Résumés

L’articolo è un commento e omaggio alla poesia di Flavio Ermini e in particolare all’edizione bilingue di Poema n.10 Tra Pensiero, traduzione di François Bruzzo e prefazione di Franc Ducros (Plis de pensées, Nîmes, Lucie Éditions, 2007). Una riflessione su quell’oscuro poetico che « affiora sempre fra la percezione e l’essere, il nome e la cosa nominata.

This article is both a commentary on, and a homage paid to the poetry of Flavio Ermini, and especially to the bilingual edition of Poema no.10, Tra Pensiero, translated into French by François Bruzzo, foreword by Franc Ducros (Plis de Pensée, Nîmes, France, published by Lucie Editions 2007). The article consists in a reflection on the poem's darkness and the way it « always hovers between perceiving and being, between the name itself and the named object ».

Index

Keywords

being, language, origin, poetry

Parole chiave

essere, linguaggio, origine, poesia

Texte

« … metà dell’umano essere migra verso quanto è cieco. » (Flavio Ermini)1

La poesia di Flavio Ermini percorre come una palma di mano ciò che non offre superficie. In un certo senso la vera parola è senza fondo e senza superficie. Viene assorbita da ciò che tocca che immediatamente si ritrae, nell’impercettibile moto apparente del movimento insondabile, del fremito e dell’evaporazione della conoscienza : l’esperienza iperacuta che ad un tempo suscita e consuma, si distacca – più che apparizione o disparizione – come un limite, un suono atonale. Un tatto interno e quasi posteriore al linguaggio: « che ’l parlar nostro ch’a tal vista cede »2. Tatto che opera e, come metafora, sfugge ; che salva dal sognare che tocca – senza precisa demarcazione fra ciò che « è » e ciò che « non è » poichè : « priva di occhi (…) l’originaria forma (…) muta, per l’apparente alternarsi del respiro »3 ; e « dismette il nascosto la pelle, curvato sulla carta degli occhi nel verso del movimento »4.

Nessun esoterismo qui ma una tropologia costante verso l’oscuro, una fede nel mistero della materia, piuttosto della physis ; un ascolto teso, raccolto, dell’insondabile sincope nelle parole, come consustanziale alle parole, ai simulacri esatti del dire – à l’intérieur de la main diceva Rilke, al bordo del sentiment de toucher / Qui est tourné vers le haut et dans le miroir5. Interiorità che pare inaccessibile in Ermini: un tutto che morendo ricomincia (si muore) una fine simultanea, una necessaria separazione : « non c’è fine, e ancora più precaria è la terra : preferisce trattenersi accanto alle apparenze piuttosto che alla propria natura, quasi in un’assenza di fede nell’uomo »6.

Nella minima piega di questa poesia, la metafisica non è più un silenzio costellato di sensi, né il vertice muto di una teologia, ma l’emergenza della disparizione forse originaria, ontologia dell’altra parte delle cose7 – altra parte che si vuole, che si crede di far apparire, sì, rivelare, al momento stesso in cui essa si perde : in verità : « rinuncia agli occhi e al sangue l’uomo nel farsi immagine e somiglianza delle cose »8. Forse ci troviamo nell’uno senza il vuoto assegnato, non sottratto, non trattenuto : « A metà del vuoto, in molti modi appare il primo nome »9. Istantaneamente (per sempre ?), questa ambiguità del linguaggio, convenzione vitale e amputazione. Immagini della poesia; concetti della filosofia. Quale verità ? Quale reale ?

Quale specie della sembianza ci resta ? Quale « ombra che si produce nei modi in cui ogni migrazione avviene »10 ? Modi, segni che misurano ? Riti ? Posizioni e gesti come propiziatori, « profusione di modi »11. Nessuna comprensione totale, in verità, nessuna rivelazione. Cos’è che ogni predicato sotterra, che l’enunciazione quasi smentisce ? Del mondo, cosa possiamo cogliere ? O dobbiamo forse distruggere (Bonnefoy12), levare dai nomi ciò che ci impediscono di toccare ? Poichè : « la mano che cancella mostra il bene indiviso dell’aria »13. Nell’ombra del mondo, complice esiliato, il parlare tenta. E trema. E sottrae. È un impossibile che abitiamo. Raramente ha confinato, come qui, in una tale spogliazione, questa specie di ascesi commossa, minuziosa, vissuta al limite come perdita e vocazione : « nonostante differisca il taciuto dalla morte, la lingua non giunge a posarsi sulle cose per quanto si sporga »14.

Oscuro ciò che affiora sempre fra la percezione e l’essere, il nome e la cosa nominata. Cos’è che, dopo tanto lirismo, tante teorie, sistemi, dottrine e relative metastasi, cos’è che oggi la poesia fa intendere ? Che separa, apofantico ; salva per rinuncia ? che, « specie di morte prima della nascita » 15, sottrae per – forse – « un insediamento di parole … nel poco tempo che all’uomo resta »16. Insediamento più che mai precario in Plis de pensée. Vi si avvertono operare fra le parole, sporgere, parti che sfuggono alle parole stesse. Non sono solo i lassi a dire l’oscuro consustanziale alla poesia: è nel suo tessuto stesso, continuo, fitto, sotto le annotazioni, i fenomeni, il connettivo della sintassi, del logos; è l’articolato ad essere travolto, captato da questa scansione d’intervalli, di vuoti. Litania di frammenti, di forme, bave, suture, unghie, radici, grumi, parti minutissime. Che cosa, fra dormizione, entropia e modo che chiamiamo pensiero, che cosa – indistinto, indefinibile – fa respirare un passaggio ai limiti del canto, dal quale la voce emana e si distrugge, insieme sacrificio e respirazione originaria, come mimata, raccolta, vicina alle ossa, senza alcun ornamento: ridotta aspramente al lessico della fisiologia, dell’organico ? Una metafisica attraverso i pori, le membrane; attraverso l’elemento liquido degli occhi, il sottile, i rapporti infimi che si formano – come ? – con, risponde Ermini, con ciò che resta. Materia ancora a volte priva di nome, in noi e senza di noi, costitutiva e divisa, perfino quando non costituisce un fine evitare il dolore17: vero e proprio migrante dalle sue parvenze, funzioni, ulteriore separazione del detto18, in nessuna parte compiuta, assente in nessuna.

Dall’altra parte delle cose, quale metà vuota si aggira in queste pagine ? Quali scorie di una durata in cui l’insepolto si cela19? Attraverso cui, forse, la preistoria ha consumato tutta la sua voce per farsi sentire20. Per ciò che forse deve subire il mondo che l’esclude; ciò che dice e non dice: questo libro è un trattato d’affermazione e di negazione, ai limiti dell’esposto… al soffio, dell’irriducibile al linguaggio umano21.

Come teso verso ciò che, organico, ne è separato, incognito. Fino alla nudità di quella parola che Silvia Ferrari22 definisce una « solennità quasi memore di una genesi primordiale», tendente più all’elevazione spirituale23. Nel suo stesso incognito, negli infrasuoni : « nella cavità mediana dell’aria »24.

Non il rovescio del reale, ma – meno percettibile – là dove la poesia sta, nel solo spazio che la costringe ad essere, a crearsi : fuori dalle analogie, tropi, figure ; da ciò che sa di non poter mostrare, nel superamento di ogni riferimento, della sua morte polisemica. Manifestazione che senza tregua ripensa, consuma il segno, il concetto : fuori dall’uno e dall’altro… per quanto si sporga.

Empia, al limite, questa nota di Valère Novarina su Wittgenstein : « Muoiono per dirci ciò di cui non si può parlare – Solo loro lo dicono, non il silenzio nella voce (…). Ciò di cui non si può parlare, è quello che si deve dire25».

Fondazione. E incompiutezza.

Quale etimologia ? Quale assioma, quale origine ?

L’origine è innanzi.

(Christian Hubin, traduzione di Margherita Orsino)

Note de fin

1 Flavio Ermini, Plis de pensée, (edizione bilingue di Poema n.10 Tra Pensiero) trad. di François Bruzzo, prefazione di Franc Ducros, Nîmes, Lucie Éditions, 2007.

2 Dante, Paradiso, XXXIII, v. 55-56.

3 «  In verità », Plis de pensée, op. cit.

4 « Tra luci », ibidem.

5 Da « Paume », Rainer Maria Rilke, Poèmes épars, traduzione francese di Philippe Jacottet, in Œuvres complètes, Paris, Seuil, 1972, vol. 2, p. 453.

6 Flavio Ermini, La Terra, « Anterem », n° 74, 2007, p. 66.

7 « A Parole », Plis de pensée, op.cit.

8 « Tra Luci », Ibid.

9 « A parole », Ibid.

10 « Tra luci », Ibid.

11 « Dal silenzio », Ibid.

12 « Il y avait qu’il fallait détruite et détruire et détruire ». Yves Bonnefoy, Hier régnant désert, Paris, Mercure de France, 1958, p. 35.

13 « A Parole », Plis de pensée, op. cit.

14 « Dal silenzio », Ibid.

15 « In Verità », Ibid.

16 « Al Detto », Ibid.

17 « Di Pietra  », Ibid.

18 « In Verità », Ibid.

19 « In Verità », Ibid.

20 Giovanna Fra, Flavio Ermini, Ali del colore, Edizioni Anterem, 2007, p. 34-35.

21 Franc Ducros, Prefazione, Plis de pensée, op. cit.

22 Ali del Colore, Postfazione, op. cit.

23 Ibid., p. 55.

24 « Dalla Veglia », Plis de pensée, op. cit.

25 Valère Novarina, Davanti alla parola, trad. di Gioia Costa, Milano, Ubulibri, 2001.

Citer cet article

Référence électronique

Christian Hubin, « La metà dell’essere », Line@editoriale [En ligne], 2 | 2010, mis en ligne le 02 février 2017, consulté le 02 mai 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/267

Auteur

Christian Hubin