Le fonti poetiche italiane delle Sette canzoni di Gian Francesco Malipiero

Résumés

In questo articolo si prendono in esame le fonti poetiche da cui è stato tratto il testo letterario dell’opera di Gian Francesco Malipiero Le Sette canzoni. Grazie a una minuziosa ricerca si è risaliti ai libri che contenevano le poesie da cui il compositore ha selezionato i versi musicati. Si è quindi proceduto a uno scrupoloso confronto tra questi e la loro trascrizione nell’opera musicale. Lo studio parte dalla considerazione del fatto che Le Sette canzoni rappresentano la prima opera cantata composta dal compositore con un testo non creato all’occorrenza ma ricavato dalla poesia antica italiana per arrivare a una prima valutazione del rapporto tra la musica e i versi secondo il compositore.

In this article the poetic sources of the lyrics in the music drama Le sette canzoni by Gian Francesco Malipiero have been studied. Because of a very detailed research, the original texts from which Malipiero derived the poetry have been found out. An accurate comparison between these original verses and their transcription into the score of the opera has been made. The investigation starts from the fact that Le sette canzoni is the first work of Malipiero whose lyrics are part of the ancient Italian poetry and are not written by the author himself. In conclusion the first assessments of the relationship between the lyrics and the music in this Malipiero’s work have been established.

Plan

Texte

Le Sette canzoni di Gian Francesco Malipiero, oltre alla forte carica innovativa che rivestirono nel variegato e composito contesto culturale dei primi anni del Novecento, sono da considerare un’opera oltremodo significativa del percorso artistico del compositore veneziano, sia dal punto di vista musicale, che da quello della scelta del testo.

Che Malipiero avesse molto a cuore la questione delle liriche da adottare per le proprie musiche cantate emerge chiaramente da un suo articolo del 1938 apparso nella rivista Scenario, nel quale parlando delle sue composizioni passate, confessò di averne condannate al rogo due tra le prime1 per le quali si era avvalso della collaborazione del poeta triestino Silvio Benco. Pur non fornendo una precisa giustificazione di questo suo gesto distruttivo, il compositore lasciò intravvedere che il problema poteva essere ricondotto alla problematica testuale. Infatti nel corso dello stesso articolo accennò al fatto che inizialmente fu suggestionato da qualche affinità di forma e atmosfera con Maeterlink, per poi rendersi conto in una fase immediatamente successiva che di quel teatro nei versi di Benco vi era ben poco. Dopo tale episodio Malipiero, pur rivelando di essere ancora fortemente affascinato dal melodramma, maturò la scelta abbastanza radicale di concepire un’opera tragica, Pantea, nella quale non ci sarebbe stato alcun testo da cantare dal momento che il ruolo di protagonista nella composizione venne affidato a una ballerina.

Tuttavia l’interesse per il testo cantato sarebbe rifiorito poco tempo dopo, precisamente nel 1918 in occasione della stesura delle Sette canzoni. La ragione di questo ritorno di passione è da ricercare nel fatto che la voce, per il compositore, rappresentava un elemento determinante del dramma. Malipiero lo confessò l’anno successivo in una lettera a Guido Gatti: « Io ritengo forma d’arte superiore la danza, e le dedicherò in avvenire certe mie idee musicali, ma il fascino della voce quale elemento drammatico mi suggerì le Sette canzoni ».2

La concessione al melodramma non fu però totale dal momento che Malipiero in questa sua opera abolì il recitativo che percepiva come una sorta di ostacolo alla piena libertà e spontaneità dell’azione drammatica. Il suo scopo era di semplificare e creare una forma di rappresentazione artistica il più possibile libera da canoni e tematiche precostituite, che nei suoi scritti marchiava sovente con il termine « pregiudizi ». Il più importante di questi era la teatralità: « “La teatralità”, ecco il primo dei pregiudizi! Per teatrale s’intende ciò che inceppa lo svolgimento spontaneo dell’azione drammatica […] ».3

Inoltre per le Sette canzoni scelse di musicare delle vicende realmente accadute con personaggi tratti dalla normalissima quotidianità. Non re o principi dunque che compivano atti straordinari o sacrifici in nome dell’ardore patriottico o di una forte passione, ma semplici figure che a volte assumevano delle caratteristiche simboliche tanto da divenire vere e proprie maschere.

Per concretizzare tutti questi principi, Malipiero non utilizzò un libretto scritto appositamente, ma si rivolse a testi perfettamente autonomi, tratti dalla poesia antica italiana. Sulle ragioni di questa scelta il compositore non scrisse molto, a parte queste poche righe raccolte nel testo compilativo della sua opera musicale curato da Gino Scarpa: « Il testo delle Sette canzoni è preso dall’antica poesia italiana, perché in essa si ritrova il ritmo della nostra musica, cioè quel ritmo veramente italiano che a poco a poco, durante tre secoli, è andato perdendosi nel melodramma ».4 Un’altra sua dichiarazione a questo proposito è contenuta nel già citato articolo di Scenario del 1938 il compositore scrisse: « Il testo delle canzoni è tratto dall’antica poesia italiana, che spesso ha conservato l’accento della nostra antica e perduta musica popolare ».5 Di nuovo in questa dichiarazione troviamo il termine « accento » come sinonimo di « ritmo », a indicare che il criterio nella scelta delle liriche teneva in gran conto le cadenze, le scansioni, insomma le caratteristiche metriche dei versi antichi che secondo il compositore si sarebbero adattati meglio a esprimere le valenze ritmiche della musica popolare.

Ma vi è di più, infatti Malipiero utilizzò abbastanza liberamente i versi dei poeti antichi italiani che aveva scelto, molto spesso accostando in uno stesso brano, parti di poesie appartenenti ad autori di epoche differenti. Il risultato fu una sorta di collage letterario che a sua volta si adattava alla mancanza di una trama complessiva. Non vi sono dichiarazioni dell’autore che spiegano il perché di questa scelta metodologica, anche se potremmo notare una sorta di correlazione con il suo proposito prettamente musicale di abolire lo sviluppo tematico.6

Certamente la ricerca delle ragioni per cui Malipiero decise di rivolgersi alla letteratura dei primi secoli per trarre le liriche delle proprie musiche è tutt’altro che conclusa e riguarda anche altri compositori del suo tempo. Un contributo importante a tale indagine è sicuramente rappresentato dalla ricerca delle fonti di queste liriche, che è stata resa possibile dalla biblioteca personale del compositore custodita nell’archivio della Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Grazie a questo patrimonio librario è stato possibile rintracciare i libri da cui il compositore trasse i versi per le musiche delle Sette canzoni e fare quindi un confronto tra questi e quelli che troviamo nella partitura originale dell’opera.7

Prima canzone: I Vagabondi

Per il testo di questo primo episodio, ambientato a Venezia con protagonisti un violinista zoppo, un chitarrista cieco e la donna di quest’ultimo, Malipiero utilizzò una raccolta di poesie dei secoli XIII e XIV curata da Giosuè Carducci e pubblicata nel 1912 con il titolo Cantilene e Ballate strambotti e madrigali nei secoli XIII e XIV. La lirica selezionata da Malipiero viene riportata nella raccolta carducciana con il numero XLII e definita dal curatore come « canzone a ballo » tratta da quelle in voga tra il 1533 e 1568.8 Ecco il componimento del volume di Carducci:

O morte dispietata,
Tu m’hai fatto gran torto:
Tu m’hai tolto mia donna
Ch’era lo mio conforto
La notte con lo die
Fin all’alba del giorno.
Già mai non vidi donna
Di cotanto valore
Quanto era la Catrina
Che mi donò il suo amore.
La mi tenne la staffa,
Et io montai in arcione:
La mi porse la lancia
Et io imbracciai la targa:
La mi porse la spada,
La mi calzò la fronte,
La mi mise l’elmetto:
Io gli parlai d’amore.
Addio, la bella sora;
Ch’io me ne vo a Vignone
E da Vignone in Francia
Per acquistare onore.
S’io fo colpo di lancia,
Farò per vostro amore:
S’io moro alla battaglia,
Moro per vostr’onore.
Diran le maritate
– Morto è il nostro amadore – :
Diran le pulzellette
– Morto è per nostro amore – :
Diran le vedovelle
– Vuolsegli fare onore.
Dove il sotterreremo?
N Santa Maria del fiore.
Di che lo coprirremo?
Di rose e di vïole.9

Nello spartito musicale Malipiero prese i versi a partire dall’undicesimo. Dal confronto tra la fonte e quanto riportato in musica emergono le seguenti diversità: Nel testo musicale non vi è la virgola alla fine dei versi 11 e 15. Al verso 16 Malipiero cambiò il termine la fronte con lo sprone mettendo in chiusura un punto e virgola. Il verso 17 termina nello spartito con una virgola e non con due punti, mentre si ricorre ai due punti al posto del punto al verso 18. Il verso 19 Addio, la bella sora diventa nello spartito a dio bella sora con una virgola finale. Nella parte musicale troviamo due punti alla fine del verso 20 e una et al posto di e al verso 21, in chiusura del quale il compositore aggiunse una virgola. Onore del verso 22 diventa honore nello spartito e non vi è la virgola alla fine del verso 23. Ugualmente viene trascurata la virgola che chiude il verso 25 e onore del verso seguente viene trascritto ancora con honore. Non viene riportato il punto alla fine di questo verso e viene invece inserita la virgola alla fine del verso 27 come alla fine del verso 29. Sempre nello spartito ricompare honore al verso 32 e alla fine di questo troviamo il punto e virgola al posto del punto. La domanda del verso 33 non ha nello spartito il punto interrogativo, ma due punti e il verso successivo riporta la in al posto della contrazione. Il verso 36 nella parte musicale non presenta e ma et.

Successivamente dopo una parte dedicata a degli arpeggi di chitarra, vengono fatti cantare al baritono i versi dal 19 al 22 con gli stessi cambiamenti di cui abbiamo fatto riferimento sopra. La sezione finale in cui il cieco realizza di essere stato abbandonato dalla compagna si apre con una doppia invocazione dello stesso all’amata: Maria.

Seconda canzone A Vespro

Per questo secondo dramma ambientato a Roma nella chiesa di Sant’Agostino vi è la declamazione delle litanie dei frati sulla base dell’esecuzione con variazioni del Kirye della gregoriana Missa de Angelis.

Terza canzone Il ritorno

In questo episodio Malipiero narra la storia di una donna che egli vedeva spesso alle pendici del Monte Grappa piangere e disperarsi perché il figlio era morto in guerra. I versi di questa canzone hanno fonti differenti. I primi otto corrispondono ai primi dieci della canzone precedente presa dal testo di Carducci, tranne i versi 5 e 6 che Malipiero decise di tralasciare. Li riportiamo di seguito:

O morte dispietata,
Tu m’hai fatto gran torto:
Tu m’hai tolto mia donna
Ch’era lo mio conforto
[...]
Già mai non vidi donna
Di cotanto valore
Quanto era la Catrina
Che mi donò il suo amore.

In questo testo il compositore operò degli opportuni adattamenti dal momento che a cantare è una madre. Al v. 3 il termine mia donna viene sostituito con mio figlio; in chiusura del verso 4 vi è un punto; al verso 7, che diviene 5 nello spartito, il termine donna viene sostituito con giovane. Il verso 9, 7 nella parte musicale, diventa quanto era lo mio figlio tralasciando Catrina. L’ultimo verso, l’ottavo nello spartito, riporta al posto di il suo amore, il Signore.

È la prima fase dell’esternazione della donna che ancora lucida inveisce contro la morte per la perdita del figlio. Presa quindi dal suo ricordo attenua il dolore col canto di una dolce ninna nanna. I versi di questa parte sono presi da un’antologia di canti popolari toscani curata da Giovanni Giannini e uscita nel 1902.10

Dolce sonno, dal cielo scendi e vieni
Vieni a cavallo, e non venire a piedi:
Vieni a cavallo in una cavallo bianco,
Dove cavalca lo Spirito Santo:
Vieni a cavallo in un bel cavallino,
Dove cavalca anche Gesù Bambino.
Falla, la nanna, ne li dolci sonni!
Mamma ti canta, e tu, piccino, dormi!11

Si tratta di un canto popolare proveniente dalla Maremma pisana come si ricava da quanto riportato dall’annotazione alla fine: Castagneto (Maremma Pisana). In questo caso le differenze tra il testo letterario e quello per la musica riguardano solo la punteggiatura. Al verso 1 dello spartito non compare la virgola dopo sonno, che è presente in conclusione dello stesso verso. Alla fine del verso 2 ci sono i due punti e non la virgola; mentre alla fine del 4 c’è il punto e non i due punti. Sempre nello spartito l’ultimo verso non riporta alcuna virgola.

Successivamente la madre canta quattro versi tratti dal Canto della Madonna di Jacopone da Todi che Malipiero trasse da un testo del 1915 curato da Giovanni Ferri:

O figlio, figlio, figlio! – figlio, amoroso giglio,
figlio, chi dà consiglio, – al cor mio angustiato?
Figlio, occhi giocondi, figlio, co non rispondi?
figlio, perché t’ascondi dal petto ove se’ lattato?12

Anche in questo caso il testo musicale non differisce da quello letterario se non per la punteggiatura. Nello spartito non c’è il punto esclamativo dopo il terzo figlio del verso 1, ma solo una virgola, così come non c’è la virgola dopo il termine figlio di inizio verso 2. Al verso 3, nello spartito troviamo l’apostrofo dopo co, e respondi al posto di rispondi; sempre nella parte musicale non risulta nemmeno la virgola dopo figlio dell’ultimo verso che a sua volta si chiude con un punto esclamativo invece di quello interrogativo presente nella fonte.

Successivamente, un’altra visione prende la madre disperata, che canta questa filastrocca popolare presa ancora dal testo di Giannini:

Fila, fila lunga!
La mamma si raggiunga:
Si raggiunga la badessa.
Si canterà la messa;
La messa e il mattutino.
Si farà un bello inchino.
L’inchino è bello e fatto:
Si farà la pappa al gatto.
Il gatto non la vòle:
Si darà alle gattaiole.
Le gattaiole son sotto il letto:
Ci daranno un bel confetto.13

In questo caso la coincidenza tra i due testi, quello poetico e quello trasposto in musica è perfetta se si escludono solamente i due punti del penultimo verso che nel testo musicato non compaiono. Ripresa ancora dallo sconforto, la madre canta la stessa sequenza di prima tratta da Jacopone che riportiamo per comodità:

O figlio, figlio, figlio! – figlio, amoroso giglio,
figlio, chi dà consiglio, – al cor mio angustiato?
Figlio, occhi giocondi, figlio, co non rispondi?
figlio, perché t’ascondi dal petto ove se’ lattato?14

Questa volta nel testo musicato viene rispettato il punto esclamativo dopo il terzo figlio del verso 1, ma non la virgola dopo il quarto figlio nello stesso verso 1. Sempre nello spartito al verso 2 non c’è la virgola dopo il primo termine figlio né al verso 3. Come precedentemente, nella parte musicata troviamo l’apostrofo dopo co, e respondi al posto di rispondi. Nell’ultimo verso Malipiero non trascrisse la virgola dopo figlio e questa volta invece riportò il punto di domanda finale.

Alla conclusione dell’episodio entrano in scena alcuni giovani che cantano una parte di una poesia popolare intitolata La guerra, che ricorda le incursioni dei Turchi nel sanese e che deriva da un altro testo, del Tommaseo, presente nella biblioteca del compositore:

All’erta all’erta che, il tamburo suona:
I Turchi sono armati alla marina,
La povera Rosina è prigioniera15

Pressoché identico a questo il testo riportato nella parte musicale tranne il fatto che nel verso 1 dopo il primo erta viene riportata una virgola, mentre nello stesso verso, nella parte musicale la virgola non viene posta dopo che, ma dopo il secondo erta. In conclusione Malipiero ripeté il primo verso.

Quarta canzone L’ubbriaco (sic)

L’ambientazione di questo dramma è ancora Venezia con una donna che si apparta dentro casa con un giovane. Mentre i due chiudono la porta, sopraggiunge un ubriaco che canta barcollando. Il giovane a un certo punto esce di casa e con una spinta getta a terra l’ubriaco che a sua volta viene picchiato da un vecchio armato di bastone.

Il testo di questa canzone che è una ballata di Poliziano fu tratto da Malipiero dal seguente libro antico: Rime di M. Angelo Poliziano con illustrazioni dell’abate Vincenzo Nannucci e di Luigi Ciampolini, tomo II, Firenze presso Niccolò Carli, M.DCC.XIV16:

Canti ognun ch’io canterò
Dondolo, dondolo, dondolò:
Di promesse io sono già stucco,
Fa’ ch’omai la botte spilli;
Tu mi tieni a badalucco
Con le mane pien’ di grilli;
Dopo tanti billi, billi
Quest’anguilla pur poi sdrucciola
Per dir pur lucciola, lucciola
Vieni a me, a me che pro?
Pur sollecito, pur buchero
Per aver del vino un saggio,
Quando tutto mi solluchero,
Egli è Santo Anton di Maggio;
Tu mi meni pel villaggio
Per il naso come il buffolo,
Tu mi meni pure a zuffolo:
E tamburo or non più nò.
Tanto abbiamo fatto cu, cu
Che qualcun già ci dileggia,
E se il gioco dura più
Vedrai bella cuccureggia:
Tu sai pur che non campeggia,
La viltà ben con l’amore:
Che le dentro, e che le fuore
Fa’ da te ch’io non ci fò.17

L’ubriaco canta i primi due versi e dopo un’interruzione musicale durante la quale il giovane chiude la porta ed entra con l’amata, il canto dell’uomo riprende ripetendo gli stessi due versi. Le diversità tra il testo letterario e quello musicato riguardano il fatto che la prima volta che vengono cantati i due versi, nello spartito, c’è la sola differenza di un punto alla fine del verso 2 dell’ultimo dondolò che non riporta l’accento; la seconda volta che viene cantato il distico, il terzo dondolò conserva invece l’accento e ancora il punto fermo al posto dei due punti.

Al verso 4 nello spartito l’imperativo fa non riporta l’apostrofo e alla chiusura del verso vi è una virgola al posto dei due punti. Al verso 7 nel testo musicato non c’è la virgola dopo il primo billi e sempre nello spartito manca la virgola dopo la prima lucciola del verso 9, mentre alla chiusura del verso 14 c’è una virgola e non punto e virgola, così come al verso 22. Sempre nello spartito alla fine del verso 17 c’è il punto e virgola al posto dei due punti. Alla fine Malipiero riprende i primi due versi uguali al testo letterario a parte l’ultimo dondolo che non ha l’ultima sillaba “-lo”.

Quinta canzone: La serenata

Ritorna ancora l’ambientazione a Venezia dove di notte vi è una fanciulla che assieme ad altre donne sta vegliando il cadavere di un uomo. Dalla finestra giunge il canto del suo innamorato che contrasta con le preghiere delle donne nella stanza. A un certo punto egli bussa alla porta e viene fatto entrare. Il canto dell’innamorato è preso da una canzone dialogata di Mazzeo di Ricco da Messina, poeta della scuola siciliana. Rossana Dalmonte ritiene derivi dal Ritrovamento d’amore e avvalora la sua ipotesi riferendosi al testo di Giosuè Carducci Antica lirica italiana, Sansoni, Firenze 1907.18 Dalle nostre ricerche la poesia è stata rinvenuta in una raccolta di liriche pubblicata a Firenze nel 1816. Si tratta di una canzone dialogata di cui Malipiero tralasciò la prima strofa, recitata dalla Madonna e prese invece la risposta del Messere.

Donna, se mi mandate
Lo vostro dolce core
Innamorato sì come lo meo,
Sacciate in veritate
Ca per verace amore
Immantenente a voi mando lo meo.
Perché vi deggia dire
Com’eo languisco. e sento
Gran pene per voi, rosa colorita,
E non aggio altra vita,
Se non solo un talento,
Com’io potesse a voi, bella, venire.19

Nella versione musicata il testo non presenta grosse variazioni, tranne una virgola al posto del punto in conclusione del verso 6; il termine deggio al posto di deggia al verso 7; un punto e virgola al posto della virgola in chiusura del verso 9 e per finire il termine potessi invece di potesse al verso 12. Dopo questa parte iniziale vi è per contrasto la preghiera delle donne che coincide con i primi dodici versi del salmo De Prufundis. L’innamorato riprende il canto che è ancora tratto dallo stesso volume di prima:

D’un amoroso foco
Lo meo core è sì preso,
Che m’àve tanto acceso.
Languisco innamorando,
Ond’eo non trovo loco;
Chè Amore m’ha conquiso.
[...]
Pietanza a voi chiero,
E domando mercede;
Cà lo meo core crede
Morire in desïanza.20

Si nota una perfetta coincidenza tra il testo letterario e quello trasposto musicalmente, a parte la virgola del verso 4 che non compare nello spartito e il Chè del verso 6 che nello spartito è senza accento. A metà del canto Malipiero tralasciò otto versi della poesia e alla ripresa, nello spartito, il verso 7 riporta il termine Pietanze e non Pietanza. Sempre nella parte musicale alla fine del verso 8 non c’è punto e virgola ma virgola e nell’ultimo verso il termine desïanza diventa disianza. Ritorna quindi il salmo De prufundis questa volta con l’aggiunta di una parte delle preghiera l’Eterno riposo, in latino. L’ultima sezione del canto dell’innamorato è presa invece da Poliziano, precisamente dal testo in cui Malipiero aveva dichiarato di aver tratto tutti i suoi versi da lui musicati. La rima in questione è la numero XVI:

Acqua, vicini, che nel mio core ardo,
Venite, soccorretelo per Dio!
Che c’è venuto Amor col suo stendardo,
Che ha messo a fuoco, e fiamma lo cor mio.
Dubito che l’ajuto non fia tardo,
Sentomi consumare, ohimé, oh Dio!
Acqua, vicini, e più non indugiate,
Che il mio cor brucia, se non l’ajutate.21

Le uniche modifiche dello spartito riguardano il fatto che manca la virgola alla chiusura del verso 1, virgola che non compare nemmeno dopo fuoco del verso 4. Alla fine di questo verso nella parte musicale non c’è punto ma virgola, mentre al verso 5 il verbo fia diventa sia.

Sesta canzone: Il campanaro

L’ispirazione di questa canzone Malipiero la prese da una scena vista in una chiesa di Ferrara dove mentre si stava svolgendo un funerale, il campanaro canticchiava tra sé, con assoluta indifferenza rispetto al momento tragico, la romanza La donna è mobile. Nella trasposizione teatrale la vicenda è ambientata durante l’incendio di una città con il campanaro che con grande calma mentre suona le campane per avvisare del pericolo, canta una canzone oscena scritta da Poliziano. Si tratta di questa ballata:

Una vecchia mi vagheggia
Vizza, e secca infino all’osso;
Non ha tanta carne addosso
Che sfamasse una marmeggia.
Ella ha logra la gingiva,
Tanto biascia fichi secchi,
Perchè fan della sciliva,
Da immollar bene i pennecchi:
Sempre in bocca vi ha parecchi
Che ‘l palato se gli invisca;
Sempre al labbro ha qualche lisca
Del filar, che la morseggia.
Ella sà proprio di cuojo,
Quand’è in concia, o di can morto;
O di nido d’avvoltojo;
Sol col puzzo ingrassa l’orto;
Or pensate che conforto,
E fuggita è dalla fossa:
Sempre ha l’asima, e la tossa,
E con essa mi vezzeggia.
Tuttavia il naso gli gocciola
Sà di bozzima, e di sugna,
Più scrignuta è d’una chiocciola,
Poi s’un tratto il fiasco impugna,
Tutto il succia come spugna,
E vuole anco ch’io la baci:
Io la grido, oltre va’ a giaci,
Ella intorno pur m’atteggia.
Non tien l’anima co’ denti,
Ch’un non ha per medicina:
I luccianti ha quasi spenti
Tutti orlati di tonnina:
Sempre la virtù divina
Fin nel petto giù gli cola;
Vizza e secca è la sua gola,
Tal che un becco par d’acceggia.
Tante grinze ha nelle gote,
Quante stelle sono in cielo:
Le sue poppe vizze, e vuote
Pajon proprio un ragnatelo:
Nelle brache non ha pelo,
Della peccia fa grembiule,
E più biascia che le mule,
Quando intorno mi volteggia22

Nella parte musicale Malipiero sostituì il punto e virgola con una virgola alla fine dei versi 2 e 10, tralasciò la virgola che concludeva i versi 5 e 13 e ne aggiunse una per terminare il verso 11. Nello spartito non sono riportati i segni della vocale semiconsonantica i ai versi 13, 15 e 40 e il punto e virgola in conclusione ai versi 14 e 15 è sostituito dalla virgola nello spartito, mentre il verso 16 del testo cantato non ha segni di interpunzione così come il verso 18. Dopo l’asima del verso 19 non c’è virgola. Sempre nello spartito al verso 24 la lettera s di s’un tratto diventa d e il finale del verso 28 nella parte musicale viene cambiato in questo modo: ella intorno mi volteggia. Al verso 34 nello spartito c’è una virgola al posto del punto e virgola e al verso 39 dopo vizze non c’è la virgola. Al verso 40 il termine pajon non riporta il segno della “i” semiconsonantica.

Settima canzone: L’alba delle ceneri

Per quest’ultimo episodio l’autore si rifece a una vecchia mascherata italiana risalente al Cinquecento. Viene ambientata in una piccola città e introdotta da un lampionaio che canticchiando spegne i fanali della notte. Arriva il carro della morte con dei pagliacci che gli girano intorno cantando e che poi fuggono atterriti dalla figura della morte che sta nel carro. Uno di loro perde il cappello mentre gli uomini del carro della morte a loro volta se ne vanno cantando. Torna in scena il pagliaccio che vuole recuperare il cappello e si imbatte in una maschera che sta rincasando, con la quale si abbraccia.

Per quanto riguarda la canzone del lampionaio i versi sono tratti dallo stesso componimento musicato nella prima canzone presente nel testo di Carducci del 1912. Malipiero trasse i versi dall’11 al 14, saltò quelli dal 15 al 18 e trascrisse quelli dal 19 al 22:

La mi tenne la staffa,
et io montai in arcione:
la mi porse la lancia
et io imbracciai la targa:
[...]
Addio, la bella sora;
ch’io me ne vo a Vignone
e da Vignone in Francia
per acquistare onore23

Dal confronto tra questo testo poetico e quello riportato nella partitura risulta che il compositore nella parte musicata tralasciò in conclusione del verso 1 la virgola che inserì al posto dei due punti dopo arcione. Nello spartito il verso 4 termina con un punto e al verso 5, che si chiude senza segni di interpunzione, il termine addio viene sostituito con A dio. Il testo musicato presenta invece due punti dopo Vignone del verso 6 e una et al posto di e in quello seguente, in conclusione del quale vi è una virgola che nella fonte non c’è. L’ultimo termine onore è trascritto con honore nello spartito.

La scena finale dell’episodio è un rifacimento di quanto accadeva nella Firenze cinquecentesca durante il Carnevale qualora per le strade della città veniva fatto girare un carro, detto « della Morte » poiché sopra di esso era raffigurata una grandissima immagine della morte con la falce in mano mentre tutt’intorno si svolgevano danze e canti.

Questa mascherata fu descritta da Giorgio Vasari nel settimo volume della sua opera Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architetti.24 Dal momento che tale testo è presente nella biblioteca di Malipiero è molto probabile che il compositore sia stato attratto dalla descrizione del Vasari che ne attribuì l’invenzione a Piero di Cosimo, pittore fiorentino vissuto tra la seconda metà del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento. Nel testo di Vasari viene riportato l’incipit di una delle canzoni che venivano eseguite intorno al carro, una delle quali Malipiero scelse per la sua musica.25 L’autore della poesia è Pietro Alamanni ed è presente in un testo della biblioteca di Malipiero pubblicato a Firenze nel 1559 intitolato Tutti i trionfi, carri, mascheaate ò canti Carnascialeschi andati per Firenze, Dal tēpo del Magnifico Lorenzo vecchio de Medici; quãdo egli hebbero prima cominciamēto, per infino à questo anno presente 1559. Con due tauole, vna dinanzi, e vna dietro, da trouare agieuolmente, e tolto ogni Canto, ò Mascherata.26

Ecco dunque il brano poetico musicato da Malipiero, come appare nel testo della sua biblioteca:

Dolor pianto, e penitenza,
Ci tormenta tutta via;
Questa morta compagnia
Và gridando Penitenza.
Fummo già come voi sete,
Voi sarete come noi;
Morti siam come vedete,
Così morti vedrem Voi:
E di là non gioua poi
Dopo il mal, far Penitenza.
Ancor noi, per Carnovale,
Nostri amor gimmo cantando;
E così di male, in male,
Venauam moltiplicando:
Hor pel mondo andiam gridando
Penitenza, Penitenza.27

Le diversità tra questo brano e quello riportato nello spartito sono minime e riguardano principalmente il fatto che nel libro i versi iniziano sempre con la maiuscola, mentre nella parte musicata non sempre ciò viene rispettato. In quest’ultima perdono la maiuscola anche le parole Penitenza dei versi 4; 10 e 16 e Voi del verso 8. Per la punteggiatura va rilevato che nel verso 1 Malipiero inserì la virgola dopo il termine dolor sopprimendola invece alla fine del verso; chiuse i versi 2 e 6 con un punto e aggiunse una virgola dopo siam del verso 7. I versi 8 e 9 terminano con una virgola. Il verso 11 invece non riporta in conclusione la virgola come il verso 13, mentre il verso 14 ha un punto e non due punti e il 16 si chiude con un punto esclamativo anziché un punto.

Per quanto riguarda il lessico va notato che il verbo tormenta del verso 2 nello spartito segue l’accordo grammaticale e assume quindi la forma plurale tormentan, mentre tuttavia del verso 2 nel testo letterario si componeva di due parole. Il verso 12 nella parte musicale diventa un novenario grazie all’aggiunta della vocale i. Venauam del verso 14 viene adattato in musica con venivam e il termine hor del verso 16 diventa or.

Si tratta di variazioni che come le altre rilevate sinora non hanno un effetto determinante nella trasposizione musicale, anche perché Malipiero in tutta l’opera ha sempre dimostrato un grande rispetto per l’integrità del testo poetico e per la divisione metrica dei versi.

Va precisato che non vi sono elementi da cui possiamo arguire una sorta di impegno filologico da parte del compositore nel ricostruire il testo anche se è innegabile che i poeti dei primi secoli della letteratura italiana costituivano una parte fondamentale del suo interesse culturale. Molto probabilmente Malipiero da grande appassionato di letteratura e di antichità poteva essere stato attratto nelle sue letture da qualche poesia che avrebbe volutamente messo da parte fino a quando vi avrebbe trovato una melodia adatta.

D’altro canto risulta che attraverso quei versi di poesia antica egli riuscì a fornire delle nuove possibilità espressive alle sue esigenze musicali che andavano al di là della richiesta di un semplice libretto scritto a bella posta. Anche attraverso la struttura delle Sette canzoni Malipiero dimostrò di non voler costruire un dramma complesso con una trama che riempiva l’intera composizione, ma semplicemente di dare vita a dei piccoli episodi tragici e autobiografici per i quali meglio si adattavano dei singoli testi già autonomi. Anche per questa via ritroviamo il carattere fortemente innovativo delle Sette canzoni.

Bibliografia

Opere di Malipiero e saggi critici

Rossana Dalmonte, Le fonti letterarie del teatro di Malipiero (l’«Orfeide»), in Luigi Pestalozza (a cura di), G. F Malipiero e le nuove forme della musica europea, Milano, Unicopli, 1984.

Gian Francesco Malipiero, Che direbbero i nostri Nonni? in La Follia, New York, 29 giugno 1925 [data desunta], in Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero.

Gian Francesco Malipiero, Il filo d’Arianna - Saggi e fantasie, Milano, Einaudi, 1966.

Gian Francesco Malipiero, L’armonioso labirinto: Teatro da musica 1913-1970, a cura di Marzio Pieri, Venezia, Marsilio, 1992.

Gian Francesco Malipiero, Memorie utili: ovvero come nasce in un musicista il desiderio di scrivere per il teatro, in Scenario, 3, marzo 1938, pp. 107 - 110, in Maria Teresa Muraro, (a cura di), Malipiero scrittura e critica, Firenze, Olschki, 1984.

Gian Francesco Malipiero, Sette canzoni – sette espressioni drammatiche, riduzione per pianoforte e canto, London, J & W Chester, 1918.

Messinis Mario (a cura di), Omaggio a Malipiero, Atti del convegno di Studi malipieriani promosso dalla Fondazione Giorgio Cini, Venezia 29-30 maggio1972, Firenze, Olschki, 1977.

Cecilia Palandri (a cura di), Gian Francesco Malipiero il carteggio con Guido M. Gatti 1914-1972, Firenze, Leo S. Olschki, 1997.

Gino Scarpa, (a cura di), L’opera di Gian Francesco Malipiero: saggi di scrittori italiani e stranieri, con una introduzione di guido M. Gatti, seguiti dal catalogo delle opere con annotazioni dell’autore e da ricordi e pensieri dello stesso, Treviso, Canova, 1952.

Libri antichi presenti nella biblioteca di Malipiero

Luigi Alamanni, Coltivazione, Milano, società Tipografica de’ Classici Italiani, 1804.

Giosuè Carducci, Cantilene e Ballate strambotti e madrigali nei secoli XIII e XIV, Sesto S. Giovanni, Madella, 1912, p.72, (Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero).

Giovanni Giannini, Canti popolari toscani, Firenze, G. Barbera, 1902, p. 3 (Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero).

Poeti del primo secolo della lingua italiana in due volumi raccolti, Vol. 1, Firenze 1816, p. 323-324 (Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero).

Rime di M. Angelo Poliziano con illustrazioni dell’abate Vincenzo Nannucci e di Luigi Ciampolini, tomo II, Firenze presso Niccolò Carli, M.DCC.XIV (Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero).

Niccolò Tommaseo, Canti popolari toscani corsi illirici, greci raccolti e illustrati da N. Tommaseo, Venezia, dallo stabilimento tipografico enciclopedico di Girolamo Tasso, 1841. vol. 1, p. 184 (Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero).

Tutti i trionfi, carri, mascheaate ò canti Carnascialeschi andati per Firenze, Dal tēpo del Magnifico Lorenzo vecchio de Medici; quãdo egli hebbero prima cominciamēto, per infino à questo anno presente 1559. Con due tauole, vna dinanzi, e vna dietro, da trouare agieuolmente, e tolto ogni Canto, ò Mascherata, Firenze, MDLVIIII, pp.131,132 (Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero).

Giorgio Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architetti, Milano, dalla Società Tipografica de’ Classici Italiani, vol. 7, 1809 (Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero).

Gian Francesco Malipiero e il suo pianoforte preferito (foto di Giancarlo Scalfati)

Gian Francesco Malipiero e il suo pianoforte preferito (foto di Giancarlo Scalfati)

Note de fin

1 Si tratta di Elen e Fuldano composta tra il 1907 e 1909 e Canossa scritta nel 1911. L’articolo in questione è il seguente: Gian Francesco Malipiero, Memorie utili: ovvero come nasce in un musicista il desiderio di scrivere per il teatro, in Scenario, 3, marzo 1938, p. 107-110, in Maria Teresa Muraro, (a cura di), Malipiero scrittura e critica, Firenze, Olschki, 1984, p. 145-151;145. Lo stesso articolo uscirà in modo più sintetico con il titolo Come nasce nei musicisti il desiderio di scrivere per il teatro, in Il Popolo – Gazzetta della Sera, 17, 18 marzo 1938.

2 Lettera da Malipiero a Gatti del 5 agosto 1919, in Cecilia Palandri (a cura di), Gian Francesco Malipiero il carteggio con Guido M. Gatti 1914-1972, Firenze, Leo S. Olschki, 1997, p. 47.

3 Gian Francesco Malipiero, « Del dramma musicale italiano e dei suoi pregiudizi », in Musica - settimanale di cultura e di cronaca, 8 giugno 1913, Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero, Scritti, Articoli a stampa raccolti in album. Non figura il numero di pagina.

4 Gino Scarpa, (a cura di), L’opera di Gian Francesco Malipiero: saggi di scrittori italiani e stranieri, con una introduzione di Guido M. Gatti, seguiti dal catalogo delle opere con annotazioni dell’autore e da ricordi e pensieri dello stesso, Treviso, Canova, 1952, p. 192.

5 Gian Francesco Malipiero, Memorie utili: ovvero come nasce in un musicista il desiderio di scrivere per il teatro op. cit., p. 147.

6 Contro lo sviluppo tematico si sarebbe espresso chiaramente in un articolo del 1925 intitolato Che direbbero i nostri Nonni? nel quale sostenne che se lo sviluppo tematico risultava comodo perché facilitava la scrittura musicale, aveva il difetto maggiore nella mancanza di originalità impedendo il libero susseguirsi delle idee musicali. Gian Francesco Malipiero, Che direbbero i nostri Nonni? in La Follia, New York, 29 giugno 1925 [data desunta], Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero.

7 Gian Francesco Malipiero, Sette canzoni – sette espressioni drammatiche, riduzione per pianoforte e canto, London, J & W Chester, 1918.

8 Giosuè Carducci, Cantilene e Ballate strambotti e madrigali nei secoli XIII e XIV, Sesto S. Giovanni, Madella, 1912, p. 72 (Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero).

9 Ivi, pp.73,74.

10 Nella prima pagina di questo libro, Malipiero riportò a penna questa annotazione: « Quasi tutti i miei canti popolari vengono di qui. G. Francesco Malipiero – Roma 1918 – Asolo 1962 ».

11 Giovanni Giannini, Canti popolari toscani, Firenze, G. Barbera, 1902, p. 3 (Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero).

12 Giovanni Ferri (a cura di), Jacopone da Todi Le laude - secondo la stampa fiorentina del 1490, Bari, Gius. Laterza & figli tipografi-editori-librai, 1915, p. 230 (Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero).

13 Giovanni Giannini, op.cit., p. 77.

14 Giovanni Ferri (a cura di), op. cit., p. 230.

15 Niccolò Tommaseo, Canti popolari toscani corsi illirici, greci raccolti e illustrati da N. Tommaseo, Venezia, dallo stabilimento tipografico enciclopedico di Girolamo Tasso, 1841, vol. 1, p. 184 (Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero).

16 Anche in questo libro troviamo dopo la copertina la seguente annotazione in penna del compositore: « Tutte le poesie di Angelo Poliziano che musicai provengono da qui. G. Francesco Malipiero Roma 1918-Asolo 1962 ».

17 Rime di M. Angelo Poliziano con illustrazioni dell’abate Vincenzo Nannucci e di Luigi Ciampolini, tomo II, Firenze presso Niccolò Carli, M.DCC.XIV, p. 27;28 (Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero).

18 Rossana Dalmonte, « Le fonti letterarie del teatro di Malipiero (l’“Orfeide”) », in Luigi Pestalozza (a cura di), G. F Malipiero e le nuove forme della musica europea, Milano, Unicopli, 1984, p. 108.

19 Poeti del primo secolo della lingua italiana in due volumi raccolti, vol. 1, Firenze 1816, p. 323-324 (Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero).

20 Ivi, p. 117.

21 Rime di M. Angelo Poliziano…, op. cit., p. 73.

22 Ivi, p. 30;31.

23 Giosuè Carducci, Cantilene e Ballate…, op. cit., p. 73.

24 Giorgio Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architetti, Milano, dalla Società Tipografica dei Classici Italiani, vol. 7, 1809 (Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero).

25 Ivi, p. 194.

26 Che la poesia sia stata scritta da Pietro Alamanni è certo, ma è altresì curioso notare come in una lettera di Malipiero a Gatti del 5 agosto 1919, nella quale il compositore accennava alla fonte dei testi musicati nelle Sette canzoni, egli attribuì questo passaggio non ad Antonio, ma a Luigi Alamanni. Quest’ultimo poeta era a sua volta presente nella stessa collezione di testi di Malipiero con un suo volume di argomento didascalico: Luigi Alamanni, Coltivazione, Milano, società Tipografica de’ Classici Italiani, 1804.

27 Tutti i trionfi, carri, mascheaate ò canti Carnascialeschi andati per Firenze, Dal tēpo del Magnifico Lorenzo vecchio de Medici; quãdo egli hebbero prima cominciamēto, per infino à questo anno presente 1559. Con due tauole, vna dinanzi, e vna dietro, da trouare agieuolmente, e tolto ogni Canto, ò Mascherata, Firenze, MDLVIIII, p. 131;132 (Istituto per la Musica, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Malipiero).

Illustrations

Citer cet article

Référence électronique

Vinicio Corrent, « Le fonti poetiche italiane delle Sette canzoni di Gian Francesco Malipiero », Line@editoriale [En ligne], 11 | 2019, mis en ligne le 08 février 2024, consulté le 25 avril 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/1282

Auteur

Vinicio Corrent

Il Laboratorio

vinypianoman@yahoo.it

Articles du même auteur