Le Facetiae di Poggio Bracciolini e Les Facécies di Guillaume Tardif

Un caso di riscrittura

  • Le Facetiae di Poggio Bracciolini e Les Facécies di Guillaume Tardif

Résumés

L’articolo si propone di illustrare la fortuna che il Liber facetiarum (1438-1452) di Poggio Bracciolini ebbe in area francese tra il XV e il XVI secolo. Soffermandosi in particolare sulla reinterpretazione che ne dà Guillaume Tardif (1492), si intende delineare le problematiche di trasmissione del testo da un contesto linguistico all’altro. Benché Tardif abbia il merito di aver introdotto nella lingua francese il termine «facécie», bisognerà attendere, tuttavia, il maggior interprete francese della facetudo umanistica, Bonaventure Des Périers, che attraverso le Nouvelles récréations et joyeux devis restituisce, nel contenuto e nella forma, lo spirito burlesco che animava le Facetiae.

This article aims to highlight the influence and the dissemination experienced by Poggio Bracciolini’s Liber facetiarum in the French literature and culture between the 15th and the 16th centuries. Along these lines, I want to reflect on the free-style reinterpretation of the Facéties made by Guillaume Tardif (1492). Through this translation, we will be able to consider the problems of disseminating and receiving a text from one linguistic context to another. Finally, although Tardif took the credit for inserting in the French language the word «facécie», it is indispensable to mention one of the main French exponents of the humanist facéties, Bonaventure des Périers who, through the Nouvelles récréations et joyeux devis, reconstructs in fact, in both the content and form, the farcical essence that animated the Poggio Bracciolini’s Facetiae.

Texte

Le Facetiae di Poggio Bracciolini si attestano, nel panorama letterario italiano ed europeo, come hapax del genere novellistico, frutto di un mélange puramente umanistico tra tradizione letteraria antica e medievale.

Elaborate tra il 1438 e il 1453, le Facetiae, note anche come Liber confabulationum o Liber facetiarum, ebbero una vasta diffusione manoscritta e a stampa. Oltre ad una circolazione materiale dell’opera, occorre considerare anche la grande fortuna dei temi e degli intrecci presenti nelle Facezie che ebbero una vasta risonanza nella novellistica cinquecentesca italiana e francese. Si pensi infatti, riferendosi agli esempi più noti, alle riprese del Bandello o del Masuccio Salernitano, del Pontano o del Castiglione, nonché, oltralpe, a Margherita di Navarra, all’anonimo autore delle Cent nouvelles nouvelles, a Bonaventure Des Périers, alla traduzione di Guillaume Tardif e a quella, comprendente solo sei facezie, del frate Julien Macho. Osservava infatti Henri Weber:

[…] Ce sont d’ailleurs les facéties latines, celles du Pogge, connues et diffusées par manuscrits avant même d’être publiées, qui, plus directement que le Decameron, ont fait naitre la nouvelle en France […]. La facétie latine, avec tout l’esprit humaniste dont elle est chargée, est, à notre avis, ce qui, en France, détermine le passage du fabliau à la nouvelle proprement dite […]1 

Il libello poggiano consta di 273 facezie, motti arguti, brevi novelle il cui ordinamento resta ancora da definire, poiché non si presenta identico in tutti i testimoni. L’opera è redatta in un latino che occhieggia costantemente alle movenze del volgare: l’intento di Poggio era quello, infatti, di restituire, attraverso questo « esercizio di scrittura » (scribendi exercitatio), uno statuto di lingua viva al latino, la cui forza vitale risiedeva nelle contaminazioni col volgare che, lungi dall’inquinarlo, lo arricchiva di nuove possibilità sperimentali.

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La grande sfida di Poggio consisteva, allora, nello scrivere un’opera che prevedesse degli argomenti « bassi », tipici della letteratura in volgare, pur ponendosi in un’ottica di imitatio/aemulatio nei confronti degli auctores latini, come egli stesso afferma nell’incipit della prefazione al Liber, ove giustifica la sua scelta prevenendo le critiche:

[…] Multos futuros esse arbitror qui has nostras confabulationes tum ut res leves et viro gravi indignas reprehendant, tum in eis ornatiorem dicendi modum et maiorem eloquentiam requirant. Quibus ego si respondeam legisse me nostros Maiores, prudentissimos ac doctissimos viros, facetiis, iocis et fabulis delectatos non reprehensionem, sed laudem meruisse, satis mihi factum ad illorum existimationem putabo. Nam qui mihi turpe esse putem hac in re, quandoquidem in caeteris nequeo, illorum imitationem sequi […]?2

Benché l’opera avesse avuto una grande fortuna, confermata dall’alto numero di testimoni, essa non fu scevra da polemiche a causa del suo contenuto licenzioso e osceno. Basti pensare agli strali del Valla3 contro questo « sporcissimum opus », « librum nefandissimum » alla base dell’aspra polemica con Poggio4.

L’edizione più completa delle Facetiae è quella stampata a Basilea nel 1538, riprodotta anastaticamente nell’Opera omnia di Poggio Bracciolini curata da Riccardo Fubini5, e su cui si basano anche le edizioni commentate da Stefano Pittaluga6 e Marcello Ciccuto7. Si parla di edizione più completa poiché sono vari i testimoni che non presentano l’insieme delle facezie nella loro integralità. Questo farebbe pensare a successive fasi di elaborazione dell’opera, ovvero a differenti redazioni, nonché alla circolazione della stessa quando era ancora in fase redazionale. Inoltre, l’opera in Italia non si diffuse solo in latino ma anche nella versione volgare, attraverso traduzioni parziali che non riproducevano integralmente il testo ma rendevano in perifrasi più caste la crudezza della parola latina. Inoltre, nella versione volgare del Liber sono comprese solo 179 facezie su un totale di 2738.

D’altronde Poggio vantava la diffusione della sua opera non solo in Italia, ma soprattutto nei cenacoli umanistici europei ove il latino costituiva una lingua franca. Il Liber facetiarum conobbe un immediato successo soprattutto in Francia, dove si attesta anzitutto la traduzione in francese delle Facetiae ad opera di Guillaume Tardif, del 1492 circa, dedicata al « trescretien roy de France »9 Carlo VIII. L’opera comparve in una prima edizione a stampa nel 1496 e fu rieditata più volte nel corso del XVI secolo, come emerge dalla recensio dei testimoni fornita nell’apparato critico stabilito da Frédéric Duval e Sandrine Hériché-Pradeau10. Anche nel caso della traduzione di Tardif, tuttavia, siamo in presenza di un testo parziale: ovvero, delle 273 facezie egli ne tradusse soltanto 115, nonostante a più riprese, nell’opera, avesse ribadito la completezza della sua traduzione. Poiché, appunto, Tardif sosteneva di aver tradotto interamente l’opera latina, è probabile che avesse a disposizione una copia di riferimento che non prevedesse il testo nella sua integralità. Non sarebbe opportuno, dunque, parlare di selezione delle facezie di natura censoria, poiché sono presenti ugualmente aneddoti piccanti od osceni, tradotti in un linguaggio meno diretto. Eppure, come nota Duval11 un punto a sfavore della teoria della copia di riferimento incompleta, sarebbe data dalla facezia XXXIX che si richiama alla 52 dell’edizione di Pittaluga. Nell’incipit, infatti, il protagonista Rodolphe è preceduto dall’aggettivo cestuy, il che farebbe pensare ad una facezia precedente avente come protagonista il medesimo personaggio. Proprio come avviene nelle facezie 51 e 52 del testo poggiano in cui il protagonista è il medesimo e la continuità e la contiguità delle due facezie è sottolineata dall’aggettivo « alia » del titolo « Alia responsio faceti Redolphi » che richiama la precedente, intitolata « Responsio Redolphi ad Bernabovem ». Duval ipotizza, dunque, che un taglio delle facezie potrebbe essere stato operato successivamente alla traduzione di Tardif, e dunque ad opera dei tipografi che ne avevano curato la stampa.

La traduzione di Tardif, non fu particolarmente apprezzata dai suoi contemporanei, sia perché le Facetiae potevano essere lette direttamente in latino dall’élite più colta, sia perché non rispecchiava esattamente l’originale. Infatti, quella di Tardif più che essere definita una traduzione, la si potrebbe intendere come una « parafrasi ». Non si tratta di una traduzione ad litteram, bensì di una traduzione ad substantiam. Come afferma nel prologo alla sua opera, che può essere dunque considerata un vero e proprio caso di riscrittura, l’obiettivo è quello di riproporre le « intenzioni » dell’autore, il ché non si potrebbe avere con una traduzione letterale del latino: occorrerebbe, infatti, cercare di riprodurne il senso:

[…] mais pour tant que les motz latins n’offencent pas tant les oreilles des auditeurs, quel que ville chose qu’ilz denottent, que font les motz françois quant ils touchent de choses verecondieuses et especiallement des oeuvres de nature, je ne ay point voulu ne convertir les motz latins seullement en motz françois et rendant françois pour latin sans plus, ainsi ay voulu exprimer les sentences touchant ce cas en parolles couvertes, non declarantes si vulgairement le sens litteral du latin12

La comicità verrebbe meno, infatti, se il contesto linguistico non venisse adeguato a quello sociale di riferimento. E infatti, tra Poggio e Tardif vi sono di mezzo due società differenti da cui scaturiscono due pubblici specifici. Poggio individua, infatti, un lettore modello, per usare la categoria semiotica introdotta da Umberto Eco13: desidera, infatti, come afferma nella praefatio al Liber, essere letto « a facetis enim et humanis », coloro che possano cogliere nella sua scrittura l’intento ultimo, ovvero la funzione terapeutica del riso « per alleviare l’animo ed esercitare l’ingegno » (ad levationem animi […] et ad ingenii exercitium)

L’opera di Tardif è, invece, dedicata al re Carlo VIII, dunque cambia il pubblico di riferimento. Non si tratta più dei lettori faceti, bensì si fa ora riferimento a un contesto nobiliare, la società di corte francese di fine Quattrocento. Il rango sociale e il gusto più raffinato dovrebbero giustificare la traduzione di Tardif, atta a rielaborare il contesto scanzonato delle facezie che viene qui edulcorato

Comparando infatti le intenzioni programmatiche dei due autori, emergono subito le prime differenze. L’opera di Poggio si configura, infatti, come una raccolta di « conversazioni » (confabulationes) tra amici messe per iscritto, nella cornice ideale che è quella del Bugiale (mendaciorum officina) della Curia romana. Proprio il prefisso con- dà l’idea di una circolarità della conversazione, fatta di prise de parole, di avvicendamenti degli astanti riuniti in un luogo ben definito. Una circolarità messa in luce anche dalla struttura dell’opera stessa, che si apre con un prologo in cui Poggio si rivolge sia ai detrattori, cercando di giustificare il suo stile umile e dimesso, in ragione della riproduzione dell’oralità della conversazione, sia al pubblico di lettori faceti.

Tardif ha il merito di aver introdotto nel lessico francese il termine « facécies » che rispecchierebbe l’equivalente di « confabulationes ». Tuttavia, il senso del termine « facécies » non viene espresso sin dal prologo, ma occorre attendere la facezia XXV, allorché Tardif, attraverso una perifrasi, caratterizza in francese il significato del neologismo: « ditz joyeulx […], choses fort joyeuses […] parolles recreatives14 ». Come sottolinea Duvall15, occorre tener presente il significato che tali aggettivi avevano all’epoca del Tardif:

[…] L’adjectif recreatif, entré depuis peu dans la langue, qualifie soit une personne soit des paroles. Il marque la fonction distrayante des facéties, primordiale chez Tardif. C’est la matière joyeuse et recreative des facéties latines qui l’a, en effet, décidé à en entreprendre la traduction. […] Joyeulx est l’un des adjectifs les plus courants des Facéties. Correspondant au latin « jucundus », il renvoie à la jocunditas de la rhétorique antique et signifie « de bonne humeur » ou « qui met de bonne humeur » au moyen de rire, d’une parole ou d’une situation comique. […] Plaisant, souvent utilisé en association avec joyeulx, est moins fréquent. Il signifie « agréable » et renvoie à l’urbanitas.16

Si tratta di categorie del comico che hanno, evidentemente, molto in comune con i precetti esposti dal Pontano nel De Sermone in cui le Confabulationes poggiane occupano un posto di rilievo. E, tuttavia, manca quell’aspetto di convivialità che il Pontano aveva utilizzato per inquadrare il genere faceto nonché l’etimologia del termine, che deriva da « facio, verba facere et versus. Qui in circulis, congressionibus in sermonibus ac consuetudinibus ad iocunditatem animorum facetos dixere »17 . La traduzione del Tardif, infatti, non rispecchia il senso della confabulatio, ma si limita ad una « riscrittura » dei singoli aneddoti.

Nell’epilogo del Liber facetiarum Poggio esplicita il luogo ove si svolgevano tali confabulationes – il Bugiale, appunto – e, dopo aver nominato i personaggi più faceti che compaiono anche come narratori delle facezie, afferma di rimpiangere quel tempo in cui il Papa Martino V consentiva tale sollazzo. Non ci si limita, tuttavia, a queste « soglie »18 che abbracciano il testo in sé: la scrittura stessa delle facezie attinge all’oralità della conversazione, che si evince sia attraverso l’utilizzo di un latino modulato sugli influssi del volgare, ma sia, soprattutto, attraverso il riferimento agli interventi dei vari interlocutori che raccontano facezie che si riallacciano a quella precedente per un medesimo protagonista, per una stessa ambientazione o per una tematica simile.

Tutto questo viene a mancare nella traduzione di Tardif che, al contrario, prende le distanze dalla volgaritas, annunciando una traduzione in francese che si discosta parzialmente dall’originale latino, per non offendere il buon gusto dei lettori:

[…] Mais pour tant que le motz latins n’offencent pas tant les oreilles des auditeurs, quel que ville chose qu’ilz denottent, que font les motz françois quant ilz touchent de choses verecondieuses et especiallement des œuvres de nature, je ne ay point voulou ne convertir les motz latins seullement en motz françois et rendant françois pour latin sans plus, ainsi ay voulu exprimer les sentences touchant ce cas en parolles couvertes, non declarantes si vulgairement le sens litteral du latin.19

Ecco che, allora, evita di accostare tematiche scatologiche al nome di Dio, o di tradurre fedelmente espressioni latine considerate oscene: « ad interitum cacarem sanguinem permisit » diventa, ad esempio, « par les lieux secréts d’embas il gettoit une si grande effusion de sangue » (facezia IV); « duos cunnos » è tradotto in « deux secretz de nature » (facezia V), ecc.

L’agilità e la spregiudicatezza date alla facezia dall’utilizzo della lingua latina vengono a mancare nella riscrittura di Tardif. Non solo nella traduzione non viene resa la veracità dell’originale, ma viene anche trasfigurato il genere letterario della facezia. Se, infatti, la facezia si configurava come una narrazione brevissima, caratterizzata da una comicità « in re » o « in verba », che si basava sull’effetto comico a sorpresa dettato dalla pointe finale, in Tardif tutto ciò viene meno. Nella definizione di questo nuovo genere letterario nota, infatti, Ciccuto,

[…] la facezia si basa di per se stessa su una ricercata economia di mezzi, priva di eccessi. Anche ad una lettura rapida di questa raccolta ci si renderà conto di quanto pochi siano gli elementi narrativi necessari alla sua creazione: basta ad esempio un personaggio (un astante) e un preciso referente verso il quale esso possa esprimere una particolare attitudine a rivelare una posizione di acquiescenza oppure contestativa nei confronti dell’ideologia di un’epoca, le serie gerarchizzate di valori, i diritti, i tabù, gli obblighi.20

Le facezie di Tardif perdono di mordacità e di prontezza, giacché sono sempre precedute da un’introduzione dell’autore che ne configura il contesto geografico e sociale: spesso, infatti, le facezie ricevono un’ambientazione che nell’originale non posseggono e i personaggi vengono caratterizzati da tratti che Poggio aveva omesso. Il più delle volte le ambientazioni sono fantasiose e denunciano la scarsa conoscenza topografica del Tardif: è il caso, ad esempio, dell’ambientazione della I facezia a Gaeta che nella traduzione del Tardif è una cittadina lombarda che si affaccia sul mare.

Inoltre, in questa « riscrittura » le facezie vengono costantemente corredate di un commento moralistico che manca nella versione originale, e lascia intravedere una vena misogina dell’autore, ben lontana dalla morale laica e umanistica che emerge, invece, dalle pagine dell’umanista fiorentino.

Lungi dal rendere fedelmente lo spirito di quelle confabulationes, dunque, certamente Tardif ha il merito di aver cercato di riprodurre in francese l’immediatezza del latino poggiano e, soprattutto, di aver cercato di riprodurne l’effetto di comicità adeguandolo a un contesto sociale e linguistico differente. Tuttavia, come ha notato Lionello Sozzi, possiamo certamente affermare che quest’opera di riscrittura sia molto più vicina all’idea di novella21 che non a quella di facezia.

I critici22 hanno, invece, individuato in Bonaventure Des Périers – segretario della regina Margherita di Navarra e autore del controverso Cymbalum mundi – e in particolare nelle sue « Nouvelles récréations et joyeux devis » (1558 ca.) il principale interprete della facetudo umanistica che si ritrova, appunto, nell’opera poggiana. Benché secondo alcuni23, tra le fonti da cui Des Périers aveva attinto non vi fosse direttamente il Liber confabulationum, è evidente che nella forma dei suoi scritti e nella visione liberale del mondo egli riproduca quelle dell’umanista fiorentino.

I tratti che afferiscono alle caratteristiche precipue della facezia, come la brevitas, il bon mot, i giochi di parole, i calembours, si ritrovano nella raccolta di Des Périers, attento alle proprietà e alle raffinatezze del linguaggio: molte delle sue nouvelles, infatti, si basano su ambiguità tra le corrispondenze di significato e significante che richiamano quelle del Poggio, da cui scaturiscono effetti di comicità « in verba » dettati anche da una forte componente di oralità (devis). Benché Des Périers, nell’introduzione alla sua opera, affermi di non aver tratto spunto da alcun modello italiano (« Et puis je ne suis point allé chercher mes comptes à Costantinople, à Florence, ny à Venise […] »24), è pur vero che è innegabile l’influenza delle Facezie poggiane, come ha ben mostrato Sozzi25 comparandole con gli intrecci di alcune novelle del Des Périers. Oltre alla mera ripresa tematica, tuttavia, Sozzi avvicina l’opera di Des Périers a quella di Poggio per la sua stessa struttura umanistica, ovvero una raccolta di novellette del tutto priva di ogni intenzione morale e didattica:

[…] le seul modèle littéraire auquel on peut rattacher l’ouvrage de Des Périers, c’est le Liber Facetiarum du Pogge, ce sont les Facetiae d’intellectuels d’extractions bourgeoise voulant peindre un tableau varié et critique des faiblesses et des ridicules des hommes.26

La ridicolizzazione dei vizi degli uomini, in particolare del prototipo del personaggio del doctor indoctus, è tipica della satira umanistica. Tale aspetto lo si ritrova in gran parte delle facezie poggiane che si scagliano contro l’ignoranza di medici, avvocati, notai che, dall’alto della loro posizione sociale, cercano di imbrogliare i poveri malcapitati. Non a caso, uno dei frontespizi più diffusi tra le edizioni a stampa in volgare27 è quello che riproduce la facezia 204: nella xilografia vi è un medico nell’atto di estrarre a sorte da un contenitore le diagnosi dei pazienti; il tutto sormontato dal monito – auspicio – « Che Dio te la mandi bona ». È dunque l’atteggiamento dissacrante nei confronti dei finti sapienti che sta alla base della satira dei due autori. Non solo, entrambe le opere perseguono un obiettivo in comune, suscitare il riso. In entrambi gli autori c’è la volontà di costituire un corpus « ad levationem animi », « car c’est aux malades qu’il fault medecine »28 intento che risente di una considerazione della scrittura dai potenziali terapeutici (la terapia del riso, infatti, è un farmaco opposto all’azione catartica della tragedia).

La differenza tra i due autori sta nella lingua utilizzata: benché entrambi cerchino, nelle loro opere, di riprodurre l’oralità della conversazione – Poggio cerca di riabilitare il latino, non cristallizzandolo nella lingua classicheggiante promossa dal Valla ma sperimentando un mélange con il volgare e attingendo alla vis comica del teatro plautino e terenziano, e Des Périers, invece, riproduce l’oralità riportando fedelmente i dialetti e gli accenti dei vari personaggi – gli esiti sono differenti: per Des Périers, l’uso di un registro troppo formale del francese, distante dalla naturalezza del linguaggio materno, impedirebbe la comprensione al popolo ignorante così come il latino, lingua dell’élite culturale di tutta Europa, lungi dall’essere una lingua di comunicazione assurge al ruolo di predominanza degli intellettuali sugli illetterati, trasformandosi, dunque, in una lingua morta.

Alla conversazione tra i sodali del Bugiale si sostituiscono da una parte, i numerosi dialoghi tra i personaggi delle novelle; dall’altra, il dialogo esclusivo tra il narratore e il lettore dell’opera. Forme fittizie per sopperire, secondo Hermann Wetzel29, all’impossibilità di riprodurre l’elemento macro-strutturale della cornice decameroniana in un contesto storico-politico ormai ben distante da quello che animava il comune fiorentino nel 1348.

Note de fin

1 Henri Weber, La facétie et le bon mot du Pogge à Des Périers, in Humanisme in France at the End of the Middle Age and in the Early Renaissance, New York, Manchester University Press, 1970, p. 82.

2 Poggio Bracciolini, Facezie, introduzione, traduzione e note di Stefano Pittaluga, Milano, Garzanti, 1995, p. 2. Cito qui la traduzione del brano fornita da S. Pittaluga: « Credo che molti criticheranno queste nostre conversazioni, sia perché le considereranno frivole e indegne di una persona seria, sia perché vi cercheranno invano una maggior eleganza retorica e uno stile più elevato. Se risponderò a costoro di avere letto che i nostri padri, uomini di grande saggezza e cultura, quando si dilettavano con facezie, scherzi e storielle, si guadagnavano lodi e non critiche, riterrò di aver fatto abbastanza per ottenere la loro stima. E come potrei mai considerare vergognoso imitare gli antichi in questi argomenti, dal momento che negli altri non ne ho la capacità […]? »

3 Cfr. Laurentius Valla, Opera omnia, a cura di Eugenio Garin, ristampato anastaticamente, Torino, Bottega d’Erasmo, 1962 p. 253; 389.

4 Rinvio qui all’interessante articolo di Salvatore Camporeale « Poggio Bracciolini contro Lorenzo Valla. Le Orationes in L. Vallam » in Poggio Bracciolini (1380-1980) nel VI centenario della nascita, Firenze, Sansone, 1982, p. 139-161.

5 Poggius Bracciolini, Opera, collatione emendatorum exemplarium recognita, quorum elenchum versa haec pagina enumerabit, Basileae, 1538, riprodotta anastaticamente in Poggio Bracciolini, Opera Omnia, a cura di R. Fubini, Torino, Bottega d’Erasmo, 1964.

6 Poggio Bracciolini, Facezie, introduzione, traduzione e note di Stefano Pittaluga, op. cit..

7 Poggio Bracciolini, Facezie. Con un saggio di Eugenio Garin. Introduzione, traduzione e note di Marcello Ciccuto, Milano, BUR, 1994

8 Cfr. Lo studio di Olimpia Cirielli, « I primi volgarizzamenti italiani delle Facezie di Poggio », in Annali delle Facoltà di Lettere e Filosofia di Bari, XXV-XXVI, 1981-1982.

9 Guillaume Tardif, Les Facecies de Poge. Traduction du Liber facetiarum de Poggio Bracciolini. Edition critique par Frédéric Duval et Sandrine Hériché-Pradeau, Geneve, Droz, 2003, p 85.

10 Guillaume Tardif, op. cit., p. 53-57.

11 Ivi, p. 25-26.

12 Ivi, p. 85

13 Umberto Eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani, 2001

14 G. Tardif, op. cit., p. 124

15 Ivi,. 20.

16 Ivi., p. 22

17 Giovanni Pontano, De sermone, a cura di Alessandra Mantovani, Roma, Carocci, 2002, p. 99

18 Gérard Genette, « Soglie. I dintorni del testo », a cura di Camilla Maria Cederna, Torino, Einaudi, 1989.

19 G. Tardif, op. cit., p. 85

20 Poggio Bracciolini, Facezie. Con un saggio di Eugenio Garin. Introduzione, traduzione e note di Marcello Ciccuto, Milano, BUR, 1994, p. 47-48.

21 Ricordiamo che in Francia aveva fatto da poco la sua apparizione l’anonima raccolta novellistica delle Cent nouvelles nouvelles (1450 circa), espressamente elaborata sulla base del modello decameroniano.

22 Cfr. Lionello Sozzi, Les Contes de Bonaventure Des Périers. Contribution à l’étude de la nouvelle française de la Renaissance, Genève, Slatkine reprints, 1998, nouvelle édition précédée d’un nouvel avant-propos ; Henri Weber, op. cit., p. 82-105; Hermann Wetzel, Elements socio-historiques d’un genre littéraire : l’histoire de la nouvelle jusqu’à Cervantes in La nouvelle française à la Renaissance, études réunies par Lionello Sozzi, Genève, Slatkine, 1981, p. 41-78.

23 Bonaventure Des Périers, « Nouvelles Récréations et joyeux devis », édition établie introduite et annotée par Krystyna Kasprzyk, Paris, Société des Textes Français Modernes, 2008, p. XXXII-XLI.

24 Ivi, p. 16.

25 Lionello Sozzi, Les contes de Bonaventure des Périers, op. cit..

26 Ivi, « nouvel avant-propos ».

27 Cfr. per esempio l’edizione volgarizzata « Facecie di Poggio Florentino, historiate, nuovamente ristampate & con somma diligentia reviste & corrette. In Venetia: nelle case nuove Iustiniane, alla insegna dell’angelo Raphael, per Francesco Bindoni & Mapheo Pasini, 1531 ».  

28 B. Des Périers, op. cit. p. 13.

29 Hermann H. Wetzel, « Éléments socio-historiques d’un genre littéraire: l’histoire de la nouvelle jusqu’à Cervantes » in La nouvelle française à la Renaissance, études réunis par Lionello Sozzi, Genève-Paris, Slaktine, 1981, p. 41-78

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Citer cet article

Référence électronique

Tiziana Paparella, « Le Facetiae di Poggio Bracciolini e Les Facécies di Guillaume Tardif », Line@editoriale [En ligne], 9 | 2017, mis en ligne le 06 février 2019, consulté le 27 avril 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/1195

Auteur

Tiziana Paparella

Università degli Studi di Bari «Aldo Moro»

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