemo noi per prime, noi con i bambini in braccio, – aveva proposto una donna. – Vedremo se vogliono fare un massacro di donne e bambini davanti al mondo.64

Il romanzo più recente di Dones ed Ibrahimi, Piccola guerra perfetta e L’amore e gli stracci del tempo, esce dai confini nazionali, pur sempre riferendosi agli albanesi : la guerra del Kosovo è l’unico evento storico che diviene il tempo unico di un romanzo, nelle opere delle scrittrici albanesi. Se infatti la Storia albanese è elemento significativo di quasi tutti i libri presi in esame, sono però diversi e vari i contesti scelti, l’arco temporale si amplia o si riduce a pause tra più eventi : sono argomenti i momenti post-migratori, o la Storia intera di un secolo, o l’età di chi racconta. Invece L’amore e gli stracci del tempo di Anilda Ibrahimi e Piccola guerra perfetta di Elvira Dones si ambientano nel 1999, l’anno in cui la Nato bombardò la Serbia per fermare il genocidio di Milošević contro gli albanesi.

La migrazione è dunque tema centrale e onnipresente nei romanzi delle tre scrittrici, sempre albanese, ma non per forza legata al raggiungimento dell’Ovest. È il momento culminante dell’esperito delle tre donne, conseguenza di quanto vissuto prima e a sua volta chiave di lettura per gli eventi a seguire. Se il primo romanzo, pur scritto una volta arrivate altrove, è una presa di coscienza del proprio passato, i restanti testi si fanno riflessione sul momento migratorio, non solo sua cronaca.

Ne La mano che non mordi65 anche Ornela Vorpsi ritorna nei Balcani, a Sarajevo da Parigi, per andar a portare sollievo ad un amico depresso, Mirsad. Nel dialogo con l’amico, preda di attacchi di panico, lui, stanziale nei Balcani, le fa notare :

Tu, – dice inatteso e alzando la voce, […] – tu sei diventata verde. Fai attenzione !

Verde come ?

Verde di migrazione, povera mia. Il verde della denutrizione, quello tipico di chi ha radici in aria. Fai attenzione, perché la malattia di cui ti sto parlando comincia così.66

È la malattia migratoria, le conseguenze della diaspora. La scrittura in italiano è divenuta analgesico a tale male, lo si visto quando Dones raccontava delle notti insonni al capezzale del suo bambino Tony, tanto profondo che ugualmente Klea in Senza bagagli si lascia andare e malata neglige ogni cura di se stessa, sbarrando le finestre terrorizzata da quanto fuori67 ; pure cade in depressione Ajkuna, la protagonista albanese del romanzo L’amore e gli stracci del tempo di Ibrahimi, quando si risveglia in Svizzera, trasportata da un campo profughi. E ancora Minira, tra le voci di Sole bruciato, una volta compreso che le sarà impossibile sfuggire al racket della prostituzione e tornare in Albania, « […] dà segni di squilibrio psichico con segni di agitazione psicomotoria : saltella in continuazione e si dondola avanti e indietro » 68 ; senza poi dimenticare Andrea, in Bianco giorno offeso, ancora di Dones, che non fa che ricoverarsi in istituti psichiatrici. La malattia del colonizzato, l’aveva studiato Fanon69, è la malattia di chi non ha più radici, norme sociali e lingua70. In questi romanzi, inoltre, l’usura psichica e fisica è legata al genere, perché costantemente inflitta da uomini su donne. Nei romanzi italiani di scrittrici migrate dall’Est Europa davvero il tema dell’insania, che è conseguenza della tragedia subita, ricorre palesemente. Pensiamo ai romanzi delle due autrici bosniache, Al di là del caos71 di Elvira Mujčić e Il nostro viaggio72 di Enisa Bukvić, dove il genocidio di Srebrenica viene raccontato attraverso le nevrosi, i violentissimi attacchi di panico e il desiderio di morte delle donne musulmane. Con stupri e omicidi di massa gli uomini delle loro terre le hanno rese silenti e con l’indifferenza l’uomo occidentale si è dimostrato complice delle sevizie. Scrive Claudio Camarca che le ospiti dei Centri italiani di accoglienza per migranti desiderano vivere tra di loro, perché degli uomini non si fidano : « magari è giusto mettere al mondo bambini, però sarebbe bello vivessero in un appartamento di sole donne. […] L’unica condizione possibile per mettere su famiglia »73.

Conclusione

La migrazione diviene quindi centro culminante dell’opera delle tre romanziere, vertigine letteraria, e al tempo stesso profondo burrone gravido di materia ustionante e malleabile : l’esodo inizialmente sarà raccontato con attinenza alla propria di avventura e poi, poiché di fotocopia in fotocopia si sbiadisce l’originale, attingendo ad altre fonti o inventando nuove storie.

In Bevete cacao van Houten ! di Vorpsi, libro che inizia in Albania e che si sviluppa in Occidente, si pone a cerniera di tale dualismo il racconto Lumturi disparue, già nel titolo manifesto della doppia identità, la storia di una madre albanese che ha sognato per il figlio la Francia, ha lasciato che a Parigi andasse a risiedere e che di cultura europea s’imbevesse : e nello scalo a Vienna del volo Tirana-Parigi Lumturi muore, senza mai arrivare a conoscere quella Francia desiderata.

René Magritte diceva che la nostalgia è l’ailleurs qui n’existe pas, l’altrove che non esiste. Noi umani a quest’altrove che non esiste gli abbiamo dato il nome di ideali, di sogni, di Dio, volendo, e io ho bisogno di questa terra verso cui tendere, ne ho bisogno. Magari fa parte del nocciolo del processo del creare.74

Nelle parole di Ornela Vorpsi, la migrazione verso una terra si fonde con la creazione : entrambi sono tensione, desiderio.

Si è visto come il luogo del primo romanzo autobiografico sia puntuale, inciso nella memoria e limitato al tempo andato ; la migrazione sfonda tale cortina : attraversato il baratro del mare o del cielo, del vuoto che si oltrepassa andando via, il tempo si fa collana di momenti, ognuno proiettato in un luogo diverso, ognuno in un luogo diverso. Ecco quindi che nei romanzi successivi il luogo diviene cronologico. Vorpsi è bambina, poi giovane e infine adulta, è nei Balcani, a Milano, a Parigi, a Roma ; Dones si fa portavoce di altre storie, in Svizzera, negli Stati Uniti, in Sud America, ancora in Italia e nei Balcani ; Ibrahimi ugualmente porta i suoi personaggi in Kosovo, in Macedonia e in Occidente. Chi migra immagina l’altrove, corrispondente solo in parte al reale (è la delusione di Ilìr o di Hana Doda) : il luogo cronologico è quel luogo che prende forma e si fa puntuale solo dopo essere stato esperito, vissuto, cangiante come è in metamorfosi l’uomo lungo le sue età. Chi migra può non saziarsi della sedentarietà : è quanto dice Vorpsi – attendere sempre verso un ailleurs –, è quanto dice Dones – la sua « adorata condizione perenne » di muoversi senza bagagli –.

Ma non è solo in questi termini che le scrittrici parlano della loro migrazione come di una fase ancora in fieri. Vi è un terzo luogo, che ci piace definire dell’autopsia, il posto dove l’esodo si fonde con la creazione, riproponendo ancora il pensiero di Vorpsi : è il luogo della scrittura. Il corpo viene aperto, lasciato viscere all’aria in una fase successiva alla descrizione del luogo puntuale, quando invece la persona nella sua interezza era illuminata nel nitido contesto albanese. Questo terzo momento si fonde col secondo e lo succede : è la ricerca artistica, creativa, al di là di istanze catartiche legate al passato. È l’ibrido stato di « essere tra le lingue » per Vorpsi, o il bisogno di raggiungere quell’intima « isola », un luogo in esilio, come spiega Ibrahimi, senza più compromessi con il tempo :

Si può fuggire il tempo, fuggire verso la temporalità senza tempo, dove il passato, il presente, il futuro possono coesistere... in esilio. Sono costretta a creare una soggettività attraverso la quale cerco di raggiungere i miei sogni, […] in un non luogo senza suoni, colori, giorni.75

Ecco quindi che la medesima arte letteraria diviene un luogo ed il luogo verso cui migrare : farmaco contro la migrazione, in un primo momento, e poi migrazione essa stessa. Così ugualmente suggella Dones, ad eco di Vorpsi ed Ibrahimi : « Credo che dentro di me si sia creata una specie di terra di mezzo, un’isola riservata solo a ciò che è il mio lavoro letterario »76. Il luogo fisico non ha più importanza in sé, se non come portatore di una lingua eletta : l’orizzonte verso cui muoversi, l’ailleurs, è l’opera compiuta e la scrittura diviene il mezzo per arrivare, il traghetto verso l’isola. Ed è così appunto che si fa lei stessa movimento, migrazione.

Mentre lo sfondo del passato nella madre terra ha una messa a fuoco chiara e la migrazione si snoda tra spazi presenti e desiderati, l’autrice migrante che sta scrivendo è invece sospesa. Lo « stare tra le lingue », l’« isola » in « esilio » e « la terra di mezzo » sono lo stesso « non luogo », il luogo utopico in equilibrio sul vuoto : intorno all’isola non v’è nulla, solo l’acqua sta « tra ».

Note de fin

1 In Igiaba SCEGO, La mia casa è dove sono, Milano, Rizzoli, 2010.

2 Armando GNISCI, Creolizzare l’Europa. Letteratura e migrazione, Roma, Meltemi, 2003, p. 8.

3 Elvira DONES, Senza bagagli, (Dashuri e huaj, 1997), Lecce, Besa editrice, 1998.

4 Ibid., p. 164.

5 Maria Cristina MAUCERI, Oltre il muro : dramma personale e nostalgia conflittuale in Dashuri e huaj di Elvira Dones, in Franca Sinopoli (a cura di), La storia nella scrittura diasporica, Roma, Bulzoni, 2009, p. 96.

6 Elvira DONES, Senza bagagli, op. cit., pp. 273-274. (Shkruaj=Scrivo).

7 Cfr. Sergio PENT, « In fuga dall’Albania di Orwell », da Avvenire, 23 gennaio 1998, in http://www.elviradones.com/recensavvenire.html (25 aprile 2012).

8 Maria Cristina MAUCERI, Oltre il muro : dramma personale e nostalgia conflittuale in Dashuri e huaj di Elvira Dones, op. cit., p. 91.

9 Elvira DONES, Senza bagagli, op. cit., p. 274.

10 « Senza bagagli presenta diversi aspetti che rivelano la sua affinità con le narrazioni autobiografiche. È un testo che ha permesso a Dones di elaborare il lutto dell’abbandono dell’Albania. Si è anche notato come la narrazione talvolta assuma il tono di una confessione attraverso la quale la scrittrice vuole liberarsi dal senso di colpa per aver lasciato il figlio. Inoltre accomuna questo romanzo a un testo autobiografico la testimonianza e la riflessione sulla condizione diasporica, una condizione che la scrittrice al momento della stesura del libro iniziava a condividere con altri connazionali. […] Senza bagagli è una riscoperta delle proprie radici e nello stesso tempo un sofferto requiem per un’identità perduta che solo attraverso la scrittura può essere ricostruita. » (Maria Cristina MAUCERI, Oltre il muro : dramma personale e nostalgia conflittuale in Dashuri e huaj di Elvira Dones, op. cit., p. 107).

11 « Elvira Dones – official website biografia – Italiano », in http://www.elviradones.com (24 aprile 2012).

12 « Maria Cristina MAUCERI, Oltre il muro : dramma personale e nostalgia conflittuale in Dashuri e huaj di Elvira Dones, op. cit., p. 91.

13 Ibid., p. 93.

14 Ornela VORPSI, Il paese dove non si muore mai, Torino, Einaudi, 2005.

15 Maria Cristina MAUCERI, « L’Albania è una ferita che brucia ancora. Intervista a Ornela Vorpsi, scrittrice albanese che vive in Francia e scrive in italiano », da Kúmá, n. 11, aprile 2006, in http://www.disp.let.uniroma1.it/kuma/kuma (25 aprile 2012).

16 Raffaele TADDEO, « il paese dove non si muore mai – ornela vorpsi », da El Ghibli, in http://www.el-ghibli.provincia.bologna.it/index.php?id=6&sezione=4&idrecensioni=28 (25 aprile 2012).

17 Ornela VORPSI, Il paese dove non si muore mai, op. cit., p. 8.

18 Ibid., p. 58.

19 Ibid., p. 18.

20 Maria Cristina MAUCERI, « L’Albania è una ferita che brucia ancora. Intervista a Ornela Vorpsi, scrittrice albanese che vive in Francia e scrive in italiano », op. cit.

21 Ornela VORPSI, Il paese dove non si muore mai, op. cit., p. 109.

22 Monica CAPUANI, « Sognavo Topo Gigio, Intervista a Ornela Vorpsi », da Io Donna, n. 181, maggio 2010, p. 80.

23 Anna BENEDETTI (a cura di), « Incontro con Ornela Vorpsi », 19 novembre 2010, Firenze, in www.youtube.com/watch?v=zMuuOMZwlFc (24 aprile 2012).

24 Maïa GABILY, « Entretien avec Ornela Vorpsi », da Zone littéraire, 29 février 2004, in www.zone-litteraire.com/zone/interviews/entratien-avec-ornela-vorpsi (15 aprile 2012) (traduzione nostra).

25 « Elvira Dones blog Feltrinelli 01 », in http://www.youtube.com/watch?v=K7pidO8Prgc (25 aprile 2012).

26 Maïa GABILY, « Entretien avec Ornela Vorpsi », op. cit. (traduzione nostra).

27 Anna BENEDETTI (a cura di), « Incontro con Ornela Vorpsi », op. cit.

28 Anilda IBRAHIMI, « Cristalli di tristezza », da Kúmá, n. 4, aprile 2002, in www.disp.let.uniroma1/kuma/kuma4.html (30 giugno 2011).

29 Anilda IBRAHIMI, Rosso come una sposa, Torino, Einaudi, 2008.

30 « La saga familiare non viene raccontata secondo una scansione temporale ordinata e serialmente disposta, ma ad episodi ove il tempo è una variabile indipendente. » Raffaele TADDEO, « rosso come una sposa – anilda ibrahimi », da El Ghibli, in http://www.el-ghibli.provincia.bologna.it/index.php?id=6&sezione=4&idrecensioni=100 (25 aprile 2012).

31 Anilda IBRAHIMI, Rosso come una sposa, op. cit., p. 260.

32 Ibid., p. 261.

33 Idem.

34 Anna Maria CRISPINO, « Intervista ad A. Ibrahimi », 5 dicembre 2008, Roma, in

www.youtube.com/watch?v=rv-RIrG6aRE (30 giugno 2011).

35 Benko GJATA, « Intervista ad A. Ibrahimi », 2 aprile 2009, Torino, in

www.youtube.com/watch?v=pGskDMzdy5o (23 aprile 2012).

36 Anilda IBRAHIMI, Rosso come una sposa, op. cit., p. 261.

37 Andrea DI CARLO, « Intervista ad A. Ibrahimi », da Mangialibri, in http://mangialibri.com/?q=node/3064 (24 aprile 2012).

38 Armando GNISCI, Creolizzare l’Europa. Letteratura e migrazione, Meltemi, Roma, 2003, p. 77.

39 Elvira DONES, Sole bruciato (Yjet nuk vishen kështu, 2000), Milano, Feltrinelli, 2001.

40 Elvira DONES, Bianco giorno offeso (Ditë e bardhë e fyer, 2001), Novara, Interlinea, 2004.

41 Elvira DONES, I mari ovunque (Më pas heshtja, 2004), Novara, Interlinea, 2007.

42 Elvira DONES, Vergine giurata, Milano, Feltrinelli, 2007.

43 Il Kanun è la raccolta di norme consuetudinarie, riunite in un unico codice per la prima volta dal legislatore Lek Dukagjini (1410-1479). Il centro geografico da dove il Kanun proviene è la regione della Mirdita, nel nord dell’Albania, a tutt’oggi in uso. « Il Kanun fondamentalmente era una speciale mentalità etica, fondata su valori come l’onore, la fedeltà e la libertà raccolti tutti intorno alla figura del burrë (l’uomo) ; sostanzialmente si limitava a pochi principi di indole statutaria che definivano quale fosse il governo delle comunità, patriarcale nella famiglia, repubblicano con senato e tribunato nelle comunità più estese. » [Donato MARTUCCI, Introduzione, in Donato Martucci (a cura di), Il Kanun di Lek Dukagjini. Le basi morali e giuridiche della società albanese, Nardò, Besa editrice, 2009, p. 17.] Il Kanun prevede anche che una donna possa prendere la decisione di giurare verginità perenne e vestirsi con abiti maschili, soprattutto nel caso in cui non v’è altro uomo per la cura della famiglia.

44 Maria Cristina MAUCERI, Oltre il muro : dramma personale e nostalgia conflittuale in Dashuri e huaj di Elvira Dones, op. cit., p. 87.

45 Elvira DONES e Mohamed SOUDANI, Cercando Brunilda, 2004, in www.rsi.ch (30 giugno 2011).

46 Elvira DONES, Vergini giurate, 2006, in www.rsi.ch (30 giugno 2011).

47 « Elvira Dones presenta il romanzo Sole bruciato », da NonLeggere-Interact Network, in http://www.nonleggere.it/default.asp?content=/narrativa/rosso1/elvira_dones_testo/schedatesto.asp (30 giugno 2011).

48 Maïa GABILY, « Entretien avec Ornela Vorpsi », op. cit. (traduzione nostra).

49 Ornela VORPSI, Vetri rosa, Roma, Nottetempo, 2006.

50 Ibid., p. 5-6.

51 Cfr. Annette KOLODNY, Alcune considerazioni sulla definizione di « critica letteraria femminista », in Raffaella Baccolini, Maria Giulia Fabi, Vita Fortunati, Rita Monticelli (a cura di), Critiche femministe e teorie letterarie, Bologna, CLUEB, 1997, p. 44.

52 Ornela VORPSI, Vetri rosa, op. cit., p. 25-26.

53 Ibid., p. 26.

54 Ornela VORPSI, Bevete cacao Van Houten !, Torino, Einaudi, 2010, p. 5.

55 Ornela VORPSI, Vetri rosa, op. cit., pp. 15-16.

56 Ornela VORPSI, Bevete cacao Van Houten !, op. cit., p. 57.

57 Ibid., p. 62-63.

58 « Elvira Dones presenta il romanzo Sole bruciato », op. cit.

59 Elvira DONES, Bianco giorno offeso, op. cit., p. 37-40.

60 Ibid., p. 40.

61 Maria Cristina MAUCERI, « L’Albania è una ferita che brucia ancora. Intervista a Ornela Vorpsi, scrittrice albanese che vive in Francia e scrive in italiano », op. cit.

62 Elvira DONES, Vergine giurata, op. cit., p. 131.

63 Elvira DONES, Piccola guerra perfetta, Einaudi, Torino, 2011.

64 Anilda IBRAHIMI, L’amore e gli stracci del tempo, Torino, Einaudi, 2009, pp. 169-170.

65 Ornela VORPSI, La mano che non mordi, Torino, Einaudi, 2007.

66 Ibid., p. 51.

67 Elvira DONES, Senza bagagli, op. cit., p. 218.

68 Maria Cristina MAUCERI, Maria Grazia NEGRO, Nuovo immaginario italiano. Italiani e stranieri a confronto nella letteratura italiana contemporanea, Roma, Sinnos Editrice, 2009, p. 287.

69 Franz FANON, I dannati della terra (Les damnés de la terre, 1961), Torino, Einaudi, 2007.

70 Cfr. Armando GNISCI. Scrivere nella migrazione tra due secoli, in Armando Gnisci (a cura di), Nuovo Planetario Italiano, Troina, Città Aperta Edizioni, 2006, p. 15.

71 Elvira MUJČIĆ, Al di là del caos. Cosa rimane dopo Srebrenica, Marino, Infinito Edizioni, 2007.

72 Enisa BUKVIĆ, Il nostro viaggio. Identità multiculturale in Bosnia Erzegovina, Marino, Infinito Edizioni, 2008.

73 Claudio CAMARCA, Migranti. Verso una terra chiamata Italia, Milano, Rizzoli, 2003, p. 169.

74 Anna BENEDETTI, « Incontro con Ornela Vorpsi », op. cit.

75 Anilda IBRAHIMI, « Cristalli di tristezza », op. cit. (corsivo nostro).

76 Pierre LEPORI, « Sei domande a Elvira Dones », da Le Culturactif Suisse, 4 gennaio 2008, in http://www.culturactif.ch/livredumois/janv08dones (23 aprile 2012) (corsivo nostro).

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Référence électronique

Anna Federici, « Autopsia dell’animo : la migrazione nei romanzi di Elvira Dones, Ornela Vorpsi e Anilda Ibrahimi. », Line@editoriale [En ligne], 3 | 2011, mis en ligne le 02 février 2017, consulté le 27 avril 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/340

Auteur

Anna Federici

annafederici@hotmail.it