La crisi istituzionale e populista del governo giallo-verde (2018-2019) vista dal teatro contemporaneo italiano

Con contributi di E. Aldrovandi, M. Bacchini, C. Boscaro e M. Di Stefano, T. Caspanello, T. Granata

Résumés

La crisi istituzionale e populista del governo giallo-verde (giugno 2018-settembre 2019) vista dal teatro contemporaneo italiano: un’analisi del governo Conte I con la descrizione di alcuni momenti ed eventi fondamentali, illustrato da contributi drammaturgici inediti di E. Aldrovandi, M. Bacchini, C. Boscaro e M. Di Stefano, T. Caspanello, T. Granata.

The populist and institutional crisis of the yellow-green government (Italy, June 2018-September 2019) through italian contemporary theatre: an analysis of the Conte I government period, with the description of the main events, illustrated by dramaturgical texts written by E. Aldrovandi, M. Bacchini, C. Boscaro e M. Di Stefano, T. Caspanello, T. Granata.

Plan

Texte

Nota dell’autore del 25 aprile 2020 : va precisato che questo articolo riprende e sviluppa alcune considerazioni esposte nell’ambito della giornata di studi « Teatro e crisi » che si tenne all’università di Tolosa il 22 novembre 2019. La crisi sanitaria internazionale del coronavirus Covid-19 ha ovviamente modificato profondamente le prospettive. Tuttavia, si è scelto di non modificare troppo il testo alla luce degli eventi recenti giacché alcuni spunti, contestuali agli anni 2018 e 2019, vanno considerati anche nella loro atemporalità.

Stéphane Resche: la crisi istituzionale e populista vista dal teatro contemporaneo

Erano gli ultimi giorni del 2017. Il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella decideva di sciogliere le camere (Senato e Camera dei deputati), con qualche mese di anticipo. Ne approfittò per annunciare, il 28 dicembre, l’organizzazione di elezioni che si sarebbero tenute tre mesi dopo per il rinnovo dei rappresentati della camera e del senato italiani. Le urne furono aperte il 4 marzo 2018, e 630 deputati e 315 senatori vennero eletti, sancendo l’inizio della XVIII° legislatura.

Il tasso di partecipazione, del 73% circa, fu considerato come storicamente basso se paragonato a tutte le altre occasioni recensite dal 1948 (con un abbassamento del 2,3% rispetto alle precedenti elezioni simili, nel 2013).

I risultati : una coalizione del centro-destra (che includeva segnatamente la Lega di Matteo Salvini 17% e i rimasugli di Forza Italia di Berlusconi 14%) ricevette circa il 37 % dei suffragi. Fu seguita dalla lista indipendente del Movimento 5 Stelle, con un sorprendente 32% delle votazioni. La coalizione del centro-sinistra ottenne invece circa il23% (con la partecipazione, tra i vari partiti, del PD, che culminò a 19% all’incirca).

Questa strana configurazione, che vide tre poli compositi affrontarsi, poli di cui i sondaggi confermavano l’emergenza già da qualche anno, non permise nessuna maggioranza chiara per la costituzione di un governo. Per ben 89 giorni (record in ambito), le consultazioni presso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si moltiplicarono, così come gli annunci e le dichiarazioni degli uni e degli altri, e la minaccia di un governo tecnico – un’abitudine italiana dall’avvento della crisi economica nel 2007 – riaffiorò. In breve, i vari tentativi non permisero di concludere niente…

Discorso di Matteo Salvini dopo la consultazione con il Presidente Mattarella :

https://www.youtube.com/watch?v=LWDRXYvctwE

Intervento di Matteo Salvini su youtube, 28 maggio 2018 :

https://www.youtube.com/watch?v=Lm-hhEmkQdo

… finché un’intesa, tanto inedita quanto difficilmente conciliabile non si rivelasse.

Matteo Salvini, che brandiva sia i 17% ottenuti per sé sia le briciole ottenute dai partiti estremi a lui alleati, decideva, per poter far propendere un governo a suo favore, di rompere l’accordo di coalizione del centro-destra firmato con Forza Italia (partito ancora troppo legato a Berlusconi e, in quel momento, come lui, in perdita di sostegno popolare). Dal suo canto, il M5S, tanto guidato dalla figura satellitare di Beppe Grillo, giullare mediatico, quanto da Luigi Di Maio, giovane promessa del movimento auto-dichiarato non politico-del-vecchio-mondo, rimangiava buona parte delle proprie aspirazioni etiche e accettava di formare un governo di circostanza. Quest’ultimo fu, difatti, presto qualificato con l’aggettivo « giallo-verde » (essendo i due aggettivi relativi ai colori sfoggiati dai due partiti, il verde della tradizione alpestre padana, e il giallo smagliante delle stelle). Quando faccio riferimento alle aspirazioni abbandonate, mi riferisco soprattutto a ripetute dichiarazioni (in particolare nel corso della primavera del 2018) nelle quali i principali rappresentanti del M5S si erano giurati di non trattare mai con i partiti del vecchio mondo, né il PD, né Forza Italia, e meno che meno con i leghisti, in quanto erano questi ultimi consueti e protesi a proposte xenofobe, quando appunto il M5S, populista e riformatore, soffriva di paragoni con il partito storico della Padania, segnatamente per le posizioni già adottate nei confronti dei migranti e delle politiche migratorie da applicare per la penisola italica.

Una volta l’intesa giallo-verde stabilita (a fine maggio 2018), la lotta politico-mediatico fu intensa. Critiche a raffica, così come le accuse di illegittimità, da parte dei partiti di destra, sinistra, oppure centro. Oltretutto, una domanda fondamentale ritardò l’annuncio definitivo della costituzione del governo : chi avrebbe presidiato al consiglio dei ministri ? Giacché era chiaro che Salvini come Di Maio ambivano alla posizione di Presidente del Consiglio per poter attuare al meglio i rispettivi programmi.

Alla fin fine, non ottennero l’incarico né Di Maio né Salvini. È probabile che i loro ego avessero neutralizzato a vicenda le aspirazioni in campo, il ché diede spazio ad un politicus vivendi del meno-peggio. Oppure pensavano di poter agire per conto proprio malgrado la stesura del cosiddetto « contratto di governo »? Ipotesi da non escludere se si considerano gli eventi che ebbero luogo in seguito.

Fu un giovane giurista di 54 anni, mai eletto in passato, ufficialmente non tesserato ma di convinzione piuttosto di sinistra e, di recente, di sensibilità pentastellata non celata, tale Giuseppe Conte, ad essere nominato Premier e quindi incaricato di scegliere i vari ministri. Salvini ricevette l’inevitabile Ministero dell’Interno, quando Di Maio riuscì a farsi affidare l’indispensabile doppio ministero dello Sviluppo economico e del Lavoro. Salvini e Di Maio furono ugualmente nominati entrambi Vice-presidente del Consiglio dei Ministri, titolo che non era stato più assegnato dal 2006 (governo Prodi II, quando furono Rutelli e D’Alema a ricevere tale distinzione), come per ricordare a tutti che la posta in gioco era di mettere a confronto i due leader che sarebbero poi stati arbitrati da un neutrale ed inaspettato direttore di gara.

Quest’esperienza di governo si è conclusa (in effetti, dal 5 settembre 2019, è in corso il Conte II). La sua durata (1 anno, 3 mesi, 4 giorni) può essere considerata come media se la si paragona agli altri esempi datici dalla storia politica italiana repubblicana (il Conte I si trova al 23°/66 posto, classifica guidata dai governi Berlusconi II e IV dei primi anni 2000, che durarono circa 3 anni e mezzo ognuno).

Il governo Conte I fu, come tanti/tutti i governi, costellato di vari scandali. Ecco un piccolo riassunto dei casi principali che, lungi dal costituire una lista esaustiva né un processo a carico partigiano (ogni governo ha i propri difetti, limiti ed intralci), rivela piuttosto il tenore delle incrinature principali dell’associazione di governo giallo-verde. Cosicché questa lista espone gli eventi critici che in fin dei conti hanno, forse, accelerato la caduta dell’esperienza giallo-verde, mettendo in luce gli aspetti più criticabili dal mero punto di vista democratico e sociale :

– furono innanzi tutto espresse delle critiche nutrite nei confronti di Di Maio per un potenziale forcing riguardo al condono di Ischia che diede la possibilità ai proprietari di palazzi, anche quelli costruiti illegalmente, sull’isola eponima di poter pretendere al sostegno dello Stato per la ricostruzione consecutiva al sisma del 2017 (ricordiamo che la famiglia Di Maio possiede a Pomigliano una proprietà la cui legalità immobiliare fu confermata solo nel 2006) ;

– venne rivelata l’inchiesta sulla scomparsa dei finanziamenti pubblici concessi alla Lega (circa 49 milioni di euro) ;

– il Moscagate (relazioni occulte, finanziamenti non chiari, tra Lega e Russia, che convergevano verso la figura controversa di Savoini, leghista tesserato – malgrado le dichiarazioni contrarie di Matteo Salvini – sempre presente agli incontri tra i vertici del partito della Lega e personalità dell’entourage di Vladimir Putin);

– il voto del Decreto sicurezza e immigrazione, probabilmente il documento più criticabile degli ultimi anni, che fu applicato nel novembre 2018 dopo una firma dei vari ministri del Conte I chiamati in causa. Il decreto fu in seguito rinnegato dal M5S. Esso fu del resto sospinto dalle dichiarazioni virulente del Ministro dell’Interno Salvini nei confronti di ONG, navi umanitarie (Diciotti, SOS Méditerranée). Per esempio, l’attivista e comandante tedesca Carola Rackete fu definita « zecca » dal ministro, nel giugno 2019. È oggi in corso una procedura legale contro Matteo Salvini ;

– proseguirono le tensioni per il cantiere della TAV Lyon-Torino, che il M5S aveva promesso di interrompere – promessa lanciata in periodo elettorale –, ma che mai fu fermato ;

– lo scandalo dell’ILVA di Taranto, al contempo « disastro sanitario e sisma sociale » come fu definito da alcune testate giornalistiche, costituisce tutt’ora di un altro campo minato per il M5S ;

– non vanno dimenticate le tensioni tra il governo Conte I e l’Unione Europea sul montaggio finanziario del deficit nazionale, problema ricorrente dalla crisi economica decennale, senza parlare delle dichiarazioni avventate dei membri del governo, e in particolare antifrancesi, per altre anti-americane, o persino anti-straniere, purtroppo concordanti con il sovranismo rivendicato dai tanti gialli e tanti verdi ;

– il rapporto tra religione e politica fu invece un tema sapientemente sfruttato da Matteo Salvini, quand’anche esso scivolò più volte sulla questione delle relazioni stato-mafia ;

– infine, lo scandalo del Papeete, dal nome della discoteca dalla quale Salvini (gasato dai sondaggi estivi) richiese i « pieni poteri » agli italiani, rivelando in tal senso simbolicamente le proprie aspirazioni e firmando probabilmente la fine dell’avventura del governo Conte I.

Si può dire ormai che il governo Conte I fu, in realtà, innanzi tutto quello di un Salvini (pre-potente e onnipresente, che non fu fermato da nessun se non dalle proprie bordate auto-centrate ; d’altronde, fu il governo di un Di Maio schiacciato e diviso tra le necessità politiche di un’organizzazione nuova e perfettibile (il M5S) la quale, per governare, dovette per la prima volta accettare la critica invece di inocularla ; infine, fu il governo di un Giuseppe Conte spento, preso tra il martello e l’incudine.

Conte riceve i consigli di Di Maio prima del suo discorso, 6 giugno 2018 :

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/06/06/governo-conte-si-consulta-con-di-maio-prima-del-discorso-salvini-richiamato-da-fico-si-sieda-tra-i-banchi-dellesecutivo/4408498/

Articolo su Di Maio : Oggi lo stato siamo noi !, 6 giugno 2018 :

https://www.repubblica.it/politica/2018/06/02/news/governo_conte_bocca_della_verita_festa_m5s_beppe_grillo-198012296/

Giuseppe Conte, malgrado il mea culpa presentato durante il discorso di fine legislatura nel corso dell’estate 2019, è stato però chiamato a formare un nuovo governo nel settembre 2019 dal Presidente Mattarella. Lo spettro delle elezioni che avrebbero potuto far comodo a Salvini intimoriva la maggior parte dei capi politici. Ho detto « però » giacché il discorso di Giuseppe Conte, che prendeva di mira i misfatti di Salvini, fu, a ragione, profondamente criticato da Emma Bonino in termini che ci appaiono al contempo chiari, concisi e pertinenti :

Lei signor presidente ha tenuto fede al suo dovere istituzionale di riferire in parlamento. Ne prendo atto e ne prendiamo atto con piacere, ma devo anche dirle che tutta una parte della sua relazione, rispetto a un fatto o l’avvenuto degli ultimi 15 mesi, come dire… è un po’ tardiva, perché le dissociazioni postume da un ministro di cui si è coperta – fino a ieri – ogni scelta, ogni atto, ogni decreto, ogni comportamento… queste dissociazioni postume mi sembrano un po’ troppo comode. (Emma Bonino, a Giuseppe Conte, 20 agosto 2019)

Torniamo alla primavera del 2018. La potente crisi politica italiana era appena iniziata in un’atmosfera di crisi economica decennale. Nel cuore del periodo grigio che ha attraversato il paese, subito dopo le elezioni ma prima che un governo fosse nominato, ho voluto conversare con drammaturghi italiani. Ho quindi contattato alcuni di loro (in realtà, coloro che avevo avuto la possibilità di incontrare per via delle attività di Eurodram, rete europea di traduzione teatrale, o tramite i progetti editoriali della collezione « Nouvelles Scènes Italien » delle Presses Universitaires du Midi).

Era il 18 maggio. La precisione temporale è utile poiché comprova che tutto ciò ebbe luogo prima dell’inizio del Conte I, nonché due mesi dopo le elezioni legislative, nel momento in cui la crisi politica era al culmine, e in cui le posizioni dei partiti sembravano polarizzarsi, promettendo lunghi mesi di indecisione, un po’ come quello che era accaduto in Spagna, Grecia, nel corso degli ultimi anni.

Sei autori mi hanno risposto : Emanuele Aldrovandi, Matteo Bacchini, Chiara Boscaro e Marco Di Stefano, Tino Caspanello e Tindaro Granata.

In un primo tempo, ho chiesto loro di dirmi quali testi, di teatro e non, sembravano in grado di aiutarci a capire la crisi politica attraversata dall’Italia (si trattava di indicare alcune opere per circoscrivere meglio il loro pensiero, e la loro inclinazione politica, aldilà delle convinzioni elettorali le quali sono rimaste taciute).

Peraltro, o soprattutto, ho proposto loro di immaginare un testo corto, inedito, creativo, che potesse assomigliare ad un programma politico o a un discorso, oppure ad uno slogan, un twitt’. Questo testo poteva essere attribuito ad un esponente politico reale o ideale, parodico o surreale, in altri termini una persona che avrebbe potuto risolvere la crisi di governo, oppure approfittarne, deviarla, e comunque incarnarla. Precisavo a riguardo nella mia mail il nome degli esponenti politici forti del periodo: Salvini, Di Maio, Berlusconi, Renzi..., ma senza chiedere agli autori di integrarli per forza nel loro testo. In questo modo, ho voluto sondare la capacità analitica e visionaria degli autori, del teatro, del palco, per poi proporre ad un pubblico più vasto una raccolta di queste produzioni.

Infine, ho imposto agli autori volontari una scadenza: fine dicembre 2018. Non sapevo quanto tempo ancora sarebbe durato lo stallo governativo, né quel che sarebbe avvenuto dei risultati delle elezioni. Ma pensavo segretamente (e un po’ inconsciamente) che, tra le esitazioni individuali dei capi e la fragilità ostentata delle coalizioni possibili, il tempo avrebbe permesso di studiare la capacità del teatro di attraversare la storia in progress, di impadronirsene, di illuminarla con una luce nuova.

Le produzioni ricevute mettono in evidenza, mi pare, ciò che ha potuto essere in gioco nel corso di quei mesi, e ciò che una parte degli Italiani riceve, percepisce, delle poste politiche in gioco per il futuro.

Il primo testo è quello di Matteo Bacchini. Si intitola Io adesso. È composto da due parti. La prima è un monologo che incentra il mondo della politica del 2018. La seconda è un dialogo rapido tratto da un lavoro allora inedito, Libera.

Tanto per la prima parte, un flusso di coscienza, quanto per la seconda, un botta e risposta più classico, l’autore ha tenuto a precisare che gli interlocutori sono degli « uno qualunque ».

Sebbene Bacchini non vi si riferisca, ci è parso in un primo tempo plausibile che si trattasse di un tocco di « qualunquismo », termine politico specifico che, a ben osservarlo, combacia con delle realtà palpabili oggigiorno. In Italia, come ben si sa, il qualunquismo è innanzi tutto associabile al movimento politico Fronte dell’Uomo Qualunque che nacque con la rivista eponima pubblicata dal dicembre 1944 in poi. Oggi, il M5S è regolarmente paragonato al qualunquismo storico. Quest’ultimo è caratterizzato da una diffidenza nei confronti delle istituzioni, dei partiti politici, dei rappresentanti politici, della politica in generale, considerata come lontana dalle realtà, e come un ostacolo all’autonomia delle scelte individuali.

Tuttavia, Bacchini precisa che il testo Io adesso non costituisce una critica del qualunquismo storico o di quello attuale.

Io adesso critica il PD e tutto quel mondo di sinistra “rosa” che è corresponsabile della situazione politica perché non legge la realtà, non vede i problemi e non indica soluzioni (e quindi inevitabilmente perde le elezioni).

Il personaggio principale di Io adesso si lascia andare a conclusioni che potrebbero sembrare affrettate e impulsive, nonché a scorciatoie logiche che paiono mettere in risalto la disillusione che abita il protagonista.

[…] e non dico a nessuno che se in dieci milioni votano gente che non capisce una mazza io non mi arrabbio ma mi viene la tristezza e va bene ma se io invece di lavorare per esempio in fabbrica o in teatro lavoro in un giornale o in un partito tanto per fare un esempio la tristezza devo farmela passare alla svelta e devo mettere in moto il cervello invece e capirci qualchecosa quando nessuno intorno capisce niente che è anche un vantaggio competitivo mi sembra e invece no invece di capirci qualchecosa io faccio le correnti che si chiamano Towanda e Harambee e a me quando sento queste cose mi viene da piangere perché al mio paese siamo fatti così che ci vergogniamo anche delle brutte figure degli altri e allora prendo il terzo aperitivo e fanno quindici euro perché al mio paese siamo fatti così che il bicchiere di malvasia da mille lire è diventato il calice di bollicine da 5 euro...

(tratto da Io adesso, di Matteo Bacchini)

Ma in realtà, il protagonista – come precisa a riguardo l’autore – è « […] assolutamente in grado di strutturare la propria vita, sicuramente meglio di come il PD struttura il suo galleggiamento politico. » Bacchini prosegue : « Le sue conclusioni non sono impulsive (sono dieci anni che le medita!) e non è disilluso: è ferocemente arrabbiato. Lo so, perché il personaggio di Io adesso sono io. »

E l’alcol ? Prende il sopravvento o sarà solo un impressione ? Malgrado le parvenze, il personaggio non è vittima di decisioni politiche altrui, casomai testimone, e purtroppo per lui è anche sobrio (“la malvasia che diventa un calice di bollicine è la metafora di come da Bersani si è finiti a Renzi”, precisa Bacchini). Finisce nonostante tutto con l’essere trascinato via dal suo stream of (in)consciousness e dalle (in)decisioni politiche. Bacchini mi scrisse in una mail :

La morale è che son capaci tutti di rovinare l’Italia governando 40 anni come una DC qualsiasi.
Ma per rovinare l’Italia stando all’opposizione, bisogna avere del talento.
Quando Veltroni ha fatto il discorso del Lingotto dieci anni (27 giugno 2007) fa, mi ricordo che ho pensato « qui va a finire male ». Non so perché. Il discorso diceva cose giuste. Erano le facce intorno al discorso che erano sbagliate. Così ho pensato « qui va a finire male ».
Mi sbagliavo. È andata a finire malissimo. E non è ancora finita.

(Matteo Bacchini)

Si possono scorgere i sapori di una simile amara constatazione nella seconda parte del testo di Bacchini. L’autore mette in scena la rabbia degli elettori che hanno perduto ogni punto di riferimento già tanti anni fa. Le politiche nuove non sembrano all’altezza delle poste in gioco ereditate dalla fine della guerra fredda :

Aurelio che impressione,
è la prima volta dal ’48 che andiamo a votare
e sulla scheda non c’è la falce e martello.
Sulla mia c’era, Libera.

Davvero Aurelio?
Sì Libera.
Ce l’ho messa io.

In che senso Aurelio?
Nel senso che ho aperto bene la scheda
e con la matita ci ho disegnato una falce e martello grande così
che a momenti usciva dal foglio.

Ah.
Non lo so se vale Aurelio.
Credo di no Libera.
Anche perché sotto c’ho scritto in stampatello
MA ANDATE TUTTI A CAGARE

Ah.
E adesso Aurelio?
Adesso niente Libera.
Ma vuoi mettere la soddisfazione?

(da LIBERA, di Matteo Bacchini)

Semplicemente, esplicita Bacchini, i personaggi « rifiutano il concetto che la scelta fra Renzi, Di Maio e le ruspe di Salvini sia l’unica scelta possibile. Nella loro ingenuità letteraria, introducono nello schema politico la mossa del cavallo: in attesa di votare di nuovo per Moro e Berlinguer, disarcionano i pericolosi incapaci che affollano la scheda (e che tolgono spazio ai futuri Moro e Berlinguer). » Una strategia efficace ? Bacchini risponde : « A me sembra di sì, visto che nel frattempo Renzi è sparito, Di Maio lo sarà presto e le ruspe tacciono. »

Sembra comunque che la crisi abbia spinto la gente fino al limite. Ma, in fin dei conti, come funziona questa meccanica deleteria ? Tino Caspanello ha provato a rispondere. Il drammaturgo siciliano ha ammesso di avere avuto difficoltà a estrarsi dalla situazione politica per poter dare una risposta che non fosse puro commento :

Beh l’argomento non è facile, si rischia di cadere nella retorica della crisi, nei luoghi comuni, nelle invettive, sterili a teatro se rimangono tali. Per me, le crisi sono sempre generate, perché qualcuno nelle crisi fa sempre buoni affari, i governi sicuramente e chi li appoggia. E basta fare mancare l’acqua o darla goccia a goccia per generare crisi e dipendenza. È quello che tutti stanno facendo....

(Tino Caspanello)

Alla fine, Caspanello ha inviato un brano di 1952, a Danilo Dolci (2011) il quale, secondo lui, esprimeva in modo metaforico il significato della crisi. Il lavoro 1952, a Danilo Dolci si incentra poeticamente sul pensiero dell’attivista, sociologo, poeta e saggista siciliano Danilo Dolci (1924-1997), cantore della non violenza e analista delle differenze tra comunicazione e trasmissione, e tra potere e dominazione, segnatamente nell’ambito della lotta contro la mafia in Sicilia.

Il brano della pièce scelto da Caspanello è quello in cui un politico descrive la forza del potere quand’esso scaturisce da una dipendenza profonda, in particolare quando questa dipendenza è generata durante una crisi, e amministrata a scopo coercitivo. La crisi è quindi un arnese di gestione dell’asservimento. Non è perciò una conseguenza pregiudizievole, ma si pone bensì all’origine dei rapporti sociali:

La natura, la natura bisogna osservare. Esempi ce ne offre a migliaia. Uno fra tutti, e questa è una storia che racconto sempre ai miei colleghi: la pianta del limone. Dopo che si sono raccolti i frutti, alla pianta si toglie l’acqua, le si provoca una crisi che la porta lentamente verso la morte, lentamente. A un certo punto, dopo un certo periodo, l’agricoltore ricomincia a dare l’acqua alla pianta, che rifiorisce e fruttifica un’altra volta. È, ovviamente, una fioritura forzata, ma i frutti sembrano migliori di quelli che la pianta fa normalmente. Ecco, bisogna fare come gli agricoltori, ma con qualche differenza. Non dobbiamo pensare subito al nostro tornaconto, no, dobbiamo creare, piuttosto, una, come dire, una sospensione.
[…]
Adesso, quello che è interessante è il rapporto che si stabilisce tra la pianta e… l’agricoltore. Un rapporto di dipendenza totale, assoluta. Tutto è in quella goccia d’acqua. Tutto dipende da quella. Quando si passeggia nei campi, tra le piante, sembra di sentire i loro sospiri, come se volessero allungare i rami per fermarti, ti implorano quasi, con quelle foglie pendenti che sembrano occhi pieni di lacrime. E tu sorridi, benevolo, e concedi loro la goccia d’acqua, o passi avanti, perché hai visto che la pianta può durare ancora qualche giorno. Detto così, sembra di infliggere una tortura alla pianta, e forse, all’inizio dell’esperimento, la pianta può anche soffrire, ma poi si abitua, capisce che non può sfuggire, non può sottrarsi, e quella sua nuova condizione diventa la sua nuova ragione di vita.

(da 1952, a Danilo Dolci, di Tino Caspanello)

Possiamo scorgere in questo brano come una teorizzazione della pratica « antropologica » della spremuta dei limoni... Chi di speranza – o di sola acqua – vive, disperato muore. E capita che le cose migliorino, ma non senza difficoltà. Chiara Boscaro e Marco Di Stefano hanno proposto un testo scritto a quattro mani. Il brano costituisce ormai il prologo del lavoro Effetto farfalla. Dai nostri scambi, nei quali evocavamo la possibilità di un governo a due teste (e in ciò il nostro dialogo si è rivelato successivamente premonitore), i due drammaturghi hanno conservato l’idea di una politica bicefala. La scena mette in presenza un uomo e una donna che hanno governato, qualche minuto prima della loro fucilazione. Questa volta, l’accanimento è ribaltato. Le figure del potere raccolgono, tramite una violenza estrema, i frutti dei loro metodi aggressivi. Il confronto con il plotone d’esecuzione mostra che non c’è via di scampo :

LEI: Preparatevi! Preparatevi a vivere lontano da casa. Preparatevi agli orfani nelle fogne. Preparatevi a quando gli stranieri verranno a produrre qui e vi ripeteranno che questa è la democrazia, e gli operai di tutto il mondo vi disprezzeranno, perché accetterete una paga inferiore alla loro. (pausa) E noi che volevamo insegnarvi l’internazionalismo... (ride)
LUI: Preparatevi al mutuo a tasso variabile. Preparatevi a pagare la casa per trent’anni e a perderla perché una banca, in un altro continente, va in crack finanziario. Questa è la democrazia. È vero, sì, a noi della vostra opinione, non è mai interessato niente. Ma almeno ve l’abbiamo detto in faccia. Ora prendetevi pure il disturbo di andare a votare ogni cinque anni. Ma arriverà un giorno in cui dovrete spiegare a vostro figlio perché questo Paese è peggiore di come ve lo stiamo lasciando.
LUI: […] Vuoi aggiungere un ultimo pensiero? Qualcosa di profondo per i figli del popolo?
LEI: Andate tutti all’inferno!

(da Effetto farfalla, di Chiara Boscaro e Marco Di Stefano)

In realtà, gli autori mi confessarono che i due personaggi erano, in Effetto farfalla, i coniugi Ceausescu prima di essere giustiziati il 25 dicembre 1989. Questa scena espone quindi uno dei rari momenti della caduta del dittatore romeno che non fu documentata. Le epoche (1989, o 2018) sono ben diverse, così come le violenze, ma si può, a nostro parere, fare un confronto tra il brano teatrale – che, secondo Boscaro e Di Stefano, ci parla della crisi politica italiana – e una parte del contratto di governo, che Salvini, Di Maio e compagni redassero.

Nel contratto di governo presentato nei primi giorni del mese di giugno 2018, il cui testo integrale è tuttora disponibile su internet, la parte consacrata al metodo di lavoro precedeva la descrizione dei progetti maggiori. Il paragrafo « Cambiamento di metodo », situato dopo la lunga e retorica introduzione, doveva in effetti istruire il popolo italiano sul nuovo modo di fare politica e di governare il “bel paese”, metodo immaginato al contempo degli accordi giallo-verdi. È sintomatico notare che i tre termini principali prescelti furono « Ascolto, esecuzione, controllo », tre « pilastri dell’azione di governo, nel segno della piena trasparenza », termine la cui polisemia lascia percepire sentori di sistemi di poteri poco invidiabili.

Discorso d’insediamento di Giuseppe Conte al Senato, 5 giugno 2018 :

https://www.linkiesta.it/it/article/2018/06/05/il-discorso-dinsediamento-di-giuseppe-conte-al-senato/38346/

Dal suo canto, Tindaro Granata si è ispirato dalle dichiarazioni di Di Maio e Salvini per scrivere il suo brano. L’autore non si è interessato ai discorsi levigati consuetamente rilasciati dagli esponenti politici nel contesto repubblicano stretto, bensì a varie dichiarazioni, ufficiose e ufficiali, radicali o calibrate, che Granata ha riportato e assemblato, per filo e per segno, riuscendo a dar forma a ciò che potrebbe sembrare un vero discorso di insediamento.

Discorso di Salvini a Sondrio, 2 giugno 2018 :

https://www.laprovinciadisondrio.it/stories/Cronaca/salvini-a-sondrio-porte-aperte-solo-agli-onesti_1280515_11/

Articolo sulle dichiarazioni di Salvini, 2 giugno 2018 :

https://www.repubblica.it/politica/2018/06/02/news/governo_salvini_lega_migranti-198005208/

Cittadini italiani, il mio intervento durerà solo pochi minuti perché il tempo stringe e noi abbiamo bisogno di vedute larghe, non strette!
A chi mi chiede come agire sulla situazione attuale? Rispondo che la polizia e i carabinieri devono avere mano libera per ripulire le città, una pulizia etnica controllata e finanziata, la stessa che stiamo subendo noi italiani, oppressi dai clandestini, senza crearsi scrupoli etici.
Si possono fare tanto senza offendere la sensibilità di alcuni: con un preavviso di sfratto di sei mesi, radere al suolo i campi rom. Si dà il preavviso di sfratto di sei mesi, preannunciamo la ruspa e nessuno può dire che siamo ingiusti o cattivi, facciamo tutto alla luce del sole.

(da Non siamo metalmeccanici, di Tindaro Granata)

Soffermiamoci sul termine « ruspa ». Bisogna tornare all’estate 2016. C’era un gran caldo, le spiagge erano affollate, le discoteche pure. Salvini andava alla grande, e c’era chi gli prometteva un’incarico politico importante a breve. Il tormentone musicale era opera di Rovazzi: Andiamo a comandare, titolo e ritornello. Questa canzone assomigliava ad una rivoluzione adolescenziale messa in musica, fatta com’era di risate, di private joke, di dab, e vari riferimenti ai social. Salvini non si fece pregare per impossessarsi della nuova Macarena. Giorno dopo giorno, festa dopo festa, egli si fece trovare pronto per il balletto e per le battutine. E prendeva il microfono per canticchiare a suo modo il “comandare”, trasformando i consueti balli del qua-qua in meeting improvvisati.

Rovazzi, « Andiamo a comandare » :

https://www.youtube.com/watch?v=Kifn_WVGReM

Salvini, « Andiamo a comandare » :

https://www.youtube.com/watch?v=snS8ABd-pBo

Matteo Salvini, soprattutto, modificava il testo della canzone. Il motivo centrale « Andiamo a comandare » diventò « andiamo a governare », il divertente « col trattore in tangenziale » si trasformò in « con la ruspa al Viminale ». L’ammicco alla ruspa è potente, tutt’altro che innocente: si tratta di un veicolo virile, imponente, inarrestabile, un aggeggio creato appositamente per respingere di tutto violentemente e simbolicamente, un macchinario spesso evocato dai personaggi dal pensiero razzistoide, probabilmente perché esso viene spesso collegato, nell’immaginario comune, all’uso che ne fu fatto per sgomberare le fosse comuni dei campi di concentramento, oppure al fatto di distruggere le abitazioni temporanee in tempi più recenti, in pratica per minacciare i nomadi più fragili del mondo. Che Tindaro Granata lo abbia integrato a sua volta nel mix del suo discorso immaginario non fa altro che rafforzare l’aspetto assolutamente politico dell’uso del termine da parte di Salvini.

E nessuno pensi che siamo inumani, perché bisogna salvare chiunque in mezzo al mare, ma poi riportarlo indietro.
Bisogna scaricarli sulle spiagge, con una bella pacca sulla spalla, un sacchetto di noccioline e un gelato.

(da Non siamo metalmeccanici, di Tindaro Granata)

La fine del testo di Granata, per via delle dichiarazioni reali dei membri del governo Conte I, alterna critiche della pigrizia degli uni, disprezzo dell’orientamento sessuale e delle identità degli altri. Granata vi esprime al contempo la ripugnanza da parte di alcuni italiani per i loro rappresentanti politici e le loro idee, ma purtroppo anche la libertà della parola istituzionale, arrivata ad un tenore tale da consentire slittamenti inappropriati sempre maggiori. E quest’alterazione della parola istituzionale si è poi infiltrata nelle pratiche comuni del linguaggio quotidiano. Granata scrive :

Il disgregamento culturale del nostro paese e la scissione tra politica/etica e giustizia/uguaglianza, è iniziato proprio in quegli anni del post dopoguerra e ad oggi ci ritroviamo con una guerra quotidiana verso non so chi e che parte da non so dove, ma gli unici soldati sconfitti siamo noi italiani.

(Tindaro Granata)

Per concludere il nostro viaggio drammaturgico, attardiamoci sul testo di Emanuele Aldrovandi. Si tratta in realtà sul terzo quadro di Assocerò sempre la tua faccia alle cose che esplodono. In esso, due uomini aspettano un terzo protagonista in un ristorante.

CAMERIERA Buonasera signori, siete già pronti per ordinare?
PRIMO POLITICO No. Aspettiamo un terzo.
SECONDO POLITICO Uno che sarebbe meglio non venisse.
PRIMO POLITICO Uno che sarebbe meglio non esistesse.
SECONDO POLITICO Uno con cui ci vergogniamo a farci vedere in giro.
PRIMO POLITICO Ma siamo obbligati.
SECONDO POLITICO Per il nostro lavoro.
PRIMO POLITICO Per il bene dell’Europa.
SECONDO POLITICO Per il bene anche di quelli come te.

(da Assocerò sempre la tua faccia alle cose che esplodono, di Emanuele Aldrovandi)

Si potrebbe intravedere in questo scambio, prima della primavera 2018, l’attesa di due dirigenti del M5S nei confronti di Matteo Salvini ? Andando avanti, il paragone si precisa :

SECONDO POLITICO A noi piacciono i mulatti.
PRIMO POLITICO Ma se a te non piacciono, non è un problema.
TERZO POLITICO No, no, non la posizione sull’immigrazione, quella la capisco, intendo la posizione… sulle nostre posizioni. Cioè, voi non dovreste cercare davvero di farci cambiare idea?
SECONDO POLITICO Ma no. Assolutamente.
PRIMO POLITICO Noi abbiamo bisogno di voi.
[...]
SECONDO POLITICO Se non ci foste voi, la gente inizierebbe a contestarci.
PRIMO POLITICO Anche quelli che stanno dalla nostra parte.
SECONDO POLITICO Soprattutto loro.
PRIMO POLITICO Ci direbbero che abbiamo tradito i nostri ideali iniziali.
SECONDO POLITICO Che ce ne freghiamo dei principi dei nostri padri fondatori.
PRIMO POLITICO Che siamo democratici solo a parole.
SECONDO POLITICO Tutte cose verissime, eh.
PRIMO POLITICO Ma per fortuna ci siete voi.
SECONDO POLITICO Che siete peggio.

Ci siamo concentrati sull’esperienza del Conte I senza evocare concretamente il proseguimento del laboratorio italiano del governo di alleanza instabile che costituisce il Conte II, per il quale parte del Partito Democratico e M5S si sono messi d’accordo ormai tanti mesi fa. Sebbene gli autori che ho sollecitato mesi fa sarebbero ancora pronti a rispondere di nuovo all’appello dell’interpretazione politico-drammaturgica, speriamo di non avere in tempi futuri ad analizzare con amarezza i tempi attraversati.

Matteo Bacchini : da Io adesso

io adesso non voglio fare brutte figure con la Francia perché al mio paese siamo fatti così che ci vergogniamo delle brutte figure e allora non vi dico niente e sorrido tanto sono dieci anni che le cose che vorrei dire non le dico e sorrido e bevo l’aperitivo e non dico a nessuno che Saviano è peso come un paletò che sarebbe il cappotto come si dice al mio paese e che la Repubblica l’andavo a prendere con le braghe corte in edizione straordinaria quando hanno rapito Moro e invece adesso titola Koulibaly come Lucano e a me mi viene da piangere perché quando vedo uomini adulti che non capiscono una fava io non mi arrabbio ma mi viene la tristezza perché al mio paese siamo fatti così e allora prendo un altro aperitivo e non dico a nessuno che mia nonna ha votato monarchia perché il re è una brava persona e anche se questo io non lo so perché non c’ero mia nonna invece sì che è una brava persona e questo lo so perché c’ero e non dico a nessuno che se in dieci milioni votano gente che non capisce una mazza io non mi arrabbio ma mi viene la tristezza e va bene ma se io invece di lavorare per esempio in fabbrica o in teatro lavoro in un giornale o in un partito tanto per fare un esempio la tristezza devo farmela passare alla svelta e devo mettere in moto il cervello invece e capirci qualchecosa quando nessuno intorno capisce niente che è anche un vantaggio competitivo mi sembra e invece no invece di capirci qualchecosa io faccio le correnti che si chiamano Towanda e Harambee e a me quando sento queste cose mi viene da piangere perché al mio paese siamo fatti così che ci vergogniamo anche delle brutte figure degli altri e allora prendo il terzo aperitivo e fanno quindici euro perché al mio paese siamo fatti così che il bicchiere di malvasia da mille lire è diventato il calice di bollicine da 5 euro e io quando penso a questa cosa e tiro fuori i quindici euro mi viene da piangere perché al mio paese siamo fatti così solo che come siamo fatti non lo so più neanche io adesso

Aurelio che impressione, è la prima volta dal ’48 che andiamo a votare e sulla scheda non c’è la falce e martello.
Sulla mia c’era, Libera.
Davvero Aurelio?
Sì Libera.
Ce l’ho messa io
.
In che senso Aurelio?
Nel senso che ho aperto bene la scheda
e con la matita ci ho disegnato una falce e martello grande così
che a momenti usciva dal foglio.
Ah.
Non lo so se vale Aurelio.
Credo di no Libera.
Anche perché sotto c’ho scritto in stampatello
MA ANDATE TUTTI A CAGARE.
Ah.
E adesso Aurelio?
Adesso niente Libera.
Ma vuoi mettere la soddisfazione?

(da LIBERA – inedito del 2018)

Tino Caspanello, da 1952, a Danilo Dolci

Il politico:
Non c’è niente da fare, niente. La gente non riesce a capire certi fenomeni. Non ci riuscirà mai. E non è questione di intelligenza o di studio, no! Il fatto è che la gente non guarda. Vede, ma non guarda. E dire che tutto è così semplice! Basta osservare la natura. È là che si trova la spiegazione di tutto. Invece ce ne andiamo in giro con gli occhi chiusi e non guardiamo proprio niente. La natura, la natura bisogna osservare. Esempi ce ne offre a migliaia. Uno fra tutti, e questa è una storia che racconto sempre ai miei colleghi: la pianta del limone. Dopo che si sono raccolti i frutti, alla pianta si toglie l’acqua, le si provoca una crisi che la porta lentamente verso la morte, lentamente. A un certo punto, dopo un certo periodo, l’agricoltore ricomincia a dare l’acqua alla pianta, che rifiorisce e fruttifica un’altra volta. È, ovviamente, una fioritura forzata, ma i frutti sembrano migliori di quelli che la pianta fa normalmente. Ecco, bisogna fare come gli agricoltori, ma con qualche differenza. Non dobbiamo pensare subito al nostro tornaconto, no, dobbiamo creare, piuttosto, una, come dire, una sospensione. Come? Guardando quello che succede alle piante. A che serve tutta quell’acqua? A fare subito nuovi frutti? E a noi non interessano quei frutti, subito. Noi dobbiamo sapere aspettare, perché alla fine i frutti saranno i migliori che la pianta abbia mai prodotto. L’acqua dunque non la facciamo mancare, questo no, mai, però la diamo poco a poco, una goccia per volta. È così che si crea la sospensione di cui parlavo, una condizione perenne tra la vita e la morte. Una goccia oggi, un’altra domani, o dopodomani, o forse dopo una settimana, dopo un mese… Piano piano, le piante si abituano a quella goccia d’acqua, al niente quasi. Quella condizione di crisi diventa per loro la normalità. E se manca quella goccia, quella goccia soltanto, la pianta muore. Certo, qualche volta, l’acqua manca, dimentichiamo di darla, oppure non la diamo deliberatamente, perché è giusto così. Sono… sono decisioni che pesano, lo so, ma negli esperimenti bisogna capire quello che succede in tutte le condizioni. Noi proviamo, ecco, e dobbiamo sperimentare tutte le possibilità. Adesso, quello che è interessante è il rapporto che si stabilisce tra la pianta e… l’agricoltore. Un rapporto di dipendenza totale, assoluta. Tutto è in quella goccia d’acqua. Tutto dipende da quella. Quando si passeggia nei campi, tra le piante, sembra di sentire i loro sospiri, come se volessero allungare i rami per fermarti, ti implorano quasi, con quelle foglie pendenti che sembrano occhi pieni di lacrime. E tu sorridi, benevolo, e concedi loro la goccia d’acqua, o passi avanti, perché hai visto che la pianta può durare ancora qualche giorno. Detto così, sembra di infliggere una tortura alla pianta, e forse, all’inizio dell’esperimento, la pianta può anche soffrire, ma poi si abitua, capisce che non può sfuggire, non può sottrarsi, e quella sua nuova condizione diventa la sua nuova ragione di vita. È un miracolo, lo so, un vero miracolo. Viviamo tutti in un grande miracolo, ne facciamo parte intimamente, spesso senza rendercene conto. Ecco, a noi non basta viverlo il miracolo, no, noi vogliamo essere gli artefici del miracolo, vogliamo potere affermare che, grazie anche a noi, il miracolo accade ancora e ancora. Noi creiamo nuove condizioni di vita, non importa se migliori o peggiori, questo non dobbiamo essere noi a dirlo. La cosa importante è mantenere costanti attenzioni e cure, perché se si abbassa la guardia, il caos prende il sopravvento. Dobbiamo sempre vegliare, pianificare, sapere dosare acqua, cesoie e terra. Fin quando agiremo così, la nostra opera sarà perfetta. Tutto ciò è un male? È un bene? Torniamo a guardare la natura, lo dico sempre ai miei colleghi; se operiamo bene, la natura ci sosterrà e ci premierà; se operiamo male, finiremo come quelle piante, a implorare una goccia d’acqua e un pugno di terra, pur di non seccare o di non finire in un vaso. È una filosofia? E che cosa possiamo farci! Finiamo sempre col caderci dentro.

Tratto da 1952, a Danilo Dolci di Tino Caspanello, in Quadri di una rivoluzione, Editoria & Spettacolo, Italia, 2016.

Chiara Boscaro e Marco Di Stefano, da Effetto Farfalla

Prologo

Lui e Lei, settant’anni circa. Sono davanti al plotone di esecuzione.
LUI: Ci sono le telecamere, controllati.
LEI: Facciamola finita.
LUI: Lo guarderanno. Tra trent’anni, quando manderanno il video degli aguzzini crivellati in prima serata, guarderanno quello.
LEI: Non saranno più problemi miei.
LUI: Ti amo.
LEI: Anche io.
LUI: (guarda il plotone) Adesso voi pensate che sia giusto così. Che il problema siamo io e mia moglie. La fame già c’era. Non l’abbiamo debellata, ma non l’abbiamo inventata noi. Le differenze di classe esistevano anche prima. Noi le abbiamo assottigliate, almeno. Una donna semplice, come mia moglie, che non ha mai finito le elementari, ha condiviso con me il potere.
LEI: E sono il capo del Centro Nazionale di Ricerca. E mi sono impegnata perché voi poteste studiare.(indica un ipotetico soldato) Tu! Tu sei giovane. Tu devi ringraziarmi, è grazie a me se farai l’università, lo sai?
LUI: Non abbiamo ucciso...
LEI: Io sono stata una madre per te! Una madre, capito?!
LUI: (le fa segno di calmarsi) Non abbiamo ucciso deliberatamente. Forse abbiamo imposto un po’ di disciplina, ma grazie a noi potevate dormire con la porta aperta.
LEI: E cosa vi abbiamo chiesto in cambio? Niente!
LUI: Ci siamo tenuti qualche regalo, nulla di più. Meno di chi ha gestito il potere prima di noi.
LEI: (al soldato) Tu ridi, lo so a che pensi.
LUI E LEI: (si guardano e annuiscono) IL PALAZZO.
LEI: Il palazzo è un simbolo. Tu hai studiato, lo sai, il potere è un simbolo. Questa è semiotica, te lo dico io che non ho finito le elementari. E poi dagli tempo, tra qualche anno lo potrete affittare per i matrimoni. Anche i matrimoni sono simboli.
LUI: Io e mia moglie abbiamo governato. Io amo il mio paese. Elena ama il suo paese. Quelli che servite, quelli che ora vi sembrano il meglio... quelli no. Di voi, a loro, non interessa niente. Siete solo carne da macello. Volete la libertà di un negozio di lusso in centro per poi non avere i soldi per comprarvi una coperta quando arriverà il freddo.
LEI: Farete i debiti solo per portare un po’ di carne sulla tavola di Natale!
LUI: Oggi è Natale, e la parte dell'arrosto la facciamo noi, mia moglie e io. Ma chiedetevi perché avete fatto la fame. Non sarebbe stato molto più facile darvi quello che volevate? Lo sapete cos’è il debito pubblico?
LEI: Preparatevi! Preparatevi a vivere lontano da casa. Preparatevi agli orfani nelle fogne. Preparatevi a quando gli stranieri verranno a produrre qui e vi ripeteranno che questa è la democrazia, e gli operai di tutto il mondo vi disprezzeranno, perché accetterete una paga inferiore alla loro. (pausa) E noi che volevamo insegnarvi l’internazionalismo... (ride)
LUI: Preparatevi al mutuo a tasso variabile. Preparatevi a pagare la casa per trent’anni e a perderla perché una banca, in un altro continente, va in crack finanziario. Questa è la democrazia. È vero, sì, a noi della vostra opinione, non è mai interessato niente. Ma almeno ve l’abbiamo detto in faccia. Ora prendetevi pure il disturbo di andare a votare ogni cinque anni. Ma arriverà un giorno in cui dovrete spiegare a vostro figlio perché questo Paese è peggiore di come ve lo stiamo lasciando.
LEI: Mi viene già da ridere.
LUI: E ora spara, ragazzo, spara pure.
LEI: Sparami in faccia, così non ho il problema del profilo migliore.
LUI: Cara non esagerare. Vuoi aggiungere un ultimo pensiero? Qualcosa di profondo per i figli del popolo?
LEI: Andate tutti all’inferno!

Il rumore di una raffica. Cadono colpiti a morte.

Tindaro Granata, da Non siamo metalmeccanici, 2019

Cittadini italiani, il mio intervento durerà solo pochi minuti perché il tempo stringe e noi abbiamo bisogno di vedute larghe, non strette!

A chi mi chiede come agire sulla situazione attuale? Rispondo che la polizia e carabinieri devono avere mano libera per ripulire le città, una pulizia etnica controllata e finanziata, la stessa che stiamo subendo noi italiani, oppressi dai clandestini, senza crearsi scrupoli etici.

Si possono fare tanto senza offendere la sensibilità di alcuni: con un preavviso di sfratto di sei mesi, radere al suolo i campi rom. Si da il preavviso di sfratto di sei mesi, preannunciamo la ruspa e nessuno può dire che siamo ingiusti o cattivi, facciamo tutto alla luce del sole.

E nessuno pensi che siamo inumani, perché bisogna salvare chiunque in mezzo al mare, ma poi riportarlo indietro.

Bisogna scaricarli sulle spiagge, con una bella pacca sulla spalla, un sacchetto di noccioline e un gelato.

Per migliorare ed essere al passo con i tempi immagino uno Stato che, per tutelare questo diritto, interviene e fornisce gratuitamente una connessione a Internet di almeno mezz’ora al giorno a chi non può ancora permettersela, e qui penso a tuti gli italiani che non riescono ad arrivare a fine mese con le bollette.

Se poi ci mettiamo pure tutti i falsi problemi di ogni singolo cittadino, non ne usciamo vivi. Io penso alla maggior parte dei lavoratori che hanno una vita regolare, non a quelli che crescono con genitori o un genitore gay, che partono da un gradino più sotto. Partono con un handicap, e questa è la condizione delle famiglie italiane? No, mi oppongo. Noi siamo la nostra storia e la nostra storia è stata magnifica, grazie al lavoro di milioni di gente onesta, come noi, che facciamo un lavoro difficile, non siamo lavoratori subordinati, siamo rappresentanti del popolo. Mica siamo l’ultima categoria dei metalmeccanici. Noi siamo politici.

Citer cet article

Référence électronique

Stéphane Resche, « La crisi istituzionale e populista del governo giallo-verde (2018-2019) vista dal teatro contemporaneo italiano », Line@editoriale [En ligne], 11 | 2019, mis en ligne le 06 février 2024, consulté le 14 décembre 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/1348

Auteur

Stéphane Resche

Laboratoire IMAGER (Université Paris-Est Créteil)