Un esempio di «neomadrigalismo novecentesco»

I Cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane di Luigi Dallapiccola

Résumés

Il presente articolo prende in esame le Tre Serie dei Cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane di Luigi Dallapiccola, opera composta tra il 1932 e il 1936 che ha rappresentato un momento cruciale nell’evoluzione artistica e del linguaggio musicale del compositore. Nel lavoro critico si è privilegiato in modo particolare lo studio del rapporto tra il testo e la musica che è sempre stato a cuore a Luigi Dallapiccola, musicista geniale e appassionato conoscitore della letteratura non solo italiana. Per l'intero saggio, utile si è rivelata la consultazione di alcuni documenti inediti.

This article looks into the three parts of Luigi Dallapiccola's Choirs of Michelangelo Buonarroti the Younger, the work composed between 1932 and 1936, representing a crucial moment in the artistic evolution of the composer and in the development of his music language. In this critical essay the study of the relationship between the lyrics and the music has been emphasised, since this fact has always been of great interest to Luigi Dallapiccola, a brilliant musician and a passionate expert on literature, not only the Italian one. For this article consulting some unpublished documents turned out to be of use.

Plan

Texte

In un articolo del 1957 apparso ne « L’Espresso »1 Massimo Mila sosteneva che nel settore della musica vocale, in particolar modo corale, i compositori italiani, a partire da Pizzetti e Casella, per arrivare a Dallapiccola e Petrassi, erano stati capaci di operare un rinnovamento tale da costituire un repertorio originale, assolutamente diverso da quello dell’opera ottocentesca e del tutto indipendente anche rispetto alle esperienze dei paesi europei. Tale operazione era stata realizzata attraverso il recupero dello storico madrigale drammatico italiano, rivisto e rinnovato, al punto tale che si poteva finalmente parlare di un nuovo genere della musica contemporanea che egli definiva appunto « Neomadrigalismo »2. Portava quindi come esempi l’inizio del terzo atto della Donna Serpente di Casella, il Coro di morti di Petrassi, i Cori di Michelangelo, i Canti di prigionia e i Canti di Liberazione di Dallapiccola.

L’anno successivo il critico torinese, tornando sulle medesime questioni, aggiungeva che grazie a opere come i Cori di Michelangelo, che in quella sede venivano definiti un vero e proprio capolavoro, la generazione dei compositori cui apparteneva Dallapiccola, aveva definitivamente portato a termine le proposte innovative nel campo della musica corale, iniziate dalla precedente generazione dell’Ottanta3.

Certamente, fatte le debite differenziazioni relative soprattutto al contesto storico, va condivisa assolutamente la tesi che sia corso una sorta di filo rosso tra le due generazioni e che il terreno nel quale ricercare questo comune sentire sia quello della musica vocale. Di questo ne era consapevole lo stesso Dallapiccola che nel saggio Prime composizioni corali riferiva di un suo incontro con Casella, durante il quale aveva espresso la sua ammirazione proprio per alcune composizioni corali di Pizzetti e Malipiero, rammaricandosi però dello scarso successo ottenuto dalle stesse. Casella, commentando questi modesti risultati, consigliava al giovane musicista di scrivere in futuro poca musica per coro per evitare così di vedere i suoi lavori inascoltati. Dallapiccola, come sappiamo non fu dello stesso parere e infatti la maggior parte della sua produzione è formata proprio da musica vocale.

Fin dalle opere del periodo giovanile egli si dedicò a questo genere cercando di ricavare dalla voce umana le massime potenzialità evitando al tempo stesso di lasciarsi condizionare dalle tendenze e dai retaggi melodrammatici che continuavano a imperversare ancora al suo tempo:

Viveva ancora in noi l’orrore delle primedonne e dei tenori che, con le loro note tenute all’infinito, con le cadenze di bravura aggiunte, con l’arbitrio della loro capricciosa e superficiale musicalità, col loro cattivo gusto avevano spadroneggiato sui palcoscenici per troppo tempo e si pensava con disgusto all’eventualità che l’interprete potesse erigersi a nostro collaboratore, al di là di quanto da noi fissato sulla carta 4.

Era ben forte nell’animo del compositore la convinzione che qualcosa dovesse essere fatto per valorizzare il patrimonio della vocalità e che il problema esistesse lo dice pure Massimo Mila che subito dopo aver ascoltato per la prima volta la preghiera di Maria Stuarda si affrettò a complimentarsi con Dallapiccola per come aveva trattato la voce umana, rispetto agli altri compositori5. Ed ecco la risposta di Dallapiccola:

La voce umana... bella cosa. Tu hai intravveduta una parte del problema. Senza rendermene conto io pure, nel mio lunghissimo e quasi ininterrotto tirocinio corale o almeno vocale, sono arrivato a concludere che la vocalità andava ricominciata dopo la non - polifonia schumanniana wagneriana brahmsiana. Magari riattaccandosi alla scrittura dei maestri fiamminghi...6

La cura che il compositore riservò alla vocalità va però messa in relazione con un costante lavoro di ricerca testuale. Le sue prime produzioni, canzoni, ballate o composizioni per coro e orchestra, molte delle quali rimaste inedite, anche per scelta del compositore che in qualche modo non le volle riconoscere ufficialmente7, mostrano un’ampia raccolta di testi: Fiuri de tapo del 1925, Caligo del 1926 per voce e pianoforte su versi del poeta dialettale triestino Biagio Marin, cui vanno aggiunte una cantata Dalla mia terra, del 1929 derivante dal patrimonio popolare friulano, Due laudi di Fra Jacopone da Todi del 1929, Estate del 1930 su un frammento di Alceo tradotto da Ettore Romagnoli, la Canzone del Quarnaro del 1930 su testo dannunziano e Due liriche del Kalewala sempre del 1930. Si tratta di testi molto diversi tra loro sia per tipologia che per cronologia: dal regionalismo di Biagio Marin alla ricercatezza dannunziana, ai versi antichi e stranieri.

Anche da qui è facile scorgere come il compositore si rivolgesse alla letteratura per trovare i versi più adatti a rendere quello che le sue esigenze artistiche volevano esprimere e questo rappresenterà una caratteristica anche del Dallapiccola della maturità che saprà muoversi all’interno della letteratura di tutti i tempi e non solo italiana con una autorevolezza culturale tale da sorprendere lo stesso Mila. In una lettera a quest’ultimo del 1941, il compositore spiegò ad esempio che nei Canti di prigionia era giunto alla scelta dei testi di Savonarola dopo essere partito da Tommaso Campanella, passando attraverso Sebastiano Castellio, Socrate e Geremia8. Nella risposta del 25 aprile 1941, il critico confessò che a suo dire Dallapiccola era probabilmente l’unico musicista in Italia e nel mondo a sapere che era esistito Sebastiano Castellio9. In altro articolo del 1975, nel commemorare la scomparsa di Dallapiccola, Mila tornò a sottolineare:

Proust, Joyce e Thomas Mann ebbero importanza pari a quella di Mahler, Schonberg, Webern. In genere la sua produzione musicale, in larga misura destinata al canto, si vale di una scelta accortissima dei testi letterari: la parola fu un elemento di primaria importanza nella sua musica10.

Certamente molto influì su questo aspetto, l’estrazione familiare con il padre insegnante di latino e italiano al liceo di Pisino d’Istria:

La mia formazione, analogamente a quanto si può dire di tanti della mia generazione, è stata decisamente umanistica. Aggiungerò che, essendo stato mio padre professore di greco e di latino, sino dagli anni dell’infanzia le più svariate citazioni classiche che udivo nella conversazione quotidiana si imprimevano nella mia memoria: a forza di domandare notizie e di informarmi su questa o su quella divinità della mitologia mi ero abituato a considerare tali divinità quasi di casa. E così il mio amore per la poesia e per il mondo della fantasia in genere si sviluppava rapidamente »11.

Ma è pure da tenere in considerazione il fatto che Dallapiccola proveniva da una regione, quella istriana, al centro di differenti culture e lingue e parte integrante di una Mitteleuropa che nel contesto culturale del primo Novecento svolgeva un ruolo rilevante.

Allora che tipo di testi potevano andare bene per una musica come quella di Dallapiccola che a sua volta si stava evolvendo verso forme di sperimentazione che sarebbero approdate alle proposte più innovative europee, in particolar modo a quelle della scuola di Vienna?

Per rispondere alla domanda prendiamo le mosse da alcune considerazioni del compositore rivolte all’utilizzo dei testi nel melodramma ottocentesco. In un saggio intitolato Parole e musica nel melodramma egli affermava in buona sostanza che in questo genere musicale (si concentrava inizialmente sul caso Verdi) si era elaborato un linguaggio particolare, determinato dalle esigenze storiche, soprattutto risorgimentali, un linguaggio che però egli definiva:

[…] negativo da un punto di vista letterario; un linguaggio che mai fece parte della lingua parlata, che rimase confinato nei limiti del libretto d’opera e che prese vita in virtù della musica e soltanto in virtù della musica.12

Riportava quindi un esempio tratto dal Rigoletto in cui Verdi all’iniziale « Diana, Agnese per me pari sono... » sostituì « Questa o quella per me pari sono », scelta che Dallapiccola riteneva fatta in virtù di una maggiore cantabilità. La sua conclusione era perentoria:

Il linguaggio dei libretti d’opera è stato un misto di trascuratezza al di là dell’immaginabile e di ricercatezza fuori posto.13

Non che volesse riprendere la vecchia battaglia dei suoi predecessori, in particolare Gian Francesco Malipiero che fu comunque per lui un punto di riferimento importante, ma certamente intendeva stabilire dei punti fermi da cui prendere le distanze14. Nello stesso saggio diceva che la spiegazione di tutto nasceva dal fatto che nelle opere del melodramma ottocentesco non si trattavano più le vicende di dei, semidei e figure soprannaturali ma di uomini semplici, magari eroi, ma sempre uomini. Questo era particolarmente rintracciabile in Verdi le cui opere tra l’altro riproducevano i sentimenti, le idee e anche gli aspetti tipici dell’Ottocento con i complotti, le società segrete e quant’altro. Quindi ne era risultato un linguaggio nel quale il popolo si riconosceva e ritrovava riflesse in esso le sue stesse attese di libertà e la sua ansia di liberazione dallo straniero. Riportava quindi altri esempi significativi come il fatto che nelle opere si preferiva parlare di sacri bronzi piuttosto che di campane, di destra invece che di mano o di stranio suolo quando si voleva dire di essere fuori dai confini della patria15.

Tutto ciò, sempre nell’analisi del compositore, risultava comprensibile se pensiamo che il melodramma ottocentesco aveva ottenuto un forte impatto culturale anche perché sostituì il movimento romantico letterario che in Italia non era mai esistito.

Nello stesso saggio Dallapiccola estendeva queste considerazioni anche agli altri compositori del melodramma nelle cui produzioni si potevano trovare elementi comuni e ricorrenti come il fatto che ogniqualvolta c’erano episodi drammatici come orrori o improvvisi colpi di scena, si trovava sempre l’accordo di settima diminuita, mentre trombe e ottoni costituivano l’accompagnamento delle vittorie e dei trionfi. Ancora dal punto di vista testuale egli analizzò in modo dettagliato la quartina poetica presente in tutte le forme delle opere come arie, cavatine e duetti, notando che si verificava nella maggior parte dei casi un « crescendo emozionale » nel terzo verso con un intervallo di estensione vocale massimo di una sesta e una sillabazione agitata16.

Queste analisi, condotte con fine discernimento e metodo letterario, indicano quanto importante fosse per lui il testo da musicare, anzi le singole parole considerate elementi fondamentali per trasmettere precise volontà espressive oltre che semantiche.

Per chi si decide a scrivere un’Opera, il libretto è sempre il primo passo; il suo soggetto avrà come base, in una grandissima percentuale di casi, un’esperienza umana, se vogliamo ammettere che le parole, veicolo di comunicazione tra gli uomini, possano avere ancora un significato e non siano un’astratta successione di vocali e di consonanti. Che cosa si nota inevitabilmente nella prima stesura di un libretto? Che vi sono sempre troppe parole. Soltanto lavorando alla musica ci si accorgerà come in molti casi un accento, una nota, un accordo, possa racchiudere in sé tanta espressività da permettere al compositore di ridurre a poche frasi fondamentali quanto nella prima versione aveva richiesto un lungo discorso […]. La scelta delle parole è un altro problema delicatissimo, Perché vi sono parole che richiedono imperiosamente la musica e altre che non ne vogliono assolutamente sapere17.

La sua quindi non era una polemica, ma un linguaggio come quello dei "libretti" ottocenteschi non era per lui una strada percorribile ed infatti i testi più adatti alla sua musica egli li cercherà nella letteratura di tutti i tempi e non solo italiana, o meglio sarebbe il caso di dire che fu “scelto” dalla stessa letteratura come risulta da una sua frase detta a Hans Nathan:

Una volta ho detto: « j’ai laissé en place deux solutions. Il testo che ho scelto.... » ma allora mi sono interrotto, incerto se mi ero espresso bene.

Forse avrei dovuto dire: « I testi dai quale sono stato scelto ». C’è una sorta di fatalità che ci conduce sempre alla stessa poesia o allo stesso tipo di poesia18.

Cerchiamo ora di studiare come sia avvenuto il connubio tra versi e musica nei Sei Cori di Michelangelo Buonarroti il giovane, opera che si pone sì a conclusione di un periodo giovanile, ma nella quale il linguaggio musicale raggiunse importanti risultati in vista soprattutto della sperimentazione futura. Nonostante Massimo Mila in un articolo sulla dodecafonia di Dallapiccola abbia scritto che ormai sulla cultura e la grande finezza letteraria di Dallapiccola si sia parlato a sufficienza19, riteniamo che un ulteriore studio proprio su quest’opera consenta di portare elementi utili alla comprensione di come egli abbia saputo utilizzare la poesia del nipote di Michelangelo in ragione dello sviluppo della sua ricerca musicale.

Le tre Serie dei Cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane nacquero in un momento di serenità e fiducia come egli stesso rivelò a Gian Francesco Malipiero, cui non a caso dedicò la seconda serie:

O fiducia nel futuro, illimitata fiducia. È questo appunto che mi fa sperare in un avvenire corale del nostro paese « sempre rinascente ». Allora i nostri pubblici, soltanto allora, sapranno che cosa vuol dire tradizione italiana. Soltanto allora si comprenderà la infinita bruttezza p. es. delle opere di Gaetano Donizetti. (Non dovrei dire queste cose a Lei che le à dette da qualche decennio; ma mi scusi). Visto che Ella ama la seconda serie dei miei Cori ne vuol accettare la dedica? Si tratterà forse di una dedica un po’ « platonica »; ma forse i tempi muteranno. E speriamo presto. Mi ricordi tanto alla Signora Malipiero e creda alla mia devota e affettuosa amicizia. Suo L. Dallapiccola20.

Per capire come mai proprio la poesia del nipote di Michelangelo lo avesse attratto per queste sue musiche ci giunge in aiuto un manoscritto inedito presente nell’archivio Bonsanti del Gabinetto Viesseux a Firenze, contenente un discorso di Dallapiccola per una registrazione alla BBC del 1973 che inizia con queste riflessioni:

Per vari anni la personalità del nipote ex fratre del grande Michelangelo mi attrasse: in quanto, sopra tutto, la sua ricerca del vocabolo non mi sembrava tanto lontana da quella che, al principio della mia carriera (cioè negli anni 1933-1936), era per me la ricerca di un’espressione musicale. Nacquero così i « Sei Cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane », divisi in tre serie: la prima per coro misto a cappella; la seconda per voci di soprani, contralti e diciassette strumenti; la terza per coro misto e grande orchestra21.

Sempre nell’archivio fiorentino si trova un altro autografo che riporta la traduzione del precedente e che teniamo in debita considerazione perché in esso il termine « vocabolo » viene tradotto inizialmente con verbal sonority. Un segno di penna rimanda però il lettore nella parte alta del foglio dove c’era più spazio e lì leggiamo altri due termini proposti per la traduzione: sound patterns22. Questi termini sound patterns sono cerchiati a penna e seguiti da un punto di domanda. Sorprende come il termine « vocabolo » sia reso non in modo letterale, ma aggiungendovi questa accezione della sonorità che indica come il compositore non considerasse le singole parole solamente in ragione della loro valenza semantica ma soprattutto come parte fondamentale dell’espressione musicale. Il termine pattern, inteso come « modello » potrebbe essere stato pensato in virtù di alcuni disegni melodici costruiti sull’iterazione di note che fanno risaltare molto il testo, come vedremo accadrà spesso nei Cori. Tuttavia questa spiegazione appare un po’ troppo ricercata soprattutto se consideriamo che l’intervista radiofonica è rivolta ad un vasto pubblico e il più delle volte non nasce da esigenze di analisi ma di semplice presentazione. Quello che interessa maggiormente è la sua attenzione per le parole.

Un altro elemento di sicuro interesse per la poesia di Buonarroti è la sua comprensibilità per cui Dallapiccola disse:

Michelangelo Buonarroti il Giovane non è poeta difficile in quanto pensiero e sintassi. Difficili, anzi « impervii » (mi piace questa definizione del Bontempelli) sono Jacopone da Todi, Michelangelo e Tommaso Campanella23.

Inoltre, pur essendo il nipote di Michelangelo un poeta conosciuto soprattutto dagli specialisti, il compositore parla di una scoperta filologica che lo interessò molto. Si tratta del rinvenimento di un codice manoscritto della Pubblica Libreria Marucelliana operato da Francesco Del Furia e reso noto in un’adunanza dell’Accademia della Crusca del 24 febbraio 1818. Questa notizia fu riportata da Dallapiccola anche nell’introduzione della partitura musicale della Terza serie24. Era accaduto che lo studioso Del Furia aveva ritrovato nella Libreria Marucelliana un grosso volume di rime toscane che attribuì al XVII secolo per la forma del carattere e per altri inequivocabili indizi. Considerato che le poesie contenutevi dovevano essere state scritte da un poeta importante, dal momento che erano indirizzate a dei letterati insigni quali il Senatore Iacopo Soldani, Niccolò Arrighetti, Mario Guiducci, Iacopo Giraldi e altre personalità di spicco della città che dovevano essere amici del poeta stesso, lo studioso ne identificò in Michelangelo Buonarroti l’autore. Vi erano poi altri indizi significativi tra i quali il fatto che il primo di questi componimenti recava la seguente intitolazione: Al sig. Niccolò Arrighetti M. B. e che nell’introduzione al poema l’Aione veniva dichiarato espressamente come autore l’Impastato che fu appunto il nome con cui Michelangelo venne accolto nell’Accademia della Crusca25.

Venendo all’elenco delle opere contenute nel manoscritto, Del Furia riferisce di alcuni Intermedi per una commedia di Niccolò Arrighetti, di cui non viene riportato il nome ma che lo studioso deduce essere la Gratitudine, perché

[…] da un ricordo appostovi dall’autore chiaramente rilevasi, essere stata rappresentata in casa di Rodolfo Venturi [...], e potrebbe fors’essere, che questi Intermedii fossero destinati per quella celebratissima, che vien ricordata da Iacopo Rilli nella vita dello stesso Arrighetti intitolata la Gratitudine26.

Questi Intermedi costituiscono i testi della prima serie dei Cori di Dallapiccola e si intitolano: Il Coro delle malmaritate e Il Coro dei malammogliati. La seconda serie è formata da due poesie molto brevi sotto forma di indovinelli o erimni intitolati I balconi della Rosa e Il papavero. La terza serie è invece formata da Il coro degli zitti, che costituisce la scena V, atto I di un’altra commedia di Michelangelo, denominata Le Mascherate e da Il coro dei lanzi briachi, che torna ad essere un intermedio, il quinto, della commedia per Niccolò Arrighetti.

Si è riportato come Dallapiccola tenesse alla comprensibilità del linguaggio di Michelangelo il Giovane, ma non va dimenticato pure il fatto che molte delle poesie che il poeta scrisse erano state utilizzate dai musicisti suoi contemporanei per essere musicate27. Michelangelo era nato alla fine di un secolo che aveva visto nascere una sorta di « classicismo lirico », vale a dire una forma lirica che indicava in Petrarca il suo punto di riferimento, tanto che la sua imitazione fu fissata anche dal punto di vista teorico, vale a dire con delle regole. Grazie alla diffusione del Canzoniere di Petrarca soprattutto per l’edizione voluta dallo stampatore Aldo Manuzio del 1501, curata non a caso da Pietro Bembo, per tutto il secolo si erano diffusi anche degli elementi linguisticamente comuni in un pubblico di lettori di poesie sempre maggiore e composito. In effetti il Petrarchismo rappresentò anche il felice tentativo di fornire una lingua poetica comune a letterati ancora legati a situazioni locali diversificate. Proprio all’aspetto linguistico Michelangelo fu sempre molto attento come dimostra la sua partecipazione all’Accademia della Crusca di cui si è detto. Non solo, egli diede prova di essere anche un valido conoscitore della poesia di Petrarca, come dimostra una sua lezione, tenuta proprio alla Crusca, sul sonetto del Canzoniere che inizia con Amor, che nel pensiero mio vive e regna. (A questo proposito si veda il seguente capitolo: « Lezione sopra ’l sonetto del Petrarca, che comincia “Amor, che nel pensiero mio vive e regna” », in Opere varie in versi ed in prosa di M. A. Buonarroti il giovane, alcune delle quali non mai stampate, raccolte da Pietro Fanfani, Firenze, Felice Le Monnier, 1863, p. 497-517). Ma Michelangelo arrivò alla maturità verso la fine del secolo, quando ormai questi canoni petrarcheschi cominciavano ad entrare in crisi ed emergeva il desiderio di creare qualcosa di nuovo, diverso dai modelli classici e che non si ispirava più alla simmetria e alle regole chiare del petrarchismo. Erano gli anni in cui si diffondeva il gusto di un poetare ricercato, al limite dell’astruso, del bizzarro e che si avvaleva di un uso anche esasperato di tutti gli artifici retorici. Nonostante ciò, va però rilevato che Michelangelo nella sua produzione poetica non fu mai condizionato dagli elementi tipici del Seicento e dell’arte barocca. Su questo ci sentiamo d’accordo con quanto dice Giovanna Maria Masera che ritiene che il poeta, evolvendosi dal petrarchismo e tenendosi a debita distanza dal marinismo, riuscì ad elaborare dei componimenti poetici caratterizzati da una notevole eleganza nella forma.28

Come dicevamo poc’anzi, numerose furono le composizioni poetiche di Buonarroti che vennero musicate dai compositori suoi contemporanei. Nella sua monografia Janie Cole ha catalogato le opere di Michelangelo, indicando quelle musicate e scoprendo nella sua ricerca altri venti libri di musica vocale i cui testi sono da ricondurre al poeta.29 Principalmente, anche come poeta di corte presso i Medici, a Michelangelo venivano richieste favole per il melodramma, genere che riscontrava un successo sempre crescente al tempo.30 Così nel 1605 gli fu commissionato « Il Natal d’Ercole », in occasione della venuta a Firenze di Alfonso e Luigi d’Este, poi « Il giudizio di Paride » nel 1608 per le nozze di Cosimo II e Maria Maddalena d’Austria. Il fatto quindi che numerosi componimenti di Michelangelo furono musicati indica inequivocabilmente che le caratteristiche del suo linguaggio poetico ben si adattavano alle richieste dei compositori soprattutto per la loro chiarezza, prerogativa fondamentale nello sviluppo del melodramma. Non a caso, visto la chiarezza dei versi, fu molto apprezzata anche da Dallapiccola.

Sei Cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane

L’intera opera è divisa in tre parti (serie), pubblicate tra il 1933 e il 1936 ognuna delle quali « comprende due cori in netto contrasto fra di loro »31 e che possono essere eseguite separatamente, tuttavia l’impressione è che ci sia nel complesso un intento organico ben preciso. Anche Sergio Sablich mise in evidenza tale aspetto e parlò di una :

[…] grande forma tripartita, che dall’esordio quasi preludiante affidato alle voci sole sfocia, dopo l’intermezzo vocale - strumentale di carattere tenuamente cameristico della seconda coppia di enigmi, nelle possenti travature contrappuntistiche e nella massiccia opulenza sinfonico – corale dell’ultimo blocco.32

Dai documenti di Dallapiccola sappiamo con certezza che il libro da cui egli prese i versi da musicare per la prima e terza serie si intitola: Le più belle pagine dei poeti burleschi del Seicento, scelte da Ettore Allodoli, collezione diretta da Ugo Ojetti, Treves, Milano, 1925. Si tratta di una pubblicazione antologica che rientrava in una collana editoriale promossa nei primi anni Venti da Ugo Ojetti, destinata ad un pubblico vasto ed intitolata: « Le più belle pagine degli scrittori italiani scelte da scrittori viventi ». Il volume presente nella biblioteca personale del compositore, consultabile ora all’Archivio Bonsanti di Firenze, conserva ancora annotazioni autografe in penna.

I testi della seconda serie erano stati pubblicati nel seguente libro: Opere varie in versi ed in prosa di M. A. Buonarroti il giovane, alcune delle quali non mai stampate, raccolte da Pietro Fanfani, Firenze, Felice Le Monnier, 1863, che non è però presente nella biblioteca personale del compositore. Probabilmente Dallapiccola consultò il volume di Fanfani, che per buona parte dei versi contenuti si rifà al manoscritto scoperto da Del Furia, come dice lo stesso autore nella prefazione:

Le cose inedite che sono stampate in questo volume, le ho tutte copiate dal codice marucelliano A. 56, il quale è autografo, e riscontratele poi con ogni diligenza.33

Il Coro delle Malmaritate

L’intera prima serie è a cappella ed è a sua volta divisa in due episodi: Il Coro delle Malmaritate e Il Coro dei Malamoggliati. Il primo corrisponde al « Terzo intermedio alla commedia di Niccolò Arrighetti »34. Sia nel testo antologico di Allodoli posseduto dal compositore che in quello di Fanfani i 27 versi selezionati per essere musicati sono preceduti da 6 sestine di endecasillabi e settenari che vengono invece tralasciati dal compositore. La scelta effettuata consente a Dallapiccola di avere un testo con 6 endecasillabi, di cui 3 in apertura e 3 in chiusura, un ottonario (il nono) e 14 settenari. Pur non seguendo uno schema fisso, tale disposizione corrisponde ad una tripartizione che ritroviamo anche nell’andamento delle voci, decisamente omoritmico nella parte iniziale e finale, più vario in quella centrale soprattutto con imitazioni e uso di linguaggio onomatopeico.

All’altrui spese, donzelle, imparate,
All’altrui spese imparate, donzelle,
Per non aver a dir piangendo poi:
Triste, malmaritate!
Quant’era me’ per noi!
Chiuderci per le celle,
Scavezzarci le chiome,
Mutarci abito e nome,
Vestir nero, bigio o bianco,
Arrandellarci ’l fianco
Di cordigli e di cuoi
Quant’era me per noi!
Quant’era me per noi!
Levarci a’ mattutini,
Dar mano a’ lumicini
Prima che canti il gallo!
Cacciarci in un Bigallo,
Entrare in un Rosano,
Metterci in un Majano,
Al Portico, al Boldrone
Darci, o ’n Pian di Mugnone
Farci vestire a Lapo,
O ver ficcare ’l capo
’N un Monticel di buoi.
Quant’era me’ per noi! Però imparate,
E pensateci ben ben ben ben prima,
Ch’e’ non vi s’abbia a dir poi: lima, lima
35.

A dimostrazione della scrupolosità che Dallapiccola riservava alle parole, nel libro di Allodoli è sottolineato il termine cordigli che si trova al verso 11, seguito poi da un punto di domanda. Non solo, nello stesso volume si trova un fogliettino con segnate a penna delle annotazioni riguardanti alcuni termini usati da Michelangelo e il loro significato.

Ricorre il verso Quant’era me’ per noi che anche se non può essere considerato un vero e proprio ritornello viene a « delimitare » per così dire i tre episodi in cui è articolato il canto: una prima volta da b. 22 a b. 29; una seconda da b.41 a b. 47 e poi l’ultima volta l’ultima da b. 71 a b. 73. Il coro presenta tutte e quattro le voci con lo sdoppiamento fin dall’inizio dei contralti e dei bassi, ad indicare la ricerca di un registro timbrico grave. Ai contralti II è affidata l’esposizione del tema che è spiccatamente ritmico, per gradi congiunti e ripetuto all’unisono dai contralti I e soprani e a distanza di quarta da tenori, e bassi I e II.

Es. 01

Es. 01

Es. 02

Es. 02

L’omoritmia che è evidente anche nel secondo e terzo verso, finirà per caratterizzare l’intero brano ed oltre ad essere un richiamo alla polifonia cinquecentesca, ben si combina con la scelta del compositore di inserire piccoli frammenti melodici ripetuti che gli consentono di mettere in evidenza ulteriormente il testo. Riportiamo anche il terzo verso a titolo di esempio.36

Es. 03

Es. 03

Un altro elemento ricorrente è l’utilizzo di indicazioni di unità metriche diverse che dal punto di vista del testo contribuiscono a far coincidere gli accenti di versi differenti. Si veda a titolo di esempio quanto accade con l’ottonario vestir nero bigio bianco e il settenario arrandellarci il fianco.

Es. 04

Es. 04

Avevamo accennato precedentemente alla ripetitività di cellule melodiche parlando di patterns e riteniamo doveroso osservare che questo modo di procedere non favorisce certamente la melodia che di fatto non ha grandi slanci né in questo episodio, né nel resto dell’opera, anche se non è necessario che ve ne siano in un lavoro scritto essenzialmente per cori e non per voci solistiche.

D’altro lato riteniamo invece che questo tipo di scrittura persegua l’obiettivo di mettere in evidenza la chiarezza del testo, vera e propria costante di tutta l’opera. Ecco infatti quanto disse il compositore relativamente alla terza serie dei cori:

Come e più che nelle due serie precedenti, mi sono preoccupato della comprensibilità delle parole, sembrandomi ovvio che volendo affrontare il problema della combinazione musica-parola – la comprensibilità del testo non possa essere disinvoltamente trascurata. Altrimenti si mettano in musica delle sillabe, com’è stato fatto tante volte, in vari periodi della storia; con perfetta legittimità e con ottimi risultati, da Adriano Banchieri a Oliver Messiaen […] senza declassare i poeti al punto di servirsene di « pretesto » o, peggio, di « traccia »: un po’ come, all’epoca in cui si scrivevano poemi sinfonici, il testo doveva orientare (e suggestionare) il pubblico. Se si dà per scontato che in nostri uditori conoscano a memoria il testo della Messa e di alcune tra le più note preghiere, non mi sembra si possa pensare altrettanto per ciò che riguarda la poesia. (Forse, appunto onde tentar di raggiungere la massima comprensibilità del testo attraverso ripetizioni, nelle opere corali che mi avvenne di scrivere in seguito, ho sentito sempre di dovermi rivolgere a testi molto brevi). 37

Tornando all’episodio in esame, nella parte centrale vi è un’espressione musicale più varia, meno omoritmica. Lo si coglie già dalla disposizione del verso Quant’era me’ per noi che alla b. 40 viene inizialmente proposto dai contralti I e II in terza e ripreso alla battuta successiva dai soprani, a loro volta sdoppiati e in terza, ma per moto contrario rispetto ai contralti. I tenori e bassi tacciono per quattro battute ed entrano con un vocalizzo che accompagna a mo’ di pedale la chiusura del verso che va spegnendosi ritmicamente con valori sempre più grandi e anche dinamicamente con il pp accompagnato anche dall’indicazione pochissimo trattenuto.

Es. 05

Es. 05

Es. 06

Es. 06

In questa parte dell’opera la musica diviene anche onomatopeica. Un chiaro esempio lo troviamo a partire dalla fine della battuta 47 con la prima voce dei bassi sul testo Levarci a’ mattutini che salendo di una quinta dal fa al do e riscendendo subito al fa iniziale simula il movimento oscillante di una campana. Allo stesso tempo l’intervallo di quinta ripetuto subito dopo rimanda alla prassi quotidiana del Levarci a’ mattutini.

Es. 07

Es. 07

Di questo passo riferì lo stesso compositore accennando al fatto che in quest’opera vi erano notevoli richiami del Seicento musicale italiano.

Le eredità del « barocco » sono diverse, in questa Prima serie. Credo si possa parlare di veri e propri ideogrammi nel « Coro delle Malmaritate », per esempio nel passo « Levarci a’ mattutini », che discretamente evoca col suo movimento ondulante quello di una campana.38

La massima esemplificazione onomatopeica si ha però con il vocalizzo melismatico dei soprani che imitano il canto del gallo di cui si parla nel testo. Le altre voci seguono un andamento omofonico, tutte ad eccezione dei bassi che tacciono per far emergere il registro acuto e con la dinamica ff.

Es. 08

Es. 08

Con il ritorno del verso quant’era me’ per noi che combinato con Però imparate diventa un endecasillabo si apre la terza parte caratterizzata dallo stesso andamento omoritmico dell’inizio. Qui la musica si adegua al testo con l’indicazione moraleggiando raccomandata a tutte le voci e ricorrendo all’utilizzo dei « chiodini » per rafforzare e scandire meglio la parola « ben », che verrà ripetuta in perfetta omoritmia tra tutte le voci in tre battute con chiaro diatonismo e forma un accordo di Rem7. Va ricordato che questi « chiodini » erano impiegati soprattutto nella notazione strumentale, ma il madrigale imitava spesso gli strumenti.

Es. 09

Es. 09

Il tono moraleggiante nell’ironia complessiva del testo di Michelangelo viene reso in musica nell’ultimo verso Ch’è non vi s’abbia a dir poi: lima, lima con forte evidenza del termine lima cantato da tutte le voci con valori ritmici sempre più larghi e decrescenti dinamicamente mentre i soli tenori e contralti I, alternandosi cantano il primo verso: All’altrui spese, donzelle, imparate, come fosse una sorta di monito.

Il Coro dei malammogliati

I versi di questa parte si trovano alle pagine 106 e 107 del libro di Allodoli39. Si tratta di 2 sestine di ottonari, 1 sestina di endecasillabi, altre 4 sestine di ottonari seguite da 1 ottava di endecasillabi. Di questi, Dallapiccola seleziona dal « suo » libro la prima sestina, la terza, la quarta e la sesta.

Chi imparar vuole a tòr moglie
Mastri esperti eccoci qui;
E diciam che chi la toglie
Dato aver vedrà in duo dì
’N una diavolo infernale,
’N una zucca senza sale.

Me ne stetti al detto altrui:
Un buon uom mi disse: « Fa»;
Oh minchion, minchion ch’io fui!
Inciampai (e ben mi sta)
’N una diavola infernale,
’N una zucca senza sale.

Ohimé! Chè per bellezza
Ch’era tutta frondi e fior
Colsi poi frutti d’asprezza,
M’incontrai, ebbro d’amor,
’N una diavola infernale,
’N una zucca senza sale.

Zie, sorelle, madri e nonne
Lo staranno a inzipillar,
E dieci altre mone Cionne
Per finirlo d’affogar
’N una diavola infernale,
’N una zucca senza sale
40.

Va prima di tutto rilevato che Dallapiccola nel quarto verso della seconda sestina sostituisce il verbo M’incontrai con Inciampai molto più efficace semanticamente e quindi ribadendo una volta di più quanto a cuore avesse la resa delle parole musicate. Le ragioni del rimaneggiamento dei versi del libro originale da parte del compositore vanno ricercate nel tentativo di avere un testo dalla struttura metrica più definita rispetto al testo del coro precedente. Possiamo infatti notare come i versi ottenuti siano tutti ottonari disposti secondo uno schema di rime fisso (ababcc) e raccolti in 4 sestine il cui ultimo distico è sempre ’N una diavola infernale, ’N una zucca senza sale. Musicalmente queste quattro parti corrispondono ad altrettante fasi che si distinguono l’una dall’altra come indicano pure le diverse disposizioni metronomiche:

1- Vigoroso e un poco ciarlatanesco, da b. 95 a 134;

2- Molto meno mosso e pesante, da b. 135 a 166;

3- Gagliardamente, ma un poco sostenuto, da b. 165 a b. 204;

4- Molto ritmato, da b. 205 alla conclusione: b. 255.

Ognuno di questi episodi termina riproponendo in modo simile dal punto di vista musicale i due versi ’N una diavola infernale, ’N una zucca senza sale. Anche qui come per Il coro delle malmaritate Dallapiccola sdoppia i contralti e i bassi privilegiando timbri più gravi. Il tema iniziale richiama melodicamente e ritmicamente quello del precedente Coro. Si tratta di un canone affidato ai bassi II, ripreso in ottava dai bassi I (bb. 95 e 97) e poi dalle altre voci che lo propongono una terza sopra entrando progressivamente fino alla b. 103 dove con i soprani si completa il quadro di tutte le voci.

Es. 10

Es. 10

Le entrate delle voci non sono simultanee, ma già dal secondo verso Mastri esperti eccoci qui, viene riproposta una perfetta omoritmia con tutte le voci che prima cantano insieme e poi si alternano nel ripetere la parte finale eccoci qui con una progressiva diminuzione dinamica che, secondo Bruno Zanolini, ha un « effetto beethoveniano »41. Il distico finale viene cantato dalle varie voci ad entrate separate con indicazioni metriche differenti per ogni battuta. Nella maggior concitazione ritmica che si crea viene messo in risalto il termine infernale, in tempo binario, prima con un melisma dei soprani e contralti I alla b. 126 e poi con delle perentorie semiminime alla b. 128. Effettivamente il « destino che bussa alla porta » potrebbe essere messo in relazione con il tema del matrimonio affrontato dal testo in modo goliardico e ironico, mentre la prima parte del verso, Mastri esperti, produce un impatto vocale che si staglia nell’accordo di Reb maggiore seguito da un Do maggiore, che potrebbe dare il senso di una modulazione improvvisa su un tono lontano con apparente funzione di sensibile, ma senza correlazioni armoniche mancando di fatto la risoluzione.

Es. 11

Es. 11

Anche questi passaggi sono significativi del fatto che è la musica ad adattarsi al testo senza mai forzarlo, come accade alla b. 145 dove troviamo la coincidenza del testo Fa! con la musica, nel senso che tutte le voci cantano la stessa nota Fa in ff.

Es. 12

Es. 12

Di ciò aveva scritto lo stesso autore, riportandolo come un esempio di derivazione barocca:

di indubbia provenienza barocca certe sottolineature di vocaboli, destinate a potenziare il significato della parola o di qualche suo particolare. In questo senso citerò il verso «Un buon uom mi disse « Fa! », nel coro dei Malamoggliati: l’esclamazione « Fa! » è affidata alla nota fa in tutte le voci. 42

Echi barocchi, ma con spirito consapevolmente moderno come dimostra la battuta 144 che precede il Fa, che presenta un accordo tra le voci di settima di dominante con la nona minore e la quinta abbassata. Al tempo stesso nella battuta successiva a quella del Fa, (la 146) il compositore sembra quasi voler ribadire la sua modernità creando intervalli di quarta, quinta maggiore e diminuita e settima, nonché un forte contrasto tra il Re bemolle e Re naturale cantato da tenori e contralti I, mentre il testo diventa colorito: Oh minchion; minchion ch’io fui. Un’altra coincidenza onomatopeica tra testo e musica si verifica alla successiva battuta 149 con il verbo inciampai, reso ancor più efficacemente alla b. 150 dai soprani e primi bassi a distanza di una terza maggiore e minore alternativamente e in movimento discendente, per non parlare delle « risate » espresse dai primi e secondi bassi con note sopra le quali ritroviamo ancora il simbolo dei « chiodini ».

Es. 13

Es. 13

Sempre riferendosi all’onomatopea musicale va notato il melisma con quintina che rende inciampai, così come accadrà più avanti alla battuta 185 laddove un’altra quintina verrà utilizzata per esprimere i termini ebbro d’amor. Quindi l’autore si affida a due gruppi irregolari per indicare una situazione fisica determinata da una perdita di equilibrio.

Es. 13

Es. 13

La terza parte che inizia alla battuta 168, con l’indicazione Gagliardamente, ma un poco sostenuto è all’insegna dell’omoritmia che prosegue fino ad evidenziare l’alliterazione frondi e fior alle bb.174-177 ottenuta con un contrasto ritmico tra le voci femminili che cantano i due termini con un melisma, mentre i bassi (e in parte anche i tenori) fanno una sorta di tenor il cui risultato sonoro è riconducibile a dei pannelli timbrici e coloristici tipici del madrigalismo. Sempre contrasto, ma con situazione capovolta alla b. 174 dove il tenore continua da solo a fare il melisma, mentre i bassi si muovono secondo un ritmo più lento, uguale per la prima metà della battuta a quello dei contralti che nella seconda parte della stessa misura si adeguano al ritmo dei soprani con lunga, breve breve di sapore dattilico.

Es. 14

Es. 14

Alla b. 205 si insiste molto sul verso Zie, sorelle, madri e nonne riproponendo melodicamente il tema dell’inizio del brano e affidandolo inizialmente alle voci femminili, quasi ricercando una correlazione tra interpreti e personaggi del testo.

Per finire riportiamo un ultimo esempio onomatopeico relativo al verso Per finirlo d’affogar, cantato dai soli bassi che danno, proprio perché bassi l’idea dell’affogato che giace nella superficie dell’acqua. Il compositore riporta pure un NB alla battuta 239 in cui si raccomanda che almeno alcuni bassi eseguano la parte inferiore.

Es. 15

Es. 15

Seconda Serie

Per questa seconda parte, Dallapiccola musicò due testi presi dagli Indovinelli o Erimni, che come accennato non sono presenti nel volume contenuto nella sua personale biblioteca, cui precedentemente abbiamo fatto riferimento. Si trovano invece nella pubblicazione Opere varie in versi ed in prosa di M. A. Buonarroti il giovane, alcune delle quali non mai stampate, raccolte da Pietro Fanfani, Firenze, Felice Le Monnier, 1863.

Il primo brano si intitola I balconi della Rosa ed è riportato nel testo di Fanfani con il numero XXXVII

Cinque fratelli siam, ch’alla sorella
Facciam serraglio intorno,
Ch’uscendo fuora all’apparir del giorno
Non men d’ogni altra sposa è vaga e bella
43.

Il secondo invece è intitolato Il papavero e nello stesso testo viene riportato con il numero romano XLII

Ditemi, per mia fé’,
Donne, qual’è quel re
Che non porta corona in giovinezza,
Ma la porta in vecchiezza
44.

Per I balconi della Rosa, Dallapiccola scelse la forma musicale dell’Invenzione, mentre per Il papavero adottò quella del Capriccio. Entrambi i due indovinelli vengono introdotti da un brano interamente strumentale che indica un chiaro stacco rispetto alla precedente serie che come abbiamo visto consiste di sole voci. A sua volta i due brani di questa parte risultano in contrasto tra loro come lo stesso compositore indicò:

Come già nello scegliere i testi della Prima serie, così anche qui ho badato a che ci fosse una possibilità di contrasto piuttosto vivo: l’Invenzione ha carattere contemplativo e mattinale; il Capriccio è colorito e aggressivo45.

Poco prima aveva dichiarato che nella sua scelta aveva tenuto conto soprattutto delle parole degli stessi indovinelli, ribadendo una volta di più come l’elemento testuale fosse altrettanto importante di quello musicale nella resa complessiva della composizione:

[…] due componimenti che non vogliono esser altro se non parole scelte con proprietà e versi armoniosamente allineati 46.

I balconi della Rosa

Il testo poetico è una quartina di tre endecasillabi e un settenario (il secondo) a rima incrociata ABBA. Viene cantato da un coro di sole voci femminili con evidente contrasto timbrico rispetto all’inizio strumentale della seconda serie caratterizzato da timbri gravi determinati da un fagotto, un pianoforte con due chiavi di basso, un violoncello e un contrabbasso. Iniziano a cantare i soprani che vengono lasciati soli per tre battute dal momento che alla quarta entrano i contralti con i quali procederanno per altre sette battute mentre l’orchestra tace. Questa parte vocale ricorda l’inizio della prima serie non solo per l’entrata « a cappella », ma anche per il disegno melodico imitativo con i contralti una terza sotto che a volte è minore e a volte maggiore rispettando gli intervalli di un impianto che vagamente potremmo indicare con Mib minore, anche se tutto il brano si muove in una ricerca dell’atonalità ancora più marcata che nella prima serie.

Il tema strumentale dell’inizio infatti si sviluppa in un contesto pentafonico con ampio uso di intervalli di quarta. Lo stesso linguaggio pentafonico lo si ritrova anche nella melodia dei corni in Fa che iniziano a suonare subito dopo i primi due versi cantati da soprani e contralti.47 In corrispondenza della « cifra » 22 il coro si sdoppia e proprio qui il compositore mette una nota: « Le entrate delle voci devono essere molto evidenti, nonostante il “p”! » (Es. 17). Infatti in questa fase le voci assumono maggior rilievo rispetto all’orchestra i cui strumenti risultano maggiormente « rarefatti ». Tra l’altro anche all’orchestra in nota viene raccomandato: « le entrate dei singoli strumenti devono essere quasi impercettibili! » (Es.17).

Es.16

Es.16

Es. 17

Es. 17

Mentre i primi due versi, Cinque fratelli siam, ch’alla sorella/ Facciam serraglio intorno, vengono resi con continuità musicale come fossero un unico verso, il terzo, Ch’uscendo fuora all’apparir del giorno, si distingue dai precedenti per l’inizio in levare e una maggiore sillabicità con andamento omoritmico e un susseguirsi di imitazioni che creano maggiore varietà ritmica fino ad una stasi sul termine giorno. Lo stesso verso viene ripetuto due volte e nella prima giorno viene cantato nello spazio di una battuta diatonicamente con intervalli tra le voci che richiamano un accordo di Rem, senza la settima e con la nona, (Es. 18) mentre nella seconda volta dura ben quattro battute e in questo caso è decisamente cromatico seguendo gli intervalli dell’accordo di Do#M (ES. 19).

Es.18

Es.18

Es.19

Es.19

Cambia la dinamica e si passa dal « molto p e sempre sottovoce » della prima volta ad un crescendo della seconda. Tra l’altro l’atmosfera che precede la nascita del giorno annunciata dal testo viene espressa dall’orchestra con delle note tenute e intervalli di quarta che creano un senso di incertezza tonale da associare all’attesa che si prova per la nascita di una nuova giornata. Riportiamo l’arpeggio di pentatoniche e intervalli di quarta dell’ottavino e del flauto proprio la seconda volta che viene cantato il termine giorno.

Es.20

Es.20

Il quarto verso, Non men d’ogni altra sposa è vaga e bella, dà inizio alla parte finale, vero e proprio “stretto” con varie imitazioni melodiche anche da parte degli strumenti. Soprani e Contralti sdoppiati si muovono contrappuntisticamente creando un notevole impatto determinato anche dall’indicazione dinamica del ff (Es. 21). Sarà invece pp la conclusione che avverrà sulla ripetizione dell’ultima sillaba del termine bella cantata con intervalli di settime maggiori rispettivamente da contralti e soprani e con perfetto diatonismo. Sembra che l’autore voglia dare il senso di un commiato da una bella immagine di un quadro naturale (Es.22).

Es.21

Es.21

Es.22

Es.22

Il papavero

È il secondo testo di questa Seconda Serie, costituito da una quartina in rima baciata AABB.

Musicalmente Dallapiccola sceglie la forma del Capriccio ed inizia con un’introduzione orchestrale di cui va messo ancora in evidenza l’ampio uso dell’intervallo di quarta discendente proposto fin da subito dagli ottavini, seguiti quasi come un’eco dai clarinetti. Il coro dopo aver esposto il primo verso Ditemi, per mia fé’, tace per tre battute e anche dopo aver cantato il secondo verso Donne, qual’è quel re, non canta per 11 battute. Non è da escludere quanto sostiene Bruno Zanolini che giudica questo modo di operare come « un susseguirsi di episodi, di “pannelli” »48, utilizzando quindi un termine che caratterizzava la scrittura di Malipiero. Ritiene insomma che Dallapiccola abbia voluto con ciò fare una sorta di « citazione » per rendere omaggio al Maestro e fa un’osservazione giusta nonostante le affinità tra i due vadano ricercate anche e piuttosto nell’uso del modalismo che ricorda molto il recupero della musica rinascimentale di Malipiero e nella creazione di aree atonali, presenti in questa seconda serie, come già notato, con intervalli di quarta sia nella melodia che nell’armonia e con scale pentatoniche.

A sua volta il richiamo al Rinascimento si ritrova pure nella scelta della poesia giocosa rinascimentale, ampiamente utilizzata da Malipiero. D’altra parte Dallapiccola stesso si sente molto vicino a Malipiero proprio per questa sua fase di sperimentazione del linguaggio musicale:

Mi sembrò, in questa Seconda serie di aver fatto un considerevole passo innanzi nella ricerca di me stesso e questa è la ragione per cui volli dedicare il lavoro a G. Francesco Malipiero e con questa dedica esprimergli gratitudine per il molto che mi aveva dato49.

Sempre relativamente al rapporto con Malipiero, vanno però riportati i dubbi espressi a questo proposito da Ben Earne, studioso di Dallapiccola, che soprattutto per la prima parte dei Cori fa notare come Malipiero abbia scritto poca musica per voci non accompagnate. Ipotizza quindi che il modello sia stato Pizzetti e in particolare la canzone La rondine, pubblicata nel 191450. In effetti sappiamo quanto a cuore stessero al compositore parmense il gregoriano e la vocalità51.

In questo secondo indovinello dal punto di vista testuale prevale l’omoritmia e le voci procedono con valori lenti a mo’ di corale con coincidenza di accenti tra l’una e l’altra. È interessante notare come sia il primo verso che il secondo, Ditemi, per mia fé’,/ Donne, qual’è quel re siano cantati dai soprani e dai contralti in ottave (Es. 23, 24), mentre la riproposta del primo verso si avvale di intervalli di quarta (Es. 25) adeguandosi alla generale destabilizzazione del centro tonale, come rilevato ampiamente prima.

Es.23

Es.23

Es.24

Es.24

Es. 25

Es. 25

Il terzo verso Che non porta corona in giovinezza conferisce maggior vivacità per il disegno melodico e il contrappunto che si avvale di intervalli di quinta tra soprani e contralti (Es. 26). L’ultimo verso invece è determinato da un senso di maggiore lentezza anche per i valori ritmici delle « minime » e si chiude con un lungo vocalizzo delle due voci, aprendo la parte finale che è una sorta di riesposizione in linea con la struttura della fuga. (Es. 27). Il tutto in un contesto dinamico di fff. In chiusura, Dallapiccola riprende il secondo verso Donne qual’è quel re con la stessa linea melodica per toni interi espressa precedentemente per i soprani, ma con i contralti non più in ottava ma in quinta adattandosi al modalismo che caratterizza l’intera parte. (Es.28)

Es.26

Es.26

Es.27

Es.27

Es.28

Es.28

Terza Serie

Nell’edizione delle musiche di questa terza serie, pubblicata da Carish nel 1937, prima della partitura, Dallapiccola fa riferimento al ritrovamento del manoscritto delle rime di Michelangelo da parte di Francesco del Furia, riportando alcune parole dello stesso studioso tratte dalla sua presentazione nell’adunanza dell’Accademia della Crusca del 24 febbraio 1818. Successivamente il compositore riferisce di aver correlato il testo poetico di Buonarroti, riportato in seconda pagina, con delle note per spiegare alcuni vocaboli ed espressioni ormai desuete nella lingua moderna, allo scopo di aiutare a comprendere chiaramente lo spirito poetico del componimento. Ancora una volta Dallapiccola dimostra la sua attenzione per il testo aggiungendo subito dopo tale monito:

Non presumo però con le mie note di mettere in luce la bellezza della poesia di un vero poeta per quei critici musicali dei quotidiani ad esempio, che, all’indomani dell’esecuzione della seconda serie dei « Cori », improvvisatisi dalla sera alla mattina critici letterari, invece di attaccarsi alla musica si attaccarono al testo, mettendolo in ridicolo e citandolo come tipico esempio di antimusicalità. Per costoro, in questa terza serie, un titolo come « il Coro degli Zitti » potrà offrire materia per far ridere la gente con qualche tratto di spirito, davvero non troppo difficile52.

Per quanto riguarda questi « attacchi » dei critici è stata compiuta una ricerca sul maggiore quotidiano dell’epoca, il « Corriere della Sera » e su « La Nazione ». Nel primo vi è un articolo del 15 maggio 1937, firmato f.a. [Franco Abbiati], dedicato alle musiche contemporanee eseguite al Maggio Fiorentino la sera precedente. In questo scritto non si riferì in termini negativi. Ci fu solo un passaggio in cui Abbiati disse che era stato un bene che tale concerto aveva avuto proporzioni limitate dal momento che appariva prioritario

allenare il pubblico a una maggior dimestichezza con le forme e il linguaggio degli autori d’oggi; di tendenze genericamente premeditate e definite – almeno per la parte riguardante la musica italiana53.

Si accennava quindi ai giovani partecipanti: Giuseppe Rosati, Goffredo Petrassi e Luigi Dallpiccola e si nominavano i titoli dei brani presentati che erano rispettivamente: Preludio per orchestra e pianoforte, Concerto per orchestra e appunto i Cori di Michelangelo. Nello specifico del lavoro di Dallapiccola Abbiati annotava che l’impiego del coro risultava molto interessante per i risultati fonici ottenuti ma che il difetto maggiore stava nelle dissonanze del Coro degli Zitti che contrastavano con l’andamento regolare delle voci umane.

Il quotidiano fiorentino riportava nel numero del maggio 1937 un articolo senza firma intitolato « Concerto di musica moderna al Teatro Comunale » in cui si dava semplicemente la notizia di questo concerto non dicendo nulla riguardo i contenuti tranne il fatto che:

Sarà molto interessante conoscere una serie di composizioni espressive delle attuali tendenze musicali, dovute a musicisti italiani e stranieri che godono di chiara rinomanza nel mondo dell’arte54.

Il giorno successivo lo stesso quotidiano riportava il resoconto della serata in un articolo intitolato « Il Maggio Musicale – Il Concerto di musica moderna – Maria di Piemonte allo spettacolo » e firmato da Arnaldo Bonaventura. Anche questa volta non si diceva niente di male relativamente al lavoro di Dallapiccola:

Chiudevano il Concerto due « Cori » con orchestra di Luigi Dallapiccola, scritti su testi di Michelangiolo Buonarroti il Giovane. Sono ben diversi l’uno dall’altro e il primo più elaborato e complicato di carattere eminentemente moderno, ora vigoroso e robusto, ora delicato e poetico, specie in certi brani che il coro canta sommessamente, con tratti efficacemente espressivi e coloristici, con una soavissima chiusa e, tutto, magistralmente condotto, L’altro è più chiaro, più melodico, più facilmente accessibile, di carattere ora militaresco ora popolaresco, pieno di vitalità e di energia, abilmente lavorato nell’intreccio delle varie sezioni del Coro e pieno d’effetto nella chiusa. Entrambi i lavori attestano dell’ingegno e della valentia del giovane compositore istriano e il secondo è stato cordialmente applaudito55.

Per spiegare le frasi contro la critica di Dallapiccola nell’introduzione alla partitura di questa terza serie, torna utile prendere in considerazione una sua lettera inedita spedita a Malipiero due anni prima l’esecuzione del Maggio fiorentino. In questa epistola il compositore riportava allegati due trafiletti tratti da « La Nazione » del 7 aprile 1935 e da « Il nuovo giornale » dell’8 aprile 1935 che riportavano la notizia dell’esecuzione dei suoi Cori a Santa Cecilia, organizzata dal Sindacato Nazionale Fascista. Nel riportare la notizia il quotidiano fiorentino usava toni positivi:

Davanti ad un pubblico folto ed elegante sono state eseguite musiche di Pratella, Montani, Rieti, Tocchi, Dallapiccola, Gorini e Rosati, autori che hanno rivelato ottime doti musicali ed eccellente preparazione tecnica56.

Ugualmente dicasi per il secondo trafiletto de « Il nuovo giornale ». Tuttavia nella lettera Dallapiccola dice che la lettura di queste notizie lo aveva irritato perché gli pareva che i due comunicati fossero stati manipolati in redazione.

A fare definitivamente chiarezza sull’atteggiamento del compositore nei confronti della critica viene in soccorso un suo manoscritto inedito risalente al 1952 e relativo ai Cori di Michelangelo. In questo documento Dallapiccola ricorda un aneddoto capitatogli prima dell’esecuzione della terza Serie al Maggio fiorentino del 1937. Egli ricorda che su invito del direttore d’orchestra Mario Rossi si recò a sentire la prova ufficiale e che era sua intenzione recarsi prima all’ufficio postale per rinnovare l’iscrizione al periodico del tempo l’« Eco della stampa », dal momento che si aspettava che l’esecuzione avrebbe avuto parecchi articoli. Essendo in ritardo si recò prima a teatro pensando di provvedere successivamente all’invio del denaro per l’iscrizione. Riferì quindi che l’effetto positivo che ebbe in lui l’ascolto dell’esecuzione gli diede una tale sicurezza nelle sue capacità compositive da poter fare a meno del condizionamento che la lettura delle critiche avrebbero potuto avere su di lui. Ecco allora le sue parole:

Non certo sicuro di aver creato un « capolavoro »: no. La mia sicurezza era d’altro genere. Era che, finalmente, mi sembrava di aver espresso me stesso e che, conseguentemente, il mio lavoro, avesse più o meno valore, era « inconfondibile ». Questo senso di sicurezza fece sì che rinunciai a inviare l’assegno all’ECO DELLA STAMPA e che quel giorno decisi di non più leggere le critiche di cui mi avrebbero potuto onorare i quotidiani nostrani57.

Si tratta di un aneddoto che Dallapiccola decise di svelare al pubblico quindici anni dopo l’esecuzione dell’opera e che ci consente di capire di più relativamente al suo atteggiamento nei confronti dei critici.

Venendo ai testi delle musiche, per quest’ultima parte Dallapiccola scelse questi due componimenti di Michelangelo: Il coro degli zitti che costituisce la scena V, atto I della commedia Le Mascherate e Il coro dei lanzi briachi, quinto intermedio alla commedia di Niccolò Arrighetti. Entrambi sono presenti nel libro di Allodoli dove così viene riportato il primo episodio58.

Il coro degli zitti 59

Avvezzi a non veder né sol né cielo,
Usi a non uscir fuor, se non notturni,
E feltrati i coturni;
Il crin cinto d’un velo,
In questa sbernia imbacuccati e fitti,
Servimmo un tempo a Plauto e a Terenzio.
Noi siam, noi siam gli Zitti,
Paggi, messaggi, ostaggi del Silenzio.

Zitti, silenzio, zitti, cheti cheti:
Zitti, silenzio, zitti, uomini e donne:
Zitti come colonne,
Come pali pe’ greti,
In fila in fila, diritti diritti,
Vuoi d’Arno o di Mugnon, Sieve o Bisenzio.
Noi siam, noi siam gli Zitti,
Paggi, messaggi, ostaggi del Silenzio.
Zitti, silenzio, zitti, palchi e mura.

Zitti, silenzio, zitti, usci e finestre.
Qua son venti balestre,
Mala di quei ventura,
Ch’a scurar l’altrui vista staran ritti.
Per chi apre bocca qua si stilla assenzio.
Noi siam, noi siam gli Zitti
Paggi, messaggi, ostaggi del Silenzio
60.

Nel rendere musicalmente il Coro degli zitti, Dallapiccola rimaneggia le tre strofe di otto, nove e sette versi ciascuna riportate sopra, facendole diventare tre ottave: la prima corrisponde alla prima di Allodoli, mentre la seconda è ottenuta inglobando il nono verso, Zitti, silenzio, zitti, palchi e mura, dell’originale seconda con la terza, composta di sette versi. Ne risultano quindi le tre seguenti ottave con schema ritmico ABBA CDCD:

Avvezzi a non veder né sol né cielo,
Usi a non uscir fuor, se non notturni,
E feltrati i coturni;
Il crin cinto d’un velo,
In questa sbernia imbacuccati e fitti,
Servimmo un tempo a Plauto e a Terenzio.
Noi siam, noi siam gli Zitti,
Paggi, messaggi, ostaggi del Silenzio

Zitti, silenzio, zitti, cheti cheti:
Zitti, silenzio, zitti, uomini e donne:
Zitti come colonne,
Come pali pe’ greti,
In fila in fila, diritti diritti,
Vuoi d’Arno o di Mugnon, Sieve o Bisenzio.
Noi siam, noi siam gli Zitti,
Paggi, messaggi, ostaggi del Silenzio.

Zitti, silenzio, zitti, palchi e mura.
Zitti, silenzio, zitti, usci e finestre.
Qua son venti balestre,
Mala di quei ventura,
Ch’a scurar l’altrui vista staran ritti.
Per chi apre bocca qua si stilla assenzio.
Noi siam, noi siam gli Zitti
Paggi, messaggi, ostaggi del Silenzio
61.

Nel libro di Allodoli conservato all’Archivio Bonsanti di Firenze sono ancora visibili le linee tracciate dall’autore e l’annotazione « Fuga » di fianco alla seconda ottava. La generale ambientazione di questa terza parte viene descritta dallo stesso compositore:

Alla serenità della Seconda serie si oppone bruscamente Il Coro degli Zitti, che inizia la Terza. Il testo è tolto dalla Veglia Le Mascherate, da rappresentarsi nell’ultima sera di Carnevale: spettrale, livido. Nulla più vi si trova della popolana scherzevole bonarietà delle Malmaritate e dei Malammogliati; nulla più del puro gioco degli Enimmi62.

Si tratta quindi di un contesto musicale diverso rispetto alle precedenti parti ma ancora più affascinante tanto che il compositore aggiunse subito dopo:

Il Coro degli Zitti è la più bella tra le poesie di Michelangelo Buonarroti il Giovane è certo uno dei momenti degni di nota della poesia italiana. Nè posso escludere che l’idea dei Sei Cori abbia avuto la prima origine appunto dallo studio di questa poesia. Tre strofe di otto versi ciascuna, con un ritornello comune pieno di fascino: « Noi siam, noi siam gli Zitti, / Paggi, messaggi, ostaggi del Silenzio » mi diedero l’idea di adottare la forma della ciaccona, con una fuga nella strofa centrale63.

La forma musicale scelta è quella della ciaccona, vale a dire una danza di origine cinquecentesca briosa e in tempo ternario. La struttura è decisamente rigorosa con una tripartizione, la « fuga » al centro e i versi 7 e 8 di ogni ottava a chiudere ognuna delle tre parti, quali ritornello musicalmente uguale tutte e tre le volte. Dopo l’introduzione strumentale caratterizzata da un linguaggio quartale e molto spesso cromatico entra il coro per il quale il compositore dispone questa annotazione: « Tutto il Coro estremamente pp e ben chiara la dizione ». È curioso notare che nell’autografo originale, si raccomandava il pp, ma non si diceva nulla a proposito della dizione64. Questa dinamica del pp dei primi due versi passerà attraverso parecchie gradazioni: più pp per il terzo, E feltrati i coturni; pp e mormorato per i versi 4,5,6, Il crin cinto d’un velo,/ In questa sbernia imbacuccati e fitti,/ Servimmo un tempo a Plauto ed a Terenzio; ppp e parlato per i versi 7 e 8, Noi siam, noi siam gli Zitti / Paggi, messaggi, ostaggi del Silenzio, che come detto costituiscono il ritornello di ogni parte. Prima dei termini del Silenzio dell’ultimo verso l’autore prescrive l’annotazione un poco intonato e sulla -o finale un pppp...perdendosi. Viene quindi utilizzata un’ampia gamma espressiva che, combinata con un andamento rigorosamente omoritmico di tutte le voci, specie negli ultimi due versi, porta gradualmente verso una sorta di declamato. È una ricerca timbrica che tra l’altro rende molto bene l’incedere sospettoso degli zitti nell’atmosfera inquietante della notte.

La linea melodica favorisce la dizione dal momento che le voci rimangono sulla stessa nota anche per più battute proponendo inizialmente l’accordo di Dom (Es. 29) e poi quello di Fa, raggiungendo attraverso il movimento per gradi congiunti qualche intervallo di quarta o di sesta, (Es. 30) e chiudendo proprio con un intervallo di quarta, prima cromatico e poi diatonico, il verso Paggi, messaggi, ostaggi del Silenzio. (Es.31).

Es.29

Es.29

Es.30

Es.30

Es.31

Es.31

La fuga centrale viene preceduta da un’introduzione strumentale e le voci del coro assumono un andamento melodico più vario come più varie sono le loro entrate anche se si resta pur sempre in una scrittura omoritmica con il coro che tende ad integrarsi maggiormente con l’orchestra, mentre precedentemente quasi si alternava con la stessa. Interessante notare lo sviluppo dinamico che partendo dal pp del verso Zitti, silenzio, zitti, cheti cheti arriva fino al f marcato sul verso Vuoi d’Arno o di Mugnon Sieve o Bisenzio ripetuto altre due volte, la prima molto f dai soprani e la seconda ff dai contralti e tenori (Ess.32 e 33), per poi ritornare al p con la ripresa dei versi zitti, silenzio, zitti, uomini e donne cantati dai tenori e bassi. (Es.34).

Es.32

Es.32

Es.33

Es.33

Es.3465

Es.3465

Che fosse importante la resa dinamica fu l’autore stesso a spiegarlo, proprio all’inizio della Fuga.

In questo punto incomincia un lento e graduale crescendo, che deve continuare per 33 battute e giungere al punto culminante nella cifra « 14 ». Il piano che segue dev’essere inteso in senso relativo, dev’essere cioè considerato il principio di un diminuendo, che durerà pure 33 battute. Il « ritornello » (cifra « 18 ») verrà quindi eseguito ancora più pp della prima volta e dovrà letteralmente sparire66.

Il verso che precede il ritornello è Vuoi d’Arno o di Mugnon Sieve o Bisenzio, ripetuto la terza volta. La fase del Diminuendo è già in corso da 15 battute e il verso è cantato in pp. Lo cantano i soprani e i contralti in perfetta omoritmia, con il disegno melodico simile alle volte in cui è stato cantato precedentemente, con intervalli di terza per finire su una quinta cromatica e cantata a bocca chiusa. Se consideriamo le due battute seguenti di pausa prima del ritornello, notiamo come l’autore, pur all’interno del processo dinamico indicato abbia voluto quasi creare uno stacco per avvertire che si sta concludendo l’episodio.

Es. 35

Es. 35

Nell’ultima parte il coro ripropone l’omoritmia iniziale e l’altrettanto lineare melodia, con un dinamismo che tende a diminuire dall’iniziale pp, fino al ppp parlato. Quando viene cantato il verso Per chi apre bocca qua si stilla assenzio, che precede il ritornello, vi è questa indicazione: pppp sussurrato e assolutamente senza timbro. È l’autore stesso a spiegare tale passo:

Credo opportuno a questo punto chiarire che, se nel ritornello mi sono servito del coro parlato che a poco a poco passa al cantato, non l’ho fatto per ragioni di comprensibilità delle parole, bensì per ragioni timbriche: e ciò vale anche maggiormente per il parlato « assolutamente senza timbro » nel verso « Per chi apre bocca qua si stilla assenzio »67.

Proprio la ricerca timbrica consente una maggiore espressività attraverso questa forma di cantato che richiama lo Sprechgesang di Arnold Schönberg68, vale a dire un modo di cantare in cui l’interprete raggiunge la nota e la lascia subito non tenendola come accadeva nel canto tradizionale. Certamente Dallapiccola si avvicinerà al linguaggio di Schönberg in modo compiuto nelle opere successive, in particolare nei Canti di Prigionia, ma qui essendo musicalmente già in una sfera atonale, notiamo come anche attraverso il testo siano raggiunti dei risultati espressivi che poi si muoveranno verso quella soluzione.

Il coro dei lanzi briachi

È l’ultimo episodio corale di tutta l’opera, quinto intermedio alla commedia di Niccolò Arrighetti, per il quale Dallapiccola scelse la forma musicale della Gagliarda:

Il Coro dei Lanzi briachi (il titolo originale della poesia è Coro di giovani scapigliati che partono per la guerra), scritto in movimento di gagliarda, costituisce l’epilogo dell’opera complessiva69.

Nel testo di Fanfani il titolo originale del brano è il seguente: Coro di giovani scapigliati che partono per la guerra, accompagnati da più lacchè70, mentre in Allodoli i versi portano questo nome: Addio bische, addio osterie71. Dal punto di vista meramente linguistico i rimaneggiamenti di Dallapiccola sono parecchi e per questo motivo riportiamo la versione integrale che egli aveva letto nel libro presente nella sua personale biblioteca:

Addio, bische, addio osterie,
Sì difficili a lasciar:
Addio, patrie lastre mie,
Sì soavi a calpestar.
Alla guerra: andar, andar;
Per me qui
Stanza non è;
Né per me:
Tu che di’?
Via pur via, via tutti e tre.

Scampigliati, sventurati,
C’è pur forza alfin sfrattar:
Più non è uom che ci guati
Cui noi non abbiamo a dar.
Io non ho più che impegnar:
Io non so chi più investir
E ferir:
Io non ho
Frecce più con che colpir.

Ohimè! ché dadi e carte,
Strentunar, massar, toppar,
Alle vacche essere ‘n parte,
Pentolini rinforzar,
M’hanno fatto gheppio far,
Andar giù,
Messo a diacer
’N un forzier
Per mai più
Non potermi riaver.

Andiam via, chè qui la golpe
Per noi par sempre abbaiar:
Io per me non vo’ le polpe
Nelle Stinche ancor disfar.
Via pur, via: marciar, marciar.
Non vo’ ancor
Marcir colà,
Che più qua
Porri por.
Via pur, via: la guerra è là.

Da Firenze in Danemarca
Ci ha a portar questo stival,
Ma per men sentier si varca
Al soccorso ir di Casal.
La Roccella ha preso il sal:
Quel buon Re
Gliela barbò:
La domò,
Sua gran fe,
Suo valor ne trionfò.

Ma chi sa ch’a tempo nuovo
Non ci sia meglio indugiar.
Ti par grave uscir del covo,
Dimmi ’l vero, eh, buon compar?
Via pur via, toccar, toccar.
S’io lo so

Sarpiam, sarpiam:
Che badiam?
Ohibò!

Siam ragazzi o uomini siam?

Lieti, svelti, alto! alla via:
Diam nel corno a cavalcar.
Stammi allegra, spada mia,
Spera averti a imbriacar
Affettar, sbranar, spallar
Tutto di
Fia tuo mestier
E piacer:
Sì sì sì:
Spada mia, quant’hai tu a ber!

I Lacchè
Addio bische, addio osterie,
Si difficili a lasciar.
Addio, patrie lastre mie,
Sì soavi a calpestar.
Alla guerra: andar, andar.
Uno scapigliato
(che sopravviene, partiti già gli altri).

Me meschin! ch’ogni mio gruzzolo,
Quanto mai seppi approdar,
Vo due volte e i dadi ruzzolo,
Vien la piena e ’l porta al mar.
D’aspettar, deh! d’aspettar
Anche me
Fatemi don.
Se ben son
Fante a piè,
Voi inforcar veggo l’arcion.72

Di tutta questa sequenza di strofe, Dallapiccola scelse la prima, numerandola nel suo libro con 1, (dal verso Addio, bische, addio osterie, a Via, pur via, via tutti a tre); la terza (da Ohimè! ché dadi e carte, a Non potermi riaver); la settima (da Lieti, svelti, alto ! alla via, a Spada mia, quant’hai tu a ber!). Non ci sono documenti o annotazioni dell’autore che consentono di fare chiarezza sulle ragioni della sua scelta, se però controlliamo accuratamente la struttura metrica delle stanze notiamo come le strofe 2 e 8 siano le uniche ad avere un numero di versi minore rispetto alle altre che sono tutte formate da dieci versi, iniziano con una quartina in rima alternata e hanno il quinto verso che riprende la rima del precedente. Presentano quindi un’altra quartina con rima incrociata per finire con l’ultimo verso sempre in rima con il settimo e l’ottavo. Lo schema finale risulta pertanto essere il seguente: ABAB B CDDC D.

Al di là di questa prima selezione sulla base metrica, i criteri della scelta delle strofe potrebbero essere stati determinati dalla maggior comprensibilità del significato riportato da quelle selezionate. Nella quarta strofa si nominano le Stinche che erano delle carceri fiorentine in cui erano rinchiusi i prigionieri per debiti, mentre nella successiva si fanno dei riferimenti ala toponomastica dell’epoca (Firenze, Danemarca, Casal e Roccella) e si parla di un re. Quindi se avesse deciso di includere tali strofe nel testo da musicare, la grande cura che il compositore riservò alla comprensibilità dei versi lo avrebbe portato a dover dare ulteriori spiegazioni ai suoi ascoltatori relativamente al testo. Così la strofa 6 e la 9 rispetto a quelle scelte includono un tipo di testo più specifico, meno generale nella sua impostazione goliardica: la sesta per l’introduzione di un interlocutore generico e l’altra perché incentrata nella figura dello scapigliato che rimane solo quando gli altri sono tutti partiti.

Vi è poi un fatto decisamente rimarchevole di attenzione: nel quinto verso della settima strofa nel libro originale appariva il termine Affrettar che nello spartito musicale Dallapiccola lo cambiò con Affettar. Fu lo stesso compositore a cambiare vocabolo dal momento che nel testo posseduto nella sua biblioteca all’altezza di questo termine vi è un asterisco seguito da un punto di domanda e in calce la seguente nota:

questo errore balordo, tramandatosi di antologia in antologia, può esser corretto dopo una semplice consultazione al manoscritto della Biblioteca Marucelliana!73

Questa nota autografa ed inedita indica una volta di più la cura filologica dell’autore e l’interesse che riponeva nella lettura delle fonti.

Ecco dunque il testo che fu definitivamente messo in musica:

Addio, bische, addio osterie,
Sì difficili a lasciar:
Addio, patrie lastre mie,
Sì soavi a calpestar.
Alla guerra: andar, andar.
Per me qui
Stanza non è;
Né per me:
Tu che di’?
Via pur via, via tutti e tre.

Ohimè! ché dadi e carte,
Strentunar, massar, toppar,
Alle vacche essere ‘n parte,
Pentolini rinforzar,
M’hanno fatto gheppio far:
Andar giù,
Messo a diacer
’N un forzier
Per mai più
Non potermi riaver.

Lieti, svelti, alto! alla via:
Diam nel corno a cavalcar.
Stammi allegra, spada mia,
Spera averti a imbriacar
Affettar, sbranar, spallar
Tutto di
Fia tuo mestier
E piacer:
Sì sì sì:
Spada mia, quant’hai tu a ber!
74.

Come risulta, il testo musicato viene composto da strofe di dieci versi, i primi cinque e l’ultimo ottonari, molto spesso tronchi, e tra questi quattro versi brevi che se uniti a due a due, come accade nello sviluppo musicale, danno luogo ad altri due ottonari, determinando in questa prospettiva un’ottava, non a caso metro della poesia epica cavalleresca italiana. Allo stesso tempo i versi brevi, come giustamente osserva Sablich, contribuiscono a dare maggiore varietà alla struttura metrica e ben si prestano a rendere la concitazione dei guerrieri dovuta all’ebrezza75. Si riallaccia all’impostazione epica anche la forma musicale adottata che è quella della Gagliarda, danza rinascimentale piuttosto vigorosa che richiedeva un certo sforzo fisico poiché veniva eseguita con salti e movimenti atletici, quindi proprio per questo adatta al clima soldatesco del testo. Continua la tripartizione che caratterizza tutta l’opera con le tre strofe che corrispondono ad altrettanti momenti musicali: Allegro ben sostenuto; Ben scandito (cifra 45); Tempo I (cifra 59). Per ribadire che le tre serie non debbano essere considerate indipendentemente tra loro, lo stesso autore riporta nell’« avvertenza » che in ciascuna delle tre parti che formano questa terza serie compaiono temi già esposti nelle altre due serie. Precisamente alla cifra 35, dove troviamo il tema della seconda serie, alla 51 con il tema della prima serie e alla 68 dove ricompare il tema della Ciaccona76. Quindi in quest’ultimo episodio l’autore propone una sorta di compendio di tutta l’opera. L’inizio è affidato all’orchestra che espone un tema basato su un disegno melodico piuttosto ritmico e ben marcato con una dinamica forte. Il coro, formato inizialmente da soli tenori e bassi, entra subito dopo riprendendo la melodia iniziale mentre il grosso dell’orchestra sparisce e rimangono i soli corni in Fa ad accompagnare. Sono divisi in due gruppi che procedono per intervalli di terza allo stesso modo dei tenori e bassi. (Es. 36 e 37).

Es.36

Es.36

Es. 37

Es. 37

L’andamento delle voci all’apparire dei soprani e contralti conserva l’omoritmia ed alcune entrate a canone. Va notato che i versi selezionati dall’autore contengono una notevole quantità di suoni e rime in -r che danno vita ad allitterazioni e rime interne e che combinandosi con numerose parole tronche contribuiscono a ricreare il clima roboante e chiassoso dei soldati ubriachi. La prima quartina si chiude sul termine calpestar ripetuto ben due volte a chiusura di un climax dinamico sul fff. Il verso seguente Alla guerra; andar, andar ribadisce il tono dinamico in ff e in perfetta omoritmia tra tutte le voci (Es. 38) e soprattutto all’unisono, mentre l’orchestra accompagna con i fiati e corni in contrattempo. La chiusura mette ancora in evidenza il suono della consonante r dell’ultima sillaba -dar, che si staglia in un accordo diatonico con la quinta vuota Fa e il Do cui fa però da contrapposizione il Sol cantato da soprani e contralti. (Es.39).

Es.38

Es.38

Es.39

Es.39

Inizia quindi la seconda parte, « Fuga », di questo primo episodio che come anticipato dall’autore riprende i temi della seconda serie dei cori, proposti da soprani e contralti a distanza di una quarta ricordando l’esafonismo per il loro procedere a toni interi (Es. 40). Vi è pure un terzo tema, una sorta di controsoggetto basato su un vocalizzo ancora per toni interi, per il quale Dallapiccola in nota (corrisponde all’asterisco dell’esempio) raccomanda di esagerare i coloriti!

Es. 40

Es. 40

Sono i versi brevi cantati in un crescendo dal f fino al ff del verso Via pur via, via tutti e tre esposto omoritmicamente da soprani e contralti prima e poi dai tenori e bassi, con le voci femminili che ripropongono invece il tema del vocalizzo, il tutto secondo lo stile dello « stretto » della fuga. All’inizio del secondo momento musicale (il Ben scandito alla cifra 45) che coincide con la seconda strofa, ritroviamo l’ambientazione musicale della seconda serie con ampio uso dell’intervallo di quarta e del cromatismo. Il secondo verso di questa strofa, Strentunar, massar, toppar, con la triplice rima in -ar viene cantato ancora omoritimicamente da tute le quattro voci lasciate quasi sole dall’orchestra e con una nota dell’autore che raccomanda di arrotare la « r ». Questa osservazione era presente anche nel manoscritto autografo, dove recitava però in questo modo:

arrotare fortemente la « r »! (quasi Flatterzunge)77.

Nell’originale quindi Dallapiccola aveva aggiunto il riferimento ad una tecnica esecutiva mutuata dagli strumenti a fiato che consiste nel far vibrare la parte anteriore della lingua e questa era una tecnica impiegata pure da Schœnberg.

Se nell’« Avvertenza » iniziale Dallapiccola aveva indicato che alla cifra 51 (verso 16) avremmo ritrovato i temi della prima serie, va però ravvisato che qui il linguaggio è diventato decisamente più atonale grazie al cromatismo, alle linee pentafoniche e alle aperture che prediligono intervalli di quarte e dissonanti (Es. 41).

Riportiamo come ulteriore esempio dell’utilizzo delle quarte l’inizio della seconda parte, all’indicazione Ben scandito sul verso Ohimè! ché dadi e carte (Es. 42).

Es.41

Es.41

Es. 42

Es. 42

La terza parte di quest’ultimo episodio che inizia alla cifra 57 con l’indicazione Crescere gradatamente e riprendere a poco a poco, è caratterizzata fin dall’inizio da una maggior concitazione ritmica come indicano i frequenti cambi metrici che si adattano all’invito alla rapidità espresso dai primi due versi: Lieti, svelti, alto! alla via:/ Diam nel corno a cavalcar. Solo il termine cavalcar si distende in tre misure che passano dal 5/8, al 2/8, al 5/8 e poi, ripetuto, dal 5/8, al 3/8 e 3/4, mentre troviamo linee melodiche per moto contrario tra soprani e resto delle voci e linee pentafoniche.

Es.43

Es.43

Il quinto verso Affettar, sbranar, spallar ripropone le rime interne in -ar che abbiamo incontrato anche nelle altre strofe e che vengono messe in forte evidenza dal ritmo in battere con cromatismo in Do# per affettar e sbranar e con una sorta di cluster per spallar.

Es.44

Es.44

Il finale inizia con un vocalizzo di tutte le voci che, come anticipato nell’« Avvertenza », alla cifra 68 ripropongono il tema del Coro degli Zitti. Pur essendovi l’indicazione ff vi è comunque un crescendo (l’autore indica un sempre più fortissimo) che porterà quasi a gridare l’ultimo verso, Spada mia, quant’hai tu a ber!, cantato in modo omoritmico e al tempo stesso ostinato con rafforzo di terza per tutte e quattro le voci. La conclusione di questo climax avverrà nella sillaba -er, cantata in modo perentorio sugli intervalli dell’accordo di DoM.

Es.45

Es.45

Anche alla fine quindi l’autore non manca di riservare l’attenzione al suono della parola come d’altra parte abbiamo rilevato in tutta l’opera. Si è detto di quanto importante fosse un autore come Michelangelo Buonarroti il Giovane per l’espressività musicale che Dallapiccola ricercava nei testi della letteratura. Tuttavia l’attrazione per questo tipo di poesia tardo rinascimentale, scritta per le commedie della corte medicea, quindi legata a momenti di serenità, si combinava anche con lo stato d’animo del compositore che di lì a poco sarebbe stato travolto dall’angoscia per quanto avveniva in Italia alla fine degli anni Trenta. Infatti la promulgazione delle leggi razziali avrebbe fatto perdere quel senso di gaiezza e ironia che tali letture suggerivano. Fu Dallapiccola stesso a parlarne nella primavera del 1961 in occasione del Festival Internazionale di Musica di Venezia dove veniva eseguita la prima parte di questi Cori. Mario Messinis che aveva redatto il programma aveva messo in evidenza come lo spirito di serenità presente nei Cori non sarebbe più riapparso nelle successive opere del maestro che in effetti spiegò come gli eventi storici avessero segnato in lui questo cambiamento:

Non dico, naturalmente, che l’Europa sia vissuta in pace fra il 1918 e il 1935: tuttavia solo nell’autunno del 1935 si verificava quella definitiva rottura dell’equilibrio che, per gradi, rapidamente, fatalmente, avrebbe provocato la seconda guerra mondiale. [...]. Si chiudeva per me, e senza possibilità di ritorni, il mondo della colorita gaia aneddotica, della serena spensieratezza; forse anche il periodo della giovinezza e con ciò il primo periodo della mia attività creativa. Bisognava trovare altra legna in altri boschi78.

La dichiarazione di Dallapiccola è molto eloquente per quanto concerne lo sconvolgimento che in lui provocò il funesto evento storico delle leggi razziali. Queste segnarono l’inizio di nuove traversie per il compositore la cui moglie era ebrea. Tuttavia egli già in giovane età aveva subito la deportazione assieme a tutta la famiglia al confino di Graz per venti mesi, tra il 1917 e il 1918. Questo era accaduto poiché le autorità austro-ungariche guardavano con sospetto le idee irredentiste di suo padre, al tempo preside del liceo di Pisino d’Istria. È lo stesso musicista a raccontarlo in alcune pagine autobiografiche in cui spiegò come nacquero due opere successive ai Cori di Michelangelo: i Canti di Prigionia e Il Prigioniero79. Nello stesso saggio egli parlò di come riuscì ad esprimere con la musica dei Canti di Prigionia tutta la sua indignazione ed angoscia per quanto stava accadendo, una sorta di protesta che attuò attraverso la musica.

Se, adolescente, avevo tanto sofferto per il confino a Graz, perché mi sembrava ingiusto, come potrei descrivere il mio stato d’animo in quel fatale I° settembre 1938, ore 17, nell’udire, proclamate dalla voce del Mussolini le decisioni del governo fascista? Avrei voluto protestare, ma non ero ingenuo al punto di non sapere che, in un regime totalitario, il singolo è impotente. Soltanto con la musica avrei potuto esprimere la mia indignazione [...]80.

Queste dichiarazioni indicano in modo inequivocabile come gli anni immediatamente successivi alla composizione dei Cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane fossero segnati per Dallapiccola dalle inquietudini e dalle ansie che contribuirono non poco ad acutizzare la sua sensibilità nei confronti del sentimento della perdita della libertà e della prigionia come stanno a dimostrare opere come i citati Canti di Prigionia, e i lavori successivi quali Il Prigioniero e i Canti di Liberazione. Per questo tipo di produzioni occorrevano dei testi dallo spessore decisamente più drammatico rispetto a quelli dei Cori che appartengono ad un periodo della vita di Dallapiccola non così carico di angoscia. Anche per questa via i Cori di Michelangelo risultano essere un punto di svolta nella vita del compositore, ma lo sono pure se considerati nell’ottica del suo percorso di maturazione artistica, nonostante dall’analisi dell’opera sia emersa pure una linea evolutiva all’interno degli stessi.

Abbiamo infatti notato come da frequenti richiami al modalismo e alla polifonia rinascimentale in un contesto prevalentemente diatonico nella prima Serie si sia passati progressivamente nelle altre due alla ricerca sempre più marcata dell’atonalità attraverso l’uso del cromatismo, le scale pentafoniche e l’armonia quartale, fino alla ricerca timbrica dello Sprechgesang di Arnold Schönberg. Da questo punto di vista ha ragione Fiamma Nicolodi quando indica nel Coro degli Zitti la parte più significativa di questo « punto di svolta », « imprescindibile Wendepunkt », come la stessa studiosa riporta81. È proprio questa infatti la parte in cui diventa sempre più preminente la ricerca dell’atonalità tanto da riscontrare qui anche la presenza di serie di dodici note.

Al di là di tali valutazioni, resta il fatto che in quest’opera troviamo consolidate certe caratteristiche del modo di operare di Dallapiccola, soprattutto relativamente a composizioni vocali. Tra queste in primo luogo va rimarcata la grande considerazione che egli riservava al testo da musicare. Si è già messo in rilievo tra le prime pagine di questo saggio la conoscenza profonda della letteratura da parte del compositore all’interno della quale sapeva muoversi con avveduta accortezza riportando all’attenzione autori anche non conosciutissimi. Ma oltre a questa competenza è emerso nell’analisi che egli trattava con rigore filologico i versi che componevano i testi messi in musica.

Ricordiamo come emblematica la sostituzione operata dallo stesso autore del termine Affrettar nel testo dei Lanzi briachi, con il più corretto Affettar. Nella nota con cui spiegava la sua correzione il compositore diceva che era stata sufficiente un’attenta consultazione del manoscritto contenuto alla Biblioteca Marucelliana. Un’operazione semplice quindi, ma tipica dei filologi più che dei librettisti o dei compositori. Tutto ciò nonostante l’autore stesso riconobbe in una nota autobiografica di alcuni anni dopo relativa a questo lavoro di aver sempre cercato di

creare delle forme musicali che potessero esistere « da sé”, senza che il testo dovesse arginarne il libero sviluppo82.

Una sorta di compenetrazione perfettamente riuscita in cui la musica esprimeva la potenzialità espressiva del testo che a sua volta aveva una portata innovativa da ricercarsi nel contesto delle commedie carnacialesche di fine Cinquecento e inizio Seicento. Infatti tale ambientazione spiega il fatto che nei testi dei Cori fossero contenuti termini presi da un linguaggio colorito e anche un po’ lascivo. Un esempio per tutti oltre ai doppi sensi linguistici, l’utilizzo di termini come minchion, che sarebbero risultati assolutamente inconcepibili nel contesto librettistico del Melodramma dell’Ottocento. E sempre a proposito del Melodramma Dallapiccola dimostrò con quest’opera di confermare le sue riserve nei confronti del ruolo del cantante solista e protagonista assoluto delle scene. Molto eloquente sotto questo aspetto è la frase che il compositore scrisse relativamente al suo disgusto nei confronti dei « soli » delle primedonne e dei tenori cui abbiamo già fatto riferimento83.

L’avversione di Dallapiccola fu rivolta ad un modo di cantare che se ben riflettiamo è continuato per tutto il corso del secolo scorso, arrivando grazie anche all’impiego massiccio dei mezzi mediatici, fino ai nostri giorni. In questo atteggiamento di ripulsa Dallapiccola rivelò un sentire estetico molto vicino al più radicale innovatore tra gli appartenenti alla Generazione dell’Ottanta: Malipiero, al quale non a caso la seconda Serie fu dedicata. In effetti se con quest’opera Dallapiccola portò a compimento le premesse stilistiche indicate dalla Generazione dell’Ottanta nel campo vocale e che abbiamo accettato di chiamare « neomadrigaliste », tra i suoi illustri predecessori è senz’altro a Malipiero che Dallapiccola si sentiva più vicino. La lettera inedita in cui l’allora giovane compositore ufficialmente chiese al compositore veneziano di accettare questa dedica è datata 7 giugno 1935. Un documento importante che consente di capire come questi Cori di Michelangelo rappresentassero per Dallapiccola il compimento di progetti intrapresi da lungo tempo:

Mi limito a dirle che le mie opere recenti – e anche quelle a cui attendo adesso – sono il frutto che va maturandosi di vecchi vecchi progetti. I Cori (sei in tutto) che fra qualche mese avrò risolti sono meditatilentamente ma continuamente da tre anni. Quello che vado meditando ora – il teatro e l’opera puramente strumentale – verrà poi. Non so quando. Sento che devo avere pazienza e lavorare ed essere sempre più severo con me stesso. Soltanto lavorando molto ancora – lo sento – potrò conquistare la libertà. [...] Visto che Ella ama la seconda serie dei miei Cori ne vuol accettare la dedica? Si tratterà forse di una dedica un po’ « platonica »; ma forse i tempi muteranno84.

Altre lettere che Dallapiccola scrisse a Malipiero in quegli anni Trenta ci consentono di cogliere l’importanza che tale composizione ebbe per l’autore. Un anno dopo, nella lettera a Malipiero del 9 luglio 1936 Dallapiccola annunciava la conclusione della terza serie dei Cori di Michelangelo e indicava con queste parole quanto l’opera lo avesse impegnato:

[...] desideravo comunicarLe che la III serie dei « Cori di Michelangelo jun. » (e con ciò la mia opera più vasta) è compiuta. Ieri sera ho tirato il più importante sospiro di sollievo della mia vita85.

Un lavoro intenso che una volta concluso non trovò un facile percorso per arrivare alla pubblicazione. Lo rivelano ancora altre epistole inedite che Dallapiccola inviò a Malipiero negli stessi anni. Un primo accenno lo troviamo nella lettera del 4 dicembre 1935 in cui Dallapiccola rivelò a Malipiero che la casa editrice Carish aveva preso in considerazione la possibilità di pubblicare l’opera a condizione che ci fossero state tre rappresentazioni della stessa. Essendosene procurate due, Dallapiccola chiese a Malipiero di intercedere presso l’E.I.A.R.86 di Torino per la terza.

Con me nessuna novità. Dopo il rifiuto della Casa Ricordi per ciò che riguarda la pubblicazione della seconda serie dei « Cori di Michelangelo Jun. » mi sono rivolto ai Carish. Questi sono disposti a pubblicare la partitura dopo la terza esecuzione. Una esecuzione sembra assicurata per il mese di febbraio alla Radio di Praga; un’altra spero di riuscire a strapparla a Roma; ora sono abbastanza ben appoggiato presso l’EIAR di Torino e anche Gatti87 stesso se ne interesserà. Non so in quali rapporti Ella sia con l’organizzazione della Radio di Torino: posso chiederLe un rigo di raccomandazione se ciò non è impossibile per Lei per altre ragioni?88.

La possibilità di ottenere un’esecuzione presso l’E.I.A.R. non era semplice come risulta in un’altra lettera successiva, del 14 ottobre 1936 in cui si rivela come era necessario procurarsi delle « raccomandazioni » se si voleva vedere eseguita la propria opera. Quindi il compositore ribadì la sua richiesta a Malipiero nella lettera inedita successiva del 14 ottobre 1936 in questi termini molto schietti:

Le scrivo oggi per darle una seccatura. Se la seccatura sarà tropo grossa non abbia alcun scrupolo a dirmi di no: non me ne avrò a male per questo. Si tratta dell’E.I.A.R., al solito. E.I.A.R., cioè È Indispensabile Avere Raccomandazioni, come dicono a Torino e altrove. [...] Rivolgermi io stesso all’E.I.A.R. non posso, per ragioni di dignità, come Ella facilmente comprende. Eppure sarebbe mio desiderio di veder incluso finalmente il mio nome nei programmi del Teatro di Torino. E particolarmente cara mi sarebbe la inclusione in un concerto di quella Seconda Serie dei Cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane che dedicai a Lei dopo la III Rassegna Nazionale del Sindacato89. Il pezzo dura otto minuti e mezzo ed è scritto per piccolo coro di 12 persone (donne) e 17 strumenti. Sarebbe possibile che Ella scrivesse direttamente al Dott. Cocchetti per raccomandarne l’esecuzione?90.

Le ultime due Serie dei cori furono poi incluse da Labroca nel concerto moderno durante il Congresso del Maggio Musicale fiorentino del 1937 e questa è storia nota.

La vicenda si concluse con la pubblicazione dell’opera da parte della casa editrice Carish, anche se l’artista si era preso carico per conto proprio di pubblicare le stesse musiche investendo il premio guadagnato al concorso internazionale bandito dal « Carillon » di Ginevra, del 22 gennaio 1936 con l’opera Musica per tre pianoforti. Fu lo stesso compositore a rivelarlo nel saggio « Prime composizioni corali »:

decisi di utilizzare il premio facendo tirare a spese mie 200 copie della partitura manoscritta e proponendo alla Casa Carisch di Milano di includere quest’opera nel suo catalogo. La Casa Carisch accettò di buon grado. Non solo: ma accettò allo tempo di pubblicare, senza alcun altro contributo finanziario da parte mia, le altre due serie « Cori ». La seconda era stata a quel tempo già eseguita; la terza era in lavoro"91.

Da tutti questi riferimenti risulta evidente quanto Dallapiccola avesse a cuore la pubblicazione di quest’opera che come abbiamo avuto modo di dimostrare rappresentò il raggiungimento di un importante traguardo nella sua personale espressione artistica oltre che rappresentare come detto una prova importante nella realizzazione di un genere vocale italiano del tutto originale.

A questi Cori il compositore restò sempre molto affezionato nonostante le sue sperimentazioni lo avrebbero portato distante nella sua espressione artistica, come rivelano le sue eloquenti parole ancora tratte dalla sua « Nota autobiografica »:

Ben lontano dal voler esprimere un giudizio sul valore estetico dei « Sei Cori » mi limiterò a dire che, per quanto lontano io possa esser oggi dalla musica « tonale », li amo ancòra per la loro sincerità e per la loro autenticità; condizioni queste che continuo a considerare fondamentali in materia d’arte92.

Bibliographie

Testi

Ettore ALLODOLI, Le più belle pagine dei poeti burleschi del Seicento, scelte da Ettore Allodoli, Milano, Fratelli Treves Editori, 1925.

Luigi DALLAPICCOLA, Nota autobiografica sulla terza serie dei Cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane, 1952 (dattiloscritto non firmato con correzioni autografe), LV.13, nel Fondo Dallapiccola dell’Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti, Gabinetto G.P. Vieusseux (ACGV), Firenze.

–, Prima serie dei cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane, Ciaccona e Gagliarda per voci miste e grande orchestra, Milano, Carish, 1936.

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Note de fin

1 Massimo Mila, « Il neomadrigalismo della musica italiana », in Massimo Mila, Cronache musicali 1955-1959, Torino, Einaudi, 1959, pp. 220-223.

2 Massimo Mila, « Il neomadrigalismo della musica italiana », in Massimo Mila, op.cit., p. 221. La stessa tesi di Mila fu condivisa pure da Pestelli. Si veda anche Giorgio Pestelli, « Luigi Dallapiccola. Rinascita del madrigale drammatico », in La musica moderna, n° 75, Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1967.

3 Massimo Mila, « La nostra musica illustrata agli inglesi », in L’Espresso, 29 aprile 1958, in Massimo Mila, Cronache musicali 1955-1959, Torino, Einaudi, 1959, pp.150-152

4 Luigi Dallapiccola, « Prime composizioni corali (1961) », in Luigi Dallapiccola, Parole e musica, a cura di Fiamma Nicolodi, introduzione di Gianandrea Gavazzeni, Milano, Il Saggiatore, 1980, p. 372 e 373. D’ora in poi tale testo verrà citato: PM.

5 Si veda Lettera da Mila a Dallapiccola del 9 febbraio 1941, in Livio Aragona (a cura di), Luigi Dallapiccola, Massimo Mila “Tempus aedificandi” carteggio 1933-1975, Milano, Ricordi Accademia nazionale di Santa Cecilia, 2005, p. 36.

6 Lettera da Dallapiccola a Mila del 11 marzo 1941-XIX, Firenze, 28 viale Margherita, in Livio Aragona (a cura di), Luigi Dallapiccola, Massimo Mila Tempus aedificandi carteggio 1933-1975, op. cit., p. 38.

7 Si veda il saggio Luigi Dallapiccola, My choral music, in Robert Sthephan Hines, The composer’s point of view, University of Oklahoma Press, 1963, p. 152 in cui parlando di questi primi lavori egli distingue quelli che non furono mai pubblicati da quelli che egli non permise di pubblicare: « that I will not now permit to be published ».

8 Lettera di Dallapiccola a Mila del 20 aprile 1941-XIX, 28 viale Margherita, in Livio Aragona (a cura di), Luigi Dallapiccola, Massimo Mila “Tempus aedificandi” carteggio 1933-1975, op. cit., p. 40.

9 Lettera del 25 aprile 1941 di bassi I e II Mila a Dallapiccola, in Livio Aragona (a cura di), Luigi Dallapiccola, Massimo Mila Tempus aedificandi carteggio 1933-1975, Milano, Ricordi Accademia nazionale di Santa Cecilia, 2005, p. 41.

10 Massimo Mila, « Un grande della musica moderna (1975) », in Livio Aragona (a cura di), Luigi Dallapiccola, Massimo Mila Tempus aedificandi-carteggio 1933-1975, op. cit., p.407

11 Luigi Dallapiccola, A proposito dei Cinque Canti per baritono e otto strumenti, in PM, p. 489.

12 Luigi Dallapiccola, « Parole e musica nel melodramma (1961-1969) », in PM, p. 68.

13 Ibidem.

14 In un altro saggio egli confessò di amare l’opera e di esserne affascinato, Luigi Dallapiccola, Appunti sull’opera contemporanea (1960) in Luigi Dallapiccola, Appunti, incontri, meditazioni, Milano, Suvini Zerboni, 1970, p. 61-65. Contributo a un « Simposio » della rivista Opera, Londra, gennaio 1961, uscito in italiano su Discoteca, II/11, Roma, 15 agosto 1961.

15 Luigi Dallapiccola, « Parole e musica nel melodramma (1961-1969) », in PM, p. 68.

16 Si veda ancora Luigi Dallapiccola, « Parole e musica nel melodramma (1961-1969) », in PM, p. 76. Argomentazioni ancora più dettagliate a sostegno di queste sue considerazione le ritroviamo pure nel seguente articolo: Luigi Dallapiccola, « Words and Music in Nineteenth-Century Italian Opera », in Perspectives of New Music, Princeton University Press from music foundation, 5, 1966 n. 1, pp. 121-133.

17 Luigi Dallapiccola, « Sull’opera », Congresso di Amburgo del 1964, manoscritto, in Fiamma Nicolodi, « Su alcuni aspetti dell’opera critica di Luigi Dallapiccola », in Fedele D’Amico, « Contributo », Antologia Vieusseux, fascicolo XXXIII, G. P. Vieusseux, Firenze Gennaio-Giugno 1974, p.39.

18 Hans Nathan, Luigi Dallapiccola: fragments from Conversation, Music Review, 27/4 November Cambridge, W. Heffer & Sons Ltd, 1966, p. 307.

19 Massimo Mila,« Sulla dodecafonia di Dallapiccola », in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Serie III, Vol. VI, 3, Pisa 1976, p.1097-1122.

20 Lettera di Dallapiccola a Malipiero del 7 giugno 1935, in « Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini », Venezia, Fondo Malipiero, lettere da Dallapiccola a Malipiero.

21 « Testo destinato alla presentazione delle opere per la BBC (registrazione, in inglese, effettuata il 9 luglio 1973 e trasmessa il 3 febbraio 1974) », in « Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti. Gabinetto G. P. Vieusseux » (ACGV), Firenze, Fondo Dallapiccola.

22 Traduzione in inglese del testo destinato alla presentazione delle suddette opere per la BBC (registrazione effettuata il 9 luglio 1973 e trasmessa il 3 febbraio 1974), in « Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti, Gabinetto G. P. Vieusseux » (ACGV), Firenze, Fondo Dallapiccola.

23 Luigi Dallapiccola, « Prime composizioni corali », in PM, p. 375.

24 Luigi Dallapiccola, Terza serie dei cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane, Ciaccona e Gagliarda per voci miste e grande orchestra, Milano, Carish, 1937 p. 3 (In Biblioteca del monumento nazionale di Praglia, PD).

25 Si veda: Di alcuni scritti di Michelangelo Buonarroti il Giovane esistenti in un codice ms. originale della pubblica libreria Marucelliana: lezione di Francesco del Furia detta nell’adunanza del dì 24 Febbraio 1818, Firenze, Tipografia dell’insegna di Dante, 1818, p. 1 sg.

26 Di alcuni scritti di Michelangelo Buonarroti, op. cit., p. 9

27 Michelangelo Buonarroti il Giovane, nipote per via di fratello del grande Michelangelo, nacque a Firenze nel 1568 e studiò all’Università di Pisa dove conobbe pure Galilei. Dopo gli studi rientrò nella città natale, in cui era già conosciuto come poeta e letterato e nel 1589 fu ammesso all’Accademia della Crusca col nome: L’Impastato. Qui riuscì a ricoprire cariche importanti come il compito di scrivere le 160 parole del Vocabolario della Crusca tra « Arabesco » e « Ascendere ». Frequentò la corte dei Medici dove ottenne commissioni poetiche come quando in occasione delle nozze di Cosimo, principe ereditario, gli fu affidato di scrivere la commedia Il giudizio di Paride. Gli vennero conferiti anche incarichi istituzionali. Morì nel 1647. (Per queste notizie biografiche: Giovanna Maria Masera, Michelangelo Buonarroti il giovane, Torino, R. Università di Torino, Fondo di studi Parini-Chirio, 1941, p. 1 sg. e Janie Cole, A muse of music in early baroque Florence-Poetry of Michelangelo Buonarroti il Giovane, Firenze, Leo S. Olschki, 2007). Nella sua produzione poetica sono visibili i segni di Petrarca e del petrarchismo (illuminante il lavoro compiuto da Janie Cole che mette in evidenza numerosi topoi petrarchisti in alcuni sonetti e altri componimenti. Si veda Janie Cole, op. cit., p. 44-49).

28 Si veda: Giovanna Maria MASERA, Michelangelo Buonarroti il giovane, Torino, R. Università di Torino, Fondo di studi Parini-Chirio, 1941, p. 43.

29 Si veda Janie Cole, A muse of music in early baroque Florence- the Poetry of Michelangelo Buonarroti il Giovane, Firenze, Leo S. Olschki, 2007, in particolare p. 111-116 e p. 207-243.

30 A questo proposito utile si rivela la lettura di Angelo Solerti, Gli albori del melodramma, Milano, Sandron, 1904, vol. I, e Angelo Solerti, Le origini del melodramma-Testimonianze dei contemporanei, Torino, Bocca, 1904. In particolare nel primo volume citato, a pagina 13, Solerti dimostra come la favola pastorale si prestasse alla musica sia per la struttura metrica (endecasillabi alternati a settenari), ma anche perché era un genere nuovo, quindi svincolato dalle regole aristoteliche.

31 Luigi Dallapiccola, « Prime composizioni corali (1961) », in PM p. 375.

32 Sergio SABLICH, Luigi Dallapiccola: un musicista europeo, Palermo, L’Epos, 2004, p. 59.

33 Pietro Fanfani, Opere varie in versi ed in prosa di M. A. Buonarroti il giovane, alcune delle quali non mai stampate, raccolte da Pietro Fanfani, Firenze, Felice Le Monnier, 1863, p. IV e nella stessa pagina in nota riporta: « Circa a questo codice ed alle cose cui esso contiene, vedasi una lezione del Del Furia, mio onorando precessore nell’ufficio di Bibliotecario marucelliano, la qual si legge nel vol. II degli Atti dell’Accademia della Crusca ».

34 Così lo riporta il testo di Pietro FANFANI, Opere varie in versi ed in prosa di Michelangelo Buonarroti il Giovane, alcune delle quali non mai stampate, raccolte da Pietro Fanfani, Firenze, Felice Le Monnier, 1863, p. 299-301. Qui il titolo completo è: Donne Malmaritate, le quali vengono accompagnate da alcuni staffieri.

35 Luigi Dallapiccola, Prima serie dei cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane, Ciaccona e Gagliarda per voci miste e grande orchestra, Milano, Carish, 1936, p. 3. Si nota una perfetta coincidenza tra il testo poetico riportato nella partitura e quello del libro di Allodoli da cui è stato preso.

36 Questa ripetitività ritmica è stata messa in rilievo pure da Virgilio Bernardoni. Si veda Virgilio Bernardoni, « Dallapiccola e le radici della coralità novecentesca », in Fiamma NICOLODI (a cura di), Luigi Dallapiccola nel suo secolo-Atti del Convegno internazionale Firenze, 10-12 dicembre 2004, Firenze, Leo S. Olschki, 2007, p. 81-100. Bernardoni riprendendo un aspetto messo in evidenza da Brown Rosemary, nel seguente articolo: « La sperimentazione ritmica in Dallapiccola tra libertà e determinazione », in Rivista italiana di musicologia, vol.XIII, n. 1, Firenze, Olschki, 1978, p. 142-175, indicava questo come un aspetto fondamentale dell’elaborazione del linguaggio del compositore che presenterà le medesime caratteristiche anche nella maturità.

37 Luigi Dallapiccola, « Prime composizioni corali (1961) », in PM, p. 378.

38 Luigi Dallapiccola, « Prime composizioni corali (1961) », in PM, p. 376.

39 Nel testo di Fanfani costituiscono l’« Intermedio quarto ad una commedia di Niccolò Arrighetti » e si trovano alle pagine 301-302.

40 Luigi Dallapiccola, Prima serie dei cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane, Ciaccona e Gagliarda per voci miste e grande orchestra, Milano, Carish, 1936, p.3. Vi è coincidenza tra questo testo e quello riportato nel libro di Allodoli da cui fu tratto, tranne che ai versi 1,3,14, dove nel testo originale compare una virgola che qui non c’è.

41 Bruno ZANOLINI, Luigi Dallapiccola-La conquista di un linguaggio (1928-2941), Padova, Zanibon, 1974, p. 30.

42 Luigi Dallapiccola, « Prime composizioni corali (1961) », in PM, p. 376.

43 Luigi Dallapiccola, Seconda serie dei cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane, Ciaccona e Gagliarda per voci miste e grande orchestra, Milano, Carish, 1936, p. 2. Il testo è identico a quello contenuto nel volume: Pietro Fanfani, Opere varie in versi ed in prosa di M. A. Buonarroti il giovane, alcune delle quali non mai stampate, raccolte da Pietro Fanfani, Firenze, Felice Le Monnier, 1863, p. 396.

44 Luigi Dallapiccola, Seconda serie dei cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane, Ciaccona e Gagliarda per voci miste e grande orchestra, Milano, Carish, 1936, p. 2. Testo identico a quello contenuto nel volume Pietro FANFANI, Opere varie in versi ed in prosa di M. A. Buonarroti il giovane, op. cit., p. 397.

45 Luigi Dallapiccola, « Prime composizioni corali (1961) », in PM, p. 377.

46 Ibidem.

47 Tutti gli esempi seguenti a partire da questo relativi alla Seconda Serie sono tratti da Luigi DALLAPICCOLA, Seconda serie dei cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane, Ciaccona e Gagliarda per voci miste e grande orchestra, Milano, Carish, 1936 (concessione Biblioteca del monumento nazionale di Praglia PD).

48 Bruno ZANOLINI, Luigi Dallapiccola-La conquista di un linguaggio (1928-1941), Padova, Zanibon, 1974, p. 51.

49 Luigi Dallapiccola, « Prime composizioni corali (1961) », in PM, p. 378.

50 Ben EARNE, Luigi Dallapiccola and Musical modernism in Fascist Italy, Cambridge, Cambridge University press, 2013, p. 90.

51 È dello stesso avviso Piero Santi. Si veda Piero Santi, « Dallapiccola e la cultura musicale italiana del primo Novecento », p. 89-100, in Mila DE SANTIS (a cura di), Dallapiccola-Letture e prospettive-Atti del Convegno Internazionale di Studi (Empoli-Firenze, 16-19 febbraio 1995), Lucca, Ricordi,1997.

52 Luigi DALLAPICCOLA, Terza serie dei cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane (ciaccona e gagliarda): per voci miste e grande orchestra (1935-1936), Milano, Carish, 1937, p. 2. (Concessa gentilmente da Biblioteca del monumento nazionale di Praglia PD).

53 Franco ABBIATI, « Le musiche contemporanee al Maggio fiorentino », Corriere della Sera, 15 maggio 1937, anno XV, p. 5.

54 « Concerto di musica moderna al Teatro Comunale », in La Nazione, anno LXXIX, n°114, p. 3

55 Arnaldo BONAVENTURA, « Il Maggio Musicale-Il Concerto di musica moderna-Maria di Piemonte allo spettacolo », in La Nazione, anno LXXIX, n° 115, p. 5.

56 « L’ultimo Concerto della Rassegna del Sindacato Musicisti », in La Nazione, Anno XIII, N° 54, 7 aprile 1935, p. 5, poi in « Lettera di Dallapiccola a Malipiero del 10 aprile 1935 », in « Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini », Venezia, Fondo Malipiero.

57 Luigi Dallapiccola, Nota autobiografica sulla terza serie dei Cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane. Si tratta di un dattiloscritto non firmato con correzioni autografe: LV.13, in « Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti. Gabinetto G. P. Vieusseux » (ACGV), Firenze, Fondo Dallapiccola.

58 Nel testo di Fanfani il brano costituisce la scena V, atto I della commedia Le Mascherate ed è intitolato: Il Silenzio tacente e coro degli zitti. Cfr. Opere varie in versi ed in prosa di Michelangelo Buonarroti il Giovane, alcune delle quali non mai stampate, raccolte da Pietro Fanfani, Firenze, Felice Le Monnier, 1863, p. 127.

59 Nella tradizione gli Zitti erano delle maschere che, armate, pattugliavano di notte al seguito del Silenzio.

60 Le più belle pagine dei poeti burleschi del Seicento scelte da Ettore Allodoli, coll. da Ugo Ojetti, Treves, Milano, 1925, p. 103

61 Luigi Dallapiccola, Terza serie dei cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane, Ciaccona e Gagliarda per voci miste e grande orchestra, Milano, Carish, 1937, p. 2 (Concessa gentilmente dalla Biblioteca del monumento nazionale di Praglia PD).

62 Luigi Dallapiccola, « Prime composizioni corali (1961) », in PM, p. 378

63 Ibidem.

64 Nota dell’autore: « Tutto il Coro estremamente pp e mormorato ». Si veda: Luigi Dallapiccola, Terza serie dei Cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane, I, Ciaccona (Il Coro degli Zitti) autografo, 1936, in « Archivio Contemporaneo A. Bonsanti. Gabinetto G. P. Vieusseux » (ACGV), Firenze, Fondo Dallapiccola.

65 L’asterisco richiama una nota a p. 11 che raccomandava di tenere la « voce piuttosto bassa »: Luigi Dallapiccola, Terza serie dei cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane (ciaccona e gagliarda): per voci miste e grande orchestra (1935-1936), Milano, Carish, 1937, p. 11. (Biblioteca del monumento nazionale di Praglia PD).

66 Luigi DALLAPICCOLA, Terza serie dei cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane (ciaccona e gagliarda): per voci miste e grande orchestra (1935-1936), Milano, Carish, 1937, p. 15. (Concessa gentilmente da Biblioteca del monumento nazionale di Praglia PD).

67 Luigi DALLAPICCOLA, « Prime composizioni corali (1961) », in PM, p. 378, 379.

68 Cfr. Bruno ZANOLINI, Luigi Dallapiccola-La conquista di un linguaggio (1928-1941), op.cit., p. 56.

69 Luigi Dallapiccola, « Prime composizioni corali (1961) », in PM, p. 379.

70 Cfr. Pietro Fanfani, Opere varie in versi ed in prosa di M. A. Buonarroti il giovane, alcune delle quali non mai stampate, raccolte da Pietro Fanfani, Firenze, Felice Le Monnier, 1863, p. 302.

71 Le più belle pagine dei poeti burleschi del Seicento, scelte da Ettore Allodoli, coll. dir. da Ugo Ojetti, Treves, Milano, 1925, p. 108

72 Le più belle pagine dei poeti burleschi del Seicento, scelte da Ettore Allodoli, coll. dir. da Ugo Ojetti, Treves, Milano, 1925, pp. 108-110.

73 Le più belle pagine dei poeti burleschi del Seicento, scelte da Ettore Allodoli, coll. dir. da Ugo Ojetti, Treves, Milano, 1925, p. 110.

74 Luigi DALLAPICCOLA, Terza serie dei cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane (ciaccona e gagliarda): per voci miste e grande orchestra (1935-1936), Milano, Carish, 1937, p. 2. (Concessa gentilmente da Biblioteca del monumento nazionale di Praglia PD).

75 Sergio SABLICH, Luigi Dallapiccola: un musicista europeo, Palermo, L’Epos, 2004, p. 64.

76 Si veda Luigi Dallapiccola, Terza serie dei cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane (ciaccona e gagliarda): per voci miste e grande orchestra (1935-1936), Milano, Carish, 1937, p. 3.

77 Luigi DallapiccolA, Terza serie dei Cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane I. Ciaccona (Il Coro degli Zitti) autografo, 1936, in « Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti. Gabinetto G. P. Vieusseux » (ACGV), Firenze, Fondo Dallapiccola, p. 16.

78 Luigi Dallapiccola,« Prime composizioni corali (1961) », PM, p. 380,381.

79 Luigi Dallapiccola , « Genesi dei “Canti di Prigionia” e del “Prigioniero” (1950-1953) », PM, p. 400.

80 Luigi Dallapiccola, « Genesi dei “Canti di Prigionia” », op. cit., p. 407-408.

81 Fiamma Nicolodi, « Nota », PM, p. 6.

82 Luigi Dallapiccola, Nota autobiografica sulla terza serie dei Cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane, 1952 Si tratta di un dattiloscritto non firmato con correzioni autografe, LV.13, in « Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti. Gabinetto G. P. Vieusseux » (ACGV), Firenze, Fondo Dallapiccola.

83 Si veda Luigi Dallapiccola, « Prime composizioni corali », in PM, p. 372 e 373.

84 Lettera di Dallapiccola a Malipiero del 7 giugno 1935, « Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini », Venezia, Fondo Malipiero.

85 Lettera di Dallapiccola a Malipiero del 9 luglio 1936, in « Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini », Venezia, Fondo Malipiero.

86 E.I.A.R. (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) società costituita con R.D. del 17/11/1927 n. 2207.

87 Guido Maggiorino (Maria) Gatti, (Chieti 1892-1973), fu una delle più importanti figure della critica musicale del Novecento. Tra le altre attività in questo campo va ricordato che fondò nel 1920 la rivista mensile Il Pianoforte, pubblicata fino al 1927, quando diventò La Rassegna musicale.

88 Lettera di Dallapiccola a Malipiero del 4 dicembre 1935, in « Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini », Venezia, fondo Malipiero.

89 Dallapiccola si riferisce al concerto finale della Terza Rassegna di Musica Contemporanea tenuto a Roma il 6 aprile 1935 e organizzato dal Sindacato Nazionale Fascista dei Musicisti sotto la direzione di Mario Rossi.

90 Lettera da Dallapiccola a Malipiero da Firenze del 14 ottobre 1936, in « Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini », Venezia, Fondo Malipiero.

91 Luigi Dallapiccola, « Prime composizioni corali », PM, p. 378.

92 Luigi Dallapiccola, Nota autobiografica sulla terza serie dei Cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane. Si tratta di un dattiloscritto non firmato con correzioni autografe, LV.13, in « Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti. Gabinetto G.P. Vieusseux » (ACGV), Firenze, Fondo Dallapiccola.

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Référence électronique

Vinicio Corrent, « Un esempio di «neomadrigalismo novecentesco» », Line@editoriale [En ligne], 7 | 2015, mis en ligne le 05 mai 2017, consulté le 28 avril 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/729

Auteur

Vinicio Corrent

Toulouse

Doctorant

vinypianoman@yahoo.it

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