L’apprendistato di Paolo Murialdi tra storia e giornalismo (1939-1956)

  • L’apprendistato di Paolo Murialdi tra storia e giornalismo (1939-1956)

Résumés

L’articolo si concentra sulla figura del noto storico del giornalismo Paolo Murialdi analizzando il suo passato e le sue prime attività come giornalista, ad oggi ancora poco conosciute. Si parte dalla sua formazione a Genova e dall’adesione al movimento partigiano durante la seconda guerra mondiale fino all’arrivo a Milano. Qui, dove risiederà stabilmente, diventa professionista scrivendo per quotidiani e riviste, per poi approdare al prestigioso Corriere della Sera e al rivoluzionario Il Giorno, non prima di essere stato redattore militante nel quotidiano socialdemocratico L’Umanità.

This article is focused on the well known historian of Italian Journalism, Paolo Murialdi, and aims to analyze his still unknown past and his first experience as a reporter. He grew up in Genoa, than he adhered to the partisans in the Second War World and settled in Milan in the Post War period. Here, where he lived steadily, he became a professional journalist, writing for newspapers and magazines, like the prestigious Corriere della Sera and the revolutionary Il Giorno, without mentioning his career as a militant reporter for the social democratic sheet L’Umanità.

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Texte

È stata una figura poliedrica quella di Paolo Murialdi, scomparso nel 2006 e noto soprattutto per essere stato uno dei maggiori storici del giornalismo italiano. Se è tuttora celebre e basilare la sua Stampa italiana del dopoguerra, pubblicata nel 1973, non altrettanto conosciuta è la sua biografia, scandita da vari incarichi ad accompagnare l’attività di ricerca. Murialdi, infatti, prima di pubblicare testi di studio è stato protagonista e testimone di passaggi chiave della storia repubblicana, prima come partigiano durante la seconda guerra mondiale, in seguito come giornalista e poi come presidente della Federazione nazionale della stampa negli anni ’70. Se ci si limitasse a considerare questi punti nodali della sua vita professionale – giornalista, storico, sindacalista – non si darebbe però conto di molte altre attività da lui svolte: Murialdi è stato anche dirigente Rai negli anni ’90, scrittore e saggista, animatore intellettuale e docente, nonché fondatore della rivista Problemi dell’Informazione che, dal 1976 a oggi, si occupa di studi massmediologici.

Questo contributo dà conto di un arco cronologico limitato, coincidente con la formazione di Murialdi e con le sue prime esperienze sulla carta stampata, avvalendosi in primo luogo del materiale archivistico proveniente dal Fondo Murialdi depositato alla Fondazione Mondadori di Milano e degli articoli da lui scritti, in particolare per il quotidiano l’Umanità, che costituiscono il corpus maggiormente documentabile e organico.

Va menzionata a questo punto una questione centrale, che rende l’analisi problematica: Murialdi è stato sì giornalista, ma, paradossalmente, nella sua lunga carriera, ha scritto poco, talvolta nulla, ad esempio quando le sue esperienze sono durate pochi mesi. Bisogna premettere anche che nel dopoguerra era frequente non firmare gli articoli o siglarli solo con le proprie iniziali, oppure scrivere sotto pseudonimo, condizioni che, senza ulteriori indicazioni, rendono oggi difficile stabilire con certezza la paternità dei pezzi sulla base di una mera analisi stilistica. È un discorso che può valere anche per Murialdi, per il quale andrebbe tuttavia escluso l’espediente dello pseudonimo, sia per mancanza di documenti in merito, sia per la sua coerenza e trasparenza: neppure durante il rischioso periodo partigiano si era cautelato con un nome di battaglia, facendosi chiamare semplicemente Paolo.

Negli anni considerati, quindi, il giornalismo di Murialdi si caratterizza semmai per essere un lavoro dietro le quinte, di coordinamento dell’attività redazionale, di supervisione o di desk, come si direbbe oggi. Queste funzioni, faticose e altrettanto necessarie per la fattura di un giornale quanto la scrittura, sono difficili da documentare, giacché hanno lasciato poche tracce e, di conseguenza, anche meno elementi per valutare la personalità di Murialdi, che affiora da pochi scritti, dando comunque un’idea di rigore e riservatezza, ma anche di ironia.

Questo articolo, al netto di eventuali lacune, ricostruisce la ricchezza e la frammentarietà dell’apprendistato di Murialdi, inquadrandolo però nella sua più longeva carriera, culminata con la ricerca storica in un ambito, quello della carta stampata, sempre vissuto dall’interno, di cui si conoscono perfettamente i meccanismi e, non da ultimo, gli attori coinvolti. Negli anni, infatti, il giornalista genovese ha modo di conoscere e di lavorare con molte delle penne più note e talentuose della sua epoca. Murialdi non è quindi stato un cronista d’assalto, non ha firmato reportage o inchieste rilevanti, non ha neppure scritto articoli memorabili, però la sua scelta di diventare giornalista è rivelatrice, sia per il valore civile ed etico ad essa sotteso, sia per la stretta correlazione con la storia. Oltre a essere improntata alla libertà di espressione, infatti, la pratica giornalistica è anche tesa alla ricerca e alla documentazione della verità e alla volontà di non dimenticare, che per Murialdi diventa una netta presa di posizione di fronte agli eventi e alla politica: una reazione contro il fascismo, prima, una costante salvaguardia dei valori della democrazia nati dalla Resistenza, poi. A questi rimanda la continua attenzione del giornalista ligure alla storia del movimento partigiano e la sua adesione all’arco dei partiti della sinistra non comunista, senza settarismo alcuno.

1. I primi passi

Paolo Murialdi nasce a Genova nel 1919, in una famiglia della buona borghesia, in una data che, decenni dopo, sarà determinante per l’Italia, poiché sancirà l’armistizio della seconda guerra mondiale: l’8 settembre. Per lui la professione giornalistica è di fatto una tradizione familiare: Gino e Fausto Murialdi, rispettivamente nonno e zio, avevano infatti collaborato al quotidiano genovese Il Lavoro negli anni ’10 e ’201. Il padre Vezio, invece, si occupava di sport nella redazione della principale testata del capoluogo ligure, Il Secolo XIX, dove era divenuto celebre per le sue « corrispondenze telefonate »2 come inviato speciale al Giro di Francia del 1932. Ed è proprio in questa testata che il giovane Paolo avvia il suo apprendistato come giornalista nel 1939, quando è ancora studente di giurisprudenza. L’inizio della sua carriera avviene quindi in un periodo difficile per la stampa, a causa dell’asservimento al regime fascista e al prepararsi della seconda guerra mondiale.

All’aspirante reporter, il Sindacato interprovinciale fascista notifica presto la possibilità di essere iscritto all’Albo dei praticanti non appena si liberi un posto in una redazione, condizione che si realizza a partire dal maggio 1939 proprio al Secolo3. Ad agosto dello stesso anno la sua iscrizione all’Albo, che il regime aveva instituito nel 1925 per meglio disciplinare e controllare l’attività della stampa4, diventa ufficiale, anche se, testimoniano i documenti d’archivio, la lettera che gli comunica il fatto viene retrodatata a maggio da Carlo Giachello, segretario interprovinciale dell’Albo e presidente del Comitato di gestione dello stesso5. Il giovane si occupa inizialmente di cronaca sportiva: è una prima esperienza durante la quale si limita a stendere resoconti delle partite del Savona calcio e a compilare le tabelle dei risultati e delle classifiche, incarico che, a posteriori, giudica “noioso”6. Ma che gli vale il passaggio alla categoria dei professionisti, come gli comunica di nuovo il segretario Giacchello7. Presto, però, Murialdi deve interrompere con la redazione sportiva poiché, a partire dall’ottobre 1940, a guerra già iniziata, viene dispensato dal lavoro festivo dal direttore del Secolo, David Chiossone, affinché possa occuparsi della rubrica dedicata alle province8.

Egli svolge frattanto anche il regolare servizio militare negli alpini, dalla fine del 1941 fino all’8 settembre 1943, quando la sua famiglia si trasferisce a Zoagli, poiché i bombardamenti hanno danneggiato l’abitazione di Genova. In questa data spartiacque per il destino dell’Italia, il giovane sceglie di diventare partigiano, entrando in una formazione delle Brigate Garibaldi che opera nella zona dell’Oltrepò pavese: prima nella divisione Aliotta, poi sugli Appennini, nella Casotti, dal settembre 1944, dove si guadagna i gradi di tenente e capitano9. È un’esperienza formativa che lo segna e che egli narrerà con stile volutamente pacato e antiretorico a distanza di molti anni, nel 2001, quando scriverà La traversata, al contempo libro di formazione e resoconto autobiografico di quelle concitate fasi storiche. Si tratta di un mémoire asciutto, dall’aggettivazione essenziale, che, procedendo per paratassi, non scade mai nel patetismo, neppure di fronte alle circostanze più dure della guerra e del dopoguerra. Murialdi non esalta infatti né il proprio ruolo né quello dei compagni, semmai, la sua presa di posizione antifascista solida e netta, testimonia la profonda consapevolezza dell’azione svolta dalla Resistenza e la necessità che la sua eredità si mantenga, soprattutto di fronte a un presente in cui « il valore della scelta partigiana – non grande ma certo – è ancora oggetto di passioni che dovrebbero essere acquietate da un pezzo, e di contrapposizioni estreme »10. Alle soglie del XXI secolo, con acutezza, il giornalista genovese rileva infatti che, nonostante si siano avvicendate più generazioni, « le ultime manifestano un ripudio della memoria storica che fa impressione »11, perciò diventa tanto più importante mettere su carta i suoi ricordi di Voghera e dell’Oltrepò dei decenni addietro.

In quelle poche stagioni, allora, che Murialdi reputa un momento di transizione all’età adulta, egli abbandona temporaneamente il giornalismo per ragioni che definisce politiche. Si era infatti rifiutato di obbedire a Fortunio Rocchi, sequestratario del Secolo XIX per conto del regime, che, nel gennaio del ’44, gli aveva intimato di riprendere immediatamente servizio nella redazione del quotidiano12. Come Murialdi stesso afferma, la scelta « di non aderire al fascismo di Salò, di non fare nulla per favorirlo, era stata immediata »13, ma non scontata per chi, come lui, cresciuto ed educato negli anni del regime non aveva potuto conoscere altre realtà. È una decisione non facile, anzi, aggravata, come riporta la sua testimonianza, dall’appartenenza a una famiglia della buona borghesia, dove il benessere e le conseguenti possibilità di svago nonché il godimento di una certa libertà personale avrebbero potuto distrarre e allontanare dalle questioni politiche.

La maturazione verso una presa di posizione politico-ideologica ferma e rischiosa come quella partigiana, invece, si compie in modo definitivo e graduale: da una situazione di attendismo e di solitaria indecisione Murialdi passa al progressivo disgusto per i vacui rituali del regime e per le leggi razziali, proclamate nel 1938, fino alla consapevolezza che l’azione è necessaria e che debba essere « senza riserve »14. Si tratta di una decisione in cui « combaciano l’ideale e la pratica, il presente e il futuro »15, quello che gli si presenterà sotto il segno dell’impegno intellettuale ed etico.

Il giornalista ligure viene quindi reclutato da Edoardo, nome partigiano di Italo Pietra, futuro direttore del quotidiano il Giorno, nelle brigate Garibaldi che, nella zona di Voghera, dove agivano, avevano formazione politica mista. In questo caso La traversata diventa opera doppiamente preziosa, poiché, oltre a dare conto di alcuni aspetti della personalità del giovane Paolo, come il rigore, la sobrietà, l’interesse per la cultura, permette di integrare le lacune archivistiche sugli avvenimenti cui egli prende parte o assiste fino alla Liberazione e all’ingresso a Milano nell’aprile 1945.

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2. Milano

2.1. Aria di ricostruzione

Al termine della guerra « la voglia di fare il giornalista […] si è centuplicata »16 e Milano rappresenta il luogo ideale per il giovane Murialdi, che vi si stabilisce in via definitiva, prima in via Illica, ospite dell’amico Maino, nome di battaglia del conte Luchino dal Verme, poi in una pensione in via XX Settembre e, solo dal dicembre 1946, in un’abitazione in viale Certosa, con la madre. Il padre Vezio, con cui intratterrà un costante scambio epistolare, si era invece trasferito nell’Italia meridionale dopo l’8 settembre, per poi ritornare a Nord, ad assumere incarichi dirigenziali alla Camera del lavoro di Alessandria. In questo breve ma travagliato arco di tempo e almeno fino al ’47, Murialdi affronta decisioni determinanti dal punto di vista politico e professionale, lavorando in diverse testate giornalistiche. Pur essendo attirato dalla politica militante capisce velocemente che non è adatta a lui, infatti, dopo aver assistito a un comizio, afferma: « Non mi piacciono le sottigliezze e le furberie. Reagisco moralisticamente. La politica la farò da giornalista »17. Non entrerà quindi nel partito comunista, deludendo alcuni suoi compagni di brigata, perché, come spiega nella Traversata: « Diffido dei dogmatismi e certi episodi mi hanno sconcertato. Sono cresciuto laico e sto a sinistra, ma cerco un partito di libertà »18. Rassicurato in tal senso dal socialista Sandro Pertini, futuro presidente della Repubblica, aderisce allo Psiup costituitosi nel 194319 e ne segue poi le vicende dalla redazione del suo organo a stampa, l’Avanti!, senza tuttavia prenderne mai la tessera20.

Prima di questa decisione, però, all’indomani della Liberazione, Murialdi collabora alla Fondazione Solidarietà Nazionale, creata dai partiti da poco ricostituitisi e dagli alleati, come segretario della Commissione stampa e propaganda, dove incontra di nuovo Pietra, ora suo supervisore. Il genovese, inoltre, diventa anche Capo sezione dell’Ufficio storico del Comando generale del Corpo volontari della libertà, con il compito di raccogliere materiale e testimonianze storiche sull’attività partigiana nell’intero Nord Italia21. Si tratta di un lavoro che Murialdi stesso giudica « vasto e importante »22 e che lo occuperà per mesi, tanto che, nel settembre 1945, scrive una breve relazione sullo stato dei lavori dell’Ufficio storico e formula, con piglio deciso, alcune proposte per riorganizzarlo al meglio23. Qui affiorano già in nuce il suo interesse per la ricerca e le sue capacità di coordinamento, di supervisione e di programmazione, tutte abilità che gli torneranno utili in redazione. Secondo il giornalista ligure, infatti, il lavoro svolto fino ad allora dall’Ufficio storico era avanzato con lentezza per mancanza di indirizzi e finalità precise, perciò era necessario rivederne l’impostazione e individuare responsabili di zona che fungessero da collettori di resoconti e documenti partigiani di futura utilità. Non solo: Murialdi auspica anche la creazione di un ente riconosciuto unanimemente da tutte le forze politiche con una doppia veste: quella propriamente storica, di raccolta e cernita dei documenti, e quella propagandistica, con il compito, altrettanto importante a suo parere, di allestire mostre e curare pubblicazioni. Accanto a un organismo siffatto, Murialdi immagina anche l’istituzione di un archivio consultabile dagli studiosi. Questi incarichi, inoltre, lo mettono in contatto con giornalisti e persone che giudica interessanti, tra le quali Ugo Stille, all’epoca impiegato all’Eiar, che lo aveva brevemente coinvolto nella redazione di giornali radio nel giugno 194524. È questo un lavoro – di nuovo nei media – che incuriosisce Murialdi ma che egli considera temporaneo in vista di una posizione di corrispondente stampa dall’estero, ruolo cui ambisce e cui accenna molteplici volte nelle missive indirizzate al padre, ma che si realizzerà solo parzialmente nel ’47 all’Umanità.

Nel luglio del ’45, intanto, spinto da necessità economiche Murialdi si accolla un nuovo impegno nonostante la stanchezza crescente: la raccolta di materiale sulla Resistenza per un numero speciale della rivista Mercurio, che uscirà nel dicembre di quell’anno25. Si tratta, come recita l’intestazione, di un mensile di Politica, arte e scienze, diretto da Alba De Cespedes e supervisionato da Gino De Sanctis con i quali Murialdi collabora direttamente e di cui apprezza l’intento e il risultato, poiché la reputa « una rivista piovuta dal cielo nell’ultimo tempo della montagna »26, anzi, addirittura « il primo esempio giornalistico arrivato dall’Italia liberata »27. Anche in questo caso, per il giornalista ligure, si aprono diverse possibilità lavorative, tanto che domanda al padre un parere sull’editore della rivista, Gianni Darsena, tramite cui gli si prospetta un’opportunità lavorativa nel caso la casa editrice romana avesse esteso la propria attività anche a Milano. Il numero monografico della rivista, che esce con il sottotitolo di Anche l’Italia ha vinto, alludendo esplicitamente alla Resistenza, è un collettaneo di racconti e memorie partigiane, tra cui spiccano i nomi di Italo Pietra, Enrico Mattei, Pietro Bianchi, Attilio Bertolucci, Arturo Tofanelli, Alfonso Gatto, Elio Vittorini, Indro Montanelli e dello stesso Murialdi, che firma Quaranta cechi. Si tratta di un breve resoconto, poi inserito nella Traversata28, in cui il giornalista narra la diserzione di un gruppo di militari cechi dall’esercito tedesco alla sua brigata. In poche pagine, accumunate dallo stesso stile lineare della sua autobiografia, Murialdi descrive gli eventi di una notte di pioggia e fango vicino al Po: è una « storia di guerra partigiana »29 e « di un colpo di mano, un bel colpo di mano », per favorire la diserzione dei soldati cechi messi a guardia dei traghetti sul fiume Po e diventati come « fratelli » nel giro di poche ore. Per noi, oggi, è anche un’occasione in cui notare qualche tratto stilistico di Murialdi, dall’uso dell’ironia alla similitudine e all’accumulo, perché, descrivendo i rischi di quella serata, scrive: « Bisogna arrivare sul posto, la luna faccia il piacere di tenersi celata dietro le nubi, fare il segnale, caricare in fretta tutto il possibile e poi venir via, silenziosi e rapidi come l’acqua del grande fiume ».

Nei mesi estivi, inoltre, oltre a dedicarsi a Mercurio e alla scrittura, Murialdi studia inglese, in vista di quelle collaborazioni con l’estero che tanto desidera, e si accinge a completare gli studi universitari, laureandosi nel luglio 1947 con una tesi in diritto internazionale, anticipata da un breve ragguaglio al padre Vezio: « Ho regolato le mie pendenze con l’università, mi sono iscritto, ho avuto la tesi, un giovane professore di Milano mi ha dato molto materiale, con un ora al giorno di preparazione per venti giorni la tesi sarà fatta »30.

Il « lungo dopoguerra »31 descritto da Murialdi è indubbiamente travagliato, ma anche carico di aspettative e di fermenti, di tensioni idealistiche e di proposte concrete: la Milano dai tratti americani che egli descrive è quella del boogie-woogie e dei divi hollywoodiani, dei film neorealisti, degli spettacoli di varietà e dei romanzi stranieri finalmente tradotti dopo anni di censura fascista32; è la Milano di Picasso, degli sport popolari, del Politecnico, della giunta socialista del sindaco Greppi, delle prime organiche manovre politiche a livello nazionale. Non da ultimo Murialdi rileva quanto siano state effimere le speranze nate con la Resistenza, ma anche il riconoscimento ufficiale che le viene attestato con la scelta dell’ex-partigiano azionista Ferruccio Parri quale primo capo di governo. A proposito delle proprie difficoltà, invece, il futuro storico non nasconde, nella Traversata e nelle lettere inviate a Vezio, le dure condizioni di quei mesi post-Liberazione: la carta annonaria è magrissima, il freddo invernale è alle porte, le vie di comunicazione sono ancora disastrate e sussistono incertezze di lavoro. L’indigenza diffusa il giornalista la documenta anche, in un’ottica in bianco e nero che ricorda proprio certi film neorealisti dell’epoca, quando si trova a scrivere su Oggi dell’impoverimento che la guerra ha lasciato sulle categorie sociali più diverse. Dai colonnelli all’alta borghesia a scendere, fino ai maestri e agli impiegati, tutti sono costretti a ricorrere ai rigattieri per sopravvivere e cercare di abituarsi a uno stile di vita che non gli è consono: « Vale la pena di sapere oggi cosa succede a questi uomini, a questi “signori” che ormai sono rimasti soli con la loro onestà e con la miseria, per la quale non erano certo cresciuti »33. Murialdi, rimarcando il concetto, si fa partecipe di una « miseria che si allarga come una macchia d’olio; […] miseria che difficilmente potrà scomparire » e di fronte alla quale si è irrimediabilmente « naufraghi della vita », pur conservando la speranza che « una prima vendita possa bastare, che poi la vita cambi, che ritorni il diritto di non crepare sacrosantamente di fame, in mezzo a molta indifferenza ».

La povertà che sperimenta Murialdi direttamente è dovuta al suo stipendio insoddisfacente, che lo costringe a più collaborazioni in contemporanea, condizione che gli consente paradossalmente un vantaggio: osservare le novità nel campo della stampa quotidiana e periodica. Essa infatti si riorganizza e si ricostituisce sotto le indicazioni del Comitato di liberazione nazionale e degli alleati, sintomo di un lento ritorno alla libertà e al vivere civile. Ciò avviene al di là della scarsa o mancata epurazione interna alle redazioni e all’obbligo di chiusura per le testate di regime, mentre quelle più compromesse ovviano al problema aggiungendo la dicitura Nuovo accanto al titolo.

Murialdi registra quindi la moltiplicazione delle testate, ma anche la loro precarietà: sono insufficienti sia le trasmissioni di notizie sia la carta, tanto che i primi fogli quotidiani escono a sole due pagine, quattro la domenica, con scarsa cura grafica, un linguaggio a tratti ancora retorico e un’impostazione antiquata. Alcune notizie, anche clamorose, come Murialdi riconoscerà nella sua autobiografia, non vengono trattate con l’ampiezza e l’attenzione che meriterebbero, sia per il timore di comunicarle e per la mancanza di fonti, sia per il controllo che gli alleati esercitano sui mezzi di comunicazione attraverso lo Psycological Warfare Branch34.

2.2.Tra quotidiani e riviste

Nel 1945, tra la dozzina di nuove testate nate a Milano, di cui otto a carattere politico, spiccano tre nuovi quotidiani con edizioni esclusivamente pomeridiane o serali: il Corriere Lombardo, il Corriere d’Informazione e Milano Sera35. Seppure con diverso orientamento, la caratteristica che li accomuna è la titolazione sensazionalistica, l’attenzione alla cronaca e allo scoop, l’ampio spazio concesso agli spettacoli, all’intrattenimento e alle fotografie.

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Murialdi viene impiegato come redattore proprio a Milano Sera, organo fiancheggiatore delle sinistre, dalla doppia paternità e gestione, comunista e socialista, diretto inizialmente da Michele Rago e poi, da dicembre 1945, da Corrado De Vita36. È proprio in questo mese che Murialdi vi approda37 per lavorare agli Interni, cominciando la sua vita effettiva da giornalista e lasciandosi alle spalle le molteplici ed effimere esperienze avute fino ad allora. Nei pochi mesi in cui vi lavora, tuttavia, il giornalista non firma nulla, probabilmente impegnato in funzioni di editing, oppure, semplicemente non sigla i suoi articoli al pari di molti altri colleghi, cosa che ne rende oggi difficile l’identificazione. In ogni caso a Milano Sera Murialdi può fregiarsi di lavorare in una testata piuttosto innovativa. Il foglio di Rago si professa infatti « giornale di informazione e di varietà »38, d’impostazione democratica e antifascista, dotato di molti collaboratori che spesso si cautelano con pseudonimi. Il vero animatore è però il caporedattore Gaetano Afeltra39, che ne rinnova la formula e dà ampio spazio alle pagine culturali, agli articoli di critica letteraria, alle novità editoriali, spesso straniere, e alle firme prestigiose, senza disdegnare quelle femminili. Nonostante queste novità, la veste tipografica « molto brillante »40 e il tentativo di sviluppare collateralmente una collana editoriale e un supplemento in rotocalco per differenziarsi da altri periodici, Milano Sera non decolla e sospende le pubblicazioni nel 1954, confluendo in Paese Sera41.

Murialdi, però, non vive direttamente questa fase di trapasso, perché, a partire dal 16 settembre del 1946, su invito di Guido Mazzali che ne è direttore, passa alla redazione milanese dell’Avanti!42, la testata dei socialisti43, su cui, di nuovo, non firma nulla e per cui si possono avanzare le ipotesi già menzionate. La transizione, però, non avviene prima che Murialdi abbia chiarito la propria posizione rispetto all’Associazione lombarda dei giornalisti e all’istituto di Previdenza dei giornalisti, che, nel corso del febbraio e dell’agosto ’46, su sua espressa richiesta, lo riconoscono ufficialmente giornalista professionista dal 1 dicembre 1945, senza la perdita dei diritti acquisiti fino ad allora a causa del periodo bellico44.

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Il capoluogo meneghino si presenta vivace anche per quanto riguarda i neonati rotocalchi, un genere che si caratterizza subito quale specchio di società, politica e attualità45. Di nuovo, Murialdi ha la possibilità di assistere alla nascita di alcuni di essi e di lavorarvi. Egli collabora infatti da esterno e senza contratto al neonato Oggi, fondato da Edilio Rusconi nel luglio 1945 ed edito da Rizzoli. Si tratta di un settimanale moderato, dal « rigoroso »46 equilibrio tra tecnica e contenuto, che lo rende sì moderno, ma al contempo incapace di affrontare la concorrenza di altri periodici meglio impostati.

Su Oggi Murialdi scrive un pugno di articoli che fotografano alcuni aspetti contraddittori del dopoguerra e lo fa con stile scorrevole e sintetico, ancora venato di ironia, come avviene con la cronaca di una giornata trascorsa dal presidente De Nicola alla Fiera campionaria di Milano, dove è consacrato dal bagno di folla e la sua « signorilità meridionale »47 viene compresa e apprezzata senza particolari ostacoli. Sullo stesso tono Murialdi stende anche un articolo dedicato alla rissa scoppiata per le « segnorine » di Mestre, prostitute contese da centinaia tra abitanti del luogo e alleati, perlopiù inglesi, lì stanziati dopo la guerra. Nel suo resoconto il giornalista descrive i tafferugli culminati in una vera e propria « battaglia da paesi caldi, violenta e gigantesca, quale probabilmente nessun regista ha mai inventato »48, causata dallo scontro di due caratteri opposti: la « natura orgogliosa » e l’« istinto padronale » degli inglesi a contatto con il « risentimento » e il « nazionalismo erotico » degli italiani. Alle « segnorine », invece, il giornalista non ha molto da imputare se non, ironicamente, « aver ceduto a un vano sogno romantico o a una scatoletta di meat and veagetable ».

Le controversie affiorano anche in merito al ruolo dei carabinieri, un corpo per sua istituzione devoto alla corona e il cui compito con l’avvicinarsi del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 è messo in dubbio da ampie categorie sociali. Murialdi, però, scrivendo in prima persona, si limita a tranquillizzare i lettori di Oggi sull’azione dei carabinieri, a cui, da statuto, stanno a cuore l’ordine e la tutela delle leggi, come ben testimonia il loro intervento per reprimere « duramente »49 una manifestazione di monarchici proprio durante la propaganda referendaria.

Lavorando a Oggi, però, Murialdi ne coglie anche la linea politica incerta e la vaghezza ideologica, che lo portano a definirlo « qualunquista »50, se confrontato con Tempo Nuovo di Arturo Tofanelli, un’altra rivista nata a gennaio ’46, con la quale egli si cimenta da dicembre di quell’anno, realizzando in realtà due soli articoli dedicati al politico Ivan Matteo Lombardo. Anche in questo caso il redattore genovese lavora soprattutto dietro le quinte e, come menzionato, apprezza maggiormente il settimanale mondadoriano, rispetto al rotocalco di Rusconi. Rivela infatti al padre:

[…] Mi pareva di averti scritto del mio passaggio a Tempo: mi danno 15mila al mese e lavoro una quantità, un po’ meno che a Oggi. E poi soprattutto non ho perduto l’occasione di sbattere le porte degli uffici di Rizzoli con qualche parola aggiustata. Direttore di Tempo è Tofanelli e pur non essendo un giornale di sinistra non è qualunquista come è attualmente Oggi […]51.

Ed è ancora attraverso lo scambio epistolare con il padre Vezio che si rivelano aspetti privati e difficoltà del giovane Murialdi nel corso del ’46, quando emergono sì la soddisfazione per avere trovato casa e lavoro, ma anche la precarietà, data dalla scarsità perenne di denaro, e la fatica che lo costringe a una vita senza respiro, con continue rinunce al tempo libero, allo svago e soprattutto al riposo. Egli scrive infatti:

[...] I soldi vanno via come il vento, oggi mi trovo in questa situazione: non ho i soldi per saldare il conto della pensione e devo fare lavori in casa, luce, stufa, legna, sbiancatura, telefono [...]. Da mesi e mesi faccio quello che posso per la mamma e adesso la comincio a mantenere. Il sacrificio non mi costa poco: laurea, lingua, cultura, viaggi, tante cose giuste e belle, ma come fare con un’ora di tempo libera al giorno? È uno sfogo lo so, ma adesso tutto pesa molto, poi, in seguito, forse peserà meno [...]52.

La successiva scelta lavorativa di Murialdi, però, è condizionata principalmente dalla sua identità politica. Nel gennaio del ’47, infatti, a causa di divergenze e tensioni interne, lo Psiup a cui aveva aderito si separa in due nuovi soggetti, Psi e Psli, con la cosiddetta scissione di Palazzo Barberini. Le elezioni amministrative del 10 novembre 1946, per altro, avevano già contribuito ad acuire la distanza tra i due leaders, Pietro Nenni e Giuseppe Saragat, conducendo quest’ultimo alla fondazione del Partito socialista dei lavoratori italiani53. Si era trattato di un processo difficoltoso, resosi inevitabile nonostante i vari tentativi di conciliazione che, come ricorda Murialdi, erano stati ad esempio attuati da Ivan Matteo Lombardo, un politico che ammira perché « al di sopra delle tendenze, un militante di sicura fede per il suo passato, tecnico capace, e come tale un po’ staccato dalle aspre lotte di partito »54. Lombardo, però, come nota il redattore, nonostante il suo trascorso rigorosamente socialista, mantiene a sua volta una posizione « leggermente confusa come lo era tutto il mondo socialista »55, perciò la sua azione pacificatrice tra le fazioni si rivela vana. Lo stesso Murialdi si trova politicamente a un bivio, scegliendo di aderire alla socialdemocrazia.

Il Psli, che farà parte dei governi centristi di Alcide De Gasperi già dal dicembre ’47 nonostante i continui processi di scomposizione e ricomposizione che in pochi anni ne sconvolgono la fisionomia56, si rivolge agli elettori della piccola borghesia e agli intellettuali57 e si dota da subito de L’Umanità quale organo a stampa. Il quotidiano, che nasce il 18 gennaio 194758, ha una doppia edizione, milanese, diretta da Giuseppe Faravelli, tra i fondatori del Psli stesso e della rivista Critica sociale, e romana, curata da Carlo Andreoni59.

2.3. L’esperienza all’Umanità

2.3.1. Gli Esteri

Nel marzo del 1947 Murialdi entra nella squadra dell’Umanità come redattore per gli Esteri, con la qualifica di capo servizio, ruolo che gli consente di « impratichir[si] anche in un altro ramo »60 del giornalismo, coronando parallelamente, ma solo brevemente, il desiderio di essere corrispondente dall’estero e di viaggiare. Il 1947 è anche l’anno d’avvio della Guerra fredda, dei Trattati di pace di Parigi, della nascita del Piccolo Teatro, dei viaggi di De Gasperi e poi di Saragat negli Stati Uniti, oltreché del Piano Marshall; tanto che il redattore genovese ironicamente afferma: « Dagli Interni sono passato agli Esteri sperando di riposarmi e invece è incominciata la conferenza di Mosca e c’è stato il discorso di Truman »61.

Nel luglio del ’47, come anticipato al padre per lettera, Murialdi è a Parigi, per seguire i lavori della Commissione di cooperazione economica europea e delle relative sotto commissioni, primo passo verso l’avvio del Piano Marshall. Il giornalista, in qualità di inviato speciale, svolge un incarico di una certa responsabilità, ma ha anche il privilegio di incontrare esponenti politici di caratura internazionale e di farsi portavoce dei valori socialdemocratici. Con il suo consueto periodare lineare, Murialdi conduce una cronaca dettagliata degli eventi e delle richieste dei sedici stati partecipanti, sottolineando che l’Italia, con Francia e Gran Bretagna, è considerata una « pedina importante »62 per la ripresa economica dell’intera Europa, perciò riceverà gli aiuti necessari una volta formate le commissioni di valutazione. Nel dare conto degli eventi, Murialdi considera anche gli incontri tra politici, tra cui spicca quello tra il ministro degli esteri italiano Sforza e il socialista francese Léon Blum:

[…] Il colloquio è durato circa tre quarti d’ora e ha un’importanza che è quasi superfluo rimarcare per quel che Léon Blum rappresenta nella Francia di ieri e in quella di oggi e per il fatto che il leader socialista fu il primo dalle colonne del Populaire a parlare un linguaggio di simpatia e di incoraggiamento nei riguardi dell’Italia dopo la fine del conflitto.

Blum è quindi l’anima del Populaire, tanto che una visita alla sua redazione rivela a Murialdi il suo ruolo molto apprezzato dai giornalisti, che lo chiamano « il patron in tono familiare, quasi filiale »63, e il fatto che i suoi articoli « sempre chiari come uno specchio sono, a detta di tutti, socialisti e non, una delle più ricercate letture del mattino ». Il giornalista genovese non può che ammirare l’attività del foglio francese, ben organizzata, « vasta e precisa », tesa a favorire « la grande battaglia per il socialismo » e il suo spirito europeista.

A proposito della conferenza di Parigi, inoltre, Murialdi nota che la « buona volontà di collaborazione e comprensione »64 ha permesso di « raggiungere obiettivi insperati », in modo che « il tormentato mondo del dopoguerra può così sperare di assestarsi », se « si creano le condizioni fondamentali per questa intesa ». Il lascito dell’incontro, oltre alla cooperazione tra stati, è proprio la nascita di quei comitati che dovranno « fare l’inventario delle possibilità economiche dei sedici paesi presenti e indirizzare agli Stati Uniti proposte concrete e precise richieste ». In generale, Murialdi valuta l’esito dei lavori in ottica europeista, rimarcando l’auspicio avanzato dai rappresentanti italiani che « il dilagamento del nazionalismo » sia contenuto e che si possa superare il concetto « di sovranità inteso in senso di egoismo economico e di nazionalismo aggressivo » in direzione di un più deciso « spirito internazionalistico ». Tale idealismo si collega al nascente sentimento di unità europea che anche il PSLI sostiene e che Murialdi crede debba muovere la Commissione verso obiettivi « di ordine economico e morale »65. Nonostante le difficoltà di realizzazione dei programmi e di coinvolgimento dei diversi stati, la necessità di un’unità sovranazionale è ribadita anche dall’onorevole Tremelloni, che, intervistato dal giornalista, afferma: « Noi socialisti siamo convinti che un piano nel vero senso della parola non si può mettere in pratica se non si crea un organismo supernazionale che diriga l’economia europea naturalmente senza ledere la libertà […] con visioni continentali ». I lavori della commissione non sono però solo improntati a questioni teoriche, ma anche ad avanzare tangibili proposte per i lavoratori e per il lavoro che, in un’ottica che sta a cuore anche al Psli, necessita un « bilancio umano »66 e la ricomposizione degli scioperi della manovalanza francese ancora in atto67.

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Al di là di questi pochi articoli da Parigi, da capo sevizio Murialdi cura anche la rubrica Atlante, un breve colonnino comparso saltuariamente e solo per pochi numeri, in cui affronta la situazione di diversi stati esteri. Dal punto di vista giornalistico questo è uno dei lasciti più completi e sistematici per comprendere meglio il punto di vista di Murialdi sullo scenario mondiale e per apprezzare il suo stile, ancora venato di ironia. Tenuto conto del suo orientamento politico e degli anni in cui scrive, ciò che affiora maggiormente dai suoi pezzi sono il clima e il lessico della Guerra fredda e una critica trasversale alla politica delle grandi potenze. Murialdi aggiorna ad esempio sulle condizioni della Corea, del Giappone e delle isole del Pacifico, luoghi che, all’indomani della guerra, si erano ritrovati con i confini mutati o erano oggetto di rivendicazioni territoriali. Qui le strategie della dottrina Truman si fanno palesi nel momento in cui gli Usa riescono a ottenere sulle isole Marshall, sulle Caroline e sulle Marianne « la tutela richiesta », che, secondo Murialdi, è « in pratica un diritto di sovranità », con « libertà d’azione militare e commerciale »68. Se negli anni il Psli mantiene un orientamento oscillante nei confronti della politica estera statunitense, senza esserle nel complesso ostile, il giornalista può quindi esprimersi in libertà, parlando apertamente di « predominio » degli Usa sul Giappone, con il generale MacArthur che « vittorioso dopo aver sconfitto i gialli, ora li educa, da militare alla democrazia americana ». Perciò, nel complesso, « l’espansionismo americano » controlla «per tre quarti il globo terrestre […] opponendo all’espansionismo che la Russia ha esercitato o esercita sui paesi ad essa vicini, un vasto accerchiamento ». Ancora a proposito del Giappone, Murialdi reputa che l’intervento statunitense, che si è mosso su due livelli, tentando sia la democratizzazione sia l’inserimento del paese del Sol Levante nella sfera d’influenza americana, sia riuscito solo a metà, perché la nuova costituzione imposta da McArthur potrebbe non essere facilmente accolta dalla mentalità giapponese che teme « i mutamenti troppo bruschi e le alte velocità »69.

La cortina di ferro si riproduce anche nel « sipario coreano »70, dove si confrontano di nuovo i due giganti, Usa e Urss, attuando le stesse modalità di contrapposizione presenti in Europa e là incarnate dalla divisione del 38° parallelo. Si tratta, per il giornalista, di un vero e proprio « secondo sipario di ferro », dove l’intervento americano ha spinto l’Unione sovietica a girare un film di propaganda, per fare trionfare il « benessere » sovietico del Nord di fronte al « malessere » del Sud sotto controllo statunitense.

Uno sguardo alla vicina Turchia diventa occasione per aggiungere un tassello alle riflessioni di Murialdi, dal momento che entrano in campo anche le risorse energetiche e il Mediterraneo quale altro luogo di contesa. Di fronte all’incertezza della situazione turca, il giornalista ligure sottolinea infatti quanto la dottrina Truman non faccia altro che rinsaldare l’asse politico turco-statunitense già avviato da Ataturk, in un paese in cui la democrazia resta comunque un miraggio. L’ambizione espansionistica della Russia verso il Mediterraneo è allora « lunga difficile e scabrosa », perché Murialdi rileva interessi in gioco ben più grandi, quelli petroliferi in primo luogo, come avviene di fatto anche in Iran e Palestina. Con una metafora, il giornalista scrive infatti che, sulla Turchia, il vice di Marshall, Acheson alle altre potenze mondiali riunite in conferenza « avrebbe potuto raccontare la storia dell’orso che vuole bagnarsi in acque calde, e degli altri, leone, tigre o mammut, che vogliono impedirglielo, storia vecchia ma sempre valida per comprendere il gioco degli Stretti, una storia che parla di libertà, ma puzza di petrolio e di sangue »71.

Nel corso della rubrica il giornalista mantiene sia una posizione critica verso la Russia, accusata di bloccare le decisioni dell’Onu facendo costante leva sul proprio diritto di veto72, sia, più in generale, verso « il male dei due fronti, conseguenza dell’imperialismo e prodotto della seconda guerra »73. Lo scenario mondiale che ne è derivato, poi, fa sospettare nuovi conflitti, quasi che la recente lezione non fosse bastata, e Murialdi teme che lo scontro, questa volta, possa essere atomico. E che possa magari partire da regioni remote e insospettabili, come il Polo Nord, la Groenlandia e l’Antartide, dove Usa e Urss fanno prove militari ed esperimenti tattici quasi indisturbati.

Più incerta e complessa si presenta invece la situazione dell’Africa, molto mutata dall’epoca coloniale, non solo per i confini ridisegnati, ma anche per la crescita delle infrastrutture che ne stanno cambiando la fisionomia. Per Murialdi che anticipa gli scenari che di lì a breve si decideranno a Londra, la Russia cercherà « vantaggi indiretti »74, derivanti dall’arretramento di Gran Bretagna e Francia, e « non di più », contrariamente agli Usa, in posizione attendista. Questo « grande gioco strategico » peserà ovviamente anche sulla sorte delle ex-colonie italiane in Africa, sulla maggior parte delle quali il giornalista immagina il prevalere dell’influenza inglese, mentre eventuali interessi russi saranno un mero « espediente per patteggiamenti diplomatici ».

La rubrica Atlante si conclude dopo appena una manciata di articoli il 9 novembre 1947 con un pezzo in cui Murialdi affronta la sopravvivenza della dittatura franchista in Spagna. È l’occasione per sottolineare i complessi interessi sottesi alla sopravvivenza politica del caudillo, « l’uomo che alla fine del conflitto avrebbe dovuto cadere come una mela marcia »75. Ma è anche pretesto per elogiare il ruolo del socialismo, in particolare di quello francese, quando aveva attuato il blocco della frontiera dei Pirenei prendendo netta posizione contro Franco a differenza di Usa e Gran Bretagna. Si tratta per Murialdi di un gesto rimasto purtroppo « isolato » che non ha apportato veri cambiamenti, mentre nel ’47 i tempi sono a suo dire maturi per un intervento dei laburisti inglesi, una forza decisiva, anzi, « l’unica che può portare la democrazia in Spagna » perché in grado di alleare un ampio fronte di paesi anticomunisti in direzione della monarchia costituzionale o della repubblica.

2.3.2. Vita di redazione

Nonostante sia giornalista militante del Psli, Murialdi si dimette definitivamente dall’Avanti! solo nel gennaio del ’48, mantenendo un doppio incarico per poco meno di un anno:

[…] Ho avuto dalla direzione dell’Avanti! milanese (De Francisci pensava anche al nome di Nenni) l’invito a ritornare come vice direttore capo. Naturalmente ho rifiutato perché non c’era nessuna ragione, all’infuori di quella monetaria, che io tornassi solo sui miei passi fatti recentemente. […]76.

Se in merito a una sua netta appartenenza ideologica all’uno o all’altro dei due partiti socialisti i documenti d’archivio scarseggiano, da quanto scrive al padre, la politica è per lui un aspetto secondario. Il doppio impiego di Murialdi è semmai ancora giustificato da stringenti necessità economiche, come egli stesso comunica al genitore nel marzo 1947:

[…] Non è per sfuggire a un giudizio sulle mie decisioni di natura politica che io sono stato a lungo senza farmi vivo. La vita politica che io sento molto poco, non è certo per me la cosa più importante: sto invece attraversando un periodo molto difficile per ragioni di carattere economico77.

Il giovane redattore, infatti, lamenta stanchezza e sovraccarico di responsabilità:

[…] Mi accorgo di logorarmi lentamente al solo scopo miserevole di dar da mangiare a me e a mia madre. È una vita senza respiro, e a volte penso che non ci sia via di uscita. È pur vero che qualche passo avanti l’ho pur fatto: ho messo su casa abitabile e mangio regolarmente, guadagno bene perché tra i due stipendi che percepisco ne ho abbastanza. Ma non un minuto di tempo per lavorare per conto mio, per studiare, per fare qualcosa che senta veramente. In questa vita così pressante i progetti, anche se modesti, diventano ridicoli: studiare l’inglese, leggere libri di storia, farsi una certa cultura78.

Scrivendo al padre, che conosce bene il suo ambiente, Murialdi non perde poi l’occasione per fare considerazioni sul mestiere di giornalista e sulle implicazioni sociali e politiche ad esso connesse, anche legate a singoli episodi: « […] Il problema politico individuale ha un’importanza veramente relativa. Il giornale è uscito tre giorni fa ed è uscito male perché i politici ricalcano sempre i vecchi errori: vogliono fare il giornale senza i giornalisti, poi quando vendono 20mila copie si disperano »79.

Ancora nella primavera del ’47 egli ha modo di tornare sulle questioni politiche e sul lavoro redazionale all’Umanità che si configura come un momento di crescita professionale e di addestramento per successivi incarichi. Il giornalista confida quindi a Vezio in quali situazione incappino talvolta i sostenitori del Psli: « Ogni tanto ne aggrediscono qualcheduno dei nostri e non v’è chi non vede che questa è la migliore propaganda per noi. Questi e altri fatti, ad esempio, ci ripagano abbondantemente della presenza del disperante Saragat »80. Se il giudizio sul leader non è benevolo, neppure il partito, a suo dire, naviga in buone acque ed è forse questa la ragione della sua identità incerta: « Il povero socialismo italiano sta invecchiando e per questo i più pensano a una rifusione, che però io penso sarà meno facile di quel che può sembrare a prima vista »81. Secondo Murialdi sarebbe infatti meglio « che tutti noi, non solo i socialisti, ci mettessimo su vie nuove, perdendo le eredità di quel passato lontano, alludo al prefascismo e periodi precedenti, che è superato e neppure molto brillante. Ma perdere i difetti forse è impossibile »82.

Le storture, però, rileva il giornalista in un raro editoriale che si riconnette a quanto sosterrà nella Traversata, investono anche il recente passato e il presente, perché a pochi anni di distanza dalle azioni della Resistenza, la sua unità ed eredità sono già in crisi. Nella sua ottica di ex-combattente, esse appaiono infatti segnate dalla « delusione che deriva dall’incomprensione » e dall’amarezza che nasce dalla « separazione di compagni d’armi ». Che il lascito della Resistenza fosse questo, secondo Murialdi, comunque « era fatale e logico, specialmente da noi dove la lotta dei partiti ha creato profonde, incolmabili divisioni »83. Il giornalista, allora, facendo prevalere il suo antifascismo, sostiene che se anche non si è riusciti a mantenere l’unità del movimento, è invece necessaria sia l’unità degli ideali, intesi come lotta contro dittature e ingiustizie, sia il mantenimento di quell’« innegabile impulso sociale » proprio della Resistenza in quanto movimento popolare. La divisione politica interna all’Anpi, che contrappone « compagni a compagni », si muove purtroppo in direzione contraria allo spirito originario. Con la coerenza che gli è propria, Murialdi ritiene che il lascito dell’esperienza partigiana riguardi la fedeltà a valori intramontabili, dal suo punto di vista rinvigoriti dall’adesione al socialismo, una forza che se ne fa garante. Il fatto poi che tali insegnamenti non siano condivisi e siano continuo oggetto di revisionismo necessita di spiegazioni più circostanziate, che affondano le ragioni nell’adesione al fascismo da parte di molti giovani. Murialdi recensisce a proposito il noto libro di Ruggero Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, che svela quale fosse stata « la nostra falsa passione e il nostro tormento »84 e come e perché « tanti uomini ne abbiano “fatte di tutti i colori” in buona fede e in mala fede, prima che nel loro animo si facesse luce un senso di rivolta » in chiave antifascista. Per il giornalista questo rappresenta il « romanzo a specchio delle falsità e degli errori umani » nei quali è cresciuta la sua generazione. Ma è anche un’opera che ha il coraggio di esprimere un parere a breve distanza dai fatti senza timore di compromettersi, perciò diventa un resoconto « vero, sincero, umano ». Murialdi non può che tracciare un bilancio generazionale, sottolineando sì la difficoltà di discernere verità e menzogna sotto il regime, errore in cui molti sono caduti e in cui lui stesso avrebbe potuto cadere; ma anche la necessità di prendere le distanze da chi non aveva saputo cogliere i segnali reazionari e da chi non aveva compreso con immediatezza il ruolo dell’antifascismo.

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In quegli anni – è bene ricordarlo – permangono alcuni limiti nel settore della carta stampata, dal momento che il lavoro redazionale si svolge in modo ancora artigianale e piuttosto disorganico. In un quadro di notevoli difficoltà tecniche e materiali, si lavora con personale ridotto e strutture fortemente verticistiche85: se il direttore si può paragonare a un « monarca »86, il redattore capo diviene il suo legittimo « luogotenente »87, con ampia possibilità di controllo e intervento. Ciò avviene soprattutto negli organi di partito, in cui i giornalisti, spesso giovani e inesperti, ma anche infervorati dalla passione politica, apprendono il mestiere da pochi colleghi anziani. Lo stesso Murialdi si trova a fronteggiare una situazione simile a partire dal maggio ’48, quando diviene caporedattore all’Umanità88.

Da questo momento, oltre a non firmare praticamente più alcun articolo, perché le sue funzioni lo impegnano sempre più dietro le quinte, egli si trova a dover mediare tra il proprio lavoro, quello dei colleghi e i desiderata della direzione o del partito, nonché a dover gestire le crescenti difficoltà finanziarie della testata. La mancanza di fondi costituisce infatti una menomazione perenne per il giornale, tanto che se ne ritrova cenno sia nei congressi di partito e nel suo statuto, sia in brevi appelli sulle pagine per sottoscrivere più abbonamenti, sia, infine, nelle lettere interne alla redazione o ai comitati locali89.

Murialdi, però, sa anche trarre vantaggio professionale da queste avversità: sono numerose, mirate e assai concrete le indicazioni che rivolge o riceve dai due direttori, Andreoni e Faravelli, in materia di organizzazione redazionale e di impostazione contenutistica. Nei due anni di permanenza all’Umanità, infatti, diventa abile nella redazione del quotidiano, sorvegliando le pagine politiche e culturali, con precise istruzioni soprattutto per queste ultime, che escono solo la domenica, quando il quotidiano dispone di quattro pagine. Sono settori in cui Murialdi lavorerà anche al Giorno e dai carteggi con i due direttori Andreoni e Faravelli si ricavano informazioni di cui farà tesoro negli anni. Il neocaporedattore genovese, infatti, si trova a scrivere veri e propri promemoria per l’organizzazione interna della redazione, elencando con precisione e per punti le necessità più stringenti per migliorare la qualità e la funzionalità del lavoro, tra cui controllare la lunghezza delle notizie, ordinare per importanza il materiale e rispettare gli orari e le scadenze della tipografia.

Il giornalista ligure ha soprattutto a cuore il buon raccordo tra gli uffici milanesi e quelli romani, dato che questi ultimi, a causa dei continui ritardi, rischiano di fare slittare la messa in stampa. A questo proposito, Murialdi, uomo di buone letture90, si sofferma sulla Terza pagina, perché « come è noto è quella che in Italia dà maggiormente il tono ai quotidiani »91 e che pertanto deve essere ben progettata e « va compilata con un giorno di anticipo, in modo che la sera sia sufficiente un lavoro di rifinitura che non ostacoli la compilazione delle altre pagine »92. Secondo Murialdi è necessario infatti « stabilire quanti sono gli articoli di un determinato carattere (ad es. tagli, racconti, elzeviri, rubriche, notiziari ecc.) necessari al giornale » e « ordinare di conseguenza ai nostri collaboratori il numero degli articoli che ci debbono inviare periodicamente » al fine di « conoscere in linea di massima quale cifra l’Amministrazione può disporre per il bordereau di ciascuna pagina »93. Ma le indicazioni per la cultura riguardano anche gli aspetti contenutistici, per i quali intervengono direttamente Andreoni e Faravelli, richiedendo esplicitamente « pezzi letterari, rievocazioni storiche (soprattutto del movimento operaio), medaglioni, volgarizzazioni scientifiche e reportages »94, auspicando che i pezzi folkloristici mantengano sempre uno sfondo sociale. Ciò avviene in concomitanza con l’unificazione dei servizi delle due edizioni dell’Umanità, che, dal giugno 1948, prevede la presenza di un unico redattore per la Terza e la sua stesura nella sola sede milanese con il successivo invio a Roma. Scorrendo i titoli della pagina culturale sembra che le indicazioni siano state rispettate: gli articoli trattano dei principali protagonisti del socialismo, tra cui spicca Filippo Turati; di storia, dal Risorgimento, con Giuseppe Mazzini, fino alla Resistenza; del ruolo dei lavoratori e del romanzo storico, ad esempio quello manzoniano.

Le costanti difficoltà economiche del quotidiano comportano anche relazioni tecniche sul suo funzionamento, allo scopo di individuare ed eliminare eventuali sprechi. Per questo nella relazione vengono indicati gli orari di chiusura della tipografia, che consentono di terminare in anticipo il giornale, di rendere la tipografia stessa più efficiente e di abolire i costosi trasporti aerei delle copie. Al rapporto non sfugge neppure la Terza, che necessiterebbe di un’organizzazione più stabile, di una continuità di rapporti epistolari e di una più accurata lettura dei manoscritti per consentire un virtuoso risparmio95. D’altro canto, queste economie comportano il superlavoro dei pochi redattori dell’Umanità e soprattutto di Murialdi che, a partire dal novembre ’48, elenca a Faravelli i numerosi compiti svolti in una giornata tipo e i conseguenti funambolismi per riuscire a chiudere in tempo l’edizione, nonché il malcostume della redazione di Roma, perennemente in ritardo, da cui dipendono però le fondamentali notizie politiche96.

Le vere difficoltà della testata, comunque, si palesano a partire dal dicembre di quell’anno e preludono a una situazione sempre più conflittuale e alienante dal punto di vista lavorativo, in parallelo alle trasformazioni che lo stesso Psli affronterà. La foliazione del giornale prevede a pagina due la presenza costante della rubrica non firmata Vita di partito, che dà brevi ma utili informazioni sulle conferenze dei socialdemocratici, sugli incontri locali delle sezioni, sulle principali disposizioni emerse dalle assemblee, oltreché annunci sui dibattiti culturali e sulle convocazioni ufficiali dei vertici di partito o dei loro organi. Ne è responsabile proprio Murialdi, che si trova a essere accusato da alcuni esponenti del Psli di parzialità nella sua stesura e, in generale, nella sua attività di redazione. Anche se dalla lettura della rubrica di quei giorni non si evincono i motivi dell’attrito, in base alle carte d’archivio si può ipotizzare il mancato rispetto di qualche priorità o un eccesso di sintesi. A tal proposito, infatti, Murialdi scrive a Faravelli per discolparsi, rimarcando il fatto che i comunicati siano sempre stati pubblicati integralmente secondo le direttive del partito e che solo le comunicazioni degli organi periferici siano state condensate nel caso di mancanza di spazio, attenendosi però sempre agli originali97. A questo punto, egli ricorda al direttore il suo « non mai rallentato controllo, le condizioni di spazio e di lavoro del giornale e tutte le altre buone ragioni che possono eventualmente giustificare appieno una svista o qualcosa che tale possa apparire »98. Murialdi, infatti, aggiunge: « [Ho] piena coscienza di assolvere ai miei doveri di giornalista socialista col massimo scrupolo, così mi sono ridotto a informarti e a chiederti di intervenire, anche per chiarire che ogni mio rigo è controllato, prima della pubblicazione, da un direttore, da un vice direttore e da un redattore capo »99.

In questa circostanza Murialdi giunge alla disillusione rispetto a intenzioni, funzioni e utilità della politica, disinganno ancora più amaro per chi, come lui, è diventato giornalista militante. A Faravelli, infatti, egli confida:

[…] Ho già rinunciato volentieri, quasi per intero a una più attiva vita di partito per non trovarmi continuamente di fronte al muro del settarismo. Al giornale, dove mi ritengo “in una trincea di prima linea”, faccio il possibile per essere utile non alle mie ambizioni, che non ho, ma alle mie idee e al mio Partito. Non vorrei essere indotto a lasciare anche questo campo di combattimento per ritirarmi a fare gli affari miei in maggiore tranquillità […]100.

A livello nazionale, il PSLI, pur conseguendo buoni risultati nelle elezioni dell’aprile ’48, con l’ingresso nel governo centrista di De Gasperi, è in fase costante di ridefinizione e di spaccature; lo testimoniano il numero dei congressi (quattro in soli due anni)101, l’adesione al Patto atlantico nel ’49102, per differenziarsi maggiormente dal Psi; e la fuoriuscita, fondamentale per il mantenimento della leadership saragattiana, di alcuni autori della scissione di palazzo Barberini (tra cui lo stesso Faravelli) che, dal dicembre del ’49, fondano il Partito socialista unitario103. Prima che la scissione si consumi, però, tra la primavera e l’estate del ’49, per l’Umanità si susseguono documenti con indicazioni di natura economica tesi a migliorare i rendimenti gestionali e redazionali che fanno leva quasi esclusivamente sulla riduzione del personale104. Murialdi, dal canto suo, non può che scrivere un promemoria al direttore Andreoni, per sollecitare cambiamenti e ricomporre una situazione che pare irrecuperabile. Egli lamenta infatti il licenziamento, contemporaneo, immotivato e senza preavviso, di ben otto redattori, nonostante si fossero rivelati indispensabili per gli straordinari estivi105.

I suggerimenti che Murialdi avanza per il buon funzionamento della testata, allora, comprendono il rispetto dei criteri di funzionalità tecnica, ma anche la rinuncia a parte del lavoro e l’appello ai restanti giornalisti per compensare l’attività dei colleghi mancanti o più bisognosi di aiuto. A suo dire, però, sarebbe comunque necessario assumere un segretario di redazione e un altro giornalista per integrare i servizi di cronaca, perché, come scrive ad Andreoni, si trovano

con personale redazionale insufficiente e per di più logorato sia dal lavoro più pesante sia dalle beghe sulle quali come già ho avuto occasione di dirti, un mucchio di piccole incomprensioni e di inesattezze hanno avuto effetti dannosi. I servizi sono disorganizzati, le nostre condizioni psicologiche non sono buone, la nostra situazione amministrativa si presenta sempre incerta. In queste condizioni io non posso assumermi tutte le responsabilità del buon funzionamento del giornale che compete al redattore capo106.

La condizione finanziaria del quotidiano continua infatti a precipitare: il debito accumulatosi, circa 40 milioni di lire, ne fa temere la soppressione già nell’agosto 1949107. A dicembre, complici le dimissioni di Faravelli, per le già citate divergenze ideologiche, Murialdi afferma di non condividere più gli orientamenti politici dell’Umanità. A ciò si aggiungono le condizioni redazionali, ormai « incompatibili con la sua dignità professionale »108, a causa dell’organico ridotto al minimo e degli inevitabili riflessi psicologici. Murialdi conclude così la sua parabola all’Umanità in concomitanza alla cessazione dell’edizione milanese nel gennaio 1950109, laddove quella romana era già stata chiusa a ridosso delle elezioni politiche del 18 aprile 1948110. Il quotidiano aveva quindi avuto vita breve, senza per altro raggiungere quell’ampia tiratura che le 150mila copie d’esordio avevano lasciato sperare 111.

3. Nuove opportunità: al Corriere e oltre

Fino all’agosto 1950 Murialdi lavora al settimanale L’illustrazione italiana112 della Garzanti, dove non scrive nulla, probabilmente di nuovo impiegato nel coordinamento redazionale, ma sui cui era già intervenuto nel ’48, con un denso e dettagliato pezzo che ripercorreva la storia della Cgil. In questo caso l’attenzione alle dinamiche storiche e ai protagonisti delle vicende sindacali è centrale. Il giornalista analizza infatti con scrupolo i passaggi che hanno condotto all’unità sindacale dei suoi giorni, partendo dal ’44. Egli valuta l’organizzazione interna della Cgil, ma anche i contrasti causati dalle diverse correnti, fino alla loro ricomposizione e al riconoscimento del pluralismo e dell’aconfessionalità con il Trade Union Congress di Londra del ’47: « Da allora l’intesa tra democristiani, socialisti, autonomisti e repubblicani assunse un carattere stabile »113.

A partire dal 1 agosto il giornalista genovese risulta già ufficialmente assunto dal Corriere della Sera114. La scelta di passare al principale quotidiano italiano è determinata da motivazioni economiche e professionali, ma, almeno sotto questo aspetto, si rivelerà deludente. Il Corriere di inizio anni ’50, diretto dal liberal-conservatore Guglielmo Emanuel, si presenta infatti « […] imbalsamato e conformista »115, allineato sulle posizioni ufficiali del partito al governo, la Democrazia cristiana, e fiancheggiatore della Confindustria in materia economica. Il quotidiano, però, si va anche arricchendo di corrispondenti e di firme prestigiose, soprattutto dall’autunno del 1952, grazie al nuovo direttore, Mario Missiroli116. Nonostante le aspettative nutrite nei suoi confronti, la vicedirezione di Michele Mottola ne smorza presto i tentativi innovatori. Anche i cambiamenti amministrativi e gestionali che Missiroli deve affrontare incidono sulla fattura del giornale: da un lato si consolida l’amministrazione di Giuseppe Colli, dall’altro, Marco Paravicini, per la famiglia Crespi, inizia a interessarsi attivamente alle vicende del quotidiano, portando una ventata di novità non sempre gradita ai notabili della testata.

Benché la permanenza di Murialdi al Corriere duri sei anni, scarseggiano documenti archivistici in merito. La sua attività, infatti, è testimoniata da poche lettere e dalla firma di due soli articoli, due pezzi di colore dagli Stati Uniti, dai quali descrive le attività di una base americana, simile a una vera e propria « cittadina europea »117 per dimensioni e funzioni; e lo stile di vita di Louisville, cittadina del Kentucky nota tra l’altro per le sue tradizioni ippiche. Si può quindi ipotizzare che il suo impegno in via Solferino fosse di nuovo incentrato sul puro coordinamento redazionale più che sulle attività di scrittura.

A marzo del 1956, Murialdi sceglie quindi di abbandonare il Corriere, una decisione che « non h[a] preso a cuor leggero e di cui non [si] nascond[e] le incertezze »118, ma che ha effettuato tenendo conto dell’età e delle capacità professionali ormai acquisite. Oltre a questi motivi, però, sembrano avere pesato nelle dimissioni anche altri fattori: il « conformismo politico-culturale »119 della direzione del giornale, la mancata nomina a viceredattore capo del Corriere dell’Informazione120 e un generale senso di stanchezza e amarezza per la situazione giornalistica italiana nel suo complesso, giudicata arretrata e priva di spunti. Il giornalista ligure confida infatti a Paravicini, suo interlocutore nella fase dimissionaria, di non essere riuscito a portare nel quotidiano alcuna delle sue idee, né di avervi trovato figure adeguate a cui sottoporre novità o con cui progettare qualcosa di diverso.

L’ideale giornalistico cui Murialdi aspira guarda infatti all’estero, alla Gran Bretagna descritta da Mario Borsa, direttore proprio del Corriere dopo la Liberazione. Non a caso Murialdi rivela di essere alla ricerca del suo testo Il giornalismo inglese, pubblicato nel 1910, perché lo ritiene « ancora una lettura importante per le differenze tra Inghilterra e Italia »121. Il giornalista, inoltre, in questa nuova fase di scontento e di transizione professionale, lamenta anche la mancanza di formazione dei redattori italiani, demandata, a suo dire, al singolo o al caso e imputabile alla scarsità o alla totale assenza di buoni testi di studio: è quasi una prolessi in vista del suo manuale La stampa italiana del dopoguerra.

All’uscita da via Solferino il giornalista genovese vaglia attentamente le proposte professionali che gli si presentano. Nel gennaio 1956 declina l’offerta di Francesco Malgeri per un incarico alla Gazzetta del Popolo di Torino, in vista dell’alternativa più appetibile rappresentata dall’ingresso in un quotidiano di recente fondazione, destinato non solo a insidiare il Corriere e a riscuotere un grande successo, ma anche a diventare un vero e proprio modello di giornalismo: Il Giorno122. La nascita di questa nuova testata ha retroscena avventurosi123, legati sia all’intraprendenza del presidente dell’Eni Enrico Mattei124, che aveva già mostrato interesse per l’editoria e inaugurato un moderno stile comunicativo all’interno dell’Eni125; sia alle mire espansionistiche di Cino Del Duca, noto esponente della press du coeur francese126, nonché alle sollecitazioni dell’estroverso Gaetano Baldacci, ex-inviato del Corriere, collega di Murialdi in via Solferino, e, come lui, insoddisfatto del lavoro nella prestigiosa testata.

L’ingresso nel nuovo quotidiano è senz’altro una scelta rischiosa per Murialdi, ma, al tempo stesso, meditata, dal momento che i contatti con il primo direttore del quotidiano, Baldacci, appunto, risalgono al dicembre 1955, un mese prima della proposta di Malgeri e cinque mesi prima che Il Giorno compaia nelle edicole il 21 aprile 1956. Baldacci infatti aveva cercato di reclutare il giornalista scrivendogli: « Caro Paolo, mi pare che i tempi siano maturi per concludere. Se vogliamo vederci un momento per mettere in chiaro alcuni punti sarei contento. Ti prego pure di portarmi il tuo amico Nasi. Prima delle feste vorrei fare questi contratti […] »127.

Murialdi, dopo qualche tentennamento iniziale entra nella squadra del Giorno con la carica di vice caporedattore, con regolare assunzione dal 1° aprile 1956128. Si apre per lui una nuova stagione professionale e personale, lunga quasi vent’anni, che, per la sua ampiezza, rilevanza e durata, merita decisamente uno spazio a parte.

Note de fin

1 Cfr. Fondazione Alberto e Arnoldo Mondadori (FAAM), Fondo Murialdi (FM), c. 8, f. 40, Progetto Il Lavoro. Informazioni sull’attività professionale di Vezio Murialdi si ritrovano anche in Vittorio EMILIANI, Orfani e bastardi, Roma, Donzelli, 2009, p. 27. Il nonno di Murialdi era inoltre stato deputato riformista nel 1913 e poi sottosegretario del governo di Francesco Saverio Nitti nel 1919 (cfr. Paolo MURIALDI, La traversata, Bologna, Il Mulino, « Intersezioni », 2001, p. 13).

2 Ombretta FRESCHI, Il Secolo XIX, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. 315.

3 FAAM, FM, c. 1, f. 2, Rapporti di lavoro 1939-75, lettera del Sindacato interprovinciale fascista, 13 aprile 1939.

4 Paolo MURIALDI, « La stampa quotidiana del regime fascista », in Nicola TRANFAGLIA, Paolo MURIALDI, Massimo LEGNANI, La stampa italiana nell’età fascista, Laterza, Roma-Bari 1980, p. 39.

5 FAAM, FM, c. 1, f. 2, Rapporti di lavoro 1939-75, 1 agosto 1939.

6 Paolo MURIALDI, « Carta canta », Resine, ottobre-dicembre 2004.

7 FAAM, FM, c. 1, f. 2, Rapporti di lavoro, lettera su carta intestata Sindacato interprovinciale fascista, a firma Giachello, 27 novembre 1940.

8 Ivi, lettera su carta intestata Secolo XIX, 16 ottobre 1940, firmata dal direttore David Chiossone. Su quest’ultimo, cfr. Ombretta FRESCHI, Il Secolo XIX, cit., p. 320-21.

9 Cfr. FAAM, FM, c. 1, f. 4, Partigiani personale 1945-98. Il fascicolo conserva gli attestati della Commissione riconoscimento qualifiche partigiane, che equipara le cariche partigiane a quelle militari. In FAAM, FM, c. 2, f. 13, La traversata, è conservata invece la dichiarazione rilasciata a Murialdi dal Cvl dell’Oltrepò pavese che certifica la partecipazione alla Resistenza e il ruolo svolto, datata 20 agosto 1945.

10 Paolo MURIALDI, La traversata, cit., p. 7.

11 Ibidem.

12 FAAM, FM, c. 1, f. 4, Partigiani personale, lettera 20 gennaio 1944.

13 Paolo MURIALDI, La traversata, cit., p. 12.

14 Ivi, p. 21.

15 Ibidem.

16 Ivi, p. 103.

17 Ivi, p. 104.

18 Ivi, p. 105.

19 Cfr. Maurizio PUNZO, Dalla Liberazione a Palazzo Barberini, Milano, Celuc, 1973, p. 17-24. Lo Psiup si costituisce ufficialmente nell’agosto del 1943, dalla confluenza di Psi (Partito socialista italiano) e Mup (Movimento di unità proletaria). La leadership del nuovo soggetto politico è così strutturata: Pietro Nenni segretario del partito e direttore de L’Avanti!, Giuseppe Saragat tra i dirigenti, Carlo Andreoni vicesegretario.

20 In conseguenza della scissione di Palazzo Barberini, Murialdi, come Italo Pietra, aderisce al Psli (cfr. Michele DONNO, Socialisti democratici, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009, p. 115-16).

21 FAAM, FM, c.1, f.4, Partigiani personale, lettera al padre, 18 giugno 1945 e Paolo MURIALDI, La traversata, cit., p. 105.

22 FAAM, FM, c.1, f.4, Partigiani personale, lettera al padre, 18 giugno 1945.

23 Cfr. Archivio dell’Istituto storico per la storia del movimento di liberazione in Italia (Inmsli), Cvl, b.162, f.517, Fascicolo Murialdi, Promemoria per Cosattini, 6 settembre 1945.

24 FAAM, FM, c.1, f.4, Partigiani Personale, lettera al padre, 29 giugno 1945.

25 Ivi, lettera al padre 12 luglio 1945.

26 Paolo MURIALDI, La traversata, cit., p. 105.

27 Ibidem.

28 Cfr. La traversata, cit., p. 21 e Mercurio, n. 10, Roma, Gianni Darsena Editore, dicembre 1945, p. 175-77.

29 Paolo MURIALDI, « Quaranta cechi », Mercurio, cit., p. 175-77. Le citazioni successive sono tratte dal medesimo racconto.

30 FAAM, c.1, f.1, Giornali Paolo-Vesima (1931-48), lettera al padre, 12 marzo 1947.

31 Silvio LANARO, Storia dell’Italia repubblicana, Venezia, Marsilio, 1992, p. 3.

32 Per le vicende editoriali, cfr. Gabriele TURI, « Cultura e poteri nell’Italia repubblicana », in Id. (a cura di), Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, Firenze, Giunti, 1997, p. 383-428.

33 Paolo MURIALDI, « Una rete metallica solo 500 lire », Oggi, n. 12, 19 marzo 1946. Le citazioni seguenti sono tratte dal medesimo articolo.

34 Id., La traversata, cit., p. 107-108 e p. 116-117. Per l’azione del Pwb, cfr. Id., « La stampa italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta », in Giovanni De Luna, Nanda Torcellan, Paolo Murialdi, La stampa italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta, Roma-Bari, Laterza, 1980, p. 172-73; più nel dettaglio cfr. Alejandro PIZARROSO QUINTERO, Stampa, radio e propaganda, Milano, Franco Angeli, 1989, p. 25-111; per le specificità di Milano, cfr. Ivi, p. 239-50.

35 A questo proposito cfr. Paolo MURIALDI, La traversata, cit., p. 113; Paolo MURIALDI, La stampa italiana del dopoguerra, Roma-Bari, Laterza, 1974, p. 48-66 e Fausto COLOMBO (a cura di), Libri, giornali e riviste a Milano, Milano, Segesta, 1998, p. 183-185 e p. 191-193.

36 Marcello CIOCCHETTI, Milano Sera (1945-1954), Urbino, Edizioni Quattro Venti, 1986, p. 9 e p. 11. Sulle caratteristiche di Milano Sera, anche Mario GRANDINETTI, I quotidiani in Italia (1943-1991), Milano, Franco Angeli, 1992, p. 205.

37 FAAM, FM, c. 1, f. 2, Rapporti di lavoro, lettera su carta intestata Milano Sera, 13 dicembre 1945. Si specifica che Murialdi è assunto in qualità di redattore ordinario dal 1 dicembre di quell’anno.

38 Marcello CIOCCHETTI, Milano Sera, cit., p. 10.

39 Cfr. Paolo MURIALDI, La stampa italiana del dopoguerra, cit., p. 174.

40 AA.VV., Milano com’è, Milano, Feltrinelli, 1962, p. 98.

41 Marcello CIOCCHETTI, Milano Sera, cit., p. 30.

42 FAAM, FM, c.1, f.2, Rapporti di lavoro, allegato alla già citata lettera di assunzione a Milano Sera, un biglietto mss. di Murialdi (datato 30 settembre 1946), in cui annuncia le sue dimissioni dalla testata per passare al quotidiano l’Avanti!. Nella stessa cartella è presente una lettera del 28 settembre 1946 di conferma dell’assunzione a partire dal 16 settembre 1946 su carta intestata Avanti!.

43 Cfr. Piero SCORTI, Storia dell’Avanti!, Milano, SugarCo Edizioni, 1986, p. 41-59.

44 Cfr. FAAM, FM, c.1, f.2, Rapporti di lavoro, lettera 22 febbraio 1946 e lettera 20 agosto 1946.

45 Nello AJELLO parla dell’aspetto « crono-psicologico » dei settimanali nel definire la realtà cfr. Id., « Il settimanale d’attualità », in Valerio Castronovo, Nicola Tranfaglia, La stampa italiana del neocapitalismo, Roma-Bari, Laterza, 2001, p. 185.

46 Ivi, p. 200.

47 Paolo MURIALDI, « A Milano pieni voti all’avvocato presidente », Oggi, n. 39, 24 settembre 1946.

48 Id., « La guerra per le segnorine », ivi, n. 36, 3 settembre 1946. Le citazioni seguenti sono tratte dal medesimo articolo.

49 Id., « I carabinieri aspettano il nuovo fregio del berretto », ivi, n. 27, 2 luglio 1946.

50 Cfr. FAAM, FM, c. 1, f. 1, Giornali Paolo-Vesima 5 luglio 31-27 aprile 48, lettera al padre su carta intestata Avanti!, 19 dicembre 1946.

51 FAAM, FM, c.1, f.1, Giornali Paolo-Vesima, lettera 5 dicembre 1946

52 Ibidem.

53 Per giudizi e vicende sul PSLI e PSI cfr. Simona COLARIZI, Storia dei partiti politici italiani, Roma-Bari, Laterza, p. 109; Giorgio GALLI, I partiti politici italiani, Milano, Rizzoli, 2001, p. 55-75; Silvio LANARO, Storia dell’Italia repubblicana, cit., p. 82-83; Guido QUAZZA, Resistenza e storia d’Italia, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 432; Valerio STRINATI, Politica e cultura nel Psi, Napoli, Liguori, 1980, p. 56. Per il processo di divisione, cfr. Maurizio PUNZO, Dalla Liberazione a Palazzo Barberini, cit., p. 57, p. 74-75 e p. 259-60.

54 Paolo MURIALDI, « Ivan Matteo Lombardo tra Nenni e Saragat », Tempo, n. 20, 19-22 maggio 1948.

55 Id., « Parlò lo slang dalla casa bianca» , ivi, n. 21, 22-29 maggio 1948.

56 Cfr. Simona COLARIZI, Storia dei partiti politici italiani, cit., p. 151.

57 Sull’elettorato del Psli cfr. Maurizio PUNZO, Dalla Liberazione a Palazzo Barberini, cit., p. 153 e cfr. Michele DONNO, Socialisti democratici, cit., p. 527.

58 Cfr. Michele DONNO, Socialisti democratici, cit., p. 115.

59 Cfr. Giorgio GALLI, I partiti politici italiani, cit., p. 72 e Paolo MURIALDI, La stampa italiana del dopoguerra, cit., p. 182 e p. 190, Murialdi rileva anche il cambio d’intestazione del giornale: da L’Umanità a Umanità nel corso del ’48.

60 FAAM, FM, c. 1, f. 1, Giornali Paolo-Vesima, lettera al padre 9 marzo 1947.

61 Ivi, lettera al padre, 17 marzo 1947 e lettera al padre da Parigi, 14 luglio 1947, dove è inviato alla Conferenza europea.

62 Paolo MURIALDI, « La conferenza insedia il suo stato maggiore », L’Umanità, 15 luglio 1947. La seguente citazione è tratta dal medesimo articolo.

63 Id., « Il Populaire vive nel cuore di Parigi », ivi, 3 agosto 1947.

64 Id., « Qualcosa di nuovo è nato nel mondo », ivi, 16 luglio 1947.

65 Id., « Primo traguardo della cooperazione europea », ivi, 20 luglio 1947.

66 Id., « Imminente una unione economico franco italiana », ivi, 17 luglio 1947.

67 Cfr. Id., « Composto lo sciopero degli statali francesi », ivi, 18 luglio 1947.

68 Id., « Pacifico lago americano », ivi, 27 aprile 1947.

69 Id., « Urne giapponesi », ivi, 5 maggio 1947.

70 Id., « Sipario coreano », ivi, 10 giugno 1947.

71 Id., « Il gioco degli stretti », ivi, 20 aprile1947, per Iran e Palestina cfr. Id., « La Persia è un avamposto », 22 giugno 47 e « Palestina focolaio mancato », 5 ottobre 1947.

72 Cfr. Id, « Il vizio del veto », ivi, 24 agosto 1947.

73 Id., « Due fronti al Polo Nord », ivi, 20 aprile 1947.

74 Id., « L’Africa in croce », ivi, 6 aprile 1947.

75 Id., « Lotta contro Franco », ivi, 9 novembre 1947.

76 Cfr. FAAM, FM, c.1, f.2, Rapporti di lavoro, lettera ufficiale di rottura con l’Avanti! con liquidazione, 12 gennaio 1948 e lettera al padre, 7 aprile 1947; in c. 1, f. 1, Giornali Paolo-Vesima

77 FAAM, FM, c.1, f.1, Giornali Paolo-Vesima, lettera al padre, 9 marzo 1947.

78 Ibidem.

79 Ibidem.

80 FAAM, FM, c.1, f.1, Giornali Paolo-Vesima, lettera al padre, 7 aprile 1947.

81 Ivi, lettera al padre, 20 maggio 1947.

82 Ibidem.

83 Paolo MURIALDI, « Fratture », Umanità, 27 aprile 1948.

84 Id., « Lungo viaggio attraverso il fascismo », ivi, 18 gennaio 1948.

85 Cfr. Giovanni DE LUNA, Nanda TORCELLAN, Paolo MURIALDI, La stampa italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta, cit., p. 217-20.

86 Ivi, p. 218.

87 Ibidem.

88 FAAM, FM, c. 1, f. 2, Rapporti di lavoro, lettera 24 maggio 1948.

89 Inmsli, FMAR, b. 4, f. 43 e ivi, Psli, Attività varie, b.5, f.46, in cui la Sezione del Psli di Venezia, in un promemoria del 29 maggio 1949, avverte: « È evidente che la sospensione del giornale significherebbe la scomparsa del Partito dalla scena politica nazionale ». Si invitava quindi a incrementare gli abbonamenti al giornale. Va aggiunto che, già nel giugno 1947, il quotidiano aveva lanciato un campagna per il proprio sostentamento, paragonando L’Umanità a una « trincea da cui si esce ogni mattina sul far dell’alba, armati di idee, di fatti, di notizie, di trovate per conquistare i cervelli, i cuori, la fantasia di masse immense di lettori ». Si invitavano quindi i sostenitori a dimostrare la propria « capacità di sacrificio » con un « aiuto grande o piccolo » di natura economica, (cfr. « Lettera aperta ai compagni », L’Umanità, 22 giugno 1947). Le difficoltà economiche del quotidiano sono rilevate anche in AA.VV., Milano com’è, cit., p. 107.

90 Per l’attenzione costante alla lettura cfr. Paolo MURIALDI, La traversata, cit., p. 72, 80, 111.

91 FAAM, FM, c.1, f.2, Rapporti di lavoro, Promemoria per l’organizzazione redazionale, 24 maggio 1948.

92 Ivi, Appunti per l’organizzazione redazionale, 6 maggio 1948, firmati da Murialdi stesso.

93 Ivi, tutte le citazioni appartengono al Promemoria per l’organizzazione redazionale, 24 maggio 1948.

94 Ivi, Decisioni prese in merito al coordinamento e all’unificazione dei servizi delle due edizioni dell’Umanità, 11 giugno 1948, firmate da Andreoni e Faravelli.

95 FAAM, FM, c.1, f.2, Relazione tecnica sul funzionamento del giornale, 10 settembre 1948.

96 Ivi, lettera di Murialdi a Faravelli, 19 novembre 1948. Minimi accenni ai compiti di Murialdi compaiono anche nella corrispondenza di Giuseppe Faravelli, conservata nel suo archivio alla Fondazione Feltrinelli e pubblicate in Pier Paolo MASINI, Stefano MERLI (a cura di), Il socialismo al bivio, Milano, Feltrinelli, 1990, p. 67, p. 264, p. 266, p. 283, p. 303, p. 326.

97 Cfr. Ivi, lettera di Murialdi a Faravelli, 6 dicembre 1948. Dall’analisi delle pagine del quotidiano di quei giorni non è tuttavia possibile desumere gli elementi che attirarono a Murialdi le critiche dei suoi superiori.

98 Ibidem.

99 Ibidem.

100 Ibidem.

101 Cfr. Michele DONNO, Socialisti democratici, cit., p. 201, p. 440, p. 457, p. 466 e p. 511.

102 A proposito degli indirizzi di politica estera del partito e dell’adesione alla Nato cfr. Alessandro DE FELICE, « La socialdemocrazia e la scelta occidentale dell’Italia (1946-1947) », in Storia contemporanea, a. XXVI, n. 1, Bologna, Il Mulino, febbraio 1995 e Id., « Il Psli e la scelta occidentale (1948-49) », in Storia contemporanea, a. XXVII, n. 1, Bologna, Il Mulino, febbraio 1996. Va sottolineato, però, che il giornale resta inizialmente contrario al Patto e lo rivaluta successivamente (cfr. AA. VV., Milano com’è, cit., p. 107).

103 Cfr. Giorgio GALLI, I partiti politici italiani, cit., p. 86. Solo nell’aprile 1951, dopo l’uscita dal VI governo De Gasperi, i due partiti socialisti democratici, Psli e Psu, giungono all’unificazione con il nome di Psdi (cfr. Michele Donno, Socialisti democratici, cit., p. 524-25).

104 FAAM, FM, c. 1, f. 2, Rapporti di lavoro, Promemoria sulle economie redazionali, 1 aprile 1949.

105 Tra essi spicca Gianfranco Calderoni, redattore degli esteri esasperato dalla situazione, cfr. Ivi, lettera di Calderoni a Murialdi, 28 luglio 1949 e di Murialdi ad Andreoni, 1 agosto 1949

106 Ivi, lettera di Murialdi ad Andreoni, 1 agosto 1949

107 Ivi, lettera al segretario del Psli, Ludovico d’Aragona, 15 ottobre 1949.

108 Ivi, lettera di Murialdi ad Andreoni, 5 dicembre 1949.

109 Ivi, lettera di Andreoni a Murialdi, 14 gennaio 1950. Andreoni annuncia che Murialdi cesserà il servizio il 31 gennaio 1950. Il giornale, chiuso per « mancanza di adeguate risorse finanziarie », lascia il partito privo di un organo a stampa fino al 1952, quando il neonato Psdi disporrà di due settimanali: Giustizia sociale e La voce socialista (cfr. Michele DONNO, Socialisti democratici, cit., p. 470).

110 Cfr. Paolo MURIALDI, La stampa italiana del dopoguerra, cit., p. 225, Michele DONNO, Socialisti democratici, cit., p. 191-192. Per la grave situazione finanziaria del partito e delle sue strutture, cfr. Ivi, p. 146-47.

111 Cfr. Giorgio GALLI, I partiti politici italiani, cit., p. 72.

112 FAAM, FM, c. 1, f. 2, Rapporti di lavoro, lettera di Murialdi al direttore dell’Illustrazione italiana, 18 luglio 1950.

113 Paolo MURIALDI, « Breve storia privata della CGIL », L’Illustrazione italiana, n. 25, giugno 1948.

114 FAAM, FM, c.1, f.2, Rapporti di lavoro, lettera su carta intestata Corriere della Sera a firma Giuseppe Colli, 1 agosto 1950. A questo proposito l’Archivio Storico del Corriere della Sera conserva una copia della lettera di assunzione, nella quale si specifica che Murialdi è assunto in qualità di redattore per l’edizione notturna del Corriere e, se necessario, per il Corriere dell’Informazione (cfr. ASCS, u.a. 1456c).

115 Glauco LICATA, Storia del Corriere della Sera, Milano, Rizzoli, 1976, p. 444.

116 Giudizi piuttosto negativi su Missiroli in Silvio LANARO, Storia dell’Italia repubblicana, cit., p. 125 e Paolo MURIALDI, Nicola TRANFAGLIA, I quotidiani dal 1960 al 1975, cit., p. 9.

117 Paolo MURIALDI, « La città dei soldati », Corriere dell’informazione, 23/24 giugno 1953 e cfr. Id. « Perdette una corsa sola il famoso purosangue », ivi, 28/29 aprile 1953. I pezzi sono conservati anche in FAAM, FM, c.2, f.14, Miei articoli 1947-77.

118 FAAM, c. 1, f. 2, Rapporti di lavoro, lettera di Murialdi a Marco Paravicini 21 marzo 1956.

119 Vittorio EMILIANI, Orfani e bastardi, cit., p. 19.

120 Per la vicenda della mancata nomina cfr. Paolo MURIALDI, « Nascita e crescita del Giorno », in Problemi dell’Informazione, a. XXII, n. 3, settembre 1997, p. 427. Per la situazione della stampa e la sua legislazione, cfr. Massimo PEDRETTI, « La libertà di stampa in Italia negli anni Cinquanta », in Nuova storia contemporanea, anno XIII, n. 2, Firenze, marzo-aprile 2009, p. 127-130.

121 FAAM, FM, c.1, f. 2., Rapporti di lavoro, lettera di Murialdi a Paravicini, cit. Borsa è anche autore di La libertà di stampa, Milano, Corbaccio,1925.

122 Ivi, lettera di Murialdi a Malgeri, 5 gennaio 1956. Nel settembre 1955 si era già costituita la SEL (Società editrice lombarda), varata appositamente per Il Giorno (cfr. Paolo MURIALDI, « Nascita e crescita del Giorno », in Problemi dell’informazione, cit., p. 425).

123 La bibliografia a tal proposito è piuttosto vasta, ad esempio Guido CRAINZ, Storia del miracolo italiano, Roma, Donzelli, 2003, p. 150; Vittorio EMILIANI, Gli anni del Giorno, Roma, Donzelli, 1998, p. 26-31; Gianluigi MELEGA, Tempo lungo, l’anima m’hai venduto, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 69; Paolo MURIALDI, La stampa italiana del dopoguerra, cit., p. 341 e p. 340-344; Daniele POZZI, « Eni e il Giorno: vite parallele (1953-1972) », in Ada Gigli Marchetti (a cura di), Il Giorno: cinquant’anni di un quotidiano anticonformista, Milano, Franco Angeli, 2007, p. 38-39.

124 Su Enrico Mattei e Il Giorno si vedano Stefano LUCCHINI, « Mattei e l’idea del Giorno », in Ada Gigli Marchetti (a cura di), Il Giorno: cinquant’anni di un quotidiano anticonformista, cit., p. 29-35 e ivi, Daniele POZZI, « L’Eni e il Giorno: vite parallele (1953-72) ».

125 Sullo stile comunicativo di Mattei cfr. Manlio MAGINI, « Mattei, l’immagine e la pubblicità », in Francesco Venanzi, Massimo Faggiani (a cura di), Eni, un’autobiografia, Milano, Sperling & Kupfer, 1994, p. 203-211; Francesco MANZINI, « Mattei e la comunicazione aziendale », ivi, p. 212-21; Daniele POZZI, Dai gatti selvaggi ai cani a sei zampe, Venezia, Marsilio, 2009, p. 377-90. Per le iniziative editoriali si possono ad esempio ricordare i trentacinque volumi di Stampa e oro nero (cfr. Stefano LUCCHINI, « Mattei e l’idea del Giorno », cit., p. 29; Daniele POZZI, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe, cit., p. 379-80), ma anche l’Enciclopedia del petrolio e del gas naturale, i bollettini aziendali Il gatto selvatico e Il fuoco, il mensile scientifico Il mercurio (cfr. Manlio MAGINI, « Mattei l’immagine e la pubblicità », cit., p. 208).

126 Su Cino del Duca cfr. anche Isabelle ANTONUTTI, Cino del Duca, un editore tra Italia e Francia (De Tarzan à Nous Deux, itinéraire d’un patron de la presse, 2012), Milano, Franco Angeli, 2015.

127 FAAM, FM, c.1, f.2, Rapporti di lavoro, lettera di Baldacci a Murialdi, 7 dicembre 1955. Gianfranco Nasi sarà una della firme del Giorno.

128 Ivi, lettera dell’amministrazione de Il Giorno a Murialdi, 20 marzo 1956.

Illustrations

Citer cet article

Référence électronique

Elisa Castiglioni, « L’apprendistato di Paolo Murialdi tra storia e giornalismo (1939-1956) », Line@editoriale [En ligne], 8 | 2016, mis en ligne le 29 janvier 2021, consulté le 03 mai 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/899

Auteur

Elisa Castiglioni

Dipartimento di Studi storici dell'Università degli Studi di Milano

castiglioni.elisa@gmail.com