Non so se è giusto (la rivista « L’Immaginazione » e la poesia)

Résumés

In un’epoca in cui gli interessi economici e il potere trionfano a danno della cultura, appare fondamentale mandare sviluppare il discorso sulla poesia, poiché essa parla del nostro tempo. Nonostante il panorama squallido ormai vigente in Italia, dove il numero dei lettori diminuisce di continuo mentre le riviste letterarie hanno vita difficile, la rivista L’Immaginazione e la casa editrice Manni proseguono con determinazione e passione il loro progetto di protezione, di ricerca e di diffusione della cultura.

In a time, where economic interests and power gain the upper hand to the detriment of the real culture, keeping the discussion about poetry is of primary importance, because the poetry speaks about our time. In spite of the pitiful situation of Italy, where the number of readers decreases and literary revues have a hard-living, the revue L’immaginazione and Manni publishing house carry on their project about protection, research and circulation of culture with determination and passion.

Texte

Non so se è giusto, pensando ai problemi che travagliano l’umanità, parlare qui di poesia; forse dovremmo tristemente solo rimboccarci le maniche, essere operativi per cercare di fermare, nel nostro piccolo, per quanto è possibile, l’autodistruzione del pianeta a cui ci stiamo avviando inesorabilmente, complici gli interessi ciechi del denaro e del potere.

Tuttavia, alla poesia crediamo, alla poesia non rinunciamo.

La poesia, secondo me, è come l’acqua.

Come l’acqua la poesia è indispensabile alla vita.

Come l’acqua la poesia è semplice.

Come l’acqua la poesia purifica.

Come l’acqua la poesia dà serenità.

Come l’acqua la poesia ha una forza dirompente che può abbattere grandi barriere.

Come l’acqua la poesia ha voce e suoni.

Hegel diceva che « la poesia è un suono pieno di discorso ». Ha un suono particolare.

Simus Heaney dice: « la poesia è la propria realtà ».

Dunque parlare di poesia è parlare del nostro tempo, delle nostre contraddizioni, della ricerca di un mondo migliore. Continuando con le citazioni Ezra Pound dice che la poesia è un modo del linguaggio nel quale l’ordine verbale è investito da un potenziale emotivo più alto rispetto alle consuetudini.

Più concretamente Andrea Zanzotto oggi afferma: « La poesia serve a tutti senza servire nessuno ».

Quindi la poesia è una necessità individuale e collettiva.

Ma oggi dove va la poesia?

Non ci sono maestri, non ci sono percorsi, orientamenti univoci, linee di tendenza predominanti.

Dice Niva Lorenzini che la poesia, oggi, si muove senza padri e senza modelli e mutua un concetto di Marie-Louise Lentengre: « on dit: la poésie, c’est difficile. Et c’est vrai: la poésie, c’est difficile ».

E spiega che la poesia, per fortuna, è difficile perchè non riduce la complessità, rispetta l’intelligenza di chi la percepisce.

Ed emoziona.

Allora non ci sono direzioni e guide oggi.

Fino a 30 anni fa convivevano sperimentazione e tradizione come separati in casa. Oggi c’è un rimescolìo.

Ci chiediamo se ci sono ancora, nella poesia, il gallo cedrone o l’anguilla di Montale con la poesia che ha la forza di rinascere e sopravvivere nel fango e nel deserto della società massificata, se c’è la scrittura in continua tensione di Vittorio Sereni; se c’è il realismo frantumato e desertificato di Giorgio Caproni; se c’è la poesia narrativa di Saba.

E forse ci rispondiamo che nei poeti veri coesistono tutte queste motivazioni insieme, come base fruttifera.

Oggi, più che di tendenze si può parlare di momenti come simultaneità di ricerche.

Nel Novecento hanno convissuto, spesso in maniera conflittuale, movimenti ideologici e sistemi di interpretazione molteplici e diversi; le categorie di contraddizione e di rottura sono state inserite nel contesto dei cambiamenti sociali e culturali forti.

Anche Pier Vincenzo Mengaldo afferma che nel nostro tempo non si riesce più a individuare una tradizione, ed è sempre più difficile distinguere la lingua poetica dal parlato.

Per quanto riguarda la scrittura poetica, nei tardi anni Ottanta ci fu un ritorno allo stato d’innocenza, alla parola innamorata, a cui seguì un’attenzione estrema allo stile, a pratiche di recupero di testi del passato.

La linea maestra principale del Novecento italiano, quella del simbolismo, della poesia pura e dell’ermetismo, ha dato seguito ad una linea di tipo realistico, narrativo, prosastico, antilirico.

Oggi si affermano linee divergenti e frastagliate a nessuna delle quali può essere assegnato un ruolo primario.

Assistiamo ad un’apertura in varie direzioni non sempre decifrabili.

C’è chi si è liberato del problema della forma confliggendo con essa, chi l’ha esorcizzata, chi l’ha sacralizzata, chi ne ha celebrato addirittura la morte.

Per alcuni la forma è importante e va difesa come un costume morale ed esistenziale; altri ne sentono il peso, la costrizione.

Ma anche chi adotta uno stile semplice lo usa come una forma.

La forma rimane importante e la forma che cambia, che si adatta, che muta, garantisce il rinnovamento delle tendenze, del modo di fare poesia ed è specchio del contenuto, fa parte del suo significato.

Dante diceva che il significato letterale è la premessa e la condizione di ogni altro significato.

Ma allora oggi quali sono i caratteri della poesia in Italia?

C’è lo spaesamento, un ridimensionamento del soggetto, una perdita di consistenza della parola e insieme c’è la tensione del comunicare; la parola è fatta di cose chiamate alla loro presenza fisica, sfila controllata da un occhio decentrato, esterno; con un ritmo in continua pressione, con una geometria di vuoti e di presenze e i versi sono sempre in presa diretta con il ritmo che può essere antimelodico per fissare pulsioni ed emozioni, vissuto e memoria, parole e realtà, corpo e spazio esterno.

Così vediamo la miscela verboacustica di Lello Voce che ricombina suono e senso in un’opera vocale che è detta, letta, cantata, performata; così vediamo gli attraversamenti tra prosa e poesia come nervi e corde che si fanno frasi di Tommaso Ottonieri per esempio.

In questi poeti il realismo coincide con esperte strategie stilistiche dove la poesia è travestimento, gioco e percorso non prevedibile, come montaggio di dati reali.

In forma teatrale e declamata, cantata, il corpo performa una carica di opposizione al contesto in cui viviamo per denunciare il disagio sociale collettivo rimanendo comunque poesia elitaria, rap sì, ma esibitamente engagée.

Ancora, i versi possono non occupare i discorsi della ragionevolezza e non abbracciare il senso, possono vivere di vuoti e di pieni in un ordine sospeso fra suono e significato. Dice Jacqueline Risset: « Il gioco specifico del linguaggio è l’oscillazione violenta tra la totalità del senso e la scomparsa totale del senso ».

Comunque la poesia, per ogni autore, è la chiave di accesso al proprio mondo interiore.

E all’interno di quella chiave ogni prospettiva è possibile.

Insomma la poesia autentica si sottrae alle generazioni, alle classificazioni, alle avanguardie.

Non è né facile né complicata, né comprensibile né incomprensibile: è insieme, contemporaneamente, semplice e complessa.

Scrive Walter Benjamin: « Le vele sono i concetti. Ma non basta disporre delle vele. Ciò che è decisivo è l’arte di saperle issare ».

Per Yves Bonnefoy la musica della poesia nasce nelle parti del corpo e non nel cervello, nasce nelle ginocchia e nelle mani. Poi, da quell’inizio sordo e corposo, si orienta, scegliendo suoni più articolati, ritmi più evidenti.

Oggi, ripeto, la poesia si confronta con il parlato, con l’oralità e la colloquialità, esige una corrispondenza stretta con tutto ciò che è vita.

La poesia è ritmata dai rintocchi lirici che si insinuano lungo la trama del testo con un’esigenza evidente di immettere nella poesia il massimo della realtà.

E comunque la messa in scena del reale e del quotidiano, con espliciti riferimenti di critica sociale, così evidente in Pagliarani, in Giudici, in Sanguineti per esempio, è diventata un atteggiamento mediato del vissuto, anche attraverso l’ironia, come se la rappresentazione della realtà a volte si fosse intralciata o addirittura bloccata.

I poeti non ricercano più il significato della nostra condizione umana, sono senza prospettive, hanno solo la coscienza di un mutamento dei principi su cui finora si è adagiata la civiltà europea, hanno la coscienza delle lacerazioni del nostro tempo.

Questo perchè, l’ho già detto, non siamo più nella società che aveva nel letterato il suo modello, tutta la cultura umanistica (basta guardare le terze pagine dei giornali) è sotto accusa o silenzio; la poesia non è un modello né lo sarà; il poeta non è da tempo il vate, non aspira più a messaggi universali di salvezza, non è il folle, non è il veggente, non è il bambino che si stupisce del mondo, ma continua ad avere le armi delle parole, ad usare anche, se è necessario, le parole come armi.

E non può tirarsi fuori dal divenire storico anche se sa che queste parole sono già state dette tutte da tanti altri, non può tirarsi fuori dalla storia neanche quando questa gli fa orrore, neanche quando non c’è solo il dubbio ma la certezza della catastrofe.

Il poeta è sempre qualcuno alla ricerca di qualcosa che denuncia o che propone, orienta: Zanzotto parla di qualcuno, e cito, « aperto al trauma dell’ammirazione-angoscia » e la scrittura è il suo modo di essere nel mondo.

Pascal Gabellone, che è difficile definire poeta italiano o francese, nel suo libro pubblicato per le edizioni Manni parla di « poesia come chiamata verso il reale », come « un tentativo di accedere a ciò che, essendo privo di accessi, tuttavia si presenta, lacera, apre, dona », allora poesia anche come energia, dice Gabellone, « come potenza di rivelazione che si intreccia all’esistenza, come tensione invisibile ».

Antonio Prete, sempre nel libro di Gabellone, afferma che le cose sentono, che la natura pensa e senza questa disposizione empedoclea la poesia non è possibile.

E continua dicendo che la poesia non invoca definizioni ma ascolto, non accerchiamenti sapienti ma una saggezza elementare, discreta, affettiva.

Come vedete, ho sempre fatto citazioni perchè non sono una teorica della poesia ma solo una lettrice di poesia e sulla poesia è stato detto e scritto tutto quello che si poteva dire e si poteva scrivere.

È la poesia stessa che ha la forza e la capacità di penetrare diversamente nell’animo di chi la legge.

E passando ai lettori di poesia il discorso in Italia è triste.

Chi legge poesia? Tanti scrivono poesie, pochi le leggono.

Se tutti quelli che scrivono poesie leggessero libri di poesia gli editori non avrebbero problemi economici.

In realtà i poeti sono abbastanza autoreferenziali e leggono poco gli altri.

I libri di poesia circolano se vengono dati in omaggio.

Pure i grandi editori non stampano più di duemila copie per una tiratura e se la esauriscono, non la ristampano: anche di Zanzotto, che è il massimo.

Nelle librerie gli scaffali per la poesia si sono ridotti moltissimo. L’unica poetessa che regge è Alda Merini, ma non perchè la sua sia la poesia migliore in Italia, solo perchè i lettori sono affascinati dalla sua figura, dalle sue vicende umane, dalla sua vita quotidiana.

La poesia circola negli incontri, nelle associazioni, in piccoli circoli dove la poesia si legge e si ascolta, e nelle riviste.

Le riviste: sicuramente la più nota è Poesia di Nicola Crocetti. De L’immaginazione parliamo fra poco.

Delle riviste c’è da dire che ormai non ne circolano molte. Fra le altre, tornando un attimo alle librerie, c’è da parte dei librai ormai una chiusura a ricevere e ad esporre riviste letterarie. Fino a pochi ani fa le librerie Feltrinelli avevano scaffali lungo i muri dove trovavano posto anche le piccole riviste, tutte, anche i fogli, e c’erano sedie accanto agli scaffali e c’era sempre qualcuno seduto a leggere poesia.

Oggi la catena Feltrinelli (146 librerie complessivamente in Italia) ha detto no alle riviste: i CD si vendono di più e hanno scacciato le riviste. Che sono comunque diminuite.

Nell’aprile 1987 organizzammo, come Immaginazione, a Lecce, un Convegno, « Riviste e tendenze della nuova letteratura » che faceva seguito ad uno molto importante già organizzato a Viareggio dalla gloriosa Alfabeta, dal titolo « Ricercatori & Co. ». Il nostro fine era quello di una ricognizione su scala nazionale delle riviste letterarie esistenti in Italia, riviste non legate alle Università, per verificare le linee di tendenza in atto, le forme organizzative, i modelli grafici, le esperienze, le risorse finanziarie, la loro consistenza e articolazione.

Nel convegno di Lecce, presenti critici e direttori e collaboratori delle riviste, si creò un dibattito forte che portò a qualificatissimi interventi che diedero vita subito ad una dichiarazione teorica collettiva pubblicata sul fascicolo 49 de L’immaginazione sullo « stato della letteratura militante italiana ».

In quel convegno, accanto ad una mostra di testi di poesia visiva, furono esposte e schedate 67 testate di riviste letterarie non accademiche sparse nel territorio nazionale.

Negli anni seguenti assistemmo ad un proliferare di riviste e rivistine (150 e più) che erano tante particelle di un unico grande laboratorio espressivo e testimoniavano, con la loro non di rado confusa e appassionata vitalità, l’esistenza di una ricerca massiccia e concreta al di fuori dei circuiti dell’accademia e del mercato.

Le riviste erano intese come la voce, i canali in cui si convogliavano le tendenze di una letteratura che non aveva più il suo centro di espansione nella metropoli per la crisi di una cultura ufficiale che produceva in gran parte merce culturale disimpegnata e capace di diventare materiale di consumo immediato.

Oggi quei sintomi sono malattia irreversibile.

E tante riviste non si pubblicano più, a cominciare da  Alfabeta e  Il Gallo Silvestre.

Attualmente ne abbiamo schedate più o meno 28 che arrivano da noi come scambio con L’immaginazione e molte sono fascicoli annuali o semestrali o senza una periodicità certa.

Qualcuna resiste da anni, come Anterem per esempio e non è un caso se la dirige un poeta e un teorico come F. Ermini, altre nascono e muoiono durando lo spazio di un mattino.

E i motivi non sono soltanto economici: manca il laboratorio, i referenti, in sostanza in Italia si legge poco e male.

Le statistiche nazionali a proposito sono indicative e sconfortanti. L’Italia, in compagnia della Spagna, del Portogallo e della Grecia ha il più basso livello di lettura in Europa. Ancora, l’Italia e la Spagna hanno il primato negativo sullo scarso numero di libri nelle biblioteche rispetto agli abitanti.

Se si pensa che l’Italia ha avuto una ricchissima letteratura, lo sconforto è grande. Anche perchè questo si traduce in un impoverimento generale della cultura, a tutti i livelli.

Anche dal mio piccolo osservatorio mi rendo conto, leggendo i manoscritti che quotidianamente arrivano in casa editrice per diventare libri, che c’è un abbassamento notevole nel livello della qualità di scrittura: il che vuol dire che gli autori hanno poche letture alle spalle.

Per due anni ho tenuto anche un corso di editoria al dipartimento di Scienze della Comunicazione, nell’Università di Lecce: un po’ mi vergogno a dire queste cose in Francia, ma mi sono resa conto allora che i miei alunni, quando insegnavo nelle scuole superiori, avevano più letture e più strumenti di chi mi chiedeva la tesi di laurea avendo quasi finito un corso di studi universitario senza aver letto nè classici nè contemporanei.

Ma parliamo ora de L’immaginazione.

Nasce nel 1984, nel profondo sud d’Italia, a Lecce, allora città terziaria e di banche che cominciava a svegliarsi al discorso imprenditoriale e del turismo come risorsa, con una Università nata negli anni Cinquanta, statizzata nel 1967, cresciuta in maniera elefantiaca (oggi conta oltre 35.000 studenti) ma che continua ad essere un corpo separato dal contesto sociale.

Sul primo fascicolo de L’immaginazione, con data 25 gennaio 1984, Piero Manni affermava la volontà di « riprendere la provocazione antica che corre dai jongleurs ad Erasmo, al 68: l’immaginazione al potere ».

Era questa l’intenzione che aveva spinto Piero Manni e me a rompere gli indugi e a dare corso ad un’idea di operare nel sociale, di contribuire, a partire dallo specifico letterario, alla crescita del territorio inserendoci anche nel dibattito nazionale.

Così una casa privata, la nostra casa, divenne redazione e si cominciò ad usare molto il telefono e di sabato e di domenica il treno per arrivare a Roma o a Milano.

Ci furono vicini già dai primi fascicoli autori e critici importanti come Franco Fortini, Romano Luperini, Maria Corti, Paolo Volponi, Edoardo Sanguineti, Antonio Prete, Luigi Malerba e tanti altri.

L’immaginazione ha in copertina una scolopendra, è quella stilizzata di Klee che nel quadro vero è in un recinto, noi l’abbiamo liberata per permettere a questo animale di terra di camminare oltre i confini del territorio, della regione.

Oggi siamo al fascicolo 244, siamo sempre persuasi di un rapporto di osmosi tra la scrittura e la storia e della formalizzazione di uno stile che si confronta con la realtà.

Continuiamo la rivista come si continua una battaglia, credendo in quello che si fa, contro la letteratura del disimpegno.

L’immaginazione ha delle rubriche fisse come percorsi tematici per creare appuntamenti con i lettori; ci sono le traduzioni di testi dalle altre letterature per un confronto con la produzione di altri paesi; ci sono recensioni, testi; gli incipit di alcuni libri-novità delle edizioni Manni appena pubblicati, non recensioni dei nostri libri, ma solo un po’ di scrittura, un piccolo assaggio per incuriosire il lettore. Continuiamo con i fascicoli monografici che servono ad approfondire autori, temi, letterature di altri luoghi.

A proposito dei fascicoli monografici, nel corso degli anni ne sono stati pubblicati molti. Fra i più importanti, su Palazzeschi, Zanzotto, Pagliarani, Fortini, Cacciatore, Sanguineti, Volponi, Maria Corti, sulla letteratura dell’Ecuador, di Cuba, del Galles, della Colombia, del Cile, del Quebec, sulla poesia visiva, sul manoscritto nel cassetto, sulla letteratura e il canone del ’900.

Rimane L’immaginazione, dopo tanti anni, militante, non di teoria letteraria, ma una palestra dove gli autori più importanti si affiancano, con testi tutti rigorosamente inediti, ad esordienti, a nomi poco noti.

Per me continua ad essere emozionante portarla avanti.

Il vero laboratorio, la vita vera del L’immaginazione, in realtà sta nel coordinare, nel mettere in circolo voci diverse capaci di stimolare chi legge, ma per me personalmente consiste anche nei rapporti che si instaurano con gli autori e anche con i lettori; il che mi dà la consapevolezza di una grande redazione fatta di messaggi mail, di lettere, di telefonate dove si comunicano e diffondono idee, si discutono, si sedimentano infine attraverso la stampa della rivista.

Rimane grande il problema economico.

La presenza da 25 anni nel panorama italiano, pur restituendo alte gratificazioni e riscontri sulla stampa, non basta a far vendere molte copie de L’immaginazione che è apprezzata molto ma continua per la maggior parte ad essere ricevuta in regalo. E non ha sponsor né aiuti economici da enti pubblici o privati.

Attualmente L’immaginazione ha in corso soltanto 180 abbonamenti a fronte di un invio postale di 2840 copie ad un indirizzario molto qualificato che copre critici, giornalisti, scrittori, docenti universitari, con qualche spedizione anche all’estero.

Il problema economico ovviamente non è solo de L’immaginazione ma di tutte le riviste che non hanno sponsor pubblici o privati o non siano emanazioni universitarie.

Ma il discorso è a monte.

L’industria culturale non ha interesse a promuovere dibattito; la concentrazione delle testate giornalistiche e della grande editoria non vanno nel senso della crescita culturale ma verso l’appiattimento e l’omologazione.

Da parte del potere economico c’è un incoraggiamento all’incultura, alla non lettura, all’effimero e soprattutto ad un consumismo che brucia in poco tempo sia le cose buone che quelle cattive.

Del resto costituiscono una prova i dati sulla lettura in Italia pubblicati dall’ISTAT e dal CENSIS, cioè da fonti istituzionali e che valgono anche per i libri.

Del resto costituiscono una prova gli scaffali delle librerie italiane dove imperano titoli da sottoconsumo, da incultura e dico cose che mi dispiace dire in Francia e le dico non solo perchè sono parte in causa danneggiata.

La crisi economica in atto non dà certo una mano.

La nostra casa editrice quest’anno ha fatturato il 30% in meno delle vendite in libreria.

E riscontri anche più gravi abbiamo da altri editori.

In particolare poi la mia regione, la Puglia, ha una situazione disastrosa: vende il 2% dei libri del mercato nazionale.

I commenti, vi rendete conto, sono inutili.

Chi comprerà allora le riviste?

Eppure le riviste vivono e continuano ad essere il solo laboratorio espressivo e testimoniano, dalle più semplici alle più sofisticate, l’esigenza di una ricerca, l’ esigenza di offrire una vetrina, di colmare il vuoto prodotto dalla mancanza di attenzione alla letteratura da parte delle pagine culturali dei giornali, sempre più striminzite o addirittura abolite a favore dello spettacolo.

Le riviste continuano ad essere un’isola di resistenza della scrittura e vanno incoraggiate, sostenute, protette.

Sono lo specchio di questo nostro tempo buio, indice delle contraddizioni odierne, di un travaglio vissuto anche se in diversi modi e direzioni, teatro operativo di ciò che si riesce a fare con estrema fiducia nella parola, nel segno e nella letteratura.

Molte riviste hanno dato vita, nel passato, a progetti editoriali fatti di collane o quaderni.

Nel 1985, raccogliendo i contatti e l’elaborazione de L’immaginazione e proseguendo un disegno antecedente alla rivista, è nata la casa editrice Manni.

Con padrini e collaboratori d’ eccezione quali Romano Luperini, Maria Corti, Franco Fortini, Edoardo Sanguineti, Paolo Volponi, Luigi Malerba, Elio Pagliarani che via via sono aumentati con Antonio Prete, Raffaele La Capria, Vincenzo Consolo e tanti altri che figurano nel nostro catalogo e collaborano a L’immaginazione, anche se molti solo morti e ci mancano.

Da una produzione inizialmente rivolta alla poesia e alla narrativa si è passati ad un ventaglio di interessi più ampio che vede collane di saggistica letteraria e politica, traduzioni, attualità e anche un segmento dedicato alla letteratura per ragazzi.

L’idea iniziale, che si è sempre più rafforzata, era quella di creare una casa editrice che si inserisse da subito nel dibattito nazionale senza però trascurare la terra d’origine.

Una casa editrice come una voce piccola ma forte, capace di farsi spazio con una linea culturale orientata alla qualità e alla sperimentazione e l’esigenza di un messaggio umano e sociale fortemente connotato.

Piero Manni ed io, che abbiamo dato vita alla casa editrice scommettendo sul nostro entusiasmo, nella nostra abitazione, pur continuando per 35 anni ad insegnare, adesso siamo la vecchia generazione.

I figli ci affiancano e ci sostituiranno e hanno portato l’innovazione tecnica e hanno le idee chiare sulla politica aziendale e ci sono collaboratori giovani ed efficienti.

Abbiamo un sito molto visitato e siamo stati la prima casa editrice italiana a lavorare attorno al progetto di copyleft liberando ogni mese un romanzo orientato ad un pubblico prevalentemente giovanile, che senza diritti d’autore e d’ editore, può scaricare tutto il libro gratuitamente da internet.

Abbiamo un catalogo di oltre 1300 libri, ora ne stampiamo un po’ più di cento all’anno.

I libri nostri hanno buoni riscontri nazionali con recensioni sui maggiori quotidiani italiani (nel 2007 ce ne sono state 290 – nel 2008, fino ad oggi 298, e non sono poche per una piccola casa editrice).

Siamo presenti ai premi, molto spesso finalisti, selezionati da cinque anni allo Strega; quest’anno la nostra autrice Giusy Verbaro ha vinto il Camaiore Poesia, Franca Mancinelli il Premio L’Aquila, Walter Pedullà il Premio Melfi e tralascio altri.

È difficile, lo dicevo e lo ripeto, sopravvivere in libreria dove gli spazi si chiudono sempre di più per i piccoli e siamo penalizzati anche dalla perifericità del territorio in cui operiamo.

Ma continuiamo a non scoraggiarci.

Abbiamo conquistato gradualmente e difendiamo con passione uno spazio non marginale nell’editoria italiana che tutti riconoscono e siamo intenzionati a procedere con la stessa determinazione e passione di quando abbiamo iniziato.

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Référence électronique

Anna-Grazia D’oria, « Non so se è giusto (la rivista « L’Immaginazione » e la poesia) », Line@editoriale [En ligne], 1 | 2009, mis en ligne le 01 février 2017, consulté le 28 avril 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/145

Auteur

Anna-Grazia D’oria

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