Nel laboratorio di Satura: l'avantesto di « Due prose veneziane »

Résumés

A partire dal 1949 Eugenio Montale fu occupato a tempo pieno in quello che era solito chiamare il suo « secondo mestiere », quello di giornalista presso il Corriere della Sera. A questa attività sono legate le poesie che compongono la sua quarta raccolta, Satura, contraddistinte da una particolare tendenza alla prosa. Al loro interno, infatti, spesso avviene il recupero di temi ed elementi stilistici contenuti in articoli scritti in precedenza. È il caso della seconda poesia delle Due prose veneziane, ispirata all’incontro con Ernest Hemingway avvenuto a Venezia nel 1954, già descritto dal Montale giornalista. In questo studio la poesia viene messa a confronto con il necrologio composto in occasione della morte dello scrittore americano, datato 4 luglio 1961 e intitolato Schietta umanità. Dal confronto emergono numerose e puntuali corrispondenze, tali da indurci ad attribuire all’articolo il valore di avantesto della seconda delle Due prose veneziane.

Starting from year 1949 Eugenio Montale had been fully occupied as journalist for the Corriere della Sera. Montale used to refer to this task as « second profession ». To this very activity are linked the poetries that compose the fourth collection of Satura, these poetries are characterized by a strong tendency towards prose. In these compositions are present themes recalling stylistic elements extracted from formerly written newspaper’s articles. It is the case, for example, of the second poetry of Due prose veneziane inspired by the encounter with Ernest Hemingway, happened in 1954 in Venice, as this happening had already been described by Montale as journalist. In this analysis the poetry is compared to the obituary composed for the death of the American writer, dated 4 July 1961 and titled Schietta umanità. From this comparison numerous and precise correspondences emerge, that can lead to assign to the newspaper’s article the value of pre-text in the second of the Due prose veneziane.

Texte

In un’intervista concessa a Maria Corti nel 1971, pubblicata sulla rivista L’approdo Letterario, Montale presentò il suo ultimo libro poetico, Satura, con queste parole:

Tra i primi tre libri e questo quarto sono passati alcuni anni, anni occupati da un mestiere preciso che prima non avevo, quello del giornalista naturalmente, e in questi anni di intervallo io pensavo che non avrei più scritto versi. Quando poi ho cominciato a fare qualche epigramma pubblicato in coda a corti elzeviri nel giornale, allora è rispruzzato il verso e ha preso una dimensione anche diciamo musicale diversa: la dimensione di una poesia che apparentemente tende alla prosa e nello stesso tempo la rifiuta1.

Dalla pubblicazione de La Bufera e altro erano trascorsi ben quindici anni, periodo durante il quale Montale aveva svolto il mestiere di giornalista presso Il Corriere della Sera. Attività che lo stesso, in un articolo del 1959, incluse nella categoria del « secondo mestiere », vale a dire quel lavoro che « […] s’impone a quasi tutti gli scrittori », poiché « […] è quasi impossibile in tutto il mondo a uno scrittore vivere della sua arte » (solo negli stati totalitari i letterati godono di uno stipendio, ma a scapito della libertà di pensiero e d’opinione). Il secondo mestiere si fa « […] con carta penna e calamaio e con l’impiego della macchina da scrivere » (esempi di secondi mestieri: « […] collaborazioni a giornali, sceneggiature di film, riduzioni di romanzi altrui a commedie o a pellicole, oppure opere di varia divulgazione ») e permette ad un poeta di guadagnarsi da vivere senza contare su sovvenzioni statali e, soprattutto, senza dover fare esclusivo affidamento sugli introiti derivanti dal primo mestiere. Anche perché la poesia, per la sua « rarità e imprevedibilità », è un’arte notoriamente inetta « a fruttar quattrini », e proprio grazie a ciò conserva « […] una sua particolare dignità alla quale le altre arti non sempre possono aspirare »2.

Se a tal grado di dignità si può giungere solo praticando un secondo mestiere, ebbene, ben vengano i secondi e terzi mestieri3.

Affinché la sua poesia non discendesse « al grado di merce », Montale, il 29 gennaio 1949, firmò un contratto di assunzione presso Il Corriere della Sera, decidendo così di riservare all’attività poetica gli scampoli di tempo ricavati tra un articolo e l’altro. La nuova poesia di Satura nacque dunque in via Solferino, nella sede milanese del giornale, probabilmente su fogli intestati Il Nuovo Corriere della Sera4. Per questo motivo, chi vuole cimentarsi nel commento di una poesia contenuta in Satura, non può esimersi dal consultare i quattro volumi mondadoriani che raccolgono le prose varie di Montale, tre dei quali dal significativo titolo di Il secondo mestiere5. L’utilità di un confronto tra le poesie di Satura e gli articoli usciti sulle pagine del Corriere della Sera non è sfuggita a Maria Antonietta Grignani, che si è interessata alla « particolarissima prosasticità » dell’ultima produzione poetica montaliana6. Prosasticità derivata dal « […] lungo periodo di attività in prosa (d’arte e giornalistica) che costituisce la preistoria e l’incunabolo spesso imprescindibile nonché riconoscibilissimo di molti testi recenti »7. Nell’analizzare la tecnica compositiva adottata da Montale in alcuni luoghi di Satura, la studiosa procede “per campione”, isolando due poesie « […] d’impianto spiccatamente prosastico, e più propriamente narrativo »: le Due prose veneziane8. Ambientate entrambe a Venezia e composte nella stessa data, il 28 dicembre 1969, queste poesie “raccontano” due episodi della vita del poeta – la prima è ispirata a una vacanza lagunare trascorsa al fianco di Irma Brandeis nel luglio del ’34; la seconda rievoca un incontro di Montale, nelle vesti di giornalista, con Ernest Hemingway presso l’Hotel Gritti avvenuto il 25 marzo 1954, in seguito al quale uscì sulle pagine del Corriere d’Informazione (edizione pomeridiana del Corriere della Sera) l’articolo intitolato « Abbruciacchiato e felice Hemingway è tornato a Venezia »9. Alla seconda delle Due prose vorrei dedicare questo mio lavoro.

Nell’esercizio del « secondo mestiere », Montale si occupò più volte di Ernest Hemingway. Il primo articolo, intitolato « Un americano a Venezia », risale al 26 ottobre 1950: si tratta di una recensione al romanzo Across the River and into the Trees, pubblicato poco tempo prima negli Stati Uniti10. Montale, difendendo Hemingway dalle critiche che i lettori americani gli avevano mosso, delusi da un libro che si era fatto attendere per dieci anni (dopo il successo di Per chi suona la campana), sottolinea l’incredibile somiglianza tra Richard, il personaggio principale del libro, e il suo autore. Richard Cantwell è un cinquantenne colonnello americano in servizio a Trieste: malconcio eroe di guerra, afflitto da problemi di cuore, decide di trascorrere una fine di settimana nella laguna di Venezia per dedicarsi alla caccia all’anatra e all’amore, le sue più grandi passioni. Across the River narra gli ultimi giorni di vita del colonnello, che morirà al termine di una battuta di caccia, non prima di aver detto addio alla bella contessina Renata, che gli ha reso lieto il breve soggiorno veneziano. Hemingway e Cantwell, oltre ad essere quasi coetanei, hanno molte cose in comune, secondo Montale: condividono le esperienze belliche e le preferenze enologiche, le passioni per la caccia e per le donne, gli atteggiamenti estetici e l’inclinazione al mugugno. Quest’impressione troverà conferma nell’ incontro che il poeta ebbe con l’autore americano il 25 marzo 1954. Precede, però, questa data uno strano episodio che costrinse Montale a occuparsi di Hemingway in due articoli scritti nel giro di poche ore: nel gennaio del ’54 lo scrittore americano fu coinvolto in un grave incidente aereo e si diffuse la voce che fosse morto. La notizia uscì in prima pagina nell’edizione pomeridiana del Corriere, corredata da un necrologio firmato da Montale; successivamente però si scoprì che la notizia era falsa e allo stesso Montale toccò scrivere un articolo di smentita11. Pochi mesi dopo, l’intempestivo necrologista ebbe l’occasione di verificare lo stato di salute del sopravvissuto, appena giunto a Venezia. Un resoconto dettagliato dell’incontro fu pubblicato sulle pagine del Corriere il giorno seguente: al suo interno il cronista racconta di come si sia introdotto a fatica nella stanza occupata dallo scrittore americano presso l’Hotel Gritti; riporta l’impressione di decadenza provata di fronte a quel « […] giovane vecchio di appena cinquantacinque anni » disteso a letto mezzo ubriaco; riassume in poche righe una conversazione tutt’altro che illuminante, dominata dalle invettive del convalescente; infine rivela il senso di commozione che quella visita gli ha lasciato12. Di questo importante incontro Montale serbò memoria a lungo, tanto da farne menzione in tutti gli articoli che negli anni successivi dedicò a Hemingway: è ricordato di sfuggita nell’omaggio reso all’autore americano in occasione del conferimento del Nobel13, mentre costituisce una parte fondamentale del necrologio definitivo, uscito sul Corriere il 4 luglio 196114. La rievocazione del colloquio con Hemingway contenuta in questo articolo ha un ruolo molto importante anche nella mia interpretazione della seconda prosa veneziana. Infine, nell’ultimo articolo “hemingwayano” di Montale15, di nuovo a proposito del romanzo Across the River and into the Trees, che era stato da poco tradotto in italiano dalla Pivano16, l’incontro è citato a riprova della tendenza dell’ultimo Hemingway a entrare in simbiosi con i suoi personaggi, dato che il visitatore in quell’occasione ravvisò nel romanziere i tratti del colonnello Cantwell.

Maria Antonietta Grignani, come anticipato, ha studiato le Due prose veneziane con una particolare attenzione alla produzione prosastica di Montale, fonte alla quale attingono molte poesie di Satura. Per la seconda delle due poesie, individua un « preciso precedente » nell’articolo Abbruciacchiato e felice Hemingway è tornato a Venezia17, dal quale « una memoria sorprendentemente attiva recupera alla ragguardevole distanza di quindici anni […] analogie tematiche e precisi dettagli »18. Grazie alla comparazione tra la poesia e la prosa del ’54, la studiosa rende evidente la « precisione con cui note descrittive e ambientali passano dall’antica prosa al nuovo organismo poetico »19. Il confronto preciso tra i due testi, però, mette in luce anche alcune notevoli differenze, puntualmente individuate:

Ma alla minuzia dei recuperi analitici non corrisponde un’omologa simmetria d’impianto né di elementi più macroscopici: le tessere, disponendosi secondo una nuova successione, acquistano un ritmo inedito. Intanto la poesia accosta micro-sequenze che nella prosa non sono finitime, inoltre attua inversioni nei rapporti di tempo reali, rispettati probamente nell’articolo. Quivi per esempio l’incidente del primo necrologio montaliano, smentito dai fatti e risalente a due mesi prima, è ricordato con arguzia non priva di compiacimento ben tre volte: in apertura, al centro e alla fine; nel testo poetico si finge invece che il colloquio preceda di qualche anno la presunta morte, di modo che ad essa faccia cenno con voluto obscurisme solo il finale epigrammatico. Ne consegue una retrodatazione dell’episodio, che comporta un’altra manomissione dei termini reali: nella prosa, dopo aver citato come già noto il « romanzo veneziano Across the River… » (1950), Hemingway offre la primizia di una prossima, in quell’anno 1954, «tetralogia tra cui Il vecchio e il mare già pubblicato con clamoroso successo, sarà la cola, anzi la coda»; nella poesia lezioni varianti sempre più ellittiche indicano come libro di là da venire Across the River and into the Trees: « accennò vagamente a un probabile suo libro veneziano/ di anitre selvatiche e d’amore e di morte. » → « un vago accenno a un possibile suo libro veneziano » ecc. → «Niente cacce in palude e niente donne, nemmeno/ l’idea di un libro simile.» → « Niente cacce in palude, / niente anatre selvatiche, niente ragazze / e nemmeno l’idea di un libro simile. » (versi 18-20). Ancora, nella prosa il visitatore in veste giornalistica, dopo aver chiesto udienza con un biglietto trilingue, riceve la telefonata d’invito tramite un valletto dell’albergo e alla porta viene ricevuto secondo creanza dalla signora Hemingway; nella trasposizione in versi l’immaginario Farfarella « garrulo portiere » diventa intermediario unico tra i due scrittori, protagonista indimenticabile di una vivacissima botta e risposta telefonica. Il colloquio nell’articolo si svolge « a tarda sera »; in poesia, mentre Hemingway « è ancora a letto », « giù al ristorante tutti sono a tavola » (più precisamente nella lezione primitiva è « mezzogiorno passato »). Là un compiaciuto indugio ai limiti del pettegolezzo letterario sul panorama artistico contemporaneo e su quello degli anni giovanili di Hemingway, qui un’asciutta serie nominale e invece il rilievo del tema della decadenza, provocato dalla frase, marginale nella prosa, « quel mondo che oggi non esiste più ». E così via20.

L’incongruenza più rilevante, secondo la Grignani, è costituita dal mancato rispetto, nella poesia, dei rapporti di tempo intercorsi tra i fatti esposti nell’articolo; con questa ipotesi ha dovuto fare i conti Riccardo Castellana, autore del commento che correda i testi di Satura nell’ultima edizione mondadoriana21. Pur ritenendo a sua volta proficuo il confronto tra la poesia e « Abbruciacchiato e felice Hemingway è tornato a Venezia », il commentatore mostra (nelle note ai vv. 18-20 e 27-28) di non condividere l’interpretazione della Grignani, basata sullo studio delle lezioni varianti contenute negli autografi montaliani: per i versi 18-20 (« Niente cacce in palude, / niente anatre selvatiche, niente ragazze/ e nemmeno l’idea di un libro simile ») propone di intendere « non ci sono più cacce in palude, anatre selvatiche o ragazze; né è più pensabile, oggi, scrivere un libro come quello »; mentre ai versi 27-28 fa corrispondere il seguente commento:

(…) secondo Grignani (Prologhi ed epiloghi) l’intero episodio sarebbe da retrodatare a un tempo anteriore alla falsa notizia della morte di Hemingway e alla stessa uscita di Across the River (1950); tuttavia, interpretando così, risulterebbe anacronistico il giudizio sui «raglianti cinquanta»22.

La questione cronologica non sembra facilmente risolvibile: l’ipotesi della Grignani è supportata dalle varianti d’autore, mentre quella di Castellana è basata sul buon senso. Nel tentativo di dare una mia personale interpretazione, propongo di confrontare la poesia non più con l’articolo « Abbruciacchiato e felice Hemingway è tornato a Venezia », bensì con un pezzo scritto qualche anno dopo: « Schietta umanità »23.

Si tratta del già citato necrologio di Hemingway, uscito sul Corriere della Sera il 4 luglio 1961: un commosso ritratto letterario e umano dello scrittore statunitense. Come detto, al suo interno Montale rievoca l’episodio veneziano di sette anni prima. Confrontando questa parte dell’articolo con la prosa veneziana ho notato come il recupero dei particolari sia più preciso e meno dispendioso (non ci sono disomogeneità, pochi dettagli vanno dispersi) rispetto a quello che aveva stupito la Grignani, affascinata dalla « memoria sorprendentemente attiva » del poeta alle prese con una pezzo giornalistico del lontano 1954. Tra l’articolo « Schietta umanità » e la seconda prosa veneziana ci sono numerose corrispondenze lessicali, strutturali e tematiche; l’articolo introduce persino quello stravolgimento dei rapporti di tempo reali che, passato nella poesia, ha messo in disaccordo Maria Antonietta Grignani e Riccardo Castellana. « Schietta umanità » è senz’altro da considerare l’antecedente più diretto della poesia. Mettiamo i due testi a confronto:

Ernest Hemingway è stato per me un buon amico fin dagli anni del Navire d’argent, la rivista di Sylvia Beach e Adrienne Monnier, e dalle lontane stagioni che mi portarono più volte a Rapallo (una con Carlo Linati) per far visita all’eterno esule Ezra Pound. Il mio solo e vero incontro con Hemingway doveva avvenire a Venezia, nel ’54, dopo l’esito molto contrastato del romanzo veneziano Across the River and into the Trees. Lo scrittore aveva dato ordini severissimi al portiere del suo albergo, ma i nomi magici di Silvia e di Adriana riuscirono a farlo crollare. Mi ricevette stando a letto e sgocciolando ciò che restava di una bottiglia di whisky. Parlammo, più che altro « del nostro tempo », cioè della generazione di arrabbiati ed espatriati di cui egli aveva fatto parte prima del successo che doveva trasformarlo in un uomo pubblico. Sfilarono altri nomi: Pound, Gertrude Stein, Sherwood Anderson, Joyce, Larbaud; del romanzo veneziano non mi disse nulla, né io credetti di dover insistere. Correva voce che in esso lo scrittore avesse fuso in un solo personaggio due damigelle dell’alta società veneziana, senza che peraltro la contaminatio le avesse rese del tutto irriconoscibili; e di qui era nato in città un certo malumore. Non so se si deve a questa ragione il fatto che del libro non sia apparsa finora alcuna versione italiana. Del nostro colloquio – suggellato persino da un abbraccio – non ricordo altro.Hemingway sembrava allora assai più vecchio della sua età; soppressa la grande barba tolstoiana, i peli del suo viso sparso di eczemi erano spuntati alla meglio, forse col metodo di Barilli: a colpi di forbice. Selvoso, arruffato era anche il suo discorso, multilingue, con prevalenza di un italiano immaginario. Tuttavia l’uomo Hemingway non deludeva, confermava anzi quel senso di un’umanità schietta, quasi infantile – ma respinta furiosamente e compressa nel fondo della coscienza come indegna di un uomo « del nostro tempo » – che i suoi libri migliori lasciavano indovinare. Qualche mese dopo giunse la notizia che Hemingway era morto in seguito a un incidente aereo: e toccò a me di scriverne il necrologio su queste colonne. Ma il giorno appresso si seppe che lo scrittore era uscito, se non illeso, vivo dalla nuova disavventura; ed io scrissi altre poche righe, esprimendo la mia soddisfazione di uomo e forse il mio inconsapevole disappunto per l’emozione che dovevo distruggere in me o almeno rimandare sine die. Quanti necrologi scritti in quell’occasione avrà letto Hemingway! Non dev’essere piacevole per uno scrittore vivo apprendere le prime avvisaglie di quel che sarà poi il giudizio dei posteri. È probabile però che Hemingway non leggesse nulla di quanto si scriveva di lui24.

Il Farfarella garrulo portiere ligio agli ordini
Disse ch’era vietato disturbare
L’uomo delle corride e dei safari.
Lo supplico di tentare, sono un amico di Pound
(esageravo alquanto) e merito un trattamento
Particolare. Chissà che… L’altro alza la cornetta,
parla ascolta straparla ed ecco che
l’orso Hemingway ha abboccato all’amo.
È ancora a letto, dal pelame bucano
Solo gli occhi e gli eczemi.
Due o tre bottiglie vuote di Merlot,
avanguardia del grosso che verrà.
Giù al ristorante sono tutti a tavola.
Parliamo non di lui ma della nostra
Adrienne Monnier carissima, di rue de l’Odéon,
di Sylvia Beach, di Larbaud, dei ruggenti anni trenta
e dei raglianti cinquanta. Parigi Londra un porcaio,
New York stiking, pestifera. Niente cacce in palude,
niente anatre selvatiche, niente ragazze
e nemmeno l’idea di un libro simile.
Compiliamo un elenco di amici comuni dei quali
Ignoro il nome. Tutto è rotten, marcio.
Quasi piangendo m’impone di non mandargli gente
Della mia risma, peggio se intelligenti.
Poi s’alza, si ravvolge in un accappatoio
E mi mette alla porta con un abbraccio.
Visse ancora qualche anno e morendo due volte
Ebbe il tempo di leggere le sue cronologie25.

Innanzitutto si noti come l’ordine espositivo del brano in prosa riportato sia sostanzialmente lo stesso adottato nella poesia:

1) il portiere dell’Hotel inizialmente impedisce a Montale di fare visita a Hemingway;

2) Hemingway accoglie l’intervistatore stando a letto e bevendo;

3) inizia un colloquio sui tempi andati;

4) Hemingway saluta Montale con un abbraccio;

5) viene ricordato l’episodio del falso necrologio.

La collazione mostra un’evidente aderenza del testo poetico alla prosa:

(vv.1-3) Il Farfarella garrulo portiere ligio agli ordini / disse ch’era vietato disturbare / l’uomo delle corride e dei safari.

Lo scrittore aveva dato ordini severissimi al portiere del suo albergo, ma i nomi magici di Silvia e di Adriana riuscirono a farlo crollare.

(vv.4-6) Lo supplico di tentare, sono un amico di Pound / (esageravo alquanto) e merito un trattamento / particolare.

Ernest Hemingway è stato per me un buon amico fin dagli anni del “Navire d’argent”, la rivista di Sylvia Beach e Adrienne Monnier, e dalle lontane stagioni che mi portarono più volte a Rapallo (una con Carlo Linati) per far visita all’eterno esule Ezra Pound.

(vv.9-12) È ancora a letto, dal pelame bucano/ solo gli occhi e gli eczemi. / due o tre bottiglie vuote di Merlot, / avanguardia del grosso che verrà.

Mi ricevette stando a letto e sgocciolando ciò che restava di una bottiglia di whisky.

[...] i peli del suo viso sparso di eczemi erano spuntati alla meglio [...]

(vv.14-17) Parliamo non di lui ma della nostra/ Adrienne Monnier carissima, di rue de l’Odéon, / di Sylvia Beach, di Larbaud, dei ruggenti anni trenta / e dei raglianti cinquanta.

Parlammo, più che altro “del nostro tempo”, cioè della generazione di arrabbiati ed espatriati di cui egli aveva fatto parte prima del successo che doveva trasformarlo in un uomo pubblico.

(vv.18-19; 22) Parigi Londra un porcaio / New York stiking, pestifera; Tutto è rotten, marcio.

Selvoso, arruffato era anche il suo discorso, multilingue, con prevalenza di un italiano immaginario.

(vv.18-29) Niente cacce in palude, / niente anatre selvatiche, niente ragazze / e nemmeno l’idea di un libro simile.
[...] del romanzo veneziano non mi disse nulla, né io credetti di dover insistere.

(vv.21-22) Compiliamo un elenco di amici comuni dei quali/ ignoro il nome.
Sfilarono altri nomi: Pound, Gertrude Stein, Sherwood Anderson, Joyce, Larbaud [...]

(v.26) E mi mette alla porta con un abbraccio.
Del nostro colloquio – suggellato persino da un abbraccio – non ricordo altro.

(vv.27-29) Visse ancora qualche anno e morendo due volte / ebbe il tempo di leggere le sue cronologie.

Qualche mese dopo giunse la notizia che Hemingway era morto in seguito a un incidente aereo [...] Ma il giorno appresso si seppe che lo scrittore era uscito, se non illeso, vivo dalla nuova disavventura [...]. Quanti necrologi scritti in quell’occasione avrà letto Hemingway! [...] È probabile però che Hemingway non leggesse nulla di quanto si scriveva di lui.

Se estendiamo la collazione, da una parte considerando pure le quattro redazioni della poesia che hanno preceduto il testo a stampa26, dall’altra allargando l’analisi all’intero articolo, troviamo ulteriori conferme del fatto che « Schietta umanità » si possa considerare l’avantesto della seconda prosa veneziana:

(v.3, Datt.1-4, MS) … l’uomo delle corride e delle grandi cacce.

Più tardi lo abbiamo trovato corrispondente durante la guerra civile spagnola [...] Ma se a questo aggiungiamo i periodi africani di caccia grossa, l’infatuazione tauromachica, i voli, i viaggi [...] si ha il vero ritratto di un uomo che volle sempre riempire la sua vita, rifuggendo… da che cosa? Rifuggendo probabilmente dalla pietà di se stesso.

(v.9 Datt.1-3) Era a letto, la barba gli nascondeva …
[…] soppressa la grande barba tolstoiana [...]
(v.14 Datt.1-4) Parlammo non di lui …
Parlammo, più che altro “del nostro tempo” [...]

(vv.23-28, secondo la redazione di Datt.1) marcio. Quasi piangendo mi consigliò di persistere/ nel mio mestiere, quale che fosse, magari intellettuale. / Poi si alzò, si ravvolse in una vestaglia e mi mise/ gentilmente alla porta con un abbraccio. / Più tardi scrissi un articolo sulla sua morte. / Ma la notizia era falsa. Fu vera più tardi/ e se pure lui lesse il primo mio necrologio/ per sua fortuna e mia ignorò il secondo.

Qualche mese dopo giunse la notizia che Hemingway era morto in seguito a un incidente aereo: e toccò a me di scriverne il necrologio su queste colonne. Ma il giorno appresso si seppe che lo scrittore era uscito, se non illeso, vivo dalla nuova disavventura [...]

Ernest Hemingway [...] si turbò una volta, quando una scrittrice di terz’ordine disse che egli aveva «del falso pelo sul petto» [...] Non aveva del tutto torto Dorothy Parker; ma trascurava il dramma autenticissimo del poeta che col volger degli anni deve fare mestiere dell’originario suo dono27.

Del dramma di un “poeta” (così lo chiama Montale) che, come Hemingway, è costretto a fare della propria vocazione un mestiere e della maniera in cui è possibile scampare a questa condanna parlerò ancora in conclusione di questo studio (già si è detto qualcosa in apertura). Intanto vorrei provare a risolvere la nota “questione cronologica”, che ha visto contrapposti Maria Antonietta Grignani e Riccardo Castellana. Riassumo le due posizioni: la Grignani ritiene che, nella poesia, l’incontro tra Montale e Hemingway avvenga in un tempo precedente alle due morti (quella falsa del gennaio ’54 e quella vera avvenuta il 2 luglio 1961) e persino all’uscita di Across the River and into the Trees (1950); Castellana, dal canto suo, non ritiene plausibile la retrodatazione, poiché in tal caso « risulterebbe anacronistico » il giudizio che il poeta esprime sugli anni cinquanta28. La studiosa è giunta a formulare la sua ipotesi soprattutto grazie all’analisi delle prime stesure della poesia, presenti tra i dattiloscritti autografi di Montale conservati presso l’Università di Pavia, dei quali tra l’altro, con Maria Corti, ha curato un’edizione29. In particolare, nelle prime due lezioni dei vv.18-20, il poeta fa riferimento al romanzo hemingwayano come a un libro ben lontano dall’essere pubblicato: « Accennò vagamente a un probabile suo libro veneziano / di anitre selvatiche e d’amore e di morte », (Datt.1); « Un vago accenno a un possibile suo libro veneziano … » (Datt.2 e Datt.3); « Niente cacce in palude, niente donne, nemmeno/ l’idea di un libro simile» (Datt.4)30.

Per i vv. 27-28, in quello che è stato siglato Datt.1, leggiamo la seguente variante genetica: « Più tardi scrissi un articolo sulla sua morte. / Ma la notizia era falsa. Fu vera più tardi / e se pure lui lesse il primo mio necrologio / per sua fortuna e mia ignorò il secondo ». Le varianti danno senz’altro ragione alla Grignani, ma, dal momento che, lo sostiene lei stessa, « il testo a stampa, ultimo in ordine genetico e cronologico, resta pur sempre il dato primario da analizzare »31, è tutt’altro che da scartare la lettura di Riccardo Castellana, che rifiuta l’ipotesi della retrodatazione e vede nei vv.18-20 un riferimento ad Across the River come a un libro già scritto e stampato in precedenza e ormai irripetibile, a causa della temperie culturale dei « raglianti cinquanta » e delle condizioni di salute in cui versa l’autore visitato dal poeta; il curatore di Satura sembra scartare del tutto l’idea che Montale abbia cambiato l’ordine cronologico degli avvenimenti e non tiene in considerazione neppure il fatto che i vv.27-28 sembrano proiettare le due morti di Hemingway in un tempo posteriore rispetto alla visita veneziana. Credo che, dal confronto tra la prosa veneziana e l’articolo « Schietta umanità », emergano alcuni elementi che aiutano a dirimere la questione. Per prima cosa, salta agli occhi un errore commesso dal cronista: l’incontro con Hemingway si dice avvenuto «qualche mese prima» rispetto alla notizia della morte dello stesso:

Il mio solo e vero incontro con Hemingway doveva avvenire a Venezia nel 1954 [...] Qualche mese dopo giunse la notizia che Hemingway era morto in seguito a un incidente aereo [...]

Se è vero che Montale, nello scrivere la prosa veneziana, ha sotto gli occhi questo articolo, come sto cercando di dimostrare, è del tutto plausibile che incorra nello stesso errore cronologico. Per quanto riguarda, invece, i vv.18-20, l’accostamento tra la poesia e il pezzo giornalistico è ancora una volta interessante:

(vv.14-20) Parliamo non di lui ma della nostra / Adrienne Monnier carissima, di rue de l’Odéon, / di Sylvia Beach, di Larbaud, dei ruggenti anni trenta / e dei raglianti cinquanta. Parigi Londra un porcaio, / New York stiking, pestifera. Niente cacce in palude, / niente anatre selvatiche, niente ragazze / e nemmeno l’idea di un libro simile.

Parlammo, più che altro « del nostro tempo », cioè della generazione di arrabbiati ed espatriati di cui egli aveva fatto parte prima del successo che doveva trasformarlo in un uomo pubblico. Sfilarono altri nomi: Pound, Gertrude Stein, Sherwood Anderson, Joyce, Larbaud; del romanzo veneziano non mi disse nulla, né io credetti di dover insistere.

Il colloquio tra il poeta e lo scrittore è tutto incentrato sui tempi andati e non contempla il romanzo veneziano, del quale è sconveniente parlare, forse perché rievoca vicende scabrose. Le stesse che probabilmente hanno sconsigliato all’autore di pubblicare il libro in Italia:

Correva voce che in esso lo scrittore avesse fuso in un solo personaggio due damigelle dell’alta società veneziana, senza che peraltro la contaminatio le avesse rese del tutto irriconoscibili; e di qui era nato in città un certo malumore. Non so se si deve a questa ragione il fatto che del libro non sia apparsa finora alcuna versione italiana.

Il fatto che, nelle prime redazioni della poesia, i vv.18-20 parlino di Across the River come di un libro ancora da scriversi, forse, è dovuto proprio a questo: il romanzo uscì in traduzione italiana solo dopo la morte di Hemingway, nel 1965, e lo stesso Montale, come abbiamo visto, non mancò di recensirlo. Inizialmente il poeta sembra dimenticare il fatto che negli Stati Uniti Across the River era uscito quindici anni prima rispetto all’edizione italiana ed era in circolazione già da quattro anni quando andò ad incontrarne l’autore; poi, nella versione definitiva, sembra correggersi (anche se qualche dubbio rimane, dal momento che i vv.18-20, anche nella lezione definitiva, restano piuttosto ambigui). Da parte mia, non credo a un difetto di memoria, perché ogni volta che il giornalista Montale ricorda il suo colloquio con Hemingway lo associa al romanzo veneziano:

Tuttavia, quando mi accennò che voleva tornare a Udine, a Cividale, a Codroipo e in tutti i luoghi che abbiamo trovato nel suo romanzo veneziano Across the river...32

Rivedemmo poi Hemingway a Venezia, la città dove il suo penultimo libro Across the River aveva fatto scandalo, anni fa; e ancora provammo, insieme con l’ammirazione, il disagio che dà sempre un uomo quando, sceso dalle nuvole del mito, si mostra in carne ed ossa33.

Il mio solo e vero incontro con Hemingway doveva avvenire a Venezia, nel ’54, dopo l’esito molto contrastato del romanzo veneziano Across the River and into the Trees34.

E sarà anche perché io ho conosciuto lo scrittore a Venezia, negli stessi ambienti del libro, io trovo che l’identificazione Jackson-Hemingway è riuscita quasi perfetta35.

È vero che, nell’ultima citazione, tratta dall’articolo più vicino alla data di composizione della poesia, non è specificato il rapporto cronologico tra l’incontro e il romanzo, e questa forse è un’avvisaglia dell’indeterminatezza temporale in cui cadrà l’autore della seconda prosa veneziana.

Se consideriamo l’articolo « Schietta umanità » come il diretto antecedente della seconda prosa veneziana, possiamo anche spingerci oltre, cercando di individuare nel testo poetico i temi sollevati nell’articolo.

1.- La poesia, come la prosa giornalistica, mette a confronto due generazioni di addetti alla cultura:

(vv.14-17) Parliamo non di lui ma della nostra/ Adrienne Monnier carissima, di rue de l’Odeon, / di Sylvia Beach, di Larbaud, dei ruggenti anni trenta/ e dei raglianti cinquanta.

Parlammo, più che altro « del nostro tempo », cioè della generazione di arrabbiati ed espatriati di cui egli aveva fatto parte prima del successo che doveva trasformarlo in un uomo pubblico.

Nel mio unico incontro con lui non gli chiesi che cosa pensasse della generazione posteriore alla sua, delle nuove correnti di scrittori più o meno “arrabbiati”. Ma forse fu meglio così: nella vita di uno scrittore c’è sempre il giorno in cui egli si sente minacciato, travolto dalla cafoneria meglio organizzata dei nuovi venuti36.

2.- Per Hemingway la decadenza fisica coincide con quella artistica, poiché «per scrivere» egli ha bisogno di « vivere pericolosamente »:

(vv.18-20) Niente cacce in palude, niente anatre selvatiche, niente ragazze / e nemmeno l’idea di un libro simile.

Vivere sì, vivere pericolosamente, vivere se non altro per poter scrivere, ma senza conoscere l’onta della decadenza fisica e senza arrendersi alle ragioni dei filistei37.

3.- Hemingway ha due nature: dietro all’apparenza di uomo duro, esperto di safari e corride, si cela un animo sensibile che Montale scopre a poco a poco proprio durante la visita veneziana:

(vv.3; 8; 9-10 23-26) l’uomo delle corride e dei safari →l’orso Hemingway ha abboccato all’amo → dal pelame bucano / solo gli occhi e gli eczemi38 → Quasi piangendo mi impone di non mandargli gente / della mia risma, peggio se intelligenti./ Poi s’alza, si ravvolge in un accappatoio / e mi mette alla porta con un abbraccio.

Hemingway è stato un uomo che ha rovesciato il suo innato pudore facendone una sorta di sfrontata estroversione; bastava però vederlo arrossire improvvisamente – blushing – per convincersi che la sua fama di uomo e di artista hard boiled era una soprastruttura39.

Più tardi l’abbiamo trovato corrispondente durante la guerra civile spagnola, ancora giornalista in Cina, e combattente, ancora decorato, nell’ultima grande guerra. Ma se a questo aggiungiamo i pericoli africani di caccia grossa, l’infatuazione tauromachica, i voli, i viaggi, la lunga residenza a Cuba, i periodi in cui si è trovato “completamente al verde”, si ha il vero ritratto di un uomo che volle sempre riempire la sua vita, rifuggendo… da che cosa? Rifuggendo probabilmente dalla pietà di se stesso40.

4.- L’involuzione artistica dello scrittore americano, divenuto negli ultimi anni di carriera « un produttore di libri », è dovuta ad un fatto drammatico: la letteratura, per lui, è divenuta un lavoro. L’ultimo Hemingway ha vissuto « il dramma autenticissimo del poeta che col volger degli anni deve far mestiere dell’originario suo dono ». Per questo motivo, nella redazione primitiva dei vv.23-24, consiglia al giornalista Montale di « persistere / nel suo mestiere, quale che fosse, magari intellettuale »: sono i secondi o terzi mestieri, come sappiamo, che preservano la dignità del poeta41. Il tema è molto caro a Montale, che continua a svilupparlo anche nell’ultimo articolo dedicato a Hemingway:

Hemingway, non meno dell’ultimo Faulkner, ha pagato a caro prezzo il suo “professionismo” letterario. Quando la poesia si fa mestiere, quando il libro si fa merce attesa e pagata profumatamente l’immediatezza e la sincerità diventano il facsimile di se stesse, l’immediato nasce da faticose escogitazioni intellettuali42.

Questo è il prezzo pagato da Hemingway: la sua esistenza è divenuta inscindibile dalla sua arte e un’identificazione sempre più marcata con i personaggi dei suoi romanzi lo ha portato alla rovina:

Il colonnello Jackson43 si distrugge consapevolmente con le sue intemperanze e le sue sbornie; e lo stesso gesto, con maggior brutalità e forse ai limiti della follia, Hemingway compirà dieci anni dopo. L’identità tra lo scrittore e il personaggio viene così portata a fondo e mostra di quanto vero dolore fosse materiato il dilettantismo letterario di Ernest Hemingway44.

Nella trasfigurazione poetica attuata nella seconda prosa veneziana, lo scrittore è diventato quasi un dannato dantesco che sconta la sua pena in una stanza dell’Hotel Gritti, sotto la sorveglianza del garrulo Farfarella (personaggio nato dalla combinazione tra il maître d’hôtel Tortorella e il demone Farfarello, Inferno XXI)45: per accedere al suo cospetto l’aiuto di Ezra Pound è fondamentale come quello di Virgilio per Dante nella Commedia.

Nel tentativo di sfuggire alla condanna subita da Hemingway, reo di aver fatto della poesia46 una merce, e forse anche per uscire da una sua personale « astrazione » e dissolvere i « mirabili fantasmi » giovanili (ogni riferimento alla prima poesia del dittico veneziano è chiaramente voluto)47, Montale scelse di svolgere il secondo mestiere di giornalista presso il Corriere della Sera. Il lungo periodo di attività prosastica, unito a una particolare « situazione storico-esistenziale » del poeta, che lamentava di essere « assediato dalle cose », lo indusse a rifiutare il « proprio pur singolare sublime » per sposare uno stile più basso e vicino alla realtà48. In Satura, si mise a descrivere la vita attingendo ai mezzi del comune reportage, allo stesso modo di come aveva fatto l’amico Hemingway, elogiato per questo nel famoso necrologio:

Era piuttosto un reporter, un grande reporter della vita; e questa fu la sua originalità, facile a fraintendersi oggi che una falsa spontaneità, un corrivo e fotografico lasciarsi andare sta distruggendo le linee del romanzo contemporaneo.49

La Grignani sottolinea giustamente la necessità di « tener conto delle radici prosastiche di Satura »50. Secondo me è opportuno considerare, oltre alle « radici » (le prose montaliane), anche la grande quantità di prosa con cui il giornalista è entrato in contatto nello svolgimento del suo secondo mestiere. Nell’incontrare Hemingway, ad esempio, Montale si è avvicinato anche al suo romanzo Across the River and into the Trees, letto e recensito per ben due volte (a distanza di quindici anni). Non a caso il libro ricompare tra le righe delle Due prose veneziane: oltre ad essere citato ai versi 18-20 della seconda poesia come un romanzo ormai impossibile, funge da controcanto ironico della prima. Il poeta, infatti, nel raccontare la vacanza veneziana con Irma Brandeis, un vero fallimento amoroso, strizza l’occhio al colonnello Cantwell (sosia letterario di Hemingway), che nel romanzo vive a Venezia la sua ultima appassionata storia d’amore con la giovane Renata. Montale è ben consapevole di non assomigliare al colonnello, tanto da scriverlo persino a Maria Luisa Spaziani in una lettera (ancora secretata):

Neanche se avessi una gondola potrei emulare (dopo averti conosciuta) il colonnello di Hemingway [...]51.

Si può persino indicare un possibile debito della poesia nei confronti del romanzo hemingwayano (tradotto da Fernanda Pivano):

(v. 29) Per una città che domanda turisti e amanti anziani.
Soltanto i turisti e gli amanti prendono la gondola52.

Venezia, nel romanzo hemingwayano, oltre ad essere costruita su misura per turisti e amanti, è anche una città di reduci: il colonnello fonda, con altri ex combattenti, un Ordine militar nobile y espirituoso de los Caballeros de Brusadelli che ha sede presso l’Hotel Gritti. I bar di Across the River sono, inoltre, frequentati da una popolazione di derelitti molto simile a quella descritta da Montale nella poesia Lettera, che la Grignani considera « la terza prosa veneziana »53. Il « vecchio colonnello di cavalleria », accanito bevitore di Negroni Bacardi e Roederer Brut, Bourbon e Martini, ricorda da vicino il colonnello Cantwell, circondato da « […] esperti nell’arte del galleggio » membri di una società parallela e decadente.

In conclusione, si può dire che l’avvicinamento alla prosa dell’ultima produzione poetica montaliana comporta certamente effetti stilistici: esso consiste prima di tutto nell’ingresso all’interno del testo poetico di particolari realistici che Montale trae talvolta dai suoi vecchi articoli, come ho cercato di dimostrare seguendo le indicazioni della Grignani; in secondo luogo è ravvisabile nell’esibita imitazione degli stilemi tipici della scrittura giornalistica. Dagli articoli pubblicati sul Corriere della Sera il poeta trae inoltre alcuni temi quasi ignoti alla tradizione lirica novecentesca: nella seconda prosa veneziana si parla ad esempio della poesia che diventa mestiere, della deriva culturale portata dalle nuove generazioni e della distanza tra vita e arte, con riferimento a questioni trattate diffusamente da Montale stesso nell’esercizio del suo secondo mestiere. La produzione prosastica montaliana si può quindi considerare un serbatoio di argomenti per la nuova poesia. Infine, si può affermare che l’autore di Satura tende alla prosa anche per i riferimenti alla grande narrativa inseriti nelle sue ultime poesie: questo è il caso della nostra prosa veneziana, che ha per protagonisti Ernest Hemingway e il suo romanzo Across the River and into the Trees. Il termine “prosasticità”, con cui si caratterizza la poesia di Satura e delle raccolte successive, equivale quindi a un’apertura stilistica, tematica e culturale.

Note de fin

1 Intervista di Maria CORTI, da L’Approdo Letterario, n.53, anno XVII, marzo 1971, ripubblicata in Eugenio MONTALE, Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di G. Zampa, Meridiani Mondadori, Milano 1996, p. 1699-1701.

2 Eugenio MONTALE, « Il secondo mestiere », Il Corriere della Sera, 27 gennaio 1959, in Id., Il secondo mestiere. Arte, musica, società, cit., p. 128-132.

3 Ivi p. 132.

4 Quasi tutti i manoscritti delle poesie che Montale spedì a Maria Luisa Spaziani sono stesi su carta riportante l’intestazione « Il Nuovo Corriere della Sera » : cfr. il Catalogo delle lettere a Maria Luisa Spaziani, a cura di G. Polimeni, Università degli studi di Pavia, Pavia 1999.

5 Eugenio MONTALE, Il secondo mestiere. Arte, musica, società, cit.; Id., Il secondo mestiere. Prose: 1920-1979, 2 vol., a cura di G. Zampa, Mondadori, Milano 1996; Id. Prose e racconti, a cura di M. Forti, Mondadori, Milano 1995.

6 Maria Antonietta GRIGNANI, Prologhi ed epiloghi. Sulla poesia di Eugenio Montale, Longo, Ravenna 1987, p. 139-168.

7 Ivi, p. 139.

8 Ivi, p. 142.

9 Eugenio MONTALE, « Abbruciacchiato e felice Hemingway è tornato a Venezia », in Corriere d’informazione, 26 marzo 1954, poi in Id., Prose e racconti, a cura di M. Forti, Mondadori, Milano 1995, p. 1055-1056.

10 Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, cit., p. 1085-1090.

11 Id. L’uomo e le opere, Corriere d’Informazione, 25-26 gennaio 1954; poi in Id., « Non era morto », Il Corriere della Sera, 26 genn. 1954, poi in Id. Il secondo mestiere. Prose, cit., p. 1643-1647.

12 Id., « Abbruciacchiato e felice », cit.

13 Id. « Hemingway premio Nobel per la letteratura », in Il Corriere della Sera, 29 ottobre 1954, in Id., Il secondo mestiere. Prose, cit., p. 1739-1742.

14 Id. « Schietta umanità », Il Corriere della Sera, 3 luglio 1961, poi in Id. Il secondo mestiere. Prose, cit., p. 2398-2403.

15 Id., « Hemingway di là dal fiume », Il Corriere della Sera, 16 maggio 1965, poi in Id. Il secondo mestiere, cit., p. 2709-2713.

16 Ernest HEMINGWAY, Di là dal fiume e tra gli alberi, trad. F. Pivano, Mondadori, Milano 1965.

17 Eugenio MONTALE, « Abbruciacchiato e felice », cit.

18 Maria Antonietta GRIGNANI, Prologhi ed epiloghi, cit., p. 160.

19 Ibid.

20 Ivi, p. 161-162.

21 Eugenio MONTALE, Satura, a cura di R. Castellana, Mondadori, collezione « Oscar poesia del Novecento », Milano 2009.

22 Ivi, p. 267-269.

23 Id., « Schietta umanità », cit.

24 Ivi, p. 2398-2400.

25 Id., Satura, p. 268-269.

26 Id., L’opera in versi, a cura di R. Bettarini e G. Contini, Einaudi, Torino 1981, p. 1037-1040.

27 Id., « Schietta umanità », cit., p. 2402.

28 Id., Satura, cit., p. 269.

29 Cfr. Autografi di Montale del Fondo dell’Università di Pavia, a cura di M. Corti e M. A. Grignani, Einaudi, Torino 1976, p. 63.

30 Ibid.

31 Maria Antonietta GRIGNANI, Prologhi ed epiloghi, cit., p. 143.

32 Eugenio MONTALE, « Abbruciacchiato e felice », cit., p. 1055.

33 Id., « Hemingway premio Nobel per la letteratura », in Il Corriere della Sera, 29 ottobre 1954, poi in Id. Il secondo mestiere, cit., p. 1739-1740.

34 Id., « Schietta umanità », cit., p. 2398.

35 Eugenio MONTALE, « Hemingway di là dal fiume », in Il Corriere della Sera, 16 maggio 1965, poi in Id., Il secondo mestiere, cit., p. 2711.

36 Id., « Schietta umanità », cit., p. 2403.

37 Ivi, p. 2402.

38 Id., « Abbruciacchiato e felice Hemingway è tornato a Venezia », cit., p. 1055: « […] Sulle guance quell’inconfondibile rossore che forse gli viene da una malattia della pelle ma che io mi ostino a creder dovuto a un’invincibile timidezza. (Chi non l’ha visto avvampare, blushing, quando gli presentano qualche nuovo seccatore ha perduto uno spettacolo) ».

39 Id. « Schietta umanità », cit., p. 2400.

40 Ivi, p. 2401.

41 Id., Il secondo mestiere, cit.

42 Id., « Hemingway di là dal fiume », cit., p. 2710-2711.

43 Errore di Montale, che in realtà si riferisce al colonnello Richard Cantwell, protagonista di Across the River and into the Trees.

44 Id., « Hemingway di là dal fiume », cit., p. 2711.

45 Cfr. Id., Satura, cit., p.268n.

46 Montale non considera Hemingway un romanziere, bensì un «poeta autentico» che « tenta di spacciarsi per un raffazzonatore di pagine documentarie» (in « Schietta umanità », cit., p.1088).

47 Id., Satura, cit., p. 264-265.

48 Maria Antonietta GRIGNANI, Prologhi ed epiloghi, cit., p. 139.

49 Eugenio MONTALE, « Schietta umanità », cit., p. 2402-2403.

50 Maria Antonietta GRIGNANI, cit., p. 141.

51 Cfr. il Catalogo delle lettere di Eugenio Montale a Maria Luisa Spaziani, a cura di G. Polimeni, Università degli studi di Pavia. Centro di Ricerca sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei, Pavia 1999, p. 91, lettera 239.

52 Ernest HEMINGWAY, Di là dal fiume e tra gli alberi, traduzione di F. Pivano, Mondadori, collezione Oscar, Milano 1973, p. 212.

53 Maria Antonietta GRIGNANI, Prologhi ed epiloghi, cit., p. 144.

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Référence électronique

Damiano Springhetti, « Nel laboratorio di Satura: l'avantesto di « Due prose veneziane » », Line@editoriale [En ligne], 5 | 2013, mis en ligne le 02 mars 2017, consulté le 03 mai 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/511

Auteur

Damiano Springhetti

Università di Trento

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