L’amata, la patria, il milieu

L’Italia e l’italianità nella poesia di Mario Scalesi

  • L’amata, la patria, il milieu

Résumés

L’articolo si propone di indagare e analizzare i passi dell’opera poetica di Mario Scalesi (1892-1922) nei quali si fa riferimento all’Italia o alla cultura italiana. Si tratta di un tentativo di attraversare la pluralità culturale dell’identità di Scalesi (poeta italo-tunisino di lingua francese) su un piano propriamente testuale, attraverso l’esplorazione di tre prospettive tematiche: il desiderio per la donna, il sentimento di appartenenza alla patria e alle patrie, la rappresentazione del proprio ambiente sociale di origine.

The article offers a reading of selected passages of Mario Scalesi’s poetic works in which there are references to Italy or Italian culture. It’s an attempt to consider the cultural plurality of the identity of Scalesi (an Italian-Tunisian French-speaking poet) in a purely textual dimension, through the exploration of three thematic perspectives: the desire for the woman, the attachment to his country (to his countries), the representation of his social environment of origin.

Plan

Texte

a Abir, Raoudha e Mario
a Hamadi, Raimondo e Vittorio
per la loro accoglienza

Il « grido ribelle »

La poesia di Mario Scalesi è una poesia ritrovata, una poesia salvata dall’oblio. Questo destino, la sua riscoperta dopo più di mezzo secolo dalla morte del suo autore, ha contribuito a rendere ancora più luminosa la forza vitale di cui è portatrice1. La poesia è per Scalesi l’unica dimensione vitale di un’esistenza macerata nella frustrazione. Egli appartiene a quella minoranza di poeti che sono stati costretti a puntare tutta la propria esistenza sull’esperienza poetica, a ricercare in essa l’unica fonte di minima felicità.

L’intensa fusione di candore e disperazione che caratterizza la sua esperienza lo avvicina a poeti come Giacomo Leopardi, Jules Laforgue, Emily Dickinson, Antonin Artaud. Facendo questi nomi, un riflesso valutativo (valutare e gerarchizzare sono vizi inguaribili della critica) fa nondimeno subito pensare allo statuto di “minore” di Scalesi, non imputabile solo alla sua posizione geografica e storica di “poeta coloniale”, alla sua incollocabilità nelle storie della letteratura, ma anche a un’incompiuta assimilazione delle lacerazioni esistenziali e delle loro istanze nell’espressione e nello stile. Il suo “grido” lanciato attraverso e contro i modelli poetici della Francia metropolitana (Baudelaire in primis, e poi Hugo, De Musset, Corbière etc.)2 avrebbe forse trovato, se il poeta avesse avuto in sorte qualche anno di vita in più, una voce più affinata, capace di plasmare secondo le proprie esigenze le forme della tradizione e del “centro”, o forse avrebbe attraversato quelle forme per approdare a soluzioni ancora più singolari3. Se si rovescia la prospettiva però, il fatto che il nome di Scalesi, i suoi trent’anni di vita da paria, siano legati a una sola stagione (e in fondo a un solo libro, Les Poèmes d’un maudit) dà ancora più forza a quel “grido” che, dal fondo della sua disperazione, sembra imporsi per la sua assoluta irriconciliabilità, per la capacità di sfidare le forme del simbolismo, di creare in esse delle continue, geniali « smagliature »4. È, questo, uno dei modi possibili di leggere il progetto « oltrebaudelariano » che apre il libro :

Ce livre, insoucieux de gloire,
N’est pas né d’un jeu cérébral
Il n’a rien de la Muse Noire,
De l’
Abîme ou des Fleurs du Mal.

S’il contient tant de vers funèbres,
Ces vers sont le cri révolté
D’une existence de ténèbres
Et non d’un spleen prémédité.
5

Un libro che non si cura della gloria postuma, e i cui versi non sono versi, ma un « grido ribelle », ovvero un libro che annuncia di non voler entrare nel gioco della valutazione e del valore, dei lauri e della gloria, ma solo essere testimonianza dell’« inedito inferno »6 vissuto dal poeta nella sua « giovinezza / quella dei paria in lacrime »7. Molti critici hanno legato questa condizione allo « sradicamento identitario » del poeta : figlio di un padre siciliano e di una madre maltese emigrati in Tunisia, istruito nelle scuole primarie francesi ma di nazionalità italiana, il poeta si ritrova legato ed escluso a un tempo da tre possibili appartenenze : quella alla comunità italiana in Tunisia (Scalesi non padroneggia nemmeno l’italiano) ; quella della comunità francese in Tunisia (Scalesi possiede solo la nazionalità italiana), e ovviamente quella alla comunità dei cittadini tunisini colonizzati, con i quali il poeta condivide però i medesimi spazi urbani e la medesima povertà. Un poeta italiano di lingua francese nato e cresciuto in Tunisia : basta questa definizione a far presagire un rapporto particolare con la propria identità culturale, costruita in un ambiente che vede la circolazione nel proprio campo sociale di diverse identità legate in modo diverso alle diverse realtà istituzionali8.

Cercando il più possibile di prendere una distanza da un approccio contestuale e socioculturale, si potrebbe dire che nella poesia di Scalesi il problema dell’identità umana come identità plurale – ovvero come identità divisa, attraversata da una pluralità di linguaggi e di logiche9 – viene esplorato nella prospettiva di un’appartenenza culturale plurima, attraverso la propria esperienza soggettiva. Questo è certamente uno dei problemi essenziali, uno dei gangli esistenziali decisivi a cui la poesia di Scalesi è chiamata a dare risposta (costruendosi in questa risposta). Tuttavia, occorre immediatamente sottolineare che Scalesi non può essere ridotto a questo aspetto, non può cioè essere fissato all’etichetta di poeta « multiculturale ». Che sia o meno considerato un minore, l’esperienza poetica di Scalesi, il suo grido che non cerca gloria, meritano di essere apprezzati, come sempre accade per le opere letterarie degne di questo nome, sul piano puramente testuale e linguistico. Si tratta di un problema che è stato individuato ed espresso con finezza da Renzo Paris, che ha messo in guardia i critici dalla tentazione di rinchiudere, ancora una volta, l’opera di Scalesi in un discorso ideologico-politico, trascurando la dimensione propriamente poetica e testuale :

Io trovo Scalesi un poeta molto solitario, pudico, maledetto appunto, come persino nel titolo del suo libro si è autodefinito. E credo che si presti molto poco alle ‘strumentalizzazioni’, o alle interpretazioni politiche, sia del tempo in cui è vissuto, sia di quello di oggi […]. Scalesi è dunque un poeta che, secondo me, bisognerebbe un po’ sganciare dal dibattito politico attuale e vederlo dentro la sua stessa poesia.10

La prospettiva di lettura di Scalesi come « poeta multiculturale » è certamente meno essenziale di quella che vede Scalesi come poeta maledetto, come maudit nel senso più proprio del termine11. È questo il nome che egli ha scelto per sé come poeta nel titolo del suo libro, testamento della sua breve e tragica vita conclusasi nella follia e nella morte anonima12. Lo « sradicamento identitario » è solo una componente della sua condizione di maudit, nella quale incidono in primo luogo la storpiatura fisica (raccontata nella poesia L’accident, uno degli apici della poesia scalesiana) e la miseria del suo milieu.

La forza espressiva della poesia di Scalesi, non solo il suo grido, ma anche la sua esplorazione identitaria, chiedono dunque un tipo di ascolto più propriamente critico. La forza di quel grido fattosi poesia, sopravvissuto, come un messaggio nella bottiglia, al rischio di un vero oblio, chiede di essere ascoltato nella sua singolarità, nella sua dimensione più soggettiva, nella quale l’autore reale scompare e diviene testo. Scalesi è la sua poesia, è il suo Opus, che attende di essere letto come lo chiedono tutte le opere di valore : tenendo conto dei fattori esterni alla voce del poeta solo nella misura in cui ciò la renda più udibile, facendo quindi attenzione a non soffocarla, mascherarla o mistificarla.

L’italianità di Scalesi

Cercherò di farmi lettore della poesia di Scalesi, ovvero di legere, di raccogliere la sua parola, onorando la sua italianità; lo farò nell’unico modo possibile : cercandone le tracce nel libro che egli è divenuto. Le informazioni sull’italianità biografica di Scalesi saranno solo un ausilio a una lettura che non dovrà mai perdere di vista il suo unico oggetto : i testi dell’Œuvre complète. Sarà il testo a dirci come Scalesi si è confrontato poeticamente con la sua problematica italianità. Questo significa entrare in un campo molto più plurale e profondo di quello dell’aneddotica autobiografica e contestuale.

Il presupposto di un approccio di questo tipo è una concezione dell’identità « nazionale » come costruzione reticolare e complessa, inseparabile dalla lingua (o dalle lingue) abitate dal soggetto. Essere « italiano » o « francese » o « tunisino » non è solo un fatto che pertiene alla forza simbolica del diritto (fondante e povera a un tempo in questo caso), o all’appartenenza esteriore, di rispecchiamento, a una serie di « usi e costumi » come si è soliti dire. I migranti lo sanno bene : quegli « usi e costumi », che affondano le proprie radici nell’idioma particolare attraverso cui un soggetto è entrato nella realtà (nell’Altro universale del linguaggio), hanno una profondità ben più estesa di quanto appaia dalla loro superficie stereotipata. Non ci si dice « italiani » o « francesi » o « tunisini » a livello della finzione dell’io : l’italianità, la francesità o la tunisinità eccedono l’io, fanno parte di quell’Altro in cui il soggetto viene ad iscriversi, che gli preesiste e che « lo parla », lo rende ciò che è indipendentemente da lui. Così, cercare l’italianità di Scalesi nell’opera che egli è diventato, significherà cercare tracce e risonanze di un’identità di cui il poeta non era consapevole, in cui non si rispecchiava, poiché lo attraversavano a livello dell’enunciazione (dell’inconscio) e non dell’enunciato. Si tratta, come sempre quando la critica cerca di essere innanzitutto critica testuale (e non contestuale, psicologistica o altro) di considerare il testo come un oggetto completamente autonomo, come un organismo di produzione inesauribile di senso in cui l’autore in carne e ossa si è trasmutato ed espanso.

Non sarà dunque una ricerca volta a dare una risposta di tipo fattuale (o filologico-intertestuale), ma una ricerca orientata all’interpretazione della scrittura (dell’invenzione) della propria italianità da parte di Scalesi attraverso l’analisi di alcuni elementi testuali riferibili ad essa. Questi elementi non si daranno mai come interpretabili in modo definitivo, una volta per tutte, perché sono legati a loro volta ad altre reti tematiche, soprattutto a quelle centrali (l’abiezione, la donna, la povertà). Così, la ricognizione che offriremo nei paragrafi che seguono deve essere letta come il contributo parziale a una più vasta indagine sull’italianità nell’opera di Scalesi, da svolgersi nei suoi rapporti non solo con i modi di presenza in essa delle altre componenti identitarie, ma anche con tutte le altre reti significanti che la compongono.

Amour bilingue

Il punto di partenza di questa ricognizione non può che essere la poesia Amour bilingue, ovvero il componimento in cui la doppia identità culturale del poeta si mostra nel modo più esplicito e intenso. La presenza delle due lingue attesta a livello di superficie la doppia appartenenza del poeta, il suo bilinguismo amoroso. È infatti l’amore ad essere definito bilingue nel titolo; ciò inserisce immediatamente il bilinguismo reale del componimento nella dimensione dell’Eros, del desiderio per la donna, la « piccina » nominata fin dall’incipit :

O piccina, nel franco idioma,
Per te sciolio il canto d’amor,
Adornai la tua bruna chioma
De’ rubini cadenti dal cor.
13

Dopo il vocativo vi è subito il riferimento alla lingua in cui si dà il canto : « nel franco idioma ». Se interpretiamo l’aggettivo « franco » come « francese », dobbiamo intendere che la lingua in cui il poeta è solito scrivere le sue poesie è il francese. Affermare questo in italiano, affermarlo indirizzandolo al « tu » della donna amata è un modo di far sorgere la complessità identitaria soggiacente all’enunciazione in francese, è cioè un modo di mostrare che il fatto che il poeta scriva in francese non va da sé, ma è l’approdo di un percorso soggettivo complesso, nel quale gioca un ruolo implicito anche un’altra lingua. Come si è già detto, sarebbe troppo semplice dire che questa lingua è l’italiano, perché è noto che Scalesi, figlio di migranti (padre siciliano e madre maltese) che non frequentò le scuole italiane (a cui accedevano solo i ceti più elevati), non poteva padroneggiare quella lingua di cultura che era l’italiano. Che egli cerchi di accedere a quella lingua, ovvero all’italiano letterario, è immediatamente evidente da alcuni indizi formali : l’inversione tra nome e aggettivo (« bruna chioma ») e il letterario « cor » (forma apocopata di « core »). Tuttavia, proprio in questo tentativo di riproduzione dell’italiano letterario, incontriamo l’imperfezione, il dettaglio inadeguato che rivela l’artificialità dell’operazione e la scarsa padronanza di chi scrive : « sciolio ». La forma letteraria avrebbe dovuto essere « scioglio », e l’omissione della « g » rivela la mancanza di familiarità con la trascrizione di uno dei fonemi [ʎ = gli] più caratteristici dell’italiano (forse con un’interferenza del dialetto). Ma Scalesi è un poeta dell’intenzione, della « smagliatura » : l’imperfezione dà ancora più risalto alla spinta a scrivere in italiano, all’esigenza profonda del desiderio che trascende le costrizioni della forma. Il poeta affida alla lingua italiana in questo componimento la possibilità del « canto d’amor » non inquinato dalla frustrazione e dal cinismo. Nei cinque versi in italiano viene espresso il desiderio per la donna in modo prezioso. Ai quattro versi citati, in cui l’innalzamento del sentire nel « canto d’amor » è espresso dalla metafora dei rubini che cadono dal cuore del poeta e adornano, rendono più belle, le chiome brune dell’amata, va aggiunto il verso che chiude la seconda quartina :

Dans mes fleurs, ces fleurs illusoires
Captivant ton sourire aimé
J’ai béni tes prunelles noires
E la notte che versano in me.14

All’italiano qui non è più affidato l’innalzamento nel canto della donna amata (secondo la tradizione petrarchesca di una sua nominazione sineddochica : le chiome), ma l’effetto che costei (i suoi occhi : le sue « pupille nere ») produce sul soggetto : dal nero degli occhi alla notte interiore dell’amante. L’italiano permette dunque l’artificio di un rapporto con l’amata totalmente assorbito nella dimensione poetica, in cui anche il dolore è espresso con tono aulico.

Emerge allora una seconda possibile interpretazione del « franco idioma »; se si legge l’aggettivo « franco » nel senso di « libero » cambia la lingua del riferimento : non più il francese, ma l’italiano. L’italiano sarebbe cioè una lingua franca, libera dal giogo della insostenibile realtà, in cui il soggetto può porsi come un poeta idealizzante, sottraendosi al cinico disincanto che attraversa la sua poesia, puntualmente presente anche in Amour bilingue, nella strofa finale :

Ô le doux jargon de la folie
Qu’égayait ton accent moqueur !
Qu’as-tu fait, mon lis d’Italie,
Des rubis tombés de mon cœur ?
15

In francese la donna recupera la sua crudeltà : non solo è presentata con il suo sarcasmo, ma nel verso finale mostra la sua indifferenza nei confronti dei sentimenti del poeta e dei « rubini cadenti dal cor » con cui egli ha cercato, nella lingua franca, di innalzarla, di accrescerne la bellezza (« Adornai la tua bruna chioma »). L’immagine del poeta che fa dono della parte più inestimabile di sé (i « rubini cadenti dal cor »), così intensamente espressa dal participio presente che la rende imperitura, si rovescia nella domanda finale, in cui il participio passato « caduti » già nega la consistenza dell’atto e ne rivela, attraverso l’indifferenza della donna, l’inutilità e la mancanza di valore.

O mia amata

Lo slancio sublimante che spira nelle parti in italiano di Amour bilingue si ritrova legato ad altri modi di esprimere l’italianità in diversi componimenti dell’Oeuvre complète.

In De profundis, secondo componimento dei Poèmes d’un maudit, incontriamo un passo in cui il nome « Italia » viene associato chiaramente all’idea di classicità poetica :

Ce n’est plus cette Muse à la douceur altière
Qui, dans l’Olympe d’or se vêtant de splendeurs,
Offrait à Périclès la coupe de lumière
Et couchait l’Italie en un tombeau de fleurs.
16

L’evocazione dell’Italia partecipa qui alla descrizione di una Musa classica, che permette di mettere in risalto e prolungare il tema della vocazione poetica disperatamente singolare su cui si apre il libro. Il poeta infatti risponde a un’altra Musa :

La Muse fraternelle a placé sous mes doigts
La lyre des souffrants qu’on dédaigne, la lyre
Où frissonne l’écho d’un million de voix.
17

Questa voce della sofferenza, che in Amour bilingue veniva sublimata nei versi in italiano, viene sospesa in De profundis attraverso la nominazione della donna amata, trasfigurata e petrarchizzata nel nome di « Laure » :

Ainsi, dans cet hiver gagnant mon âme lasse,
J’évoque la splendeur de mes premiers espoirs,
Ma Laure, et te revois, en ton charme et ta grâce,
Comme un reflet d’aurore égaré dans les soirs.
18

In questo passo il nome di « Laure » è associato al passato, ovvero all’unico tempo positivo del poeta, tempo in cui erano ancora possibili le speranze, che trovano il loro riflesso metaforico nell’« aurora ». Ed è proprio questa aurora che il poeta, dopo aver attraversato la fantasia sulla propria morte e aver espresso l’auspicio di abbandonare la propria nera razionalità, incontra come sogno idealizzato alla fine del componimento ; il sogno dell’amore possibile, l’allucinazione dell’amore realizzato :

Alors, étrange et douce, une nouvelle aurore,
Une aurore de paix dorera mon chemin,
Et mes yeux te verront, ô bien-aimée ô Laure,
T’approcher du poète et lui prendre la main.

Et, dans l’enchantement glorieux de mes rêves,
Ensemble nous irons, aux pèlerins pareils,
Des plaines aux vallons, des montagnes aux grèves,
Très doux, et souriant aux couchers de soleil.
19

Il tramonto su cui si chiude il componimento, positivamente illuminato dalla metafora dell’aurora, si ritrova nella poesia Hantise, in cui il nome petrarchesco dell’amata viene ripetuto, in italiano, come verso isolato in chiusura di ognuna delle sette strofe del componimento :

Ce soir, du souvenir flotte parmi la brise,
Et cette fin du jour entre au cœur et le grise.
Laura !20

Tutta la poesia è attraversata da un chiaroscuro sentimentale. Nel sole che abbandona il giorno, nell’anima « ormai consumata [désormais consumée] »21, s’insinua l’immagine della donna amata :

L’or amorti du soir, filtrant par la ramure,
Ressemble à des joyaux dans une chevelure.
Laura !22

La sofferenza dovuta alla propria condizione, metaforizzata nella sera, è dunque attraversata da una forza contraria, pacificante, da un « non so che di dolce, abbandonato, tenero », che rende più sopportabile il grigio, la « cenere » della fine del giorno ; un « soffio d’amore » viene quindi ad affiancarsi al « rantolo »23 della solitudine, e lo trasforma, dopo l’invocazione-esclamazione « Laura! », in un « rantolo delizioso e caro », che genera un secondo ossimoro, più denso, l’« aspra dolcezza », su cui si chiude la poesia :

Un râle exquis et cher dont est pleine la brise.
L’âpre douceur du soir entre au cœur et le brise.
Laura…24

Anche in questo componimento, dunque, la presenza della donna amata attraverso un filtro « italianizzante » è portatrice di un effetto positivo sul piano del sentimento, e di un’elevazione tonale sul piano del canto. Questo quadro è confermato dalla poesia Orgueil, nella quale vengono ripresi due luoghi di Amour bilingue che la precede : l’evocazione nominativa dell’Italia e la presenza del giglio (lis). Come nei passi attraversati in precedenza, anche in questo caso si riscontra la presenza della sera come metafora contestuale della poesia e, ad essa strettamente legata, l’emersione della prospettiva di senso che riguarda il passato e la memoria :

À cet amour qui fût ma félicité brève,
Je puis trouver encore une odeur d’encensoir,
Et le délicieux renoncement du soir,
Et l’orgueil blanc des lis fleuris sous les pieds d’Ève.
[…]

Car malgré ton beau corps luxurieux et cher
Et tes yeux de charbon où brûlait l’Italie,
J’ai toujours ignoré que tu fusses de chair.
25

La funzione sublimante di questi riferimenti e il loro ruolo nella creazione di un tono elegiaco, di un’espressione di emozioni ambivalenti, trova nella poesia Les incompris un ulteriore e pregnante riscontro. Questa volta il riferimento esemplare evocato per descrivere il rapporto con l’amata inarrivabile non è petrarchesco (Laure/Laura), ma dantesco :

Que murmurait ta voix argentine et tremblante,
Que ne disais-tu donc, ô bien aimée, alors
Que nous nous approchions de la Cité Dolente ?
26

« La Città Dolente » : un riferimento di una tale forza non necessita di sviluppi; la sola nominazione permette di aprire un orizzonte contestuale. In questo caso si tratta della consueta prospettiva infernale che investe il rapporto con la donna : l’impossibilità, per il poeta, di abitare in modo adeguato il proprio desiderio. L’incomprensione profonda tra l’amato e l’amata che viene messa in scena nella poesia si sostiene sui soliti topoi : la metafora della sera (i « grigiori della sera [grisailles du soir] »)27, l’ossimoricità dei sentimenti (le « menzogne delicate [délicats mensonges] »)28, il passato come unico tempo vivibile (« È nel passato che la speranza canta…[Et c’est dans le Passé que l’Espérance chante] »)29. Il poeta pronuncia la parola che potrebbe salvare lui e l’amata, ma lei non lo ascolta (« Ma tu non ascoltavi affatto [Mais tu n’écoutais guère] »).30 La poesia è così la narrazione del contatto mancato, del modo in cui le anime dei due interlocutori diventano « senza volerlo l’una all’altra straniere [sans le vouloir l’une à l’autre étrangères] »)31. Ciò avviene nel tempo che intercorre tra l’avvicinamento all’entrata della « Città Dolente » e l’oltrepassamento – decisivo, irreversibile – della soglia : « Cosa non dicevi dunque, o amata, nel momento / in cui varcavamo la soglia della Città Dolente ? ».32

Il riferimento petrarchesco e quello dantesco sono due modi di attivare un’atmosfera legata all’« italianità » attraverso l’evocazione di elementi immediatamente riconoscibili, consustanziali a due nomi fondanti della cultura italiana (della sua lingua e della sua letteratura). Si tratta di un modo di evocazione esplicito, diretto quasi quanto la nominazione del paese : l’Italia.

Per il carattere stesso del componimento, Amour bilingue è certamente il testo in cui il nome « Italia » assume il massimo di pregnanza nell’opera di Scalesi. Esso si presenta come complemento di provenienza : « mio giglio d’Italia ». Ora, che una metafora a così alta densità simbolico-poetica sia legata al nome « Italia », in una poesia così eccezionale rispetto alle altre dei Poèmes d’un maudit (e dunque così importante nell’equilibrio dell’opera), è ovviamente un fatto molto significativo, che permette di aprire una prospettiva di lettura particolare, « italianizzante », della presenza del giglio nei componimenti scalesiani. Ne diamo qui una rapida ricognizione, per mostrare soprattutto come i momenti più evidenti di evocazione dell’italianità potrebbero essere dei punti di partenza per indagini su temi e isotopie da essi apparentemente lontani.

Dopo essersi manifestato come « giglio d’Italia », nella poesia successiva, dal titolo Orgueil, appaiono i « gigli fioriti sotto i piedi di Eva », che hanno un « orgoglio bianco »33, simbolo di massima purezza che il poeta ritrova nell’amore sognato. Il medesimo legame con una dimensione di elevazione si ritrova in Chasteté, in cui il « voluttuoso giglio di misticità »34 è una metafora della stessa castità (« O castità fredda, o castità santa, / Chi contesterà la tua divinità? »)35, e in Judas, dove il giglio è invocato come metafora di una purezza virginale (« O giglio, azzurro vergine del cielo d’estate »)36 a cui il poeta chiede scusa per il crimine più orribile che sente di poter commettere : rinunciare all’arte per il « salario del traditore », per « trenta denari » vendere « il Cantore »37. Lo stesso tema si ritrova anche in Ballade de la mort, componimento dei Poèmes de guerre, ma in questo caso viene ripreso in modo fulmineo all’interno di un contesto e di un tono più cinico, in funzione contrastiva :

Chastes bonheurs, lys couleur d’or,
Ma faux va trancher vos racines:
Je suis Sa Majesté la Mort.
38

La Patria, il milieu

Una dimensione importante dell’opera di Scalesi in cui è possibile ricercare degli elementi significativi per un’interpretazione della sua complessa identità culturale è quello della passione patriottica, che anima alcuni passi di particolare vigore :

À combien la Patrie ? À combien les lauriers ?
À combien, mon enfant, la pudeur de ta mère ?
Ô poète, à combien ta plus noble chimère ?
39

L’avarice, l’orgueil, le luxe, les orgies,
L’attrait des autres cieux et des autres cités,
Ô Patrie, en mon cœur où tu te réfugies,
N’ont jamais altéré tes candides fiertés.
40

Oui, je rêve en secret d’une unique Patrie
Utopiste chercheur de l’homme angélisé,
Je voudrais sur la terre apaisée et guérie
Replanter l’olivier stupidement brisé.41

Nel primo dei due passi citati, la Patria inaugura una serie di valori universali che devono essere difesi dalle leggi degradanti imposte dal denaro, mentre nel secondo, dal contesto di abiezione a cui condanna la povertà, la Patria emerge come un valore proprio ai subalterni, che li innalza, con le sue « candire fierezze » al di sopra dei vizi dei potenti elencati nel primo verso.

Con il terzo passo la prospettiva si allarga e al tempo stesso diventa più definita; la Patria come valore universale trova la sua espressione nella « Francia », nell’ideale di cui questo nome è portatore :

Pourtant, tu m’as nourri du cerveau de tes sages,
De ta chair, de ton sang, de ton ardent soleil,
Ô France, et quand mon cœur n’était que blanches pages,
Ton nom s’y dessina, brillant d’un feu vermeil.
42

Il carattere esplicito ed enfatico di questa dichiarazione impone una riflessione sulla posizione cosciente di Scalesi rispetto alla propria identità culturale. L’invocazione alla Francia come patria d’adozione, salvifica, è il riflesso poetico-biografico di una posizione programmatica e politica, sostenuta dal poeta nei suoi interventi in prosa. Scalesi si sente parte – e, stando ai versi citati, esempio vivente – del progetto di una Francia che sappia, con le sue istituzioni e la sua cultura, far crescere la civiltà dei popoli del Nord Africa. Scalesi presenta dunque sé stesso come un poeta che vede nella cultura francese il suo orizzonte operativo, che egli elegge razionalmente (appropriandosi a posteriori della propria storia) come punto di riferimento del suo operato di intellettuale, riservando alla sua italianità un’appartenenza di tipo affettivo e autobiografico.

In alcuni passaggi fulminei della breve recensione di Scalesi alla poesia Italia di Gustave Rivet è rinvenibile una visione del rapporto tra cultura francese e italiana. In questa prosa il poeta definisce l’Italia « nostra sorella latina »43, e in seguito, commentando due passi della poesia, avvicina l’Italia a Roma, entrambe salutate con simpatia da Rivet. Questo accostamento messo in rilievo da Scalesi critico non può che far pensare a quei luoghi della sua opera poetica in cui i riferimenti a Roma e alla romanità appaiono con grande pregnanza all’interno della varietà dei riferimenti storici, geografici e religiosi che attraversano molti componimenti, divenendo in alcuni una cifra tematica determinante (si pensi a una poesia esemplare come La tour des crânes nei Poèmes d’Orient, o alla sezione Les champs cataloniques nei Poèmes de Guerre). L’idea di una Francia che dovrebbe porsi come erede di Roma è confermata e approfondita da altri passi degli interventi in prosa di Scalesi :

Nous sommes sur cette terre d’Afrique les pionniers de la civilisation. Nous sommes les continuateurs de l’œuvre de Carthage et de Rome. Comme tels, notre dignité nous oblige à avoir des idées et à les exprimer. […]44

[…] Il serait étonnant, après Carthage, après Rome, après l’Islam, dont le sceau s’est tour à tour si profondément gravé dans l’âme de leurs sujets, que la France fût appelée au singulier rôle de coloniser l’Afrique septentrionale sans imprimer son image. […] [P]oètes, romanciers, conteurs, critiques, ont patiemment et courageusement œuvré, en des conditions souvent ingrates, pour un idéal très haut et très pur : celui de rendre à l’Afrique du Nord, à la terre de Saint-Augustin, d’Apulée, de Tertulien, de Macrobe, son antique dignité intellectuelle.45

Per Scalesi dunque il progetto di un’autentica letteratura nordafricana di lingua francese è anche un modo di innalzare e perseguire l’ideale di una Francia esportatrice di cultura, ma perché ciò si realizzi tale letteratura deve a priori abbandonare ogni tentazione imperialistica e occidentalistica (come si legge nei passi citati la Francia deve infatti avere anche la consapevolezza di essere erede di Cartagine e dell’Islam). La letteratura a cui anela Scalesi non deve cioè diventare la voce del centro dominante che parla della o sulla periferia, ma lasciare che la vita inespressa della periferia trovi spazio ed espressione nella lingua del centro (il francese), arricchendola, decentrandola, facendo sì che essa si imponga per autorevolezza e non per coercizione :

[…] La littérature nord-africaine de langue française a ici une tâche glorieuse à remplir. C’est elle qui donnera aux races peuplant ce pays leur unité intellectuelle, car c’est en elle seule que leurs mentalités diverses pourront fusionner.[…]46

[C]ette œuvre elle ne peut la réaliser que grâce à sa littérature, rayonnement de sa pensée, agent de diffusion de sa langue […]. [C]ette littérature doit, en Afrique, se plier à la besogne du pionnier, revêtir les formes indispensables pour exprimer les lieux et les êtres. Exprimer une race, c’est la conquérir. L’Afrique du Nord sera française […] le jour où ses habitants verront leurs âmes, leurs espoirs, leurs luttes, leurs douleurs, leurs souvenir traduits avec vérité par des écrivains de langue française, et où, en conséquence, la langue française fera vibrer quelque chose en leur cœur. D’où la nécessité d’une littérature nord-africaine.47

Doveroso è a questo punto il seguente interrogativo : l’italianità che trova spazio nella poesia di Scalesi va dunque pensata all’interno di questo programma di poetica ? Sul piano cosciente e razionale certamente : Scalesi cerca di dare voce a un’« italianità tunisina » – attingendo dalla vitalità della sua esperienza, ma anche, come si è visto, dalla sua cultura letteraria – per rendere più vivo e vibrante il tentativo di tradurre il vissuto dei popoli che vivono nella Tunisia francese, la loro « intensa / vita al sole »48.

In questo quadro si potrebbe addirittura pensare che Scalesi abbia privilegiato l’espressione dell’italianità nella sua poesia per sfruttare al massimo la sua esperienza autobiografica, al fine di sottrarre senza sbavature l’immagine dei migranti italiani alla povertà dello stereotipo a cui li fissa lo sguardo metropolitano (« Italiens mangeurs de macaronis et joueurs de temperino »)49. Se questa prospettiva dunque non deve essere ignorata, al tempo stesso occorre sottolineare che questa visione razionale non può limitare in nessuno modo la vitalità e l’autenticità dell’espressione dell’elemento italiano ; il quale non potrà essere sottoposto a un controllo razionale, a un’azione intenzionale senza resti da parte dell’io del poeta. Il programma poetico-politico di Scalesi non esaurisce la complessità della sua identità culturale, la cui comprensione, come si è detto, non può che essere il fine del lavoro, inesauribile, dell’interpretazione dei testi.

Oltre alle poesie di cui si è data una rapida lettura in precedenza, un componimento che mostra limpidamente l’impossibilità di ridurre l’interpretazione a una visione programmatica è il sonetto À Gabriele D’Annunzio. Dopo aver cantato, nelle quartine e nella prima terzina, i tempi antichi in cui « le folle veneravano la parola mistica / dei bardi », il poeta elogia nell’ultima terzina la figura di D’Annunzio, e in particolare le parole da lui pronunciate il 5 maggio 1915 a Quarto, nella sua orazione per l’inaugurazione del monumento ai Mille :

Mais tu nous as vengés, à Quarto. Notre gloire,
Aux yeux d’un peuple entier, de ton verbe amoureux,
Par toi s’est ravivée au sommet de l’Histoire.
50

Con la forza della prima persona plurale, del « noi » (in forma di pronome e aggettivo), il poeta esprime in questo passo la propria appartenenza al popolo italiano. Ma questa forza viene attenuata da una strategia di reticenza : la mancanza del nome « Italia » e la nominazione del proprio popolo preceduta da un articolo indeterminativo. Il lettore si ritrova così, in questo contrasto, nella necessità di interpretare l’allusione, che da un lato accresce la forza espressiva di un dichiarato attaccamento identitario, e dall’altro, non formalizzandolo (come nel caso della Francia incontrato in precedenza) lo mantiene nell’incertezza.

Ma come si motiva questa incertezza? Perché Scalesi, nel momento in cui si dichiara italiano sul piano, aperto a tutti in letteratura, delle idee e della cultura (si pensi a Stendhal), lo fa con reticenza? Se cerchiamo una risposta a queste domande nei Poèmes d’un maudit non possiamo che soffermarci su quelle liriche in cui il poeta dà alcune rappresentazioni riconducibili al suo ambiente di provenienza. Si tratta di un campo che non è riferibile in modo definito all’« italianità ». Molte poesie, come quelle che vedono la presenza della madre o della sorella, o quelle che hanno come tema la povertà, potrebbero essere considerate legate all’italianità in modo implicito, ma potrebbero anche essere ritenute estranee a questo elemento. Alcune poesie però presentano riferimenti ascrivibili con più certezza ad esso, e ciò permette di aggiungere la rappresentazione del milieu alle dimensioni attraversate in precedenza, ma anche, in un certo senso, ad opporla ad esse. Donna e Patria infatti, come si è visto, si pongono al centro di una costruzione dell’italianità basata su valori ideali e su riferimenti culturali elevati (letteratura, politica). I rapidi scorci in cui Scalesi fa balenare il suo milieu non possono invece che avere la loro radice nell’esperienza quotidiana, in quella vita reale del popolo che il poeta pone come oggetto privilegiato del suo programma di poetica.

La poesia Châtiment, in cui Scalesi offre un ritratto del padre, è certamente uno dei punti più alti del suo tentativo di dare parola, dal basso e dall’interno, alla vita del popolo. Il riferimento all’italianità, non espresso nel testo, resta implicito innanzitutto perché la priorità del componimento è quella di dare un ritratto assoluto del « povero », ma anche perché, come si è visto, a livello di superficie (dell’enunciato, della parola dell’io) Scalesi si presenta come un francese di adozione e dunque la manifestazione esplicita della propria origine avrebbe ostacolato questo intento. Ma occorre approfondire questa interpretazione; proponendosi come francese d’adozione, dunque esempio vivente di quel Nord Africa francofono anelato e difeso, Scalesi propone un’identità nazionale basata sull’idea di appartenenza spirituale, e non sul « sangue », sulla filiazione naturale, visione che sarebbe d’intralcio alla possibilità stessa di pensare alla Francia come ideale cosmopolita. Ecco perché nel sonetto in onore di D’Annunzio, Scalesi, italiano per filiazione (iure sanguinis), celebra la sua italianità spirituale, privilegiando ancora una volta il legame tra Italia e tradizione classica.

Non stupisce dunque che i riferimenti al milieu connotati in termini di italianità siano dipinti con discrezione, lavorando sui dettagli, come nel caso dell’uso degli aggettivi di provenienza :

[…] Ton père,
Debout, sifflotant de colère,
Éprouvait le fil d’un rasoir
[…]

Le vieux Toscan badinait un peu.
Il jurait, froidement sauvage,
De te taillader le visage,
Ô ma mignonne aux yeux de feu…
51

Il ritratto dell’ambiente marginale, con quel misto di severità dei costumi e di violenza, di patriarcato esasperato reso folle dalla miseria, viene connotato con l’aggettivo « toscano » riferito al padre dell’amata. Questa scena, nonostante il vocativo, si pone come rovescio dell’idealizzazione petrarchizzante. Nella realtà, la bellezza della « Laura » del poeta, della sua « piccola dagli occhi di fuoco » (nei quali, in Orgueil, « bruciava l’Italia »), è minacciata, in termini reali e simbolici, dalla miseria dell’ambiente che non può sopportarla senza segretamente desiderare di sfigurarla. Questo desiderio abita anche il poeta, che di quell’ambiente, della sua abiezione, nonostante l’emancipazione letteraria, resta comunque il figlio :

Je rêvais de te voir réduite
À ne plus me désespérer :
J’eusse été seul à t’adorer,
Une fois ta beauté détruite.
52

Una fantasia analoga, costruita ancora su un aggettivo di provenienza, si ritrova nella poesia Étrennes :

Ce flacon pisan dont un vieil orfèvre
De fleurs de rubis enchâssa le col,
J’y mettrai l’amour qui flambe à ma lèvre,
Et du vitriol.53

Con il tocco leggero di due aggettivi annodati (toscano, pisano) che alludono all’italianità dal lato del regionalismo (ovvero richiamando l’eterogeneità culturale delle comunità di emigrati italiani) il cinismo amaro che attraversa la poesia di Scalesi dà alla rappresentazione realistica di una passione da emarginati una sottile connotazione identitaria. Così, se l’idealizzazione petrarchesca fa entrare l’italianità testuale in contatto con le parti più liriche dell’opera scalesiana e con i temi in cui esse si dispiegano, la connotazione identitaria del milieu la fa entrare in contatto con i motivi dell’avvilimento e del realismo in cui si realizza il canto dei miserabili, alla cui forza contribuiscono gli affondi biografici legati al ricordo e ai traumi (Accident) e agli affetti famigliari (Dans l’ombre, Révolte). Sembra questa dunque la strada da percorrere, la direzione da seguire per chi voglia continuare nel cammino dell’interpretazione dell’italianità testuale di Scalesi : esplorare i percorsi profondi che si aprono a partire da quei contatti, attraversarli, darne scrittura.

Tunisi, giugno-luglio 2019

Bourgoin-Jallieu, dicembre 2019-marzo 2020

Mario Scalesi (Tunisi 1892 - Palermo 1922)

Mario Scalesi (Tunisi 1892 - Palermo 1922)

Questo studio è il risultato di un progetto di ricerca che ho svolto presso il Dipartimento di Italiano dell’Università « Manouba » di Tunisi in qualità di ATER (Attaché Temporaire d’Enseignement et de Recherche) del Dipartimento di Italiano dell’Università di Toulouse Jean Jaurès. Il mio soggiorno in Tunisia, che ha avuto luogo nel mese di giugno del 2019, è stato finanziato con una borsa di mobilità erogata dall’Agenzia Erasmus+ France (Unione Europea).

Note de fin

1 « Les Poèmes d’un maudit sembrano conoscere, curiosamente, lo stesso destino del loro autore : gettati nella fossa comune della memoria. Delle visite solenni, poi l’oblio. Ci fu per prima quella del 29 gennaio 1937, quindici anni dopo la morte del poeta, cerimonia ufficiale, che riunì a Tunisi le personalità culturali della città più importanti dell’epoca, ma anche le più alte autorità ufficiali e politiche. […] Poi, dopo un oblio quasi totale, un’altra traversata del deserto. Fino alla primavera del 1997, con il convegno su Scalesi organizzato dalla Facoltà di Lettere e Scienze umane dell’Università de Tunisi e la quarta edizione dei Poèmes d’un maudit a cura del professor Abderrazak Bannour »; Hedi Balleg, Marius Scalési : poète sans frontière, in S. Mugno (a cura di), Sicilia, Tunisia e la poesia di Mario Scalesi. Atti del convegno organizzato dall’Istituto Siciliano di Studi Politici e Economici, ISSPE, Palermo, 2000, p. 63. [La traduzione è mia].

2 Per una ricognizione del rapporto di Scalesi con i modelli della letteratura francese si veda il saggio introduttivo di Salvatore Mugno al volume (da lui curato) Les Poèmes d’un maudit. Le Liriche di un maledetto. La poesia mediterranea di un italiano di Tunisi, ISSPE, Palermo, 1997, p. 17-27. Per un’analisi del rapporto tra Scalesi e Corbière si veda il saggio di Renzo Paris, La poesia multietnica, in S. Mugno (a cura di), Sicilia, Tunisia e la poesia di Mario Scalesi, op. cit., p. 95-100.

3 Yves-Gérard Le Dantec ha rinvenuto nella poesia di Scalesi un’innegabile genialità : « Il genio – ed è davvero il termine che occorre a proposito di Scalesi – crea di questi enigmi insolubili. Genio, certamente diseguale, carente sotto alcuni aspetti, spesso troppo libresco, ma innegabile »; Y-G. Le Dantec, « Le mouvement poétique », in La Revue des Deux Mondes, 15 octobre 1935, n. 5, p. 942. Si cita il passo da S. Mugno, Fortuna critica, in Les Poèmes d’un maudit. Le Liriche di un maledetto, op. cit., p. 48.

4 R. Paris, La poesia multietnica, in Sicilia, Tunisia e la poesia di Mario Scalesi, op. cit., p. 99.

5 M. Scalesi, Lapidation, in A. Bannour, Y. Fracassetti Brondino, Mario Scalesi, précurseur de la littérature multiculturelle au Maghreb. Œuvre complète, Publisud, Paris, 2002, p. 36. D’ora in avanti si citerà questo volume con la sigla OC seguita dal numero di pagina. « Questo libro, che non si cura della gloria, / non è nato da un gioco cerebrale / non ha niente della Muse Noire / dell’Abîme o dei Fleurs du mal. // Se contiene tanti versi funebri, / questi versi sono il grido ribelle / di un’esistenza di tenebra / e non di uno spleen premeditato ». Qui e nei passi successivi citati dall’Opera di Scalesi, la traduzione, semplice ausilio alla lettura, è mia.

6 « Et, ramassant ces pierres tristes / Au fond d’un enfer inédit / Je vous jette mes améthystes / Ô frères qui m’avez maudit ». Ibidem.

7 « Infirme, j’ai dit ma jeunesse, / celle des parias en pleurs ». Ibidem.

8 Yvonne Fracassetti Brondino ha costruito la sua introduzione all’Œuvre complète di Scalesi su tre epiteti che riassumono questa condizione : Scalesi l’emarginato, Scalesi l’assimilato, Scalesi il bastardo. Cfr. OC, p. 8, 15, 25.

9 Per questo tipo di concezione dell’identità si rimanda a G. Bottiroli, La ragione flessibile. Modi d’essere e stili di pensiero, Bollati Boringhieri, Torino, 2013.

10 R. Paris, La poesia multietnica, op. cit., p. 95.

11 « Il maledetto è colui che non amava il successo e la gloria. […] Scalesi non amava il poetico e, in questo senso, è molto simile a Corbière : rifiutava tutto il linguaggio, come si dice oggi, del poetichese : qualcosa che non aveva assolutamente regno né statuto nella poesia maledetta ». R. Paris, Dibattiti, in S. Mugno (a cura di), Sicilia, Tunisia e la poesia di Mario Scalesi, op. cit., p. 111.

12 Ricordiamo il tragico destino del poeta : ammalatosi di meningite a trent’anni, Scalesi fu ricoverato all’ospedale italiano « Garibaldi » di Tunisi. Quando le sue condizioni si aggravarono fu trasferito al manicomio Vignicella di Palermo, dove morì e fu sepolto in una fossa comune. Cfr. Y. Fracassetti Brondino, Présentation, OC, p. 7-8.

13 M. Scalesi, Amour bilingue, in Les Poèmes d’un maudit, OC, p. 56.

14 Ibidem. « Nei miei fiori, i fiori illusori / Che attirano il tuo amato sorriso / Ho benedetto le tue pupille nere ».

15 Ibidem. « O il dolce gergo della follia / Che rallegrava il tuo accento beffardo! / Che hai fatto, mio giglio d’Italia, / Dei rubini caduti dal mio cuore » ?

16 M. Scalesi, De profundis, in Les Poèmes d’un maudit, OC, p. 38. « Non è più quella Musa dalla dolcezza altera / Che, nell’Olimpo d’oro vestendosi di splendori, / Offriva a Pericle la coppa di luce / e coricava l’Italia su un letto di fiori ».

17 Ibidem. « La Musa fraterna mi ha messo fra le dita / La lira degli afflitti che tutti disprezzano, la lira / In cui freme l’eco di un milione di voci ».

18 Op. cit., p. 40. « Così, in questo inverno che vince la mia anima stanca / Evoco lo splendore delle mie prime speranze, / Mia Laura, e ti rivedo, con il tuo fascino e la tua grazia, / Come un riflesso d’aurora smarrito nelle sere ».

19 Op. cit., p. 43. « Allora, strana e dolce, una nuova aurora, / Un’aurora di pace dorerà il mio cammino, / E i miei occhi ti vedranno, o amata o Laura, / Avvicinarti al poeta e prendergli la mano. // E, nell’incanto glorioso dei miei sogni, / Noi andremo insieme, simili ai pellegrini, / Dalle pianure alle valli, dalle montagne ai greti, / Dolcissimi, e sorridenti ai tramonti del sole ».

20 M. Scalesi, Hantise, in Les Poèmes d’un maudit, OC, p. 54. « Questa sera, ricordi galleggiano tra la brezza / E questa fine giornata entra nel cuore e lo inebria, Laura! ».

21 Ibidem.

22 Ibidem. « L’oro attenuato della sera / Che filtra dai rami / Assomiglia ai gioielli in una chioma. / Laura! ».

23 « Je ne sais quoi de doux, d’abandonné, de tendre, / Sature le soir calme engrisaillé de cendre. / Laura ! // C’est un souffle d’amour qui des jasmins, s’exhale, / C’est l’ennui d’être seul qui donne au soir un râle. / Laura ! ». Ibidem.

24 Ibidem. « Un rantolo delizioso e caro che riempie la brezza. / L’aspra dolcezza della sera entra nel cuore e lo spezza. / Laura! ».

25 M. Scalesi, Orgueil, in Les Poèmes d’un maudit, OC, p. 57. « A questo amore che fu la mia breve felicità, / Posso trovare ancora un odore d’incenso, / E la deliziosa rinuncia della sera / E l’orgoglio bianco dei gigli in fiore sotto i piedi di Eva. […] // Poiché nonostante il tuo bel corpo sensuale e caro / E i tuoi begli occhi di carbone in cui bruciava l’Italia, / Ho sempre ignorato che tu fossi di carne ».

26 M. Scalesi, Les incompris, in Les Poèmes d’un maudit, OC, p. 81. « Cosa mormorava la tua voce argentina e tremante / Cosa non dicevi dunque, o amata, nel momento / in cui varcavamo la soglia della Città dolente? ».

27 Ibidem.

28 Ibidem.

29 Ibidem.

30 Ibidem.

31 Ibidem.

32 « Mais que disait-tu donc, ô bien aimée, alors / Que nous passions le seuil de la Cité Dolente ? ». Ibidem.

33 « Et l’orgueil blanc des lis fleuris sous les pieds d’Ève » ; M. Scalesi, Orgueil, in Les Poèmes d’un maudit, OC, p. 57.

34 « Voluptueux lis de mysticité » : M. Scalesi, Chasteté, in Les Poèmes d’un maudit, OC, p. 60.

35 « Ô chasteté froide, ô chasteté sainte, / qui contestera ta divinité ? ». Ibidem.

36 « Ô lis, virginal azur du ciel d’été » : M. Scalesi, Judas, in Les Poèmes d’un maudit, OC, p. 70.

37 « Pour renoncer à l’art le salaire du traitre, / Et, pour trente deniers, je vendrai le Chanteur ». Ibidem.

38 M. Scalesi, Ballade de la mort, in Poèmes de guerre, OC, p. 129. « Caste felicità, gigli color dell’oro, / La mia falce taglierà le vostre radici : / Sono sua Maestà la Morte ».

39 M. Scalesi, Ode à l’argent, in Les Poèmes d’un maudit, OC, p. 88. « A quanto la Patria? A quanto i lauri? / A quanto, figlio mio, il pudore di tua madre? / O poeta, a quanto la tua più nobile chimera? »

40 M. Scalesi, L’épopée du pauvre, in Les Poèmes d’un maudit, OC, p. 102. « L’avarizia, l’orgoglio, il lusso, le orge, / Il fascino degli altri cieli, delle altre città, / O Patria, nel mio cuore in cui ti rifugi, / Non hanno mai alterato le tue candide fierezze ».

41 M. Scalesi, Gallia, in Poèmes de guerre, OC, p. 175. « Sì, sogno in segreto un’unica Patria / Utopico cercatore dell’uomo angelicato, / Vorrei sulla terra in pace e guarita / Ripiantare l’olivo stupidamente spezzato ».

42 Op. cit., p. 176. « Eppure mi hai nutrito con il cervello dei tuoi sapienti, / Con la tua carne, con il tuo sangue, con il tuo sole ardente, / O Francia, e quando il mio cuore era solo pagine bianche, / vi si tracciò il tuo nome, brillante come fuoco vermiglio ».

43 « notre sœur latine »; M. Scalesi, « ‘Italie’. Poème de Gustave Rivet », OC, p. 189.

44 M. Scalesi, Chronique littéraire. Une littérature nord-africaine, OC, p. 191. « Noi siamo su questa terra d’Africa i pionieri della civiltà. Siamo i continuatori dell’opera di Cartagine e di Roma. In quanto tali, la nostra dignità ci obbliga ad avere delle idee e ad esprimerle ».

45 M. Scalesi, Chronique littéraire, p. 208. « Dopo che Roma, Cartagine, l’Islam, hanno impresso profondamente, in successione, il loro sigillo sull’anima dei loro sudditi, sarebbe stupefacente che la Francia fosse chiamata al ruolo singolare di colonizzare l’Africa orientale senza imprimervi la sua immagine […]. Poeti, romanzieri, narratori, critici, hanno operato coraggiosamente e pazientemente, spesso in condizioni ingrate, per un ideale altissimo e puro : quello di restituire all’Africa del Nord, alla terra di Sant’Agostino, di Apuleio, di Tertulliano, di Macrobio, la sua antica dignità intellettuale ».

46 M. Scalesi, Chronique littéraire. Une littérature nord-africaine, OC, p. 191. « La letteratura nordafricana di lingua francese ha qui un compito glorioso da compiere. Toccherà ad essa dare alle razze che popolano questo paese la loro unità intellettuale, poiché soltanto in essa le loro diverse mentalità potranno fondersi ».

47 M. Scalesi, Chronique littéraire, OC, p. 208. « Quest’opera potrà realizzarla solo grazie alla letteratura, emanazione della sua cultura, agente di diffusione della sua lingua […]. [Q]uesta letteratura deve, in Africa, piegarsi al duro compito del pioniere, assumere le forme indispensabili per esprimere i luoghi e gli esseri. Esprimere una razza significa conquistarla. L’Africa del Nord sarà francese […] il giorno in cui i suoi abitanti vedranno le loro anime, le loro speranze, le loro lotte, i loro dolori, i loro ricordi tradotti con verità da degli scrittori di lingua francese, il giorno in cui, quindi, la lingua francese farà vibrare qualcosa nel loro cuore. Da qui la necessità di una letteratura nordafricana ».

48 « Mais ce sommeil / Parle en silence / De notre intense / Vie au soleil »; M. Scalesi, La bibliothèqeue de Souk-El-Attarine, in Poèmes d’orient, OC, p. 124.

49 M. Scalesi, Chronique littéraire, OC, p. 210. « Italiani che mangiano maccheroni e giocano con il coltello temperino ».

50 M. Scalesi, À Gabriele D’Annunzio, in Poèmes de guerre, OC, p. 136. « Ma tu ci hai vendicati, a Quarto. La nostra gloria / Agli occhi di un intero popolo, dal tuo verbo appassionato, / Con te si è riaccesa sulla cima della Storia ».

51 M. Scalesi, Le vieux Toscan, in Les Poèmes d’un maudit, OC, p. 52. « Tuo padre, / In piedi, fischiettando di rabbia, / Provava il filo di un rasoio […]. // Il vecchio toscano scherzava un poco / Giurava, freddamente selvaggio / Di tagliuzzarti il viso, / O mio tesoro dagli occhi di fuoco… ».

52 Ibidem. « Sognavo di vederti ridotta / A non più avvilirmi : / Fossi stato io il solo ad adorarti / Una volta la tua bellezza distrutta ».

53 M. Scalesi, Étrennes, in Les Poèmes d’un maudit, OC, p. 58. « Questo flacone pisano a cui un vecchio orafo / Con fiori e rubini incastonò il collo / Ci metterò l’amore che arde alle mie labbra / E del vetriolo ».

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Citer cet article

Référence électronique

Alberto Russo Previtali, « L’amata, la patria, il milieu », Line@editoriale [En ligne], 11 | 2019, mis en ligne le 28 mars 2020, consulté le 24 avril 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/1293

Auteur

Alberto Russo Previtali

Il Laboratorio

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