Educazione siberiana di Nicolai Lilin : crisi della presenza e strategie di sopravvivenza

Résumés

Nicolai Lilin è un giovane scrittore nato in Transnistria nel 1980 e residente oggi in Italia. Il suo primo romanzo, Educazione siberiana (2009), sorta di autobiografia trasfigurata, ha alimentato di recente un acceso dibattito intorno alle pretese « bugie » dell’autore. In realtà, la trasfigurazione del reale fa parte integrante della scrittura letteraria (secondo Bachtin): in questo caso specifico, l’autore sceglie la lingua del paese d’adozione, l’italiano, per iniziare il lettore ai valori della sua comunità di origine. Attraverso la scrittura, l’autore difende la sua terra, la Siberia, che è stata trasformata dall’impero sovietico, in campo di concentramento e in immenso giacimento di materie prime. I romanzi di Lilin esprimono la crisi della presenza (secondo la teoria di Ernesto De Martino) di un soggetto che vive la perdita della cultura e, allo stesso tempo, affermano la necessità di difendere l’universo naturale (la taiga siberiana come metonimia della terra intera), all’interno del quale l’essere umano deve imparare a rinunciare al suo ruolo dominante e distruttore.

Nicolai Lilin is a young novelist born in Transnistria in 1980 who lives in Italy at the present time. His first novel, Educazione siberiana (2009), a kind of transfigured autobiography, has been the subject of lively debate about the supposed « lies » of the writer. However, the transfiguration of the reality is an integral part of literary writing, as Bakhtin says: in this specific case, the author chooses the language of his adopted country, the Italian, in order to introduce the reader to his original community values. Through his literary works, the author defends his land, Siberia, that has been transformed by Soviet Union in a concentration camp and in primary source of raw materials. At the same time, Lilin’s novels are the expression of a crisis of presence (according to De Martino’s theory of ethnology) within a subject who deeply feels the loss of culture; on the other hand, they point out the necessity of protecting the natural world (Siberian taiga as metonymy of the entire Earth) within which every human being must give up his dominant et destructive role.

Plan

Texte

Dalla palude giunge il grido dell'airone,
Il chiaro gorgoglio dell'acqua,
E dalle nuvole occhieggia,
Come una goccia, una stella solitaria.

Potere con essa, in quel torbido fumo,
Appiccare un incendio nel bosco,
E insieme perirvi come un lampo nel cielo.

(Esenin, Sul piatto azzurro del cielo)

Esistono storie che portano, come echi lontani, i volti, le parole, le vite di un popolo ; sono storie che vanno soprattutto raccontate oralmente, storie che si concatenano ad altre storie per dipingere un affresco, o meglio, per comporre un mosaico. Nicolai Lilin ha iscritto nel suo romanzo Educazione siberiana la memoria dolorosa della sua gente.

Difficile parlare di un « popolo », di « etnia », forse sarebbe meglio dire « comunità », ovvero un gruppo di persone che condividono valori comuni : il giovane autore narra le storie delle persone che il giovane Kolima ha incontrato durante la sua infanzia, le storie che questi ha udito raccontare da altri, come in un favoloso intreccio di discorsi riportati, riferiti, ripetuti, tradotti, trasmessi…

L’itinerario complesso che una storia percorre, il suo rimbalzare sulle bocche di chi la racconta, nelle orecchie di chi la sta ad ascoltare, nell’immaginario di un interlocutore che è pronto a riferire la storia arricchendola di nuovi particolari : questo il destino delle storie, racconti del « tempo grande », come suggerisce Michail Bachtin, grande teorico russo del linguaggio letterario.

La parola riportata è – per Bachtin – il punto di partenza di ogni narrazione, di conseguenza la mia parola è già una risposta dialogica alla parola altrui, è una nuova posizione di senso. Nicolai Lilin racconta alla prima persona, intrecciando i fili della propria storia con le vicende di Kolima.

Il dibattito alimentato dal romanzo1 – e oggi dal film omonimo che Gabriele Salvatores ne ha tratto – sulle presunte « bugie » dello scrittore non tiene conto della teoria bachtiniana sulla figura dell’autore secondo la quale questi è allo stesso tempo autore uomo e immagine dell’autore : la figura che noi percepiamo attraverso l’opera è sempre e solo l’immagine dell’autore prodotta dalla sua scrittura in noi. Ben diversa è la figura dell’autore reale, colui che firma il contratto con la casa editrice, colui che iscrive il suo nome sulla copertina del libro.

Secondo lo scrittore Paul Valéry, l’autore è un « créateur créé », un creatore a sua volta creato dalla sua stessa opera : Nicolai Lilin, in un certo senso, autore uomo e immagine dell’autore, viene trasformato dalla sua stessa opera, e precisamente dalla ricezione delle sue opere da parte del pubblico e della critica. In un gioco d’identificazione tra autore ed eroe (nella terminologia di Bachtin, l’ « eroe » è il personaggio del romanzo), l’autore ama insistere sull’esperienza personale, sul vissuto che nutre la sua scrittura. Educazione siberiana, romanzo pubblicato nel 2009, offre uno straordinario esempio di controversia intorno alla scrittura e alla ricezione di una storia che si autodefinisce « autobiografica ».

Tutti i critici che si sono interessati all’autobiografia - e non solo attraverso i saggi di Philippe Lejeune - sanno che la base stessa del racconto autobiografico è la « trasfigurazione del vissuto ». Quando leggiamo Rousseau, Alfieri o Cellini ci chiediamo, a torto, è vero o falso quello che l’autore dice?

Il materiale autobiografico passa attraverso la macchina del tempo e della memoria, subisce una strana metamorfosi per poi diventare mito e il mito, come molti antropologi sanno, non è né vero né falso : esso è. Il mito porta in sé una verità necessaria per l’io che la racconta e per il « noi » di un’intera comunità.

Il mito unifica, rende utile l’inutile, consacra il rito, il gesto, costituisce il fondamento su cui si ergono le strutture di un’intera società. Il mito permette di riconoscersi, esso è legame, vincolo identitario che rassicura la comunità umana e in un certo senso la rende più forte dinanzi all’imponderabile, dinanzi al male.

Valori ancestrali e società postmoderna

Lilin è già in Italia quando scrive questo romanzo che parla di una comunità di « onesti delinquenti » discendenti dai siberiani deportati dai Russi in Transnistria, un territorio vicino alla Moldavia e alla Romania che ha proclamato la sua indipendenza nel 1990 e che non è stato ancora riconosciuto ufficialmente a livello internazionale.

Il romanzo descrive con un certo realismo la vita delle « gang » di giovani delinquenti che errano nella città di Bender, sempre alle prese con qualche missione precisa (sorveglianza, vendetta, messaggio da trasmettere, difesa di deboli, scontri con altri criminali).

Le storie contengono riferimenti ad altri personaggi e ad altre storie, per cui la narrazione si sviluppa in maniera irregolare, ma fluida, esplorando le vite delle figure che popolano il racconto attraverso la « memoria » dell’io narrante (Kolima).

Quello che emerge in modo chiaro è il carattere altamente simbolico dell’educazione « siberiana ». Il narratore opera una sorta di iniziazione del lettore svelandogli i segreti della comunicazione tra criminali : le lettere devono rispettare precise forme di cortesia, i tatuaggi contengono le « storie » di chi li porta, la circolazione delle armi avviene solamente secondo certe regole…

Spesso la narrazione di una storia fa spazio ad una vera e propria analisi linguistica di termini della lingua russa, siberiana o del gergo dei delinquenti ; altre volte nel racconto s’innestano lunghe e dettagliate descrizioni di rituali (il rito del tè, per esempio) o pratiche apotropaiche (per scongiurare il pericolo o evitare l’influenza malefica di uno spirito) : « tutto è sacro » in questo romanzo, nulla è « naturale ».

Così parlava il centauro che insegnava l’« educazione » a Giasone, nel film Medea di Pasolini, tutto è sacro, ciò che è mitico è realistico e ciò che è realistico è mitico. Ma Giasone, in seguito, dimenticherà le parole del Centauro e diventerà un eroe portatore di una logica moderna e utilitaristica giungendo ad abbandonare Medea per la figlia del re di Corinto. L’educazione siberiana insiste sulla parte di sacro che scompare in noi a causa dell’aggressione dei nuovi valori del capitalismo. Il delinquente siberiano disprezza il denaro (secondo il racconto), non lo nomina, poiché egli è consapevole del valore simbolico della nominazione. Gli stessi personaggi vengono spesso chiamati con il loro soprannome che è molto più importante del nome e cognome all’interno della comunità.

Kolima è culturalmente di religione ortodossa, anche se questa subisce l’influsso dei riti pagani, adora le icone e le considera manifestazione del divino nel quotidiano. La fede non solo rappresenta il legame con la tradizione, ma è anche una forma di opposizione al potere sovietico che distrugge i simboli religiosi, negando in tal modo ad intere comunità il diritto allo spazio del sacro.

Secondo Kolima, i bambini che appartengono alla comunità vengono educati alla violenza, ma questa viene sempre incanalata, dominata dalla parola degli anziani. In realtà, il romanzo afferma un valore in via di estinzione nella società postmoderna : gli anziani sono degni del massimo rispetto presso la « comunità » di origine siberiana e la loro parola è di grande conforto per i giovani. Emerge nel racconto la figura di nonno Kuzija, vecchio delinquente, che ormai si adopera a conciliare le diverse gang di criminali in nome della pace e della coabitazione delle comunità.

Una delle domande che pone il romanzo è : « come possiamo vivere insieme ? » Come possono coabitare bande di criminali con usi e abitudini diverse ? Come ciò può avvenire nell’ex-impero sovietico dove cosacchi, siberiani, armeni, georgiani, ebrei, ucraini interagiscono spesso scontrandosi sui valori delle diverse comunità ?

Chi scrive, Nicolai Lilin, è all’estero, al di fuori dalla sua cultura, immerso in una cultura di adozione, l’italiana, immerso in una lingua che egli ha scelto per comunicare e scrivere romanzi. Per questo motivo la sua parola letteraria diventa una forma altissima di salvaguardia di un’identità mobile, in continua trasformazione, alla ricerca di fondamenti sicuri per poter continuare ad esistere. Scrivere per rivelare i valori della comunità diventa una delle forme della crisi della presenza di cui parla l’etnologo Ernesto De Martino. E’ la crisi di una soggettività che si sente aggredita, che non sa se può ancora conservare una « presenza » nella storia.

Nessuna comunità può resistere alla deportazione, all’aggressione culturale e fisica, alla distruzione dei valori : il passato dei gulag staliniani emerge a tratti nelle storie del romanzo, l’autore racconta le tecniche dei sovietici per poter annientare la personalità dei prigionieri politici nei campi, il lavoro forzato, gli spostamenti forzati di intere comunità (i Cosacchi, ad esempio) : questo immenso paesaggio russo porta i segni della deculturazione forzata, che implica la perdita della propria cultura e che, spinta al suo estremo limite, può diventare « genocidio ».

La deterritorializzazione, se in un primo tempo per Deleuze e Guattari poteva avere un valore positivo in quanto fuoriuscita dalle abitudini e da un pensiero statico, si può trasformare in un vera e propria tragedia quando coincide con la distruzione culturale, la perdita dell’identità, o ancora, nella società attuale, la « flessibilità ». Il movimento opposto è la ri-territorializzazione, il reinserimento in un tessuto di rapporti sociali, la relazione ad un nuovo paesaggio naturale e umano.

I codici rigorosi descritti nel romanzo, le rigide regole di comportamento che un giovane deve rispettare sono una sorta di controcanto al « tutto è permesso », « tutto è possibile » della società dei consumi, della società dominata dalla tecnoscienza, il mondo in cui tutto è ormai realizzabile per l’uomo, persino il sogno dell’eternità, tramite la « fabbrica del vivente » e la rivoluzione annunciata dal transumanesimo2.

L’immagine di una comunità « forte » che ci trasmette Lilin è l’estrema autodifesa contro il terrore della scomparsa : una logica anticapitalista e anticomunista anima il racconto, un pensiero che combatte l’assenza di limiti poiché essa è all’origine della perdita di senso del reale. Educazione siberiana, in questo senso, è autobiografia poiché in essa la scrittura letteraria rivela la lotta del suo autore contro la perdita di senso della realtà : perdita della cultura, della lingua, dell’identità.

Scrivere è la manifestazione della volontà di riemergere alla superficie della storia. Storia di popoli diversi, di stati post-sovietici dimenticati alle periferie del « mondo », storie di giovani – ragazzi e ragazze – che si riuniscono e si affrontano secondo una logica di gang rivali. Ragazzi drogati e tossicodipendenti, ragazze che cadono nella trappola del sesso : nel romanzo sono i soggetti da « non imitare », coloro che non seguono quelle « regole rigorose » che impediscono ai giovani di cadere nell’eccesso e nella crisi morale.

In questo il romanzo di Lilin è profondamente mondiale, anzi, « glocal » ovvero locale e globale allo stesso tempo, poiché le vite degli adolescenti nella cultura postcomunista ci fanno pensare ai tanti giovani che abitano nelle periferie di Strasburgo, Lione o Parigi, nelle bidonvilles di Kinshasa o Nairobi, Casablanca o Bogotà, nei quartieri poveri di Città del Messico o nelle « favelas » di Rio de Janeiro. Basta ricordare alcuni film significativi come La zona di Rodrigo Pla (Messico-Spagna, 2008), Pixote di Héctor Babenco (Brasile, 1980), Slumdog Millionaire di Danny Boyle (Regno Unito, ambientato a Mumbai, India, 2008) fino al più recente Infancia clandestina di Benjamín Ávila (Argentina, 2012), L.A. Gangs de femmes film documentario di Stéphanie Lamorré ambientato a Los Angeles (2012), Gomorra (romanzo sui giovani criminali del napoletano di Roberto Saviano, 2006 , e film di Matteo Garrone, 2008), Khamsa film di Karim Dridi (ambientato nelle periferie di Marsiglia, 2008).

Nelle periferie del mondo le vittime della violenza sfrenata sono proprio i bambini e gli adolescenti, infanzia abbandonata dei quartieri poveri dominati dalle guerre mafiose degli adulti per il monopolio del commercio di droga, prostituzione, armi, e racket.

La violenza sfrenata attanaglia i quartieri poveri dove il valore supremo è il danaro. In questo ambiente si scatenano guerre tra gangs, alle volte appartenenti a comunità culturali diverse : Tzvetan Todorov ha descritto questo fenomeno culturale definito a torto « scontro di civiltà », ma che proviene essenzialmente dal vuoto dei valori (cfr. Todorov, La peur des barbares).

La violenza si diffonde maggiormente laddove vi è un’alta concentrazione di traffico d’armi : in realtà la Transnistria è il luogo per eccellenza della produzione di armi, in quanto la Russia vi aveva istallato molte industrie belliche, ed è attualmente un immenso deposito e mercato di armi. A livello locale, il traffico d’armi produce morte e violenza, a livello internazionale, secondo accordi segreti tra stati, è proprio sul commercio delle armi che si fondano l’ineguaglianza tra i popoli e le logiche di asservimento internazionali (vedi a questo proposito il saggio di Alex Zanotelli, I poveri non ci lasceranno dormire. Da Korogocho al Rione Sanità).

Contro l’anomia, il rispetto dei valori

Soltanto l’« educazione » al rispetto dei valori salva i bambini dall’annientamento culturale. La struttura della società « siberiana » descritta nel romanza di Lilin si fonda innanzitutto sulla « famiglia » : l’amore e la solidarietà tra i membri della cellula familiare sono davvero il fondamento della comunità. Ecco come Lilin esprime il sentimento di appartenenza alla famiglia :

 Ad un certo punto ho sentito le urla delle donne, e subito dopo tante voci nervose ; in pochi secondi la casa si è riempita di uomini armati, con i volti coperti e i Kalašnikov puntati su di noi. […] Io non ero per niente spaventato, non mi faceva paura nessuno di quegli uomini, il fatto di essere con la mia famiglia al completo mi faceva sentire più forte di qualsiasi essere vivente3.

I bambini vengono educati dagli anziani ancor più che dagli adulti ; essi ricevono l’insegnamento dei valori tradizionali tramite la cultura orale, le antiche fiabe e leggende. In realtà, senza il contatto continuo con la cultura orale non si capirebbe la narrazione di Lilin, nella quale la scrittura si riconcilia con l’antica parola di una sorta di « griot », che incarna la memoria di tutta la comunità. Tuttavia, il bambino è iniziato anche alla cultura del silenzio, che gli consente di vivere per giorni interi nella foresta senza parlare, usando altri modi di comunicare più prossimi all’universo primordiale della taiga.

I bambini vengono abituati allo spettacolo della violenza e alla dimestichezza con la morte, per esempio durante la caccia, oppure quando bisogna uccidere un animale per cibarsi, evitando la violenza gratuita). È ancora un aspetto della cultura che si oppone ai valori della società occidentale nella quale ipocritamente si tengono i bambini lontani dallo spettacolo della morte, anche se essa è presente, in diverse forme, nelle pieghe del reale :

 Nella comunità siberiana s’impara a uccidere da piccoli. La nostra filosofia di vita ha un rapporto stretto con la morte, ai bambini viene insegnato che il rischio e la morte sono cose legate all’esistenza, e quindi togliere la vita a qualcuno o morire è una cosa normale, se c’è un motivo valido. […] Molte fiabe siberiane parlano dello scontro mortale tra criminali e rappresentanti del governo, dei rischi che si corrono ogni giorno con dignità e onestà […] Attraverso queste fiabe i bambini percepiscono i valori che danno senso alla vita dei criminali siberiani : rispetto, coraggio, amicizia, dedizione. 4 

Valore supremo è la difesa dei deboli, il rispetto per i malati, in particolare coloro che hanno una malattia congenita sono considerati « angeli », creature divine, volute da Dio. I protagonisti, giovani eroi delle periferie del mondo, si scagliano contro i responsabili della violenza di cui è vittima una giovane malata di autismo, Ksjuša, ma alla fine, Kolima si rende conto che la vendetta ha un gusto amaro e che non rende felici, non restituisce il benessere che precede la violenza.

Il rispetto per i disabili su cui insiste il romanzo è ancora un « antivalore » rispetto al pensiero dominante nella società iper-utilitaristica, nella sfera del capitalismo post-comunista e più generalmente dell’economia mondializzata attuale. Mai come oggi si assiste ad aborti « preventivi », come se l’embrione sospetto di trisomia o di labbro leporino debba ad ogni costo essere eliminato : eppure non si tratta di malattia, ma di forme dell’essere che la medicina attuale, applicando i principi dell’eugenismo, si affretta ad eliminare.

La vita comporta dei limiti che l’essere umano non può superare : l’educazione « siberiana » afferma implicitamente la sua opposizione ai valori illusori della nostra epoca, in cui il progresso scientifico promette all’uomo un futuro postumano, dove solo pochi avranno il controllo del sapere scientifico, a discapito della stragrande maggioranza della popolazione.

Il libro si rivela un autentico manifesto anticapitalista antiamericano antisovietico, dove il valore supremo è la libertà, nel rispetto degli altri e della natura.

Scrivere a fior di pelle: il tatuaggio e la rivolta

I criminali in prigione si fanno fare tatuaggi per riappropriarsi del corpo, per comunicare la propria storia in una lingua segreta, quella della comunità. I corpi sottomessi alla violenza della prigione, deportati, violentati, seviziati, privati della libertà, ritrovano la forza di opporsi al sistema attraverso il tatuaggio. Il soggetto emerge alla superficie della pelle, riafferma la propria identità, scrive la propria storia contro chi vuole annientarlo5.

Nicolai Lilin è scrittore e allo stesso tempo esegue tatuaggi secondo un codice d’espressione appreso nella sua terra d’origine. Ha anche fondato uno spazio culturale in Italia in cui diffonde l’arte del tatuaggio siberiano e il suo linguaggio complesso carico di messaggi segreti.

Dipingere il corpo, iscrivere con l’ago i segni simbolici è un gesto antichissimo che si ritrova nei corpi rinvenuti presso le antiche comunità alpine e dell’Altai. Precisamente, la mummia Ötzi, scoperta nel 1991nelle Alpi italo-austriache ha numerosi tatuaggi sulla pelle in forma di croce; un’altra mummia scoperta nell’Alto Altai nel 1947 e risalente al V-IV secolo avanti Cristo, ha la pelle ricoperta di tatuaggi con alto valore artistico.

Se il tatuaggio è stato per secoli un segno di stigmatizzazione, esso diventa nella società attuale un segno di rivolta verso ogni forma di potere. La religione cristiana proibisce il tatuaggio (nell’antico Testamento, in particolare nel Levitico), poiché è proibito iscrivere segni sull’essere umano, considerato creatura di Dio. Molti tatuaggi descritti nel romanzo comportano simboli religiosi (la Madre), anche in queste manifestazioni della fede traspare lo spirito antisovietico dei tatuaggi. Chi fa tatuaggi è in un certo senso « consacrato », infatti, secondo l’educazione siberiana, non deve uccidere, non può toccare le armi ; il giovane Kolima viene iniziato a questa pratica secondo un rituale antico e nel rispetto di una serie di regole prestabilite.

Il tatuaggio partecipa alla strategia di sopravvivenza che riguarda non solo la soggettività messa in crisi da un potere destabilizzante, ma anche tutta la comunità che « trasmette » messaggi in codice, per rafforzare la coesione tra i suoi membri. Il tatuaggio falso rivela la presenza di infiltrati nelle prigioni russe : è quindi una forma di autodifesa contro ogni tipo d’ingerenza nelle vicende della comunità. Un linguaggio « segreto » nasce e si sviluppa per assoluta necessità vitale, come una forma di sopravvivenza (ciò avviene anche nel mondo umano e nella comunicazione tra animali della stessa specie). A tal proposito, possiamo pensare alla funzione della lingua creola, nata come indispensabile strumento di comunicazione presso gli africani deportati nei Caraibi che parlavano tanti idiomi diversi e sconosciuta ai « bianchi » negrieri.

Il « tatuaggio è un sacerdozio » afferma oggi l’autore, il suo alto valore rituale è riaffermato nella scrittura letteraria e nella pratica artistica. Contro l’utilitarismo della società dei consumi, l’autore difende il valore del sacro, ovvero l’utilità dell’inutile : scrittura sulla pelle, incisione sofferta, dolorosa della storia personale in un codice comunitario, il tatuaggio rivela quella parte nascosta, irriducibile, la materialità del corpo, la sua resistenza e la sua irriducibilità alle forme di manipolazione del potere6.

Il soggetto si riappropria in tal modo del corpo, la sua pelle riceve ed emette segni simbolici, i tatuaggi « siberiani » contengono informazioni sulle condanne dei prigionieri, si irradiano secondo schemi prestabiliti su tutto il corpo e seguono un ordine ben preciso.

Il corpo è il libro : la materialità della scrittura si fa carne, l’iscrizione è momento doloroso, eppure, grazie al tatuaggio, la pelle custodisce la verità del soggetto. Per Michel Foucault, il tatuaggio crea uno spazio altro nel quale il corpo partecipa alla sfera del sacro :

 Le masque, le signe tatoué, le fard déposent sur le corps tout un langage : tout un langage énigmatique, tout un langage chiffré, secret, sacré, qui appelle sur ce même corps la violence du dieu, la puissance sourde du sacré ou la vivacité du désir. Le masque, le tatouage, le fard placent le corps dans un autre espace, ils le font entrer dans un lieu qui n’a pas de lieu directement dans le monde, ils font de ce corps un fragment d’espace imaginaire qui va communiquer avec l’univers des divinités ou avec l’univers d’autrui.7  

Le parole di Foucault trovano una singolare risonanza nelle descrizioni dei corpi tatuati da Nebbia, un’autorità nel campo dei tatuaggi, così leggiamo nel romanzo : « Erano diversi da tutti gli altri, quando li guardavi non ti sembrava di vedere un corpo con sopra un tatuaggio, ma era il tatuaggio stesso a essere una cosa viva, con sotto un corpo. Era impressionante, più forte di qualsiasi altra cosa avessi visto sulla pelle umana »8. Il tratto iscritto sulla pelle assicura quella comunicazione necessaria tra esseri umani appartenenti ad una cittadinanza minore (nelle prigioni, o all’interno di comunità considerate come « minoranze ») ; in tal modo si produce una riappropriazione del corpo e del suo messaggio trasgressivo, che si oppone ad un gruppo dominante. Il disegno tatuato adempie un’altra funzione vitale poiché introduce i corpi nell’universo dello scambio simbolico tra natura e cultura, tra mondo qutidiano e sfera del sacro.

L’etica della terra : contro lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali

Tanto tempo fa la Siberia è stata conquistata,
Spesso le pallottole hanno sostituito le parole,
Noi scendevamo nelle miniere, ammanettati,
Le nostre prigioni sono diventate le vostre culle, bambini siberiani
[…]
Nella Taiga possente affondano le nostre radici,
Ma oggi la Taiga chiede pietà.
Amo questa terra, qui sono nato e cresciuto,
Ma di quel mondo ai miei figli non resterà niente

(Dialogo della Siberia, Sergej Matveenko, cantautore russo di origine siberiana, in Il respiro del buio)

Nella scrittura di Lilin prende forma in modo sempre più chiaro il messaggio rivolto ai lettori : la natura non è semplice « giacimento » di risorse. Contro la logica dello stato sovietico che ha fatto della Siberia un terra ricca di materie prime (tra l’altro, gas, petrolio, diamanti, pellicce), lo scrittore ribadisce che la terra (la Siberia può essere la metonimia del mondo intero) non va « sfruttata », ma deve essere oggetto di amore, contemplazione, conoscenza.

Conoscere le leggi naturali che regolano un ecosistema come la taiga è necessario per la sopravvivenza dell’uomo in questo universo ostile dominato dal freddo, caratterizzato dall’estensione del suo territorio, popolato da animali predatori, in cui orientarsi è davvero un fatto vitale.

Se la Siberia è stata sempre sfruttata economicamente dai Russi per le sue materie prime, il potere sovietico l’ha trasformata in immenso campo di concentramento condannando migliaia di dissidenti al confino e al lavoro forzato :

 In Siberia, - mi spiegava nonno Kuzja – nessun criminale ha mai sostenuto una forza politica, vivevano seguendo tutti le loro leggi e combattendo qualsiasi potere governativo. La Siberia ha sempre fatto gola ai Russi perché è una terra ricca di risorse naturali : oltre agli animali da pelliccia, che in Russia erano considerati un tesoro nazionale, la Siberia aveva tanto oro, diamanti, carbone ; più tardi hanno scoperto pure petrolio e gas. Tutti i governi hanno tentato di sfruttare il più possibile la regione 9

La foresta siberiana, è secondo lo scrittore, un universo in cui l’essere umano ritrova la sua vera dimensione, alla pari con gli animali che la popolano, e non al di sopra di essi. La foresta impone il proprio « ordine » cosmico all’umano, per restituirgli la sua vera identità per portarlo a costruire rapporti più equilibrati con il mondo.

La taiga insegna all’uomo il suo ruolo non dominante nel mondo della natura e il rispetto dell’ecosistema. Questa problematica, già presente in Educazione siberiana, è molto più sviluppata nel romanzo di Lilin, Il respiro del buio (2011).

In Educazione siberiana si manifesta lo sguardo autocritico del narratore sui valori comunitari, emerge progressivamente la consapevolezza che Kolima appartiene a un modo che è sul punto di scomparire. Eppure l’idea della scomparsa è già dentro le parole del vecchio Kuzjia : nulla è eterno, tutto è cambiamento, e per poter sopravvivere è necessario avere la consapevolezza del divenire dei fenomeni.

La comunità si trasforma, ma i suoi discendenti hanno l’obbligo di conservare nella memoria le costanti, i valori sacri da rispettare (la natura, i deboli, la famiglia, il dono, il rituale del tè) :

 Tutto quello che mi ha raccontato nonno Kuzja mi ha aiutato a fare i conti con la realtà, a non rimanere schiavo di un’idea sbagliata o di un sogno mai realizzato. Sapevo con certezza che stavo vivendo la morte della nostra società e quindi cercavo di sopravvivere, passando attraverso questo grande vortice di anime, storie umane, da cui mi allontanavo ogni giorno sempre più 10

La fine del mondo criminale « tradizionale » coincide con la fine del mondo sovietico, la scomparsa della guerra fredda e la sua trasformazione in altre forme di conflittualità nell’ambito di un nuovo sistema di valori mondiale. Il danaro domina come valore assoluto, la guerra è dappertutto, anche dentro il mondo civile, lo stato non ha più lo stesso ruolo per i cittadini che perdono via via fiducia nel potere della giustizia. Uno stato generalizzato di anomia aleggia sulle vicende dei protagonisti di Educazione siberiana, Caduta libera (sulla guerra in Cecenia) e Il respiro del buio (sulla mafia russa e l’ex KGB) ; l’anomia è l’assenza di leggi, di regole prestabilite, tutto è permesso, il cittadino Kolima, dopo aver fatto l’esperienza della guerra in Cecenia, entra nella clandestinità di una nuova forma di conflitto, senza limiti e senza frontiere tra il civile e il militare, tra nemici e alleati, tra legalità e illegalità, tra verità individuale e menzogna collettiva, tra realtà e finzione.

In Educazione siberiana, il protagonista attraversa vari riti di passaggio e, nell’ultimo capitolo, percepisce irrevocabilmente il cambiamento ; egli cerca di seguire l’istinto facendo riaffiorare gli antichi insegnamenti che gli consentono di sopravvivere nelle situazioni più pericolose.

Caduta libera : una discesa negli inferi

Nel secondo romanzo dell’autore, Caduta libera, il protagonista assiste, attraverso l’esperienza della guerra, allo sgretolarsi di un mondo :

 Camminavo lungo il corridoio dell’edificio, un posto dove un tempo avevano abitato delle persone e ora c’era solo distruzione, mentre sotto i miei piedi scricchiolavano i pezzi di quella pace rovinata : vetri, fogli di carta, mobili rotti, tubature, libri bruciati, mattoni…11

La scrittura penetra nelle pieghe della coscienza del protagonista che corre il rischio di una vera e propria disintegrazione dell’io. Lo spettacolo quotidiano della violenza, la sorte delle vittime civili, il volto del nemico, le menzogne di stato e il ruolo ambiguo delle gerarchie militari : tutto ciò spinge l’io narrante ad uno sforzo di memoria, come se il narrare fosse l’unico mezzo per poter riunire i frammenti di un soggetto immerso in un vuoto totale.

Vuoto di valori, anomia, assenza di leggi, vuoto morale, isolamento ed emarginazione nei confronti di una società dominata da un’apparenza di « normalità » : la scrittura diventa atto responsabile, volontà di rivelare un mondo ignoto alla stragrande maggioranza, la scrittura non è più quella di un giovane che parla, ma di un adulto che ha solo la forza di urlare.

Il corpo, martoriato, esausto, carne esposta ai tiri dei cecchini, immerso in un mondo di sensazioni violente, parla più di mille concetti per dire una guerra nuova, non convenzionale, che fuoriesce dal modello classico di guerra. Dopo la fine della guerra fredda e con il crollo del muro di Berlino, cambia la logica stessa delle strategie militari. Xavier Crettiez ha analizzato le mutazioni introdotte dalle nuove forme di conflitti bellici disseminati nel mondo : le nuove guerre non sono « ideologiche », non hanno il sostegno della popolazione, il loro obiettivo essenziale è l’arricchimento e il saccheggio, non più il potere politico, non hanno una durata precisa ma sono illimitate nel tempo. Sono caratterizzate da un uso anarchico della violenza le cui vittime principali si contano tra i civili ; in realtà, in Europa centrale e in Africa spesso le guerre vengono combattute per ottenere risorse rare, o per ottenere il controllo sulla circolazione di alcuni prodotti : droga, metalli preziosi, caffé, legno, petrolio.

Ci sono guerre mediatiche (Irak) in cui i nuovi guerrieri cercano di influenzare l’opinione pubblica, ci sono guerre sempre più diffuse combattute da équipe di mercenari, per ottenere guerre a vittime « zero » (i militari mercenari non protestano se ci sono vittime tra di loro). L’impossibilità di ristabilire la pace dopo un lungo conflitto è dimostrata dalla presenza imposta di mercenari, veri e propri eserciti privati garanti del « rispetto » degli accordi di pace.

Fanno parte delle nuove pratiche belliche le guerre a bassa intensità (low intensity wars), guerre larvate che si protraggono su lunghi periodi (vedi Afghanistan, Repubblica del Congo, Sierra Leone, Libano) e producono mutazioni a livello statale, militare, nella società civile, nelle reti mafiose. Inoltre l’altissimo livello tecnologico raggiunto dalle industrie belliche si rivela nella diffusione mediatica dei loro prodotti nelle azioni di guerra12.

Kolima è dentro il caos : il solo modo per mettere ordine nella sua coscienza annientata dal conflitto è rifugiarsi nella terra madre, la taiga siberiana, un ritorno alle origini della comunità presso il nonno Nicolaj : ancora una volta, come in Educazione siberiana, è necessario l’appoggio della figura tutelare del saggio, colui che sa trasmettere i valori tradizionali, la conoscenza della natura (amica e nemica), per tessere i legami vitali tra passato e presente. La sauna, la caccia, il tè, il silenzio, la parola essenziale sono gli unici antidoti alla violenza e all’assenza di giustizia.

Il respiro del buio : la guerra è dappertutto

La taiga, fitta e immensa foresta di conifere che si estende a sud della tundra, è il luogo del ritorno per Kolima : ritorno alle tradizioni ancestrali della Siberia, ritorno nel grembo della madre Natura. Il suo universo è l’unica barriera contro il caos della guerra e dell’ingiustizia sociale. Sin da bambino il protagonista impara ad attraversare il confine tra la vita della città e quella del bosco, egli apprende dagli anziani le leggi che regolano la vita naturale e la sopravvivenza :

 Da quando ero andato in Siberia a trovare nonno Nicolaj per la prima volta, a otto anni, percepivo la differenza tra la vita nella mia città e quella del bosco. La gente di questi posti era umile e vera, come se assorbisse il proprio carattere dalla terra. La Natura emanava l’unico potere possibile, più ti avvicinavi a lei, più sentivi la tua debolezza, la tua inutilità. Bastava inoltrarsi nella Taiga per dimentiare l’ambizione e le manie di grandezza, il treno viaggiava in mezzo ai boschi e i boschi non finivano mai, e chilometro dopo chilometro il tuo ego rimpiccioliva a misure embrionali. Nel bosco apparire non serviva a niente, serviva solo vivere, sapere che ogni cosa esistente seguiva il suo corso, e lo stesso valeva per te, piccolo uomo in mezzo all’immenso regno degli alberi, perso tra nevi, fiumi, laghi e paludi. Nel bosco la mia vita si sarebbe dissolta, io stesso sarei diventato una goccia nel grande oceano della Natura 13

L’immensità dell’orizzonte, l’infinita estensione dei boschi insegna all’essere umano l’umiltà ; egli non è in grado di « controllare » l’universo naturale, ma deve trovare il suo giusto spazio per non morire. La vita nel cuore della taiga comporta una trasformazione nella percezione del tempo, di conseguenza induce una metamorfosi radicale del soggetto : « Per capire la taiga bisogna passarci molte stagioni, solo quando cambia la tua percezione del tempo e della vita puoi cominciare a capire qualcosa » 14.

E’ proprio nel terzo romanzo di Lilin che troviamo una definizione sintetica dell’educazione siberiana, intesa come processo di iniziazione:

 Nella società siberiana non basta nascere per diventare uomini: bisogna azzerare il proprio ego grazie a un’educazione allo scontro violento e diretto con la vita. E per entrarci, nella vita, bisogna passsare attraverso ua serie di riti15 .  

In un lungo capitolo intitolato « L’uomo della foresta », il narratore-protagonista denuncia la trasformazione della Siberia da parte dell’impero sovietico in terra di sfruttamento delle risorse naturali e in un immenso campo di concentramento. Le accuse sono gravissime, si denunciano persino i massacri causati dagli esperimenti con armi batteriologiche :

 La Siberia è stata trattata per molto tempo come un enorme campo di concentramento per prigionieri indesiderati o come una cava di risorse naturali, e negli ultimi anni dell’impero sovietico alcune zone si sono trasformate persino in laboratori scientifici per la ricerca sulle armi chimiche e batteriologiche […]

Al sud della Siberia e lungo i fiumi grossi, soprattutto nei tratti importanti per i trasporti o nei punti di estrazione delle risorse naturali, ormai il mondo arcaico della Taiga è distrutto… 16 

Malgrado il caos che domina la società, Kolima è mosso da una tensione positiva verso la vita : nel regno dell’anomia, il protagonista - che da veterano trova lavoro come guardia del corpo, - s’illude di partecipare ad una missione civile : « Comunisti o no, ci troviamo tutti insieme a combattere questo potere corrotto e devastante che ci sta disintegrando… » 17.

Se nel secondo romanzo - Caduta libera - Kolima narrava le sofferenze fisiche e psichiche legate al conflitto armato, in Il respiro del buio egli rivela la storia di un soggetto in crisi che ha voglia di ricominciare, di ricostruirsi. Eppure orientarsi nella società è cosa difficilissima per un veterano, in quanto egli si sforza di comprendere il mondo della « pace ». Il suo itinerario esistenziale lo porta a capire che non vi sono frontiere tra la guerra e la pace, la violenza abita proprio dentro la realtà quotidiana, la vita pacifica è solo un’apparenza :

 Per mesi avevo tentato di varcare un confine inesistente : Pace, Guerra, erano semplici etichette, un tentativo di dare forma a un caos che non puoi capire, nomi inutili come quelli scritti sulle mappe siberiane. E anche noi, come i viaggiatori che si smarriscono in Siberia, provando a seguire quella stupida mappa avevamo perso la strada. La mia angoscia era sparita : adesso che sapevo che la vita pacifica non esisteva, potevo finalmente farne parte18

Il racconto denuncia la violenza di stato, la corruzione tocca i vertici del potere e produce una totale sfiducia nel cittadino che non si sente protetto dalla legge ; le vicende che narra Kolima rivelano una vera e propria crisi della cittadinanza. Il rifugio nella cultura arcaica e il rito di passaggio presso gli antichi sciamani siberiani diventano l’unica forma di autodifesa per il soggetto che rischia la disintegrazione della personalità. Il protagonista vive con uno studente completamente immerso nei videogiochi : la guerra « virtuale » degli schermi crea una forma di alienazione nella quale Arkadij vive immerso per intere giornate19.

In conclusione, possiamo affermare che nel romanzo si assiste ad un ribaltamento significativo : la taiga, l’immensa foresta che incute timore agli umani, è governata da leggi naturali comprensibili ; infatti, Kolima vi trova rifugio come in un grembo materno. La foresta si trasforma paradossalmente nel luogo dell’ospitalità, invece la società civile si rivela il luogo dell’anomia, dell’assenza di leggi e della violenza ingiustificata, laddove tutto è permesso e si può sfiorare la morte ogni giorno.

In un certo senso, la scrittura di Nicolai Lilin rende omaggio alla cultura arcaica cui sente di appartenere ; è una forma di scrittura-azione poiché l’atto di scrivere deriva da un’esigenza di verità e si trasforma in rivelazione, denuncia, grido di resistenza contro la distruzione dei mondi, contro la disintegrazione dell’io.

Bibliographie

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Film

Educazione siberiana, di Gabriele Salvatores  con John Malkovich, Arnas Federavicius, Vilius Tumalavicius, Italia 2013.

Note de fin

1 Cfr. gli articoli di Anna ZAFESOVA, « Fantasie siberiane. Indagine su un libro culto della mafia post sovietica. Sembrava tutto vero », La Stampa, 23/6/2009 e Paolo BIANCHI, « Ho smascherato Nicolai Lilin, il maleducato siberiano », Il Giornale, 28/1/2010 ; cfr. inoltre il più interessante saggio di Eleonora DE CONCILIIS, « Educazione siberiana. Un percorso critico », rivista Kainos, « Percorsi », n.12/2012.

URL : http://www.kainos-portale.com/index.php/malavita-editoriale-e-indice/83-percorsi12/231-educazione-siberiana-un-percorso-critico.

2 Cfr. Miguel BENASAYAG, Pierre Henri GOUYON, Fabriquer le vivant ?, Paris, La découverte, 2012.

3 Cfr. Educazione siberiana, Torino, Einaudi, 2009, p. 13. 

4 Ivi, sottolineature mie, p. 20.

5 « Tel un gant que l’on retourne, le stigmate qui contraint voire nie les corps et les identités est devenu dans certaines situations l’expression même de la liberté du sujet, un acte de résistance, une stratégie de survie. Face à la paralysie de toute possibilité d’action, l’incision rétablit une ligne d’orientation matérialisée sur la peau, elle ramène brutalement l’individu au sentiment de sa présence. Elle lui rappelle qu’il est vivant à travers la brutale sensation d’existence que signe cette effraction cutanée » (cfr. Emma VIGUIER , « Corps-dissident, Corps-défendant. Le tatouage, une “peau de résistance” », Amnis, 9, 2010, URL : http://amnis.revues.org/350). Si veda anche : David LE BRETON, « L’incision dans la chair. Marques et douleurs pour exister », Quasimodo, n. 7.

6 « Se tatouer c’est s’opposer à la souffrance, c’est contrer l’offense faite à l’individu, les différentes menaces qui le guettent, les situations qui l’asservissent ; c’est reprendre l’initiative, le contrôle ; c’est devenir acteur et non plus victime en imprimant Sa loi sur Son propre corps ; c’est se « ré-ancrer » pour sauver sa peau. Refaire présence et refaire surface : le tatouage est un moyen de reprendre possession de soi-même, de sa liberté, de son existence par la création d’une peau-arme-armure » (Emma Viguier, op. cit.).

7 Michel FOUCAULT, Corps utopique, Lignes, Fécamp, 2009, p. 15.

8 Cfr. Educazione siberiana, op. cit., p. 85.

9 Ivi, p. 55.

10 Ivi, p. 62.

11 Cfr. Caduta libera, Torino, Einaudi, 2010, p. 149.

12 Cfr. Xavier CRETTIEZ, Les formes de la violence, Paris, La découverte, 2008, p. 93.

13 Cfr. Il respiro del buio, Torino, Einaudi, 201, p. 66.

14 Ivi, p. 87.

15 Ivi, p. 132. Il protagonista afferma che la sua educazione ha contribuito alla sua capacità di sopravvivenza : « Io avevo imparato a cacciare in Siberia, dove si ammazza per vivere […] Aspettare e ammazzare: è così che in Guerra sono riuscito a portare a casa la pelle », p. 234.

16 Ivi, rispettivamente p. 117 e p. 111.

17 Ivi, p. 201.

18 Ivi, p. 249.

19 Ivi, p. 166.

Citer cet article

Référence électronique

Angela Biancofiore, « Educazione siberiana di Nicolai Lilin : crisi della presenza e strategie di sopravvivenza », Line@editoriale [En ligne], 5 | 2013, mis en ligne le 02 mars 2017, consulté le 02 mai 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/529

Auteur

Angela Biancofiore

LLACS Montpellier

angela.biancofiore@yahoo.fr