Résumés

L’articolo si propone di indagare la dedica del Principe, dapprima pensata per Giuliano de’ Medici ed infine rivolta a Lorenzo de’ Medici il giovane, nel quadro della prima diffusione dell’opuscolo machiavelliano.

The aim of the article is to inquire into the dedication of the Prince, which was conceived for Giuliano de’ Medici and then addressed to Lorenzo de’ Medici jr., and to retrace the first phases of transmission of the Machiavellian masterpiece.

Texte

Sul ruolo di Giuliano de’ Medici e di Lorenzo di Piero de’ Medici duca di Urbino nel Principe, e più in generale nella vita e nell’opera di Machiavelli, si addensano due questioni di grande rilievo. La prima è una questione di carattere filologico: nella celeberrima epistola a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513, annunciando la genesi del suo opuscolo de principatibus, Niccolò precisa « […] io lo indirizzo alla Magnificenza di Giuliano » e chiede consiglio all’amico « […] se gli era ben darlo o non lo dare; e, sendo ben darlo, se gli era bene che io lo portassi, o che io ve lo mandassi ». E subito Machiavelli proseguiva: « El non lo dare mi faceva dubitare che da Giuliano e’ non fussi, non ch’altro, letto »1.

Eppure nessuno dei diciannove manoscritti indipendenti da stampe e superstiti reca una dedica a Giuliano, o la pur minima traccia materiale di una sostituzione della dedica originaria: ma tutti attestano uniformemente la dedica ‘al magnifico Lorenzo de’ Medici’, aggiungendo il Monacense (D) e il Gothano (G) l’aggettivo «iuniori» per distinguere questo Lorenzo dal nonno, quello sì veramente magnifico2. E questo ci porta al secondo rilevante problema sollevato dai rampolli de’ Medici, in quel momento rispettivamente fratello minore e nipote di un papa, Leone X, che stava dando prova di singolare energia e acume diplomatico.

Questa seconda questione fu sollevata con chiarezza da Mario Martelli, in occasione dell’edizione nazionale del Principe nel 2006, e dalle sue parole vorrei ripartire: « […] si tratta sempre dell’interpretazione dell’Exhortatio: adulatoria iperbole, quell’invito a liberare l’Italia dai barbari, o concreta messa a fuoco di una situazione politica? […] il centro della questione sta nel rendersi conto della goffa assurdità di quella adulazione, se a Giuliano si andava chiedendo l’impossibile e che, come impossibile, avrebbe fatto ridere chi la leggeva […]. Quando nel 1516 Machiavelli vorrà adulare Lorenzo duca d’Urbino, neppure a lui si rivolgerà esortandolo a far fuori Francesi, Spagnoli e quanti altri mai tra i potenti della terra si erano insediati o tentavano d’insediarsi in questa casa di nessuno e di tutti che era l’Italia »3. Lo stesso Martelli, però, nella Nota al testo della medesima edizione non manca di ammettere che « Un Giuliano – eliminata dal quadro la virtù – vale un Lorenzo »4.

E noi aggiungiamo che se involontariamente ironica sarebbe apparsa una così iperbolica esortazione a Giuliano, non meno ilarità avrebbe suscitato, all’indomani della guerra di Urbino del 1517, una parenesi militare a Lorenzo. La verità è consegnata in una fulminea battuta di Leone X; l’opinione di Giovanni de’ Medici sui propri congiunti, al di là dell’amore famigliare, era assolutamente lucida: « Io ho fatto due capitani [Giuliano capitano delle milizie pontificie e Lorenzo di quelle fiorentine] – diceva il papa a Giovanni da Poppi, segretario di Lorenzo de’ Medici, che ne riferiva epistolarmente al suo emissario – che non hanno esperienza alcuna ed occupano i posti degli uomini pratichi; e venendo un bisogno non so come la facessimo ». Siamo al principio dell’estate 1515: la catastrofe militare di Marignano non è lontana5.

Affronteremo in questa sede i due problemi, muovendo dal secondo, ossia dalla verosimiglianza di un’Exhortatio ad capessendam Italiam rivolta a Giuliano o a Lorenzo. Il primo era il figlio minore di Lorenzo il Magnifico e Clarice Orsini, nato nel 1479 visse a lungo all’ombra dei due fratelli maggiori: Piero, cui restò affidata la guida della città dopo la morte del padre, e Giovanni, futuro papa Leone X. Dopo l’ingresso in Italia di Carlo VIII nel 1494 e l’espulsione dei Medici da Firenze, Giuliano cercò di appoggiare le fallimentari iniziative del fratello Piero per una riconquista della città, ma in verità egli dette prova soprattutto di quei predominanti interessi culturali che ne avevano segnato l’adolescenza, conquistandosi una certa fama letteraria nelle corti centrosettentrionali; al punto che oltre ad una settantina di componimenti poetici autentici, si contano anche non pochi esercizi petrarchistici apocrifi che ci testimoniano comunque la discreta notorietà raggiunta dall’autore. Dopo la morte di Piero nel 1503, Giuliano visse prevalentemente presso la corte del duca di Urbino, Guidubaldo da Montefeltro fino al 1508, e poi il di lui successore adottivo Francesco Maria Della Rovere: qui egli brillò per le frequentazioni artistiche e mondane, da Ariosto a Raffaello, da Bembo a Castiglione, da Ottaviano Fregoso a Ludovico da Canossa e Bernardo Dovizi da Bibbiena. È in questo quadro che Giuliano emergerà come personaggio letterario, soprattutto nel III libro del Cortegiano per la descrizione della donna di corte (a lui è affidato l’elogio di Isabella di Castiglia) e nelle Prose della volgar lingua quale difensore del fiorentino.

A Urbino, Giuliano restò fino al 1512, cioè fino alla restaurazione medicea e alla successiva elezione di Giovanni al soglio pontificio nel febbraio 15136. Proprio facendo leva sulle simpatie suscitate dalla sua attività letteraria, Giuliano cercò di realizzare una restaurazione morbida, che si scontrò nell’arco di poche settimane con la dura realtà politica e la congiura antimedicea di Boscoli e Capponi7. In quelle settimane, con Machiavelli imprigionato che indirizza a Giuliano due sonetti caudati (e un terzo seguirà poco dopo la scarcerazione), sembra intensificarsi quel rapporto privilegiato, e certo pre-esistente, tra il letterato Niccolò e il letterato Giuliano, che costituisce l’unica effettiva ragione per il disegno di dedica del Principe maturato pochi mesi più tardi.

Dopo l’ascesa papale del fratello Giovanni, Giuliano lasciò Firenze per trasferirsi a Roma: in quell’occasione, nell’agosto del 1513, lasciando al nipote Lorenzo, figlio di Piero, il controllo della città, egli preparò una Instructione, ricordando «tucto quello che secondo me sia utile et necessario a quel governo», e orientando il giovane Lorenzo ad un comportamento di estrema moderazione nei confronti degli organi di governo repubblicani: la città andava indirizzata lentamente a riconoscere un predominio della famiglia, senza forzature8.

Nei primi anni del papato leonino, sebbene fosse evidente il progetto familistico del pontefice per conferire a un proprio congiunto il dominio di un territorio infeudato alla chiesa, e sebbene il candidato naturale per una simile operazione fosse proprio Giuliano, fu presto evidente che il fratello minore di Giovanni era piuttosto da considerarsi una sorta di gran cerimoniere, di funzionario d’apparato della politica medicea: « […] uomo più presto da corte che da guerra » – secondo Francesco Vettori –; in effetti a Giuliano fu affidata l’organizzazione delle feste per il patrono fiorentino san Giovanni nel 1514, e la preparazione dell’ingresso trionfale del papa nella ‘sua’ città l’anno seguente9.

Il progetto di un principato giulianeo tra Emilia e Lombardia doveva godere però di qualche pubblicità, almeno in cerchie di ben informati tra i quali, grazie all’amicizia dei fratelli Vettori, era da contarsi anche Machiavelli. Francesco Vettori scriveva a Niccolò già il 12 luglio 1513: « E cominciando al papa diremo che il fine suo sia mantenere la Chiesa nella riputatione l’ha trovata, non volere che diminuisca di stato, se già quel che gli diminuissi non lo consegnassi a’ sua, cioè a Giuliano e Lorenzo, a’ quali in ogni modo pensa dare stati »10.

E ancora nella lettera del 31 gennaio 1515 sempre a Francesco Vettori, il quondam segretario si mostra al corrente di una costituenda signoria di Giuliano su Parma, Piacenza, Modena e Reggio; e del presumibile governatorato di Paolo Vettori su una di queste province. Machiavelli colse subito l’occasione per offrire le proprie competenze, e la lettera contiene una sintesi concentrata ed efficace dei capitoli III e VII del Principe11.

A spegnere le illusioni di Niccolò – e a determinare il definitivo allontanamento di ogni ipotesi di un servizio machiavelliano presso Giuliano, voce che doveva però aver raggiunto qualche consistenza in quelle settimane – fu l’epistola di Pietro Ardinghelli a Giuliano del 14 febbraio 1515:

El Cardinale [Giulio] de’ Medici mi domandò ieri molto strettamente se io sapevo che V. E. avesse preso a’ servizi sua Nicolò Machiavelli; e respondendoli io che non avevo notizia, né io credevo, Sua Signoria Reverendissima mi disse queste formali parole: «Ancora io non lo credo; tamen, perché da Firenze ce ne è avviso, io li ricordo che non è il bisogno suo né il nostro. Questa debbe essere invenzione di Paulo Vettori […] Scriveteli per mia parte che io lo conforto a non s’impacciare con Niccolò […]»12.

La lettera dell’Ardinghelli è assai utile a comprendere il delicato clima politico determinatosi allora tra Roma e Firenze: il papa e il card. Giulio de’ Medici insistono non solo sull’opportunità di ‘non impacciarsi con Niccolò’, ma il card. Giulio « […] si dolse […] di Paulo [Vettori], che havessi decto in Firenze che il Magnifico Lorenzo si voleva fare del tucto signore di quella città» (ivi). Se dal punto di vista di Machiavelli non ci sarebbe stato momento migliore per farsi avanti affinché « […] questi signori Medici mi cominciassino adoperare, se dovessino cominciare a farmi voltolare un sasso »13; altresì sembra essere il momento peggiore dal punto di vista del pontefice, ben consapevole della complessa congiuntura internazionale e degli sfavorevoli equilibri interni, per propalare progetti principeschi.

Intanto il ruolo pubblico di Giuliano, patrono di un’eterogenea corte di artisti e letterati, cementava i suoi rapporti con le corti dell’Italia centrosettentrionale; fu invece l’amicizia con il più abile diplomatico al servizio della corte francese in quel momento, Claude de Seyssel, a rilanciarlo quale possibile tramite di un più stretto sodalizio tra la curia romana e il nuovo re di Francia, Francesco I. Nel febbraio 1515 Giuliano sposava Filiberta di Savoia (zia materna del monarca francese), e acquisiva il titolo di duca di Nemours.

Invece di consolidare l’alleanza con la Francia, quel matrimonio fu la vigilia della catastrofe: se nel corso del biennio 1513-14 Machiavelli aveva più volte dialogato epistolarmente con Francesco Vettori, discutendo la politica internazionale nelle vesti del pontefice, finalmente nel dicembre 1514, Vettori sembrò consultare l’amico per espresso incarico di Leone X o di persona assai autorevole nella Curia romana (forse il card. Giulio):

Io voglio al presente mi rispondiate a quello vi dimanderò; e prima vi fo questo presupposito: che ’l papa desidera mantenere la Chiesa in quella dignità spirituale e temporale che l’ha trovata, et in quella iurisdizione, e piú presto acrescerla. Fo poi questo altro: che ’l re di Francia voglia a ogni modo far forza di riavere lo stato di Milano, e che e veniziani sieno collegati con lui in quel modo erono l’anno passato. Presuppongo che lo imperatore, il Catolico et i svizeri sieno uniti a difenderlo: ricercovi quel che debbe fare il papa, secondo l’oppenione vostra14.

Niccolò prese posizione a favore dell’alleanza con la Francia contro gli svizzeri, un’opzione che legava i destini della Chiesa a quelli dell’Italia intera:

Volendo voi dunque sapere da me quello ch’el papa può temere de’ svizeri vincendo e sendo loro amico, concludo che può dubitare delle subite taglie et in breve tempo della servitú sua e di tutta Italia, sine spe redemptionis, sendo repubblica et armata senza esemplo di alcuno altro principe o potentato15.

L’opinione di Niccolò restò inascoltata: il papa si schierò sempre più apertamente sul fronte spagnolo e antifrancese e nominò Giuliano capitano delle milizie pontificie. Quest’ultimo, già gravemente minato nella salute, non assunse mai il comando delle truppe: nell’agosto 1515 si fermò a Firenze, e lasciò il controllo militare al nipote Lorenzo. Tra il 13 e il 14 settembre gli eserciti francesi sconfiggevano a Marignano gli svizzeri, mentre le milizie papali e fiorentine, insieme con quelle spagnole al comando di Raimondo di Cardona, restavano sostanzialmente inoperose.

I francesi recuperavano così il controllo di Parma e Piacenza; nella trattativa di pace condotta a Bologna nel dicembre successivo, il papa s’impegnava a restituire Modena e Reggio al duca di Ferrara (promessa che poi non mantenne), mentre il re di Francia lasciava in preda a Leone X il ducato di Urbino. Il 17 marzo 1516, la morte di Giuliano de’ Medici – che memore dell’ospitalità goduta presso la corte urbinate aveva sempre difeso il ducato dalle mire del fratello e del nipote – eliminava anche l’ultimo ostacolo per la rimozione di Francesco Maria Della Rovere e l’insediamento a Urbino di Lorenzo de’ Medici.

Di complessione cagionevole, alieno dagli affanni della vita politica e dedito ai piaceri raffinati della corte, Giuliano destinatario del Principe appare decisamente poco adatto a «farsi capo» della «redenzione» d’Italia (Principe xxvi 8). Ma quel nipote, che a Marignano se n’era rimasto a far da spettatore alla battaglia, non pare avere più titoli per rivestire quel ruolo.

Nato il 12 settembre 1492 dal matrimonio tra Piero de’ Medici e Alfonsina Orsini, il giovane Lorenzo ricevette il nome del nonno da poco scomparso. Dopo la cacciata dei Medici nel 1494, il bimbo di due anni giunse furtivamente nell’ospitale Urbino dei Montefeltro, e da lì a Venezia. Piero de’ Medici, impegnato militarmente coi francesi nel Regno di Napoli, moriva nel 1503 annegato nel Garigliano; intanto il giovane Lorenzo raggiungeva la madre a Roma: sebbene educato dai maggiori umanisti del tempo, tra i quali Guarino Favorino, Lorenzo, a differenza dello zio, mostrò presto di preferire la vita gaudente e le grazie femminili alle lettere ed agli studi.

Intanto l’ambizione smisurata della madre ne alimentava, soprattutto all’indomani del rientro dei Medici in Firenze e dell’ascesa papale di Giovanni, la continua ricerca di cariche e onori16. Sebbene godesse della costante predilezione di Leone X, il pontefice – come s’è detto – ritenne opportuno far richiamare Lorenzo ad un prudente impiego della propria influenza diretta nella politica fiorentina.

Alla vigilia della battaglia di Marignano, Lorenzo non si avvicinò neppure al campo e preferì restare a Piacenza: non è improbabile però che già prima dello scontro egli avesse avviato trattative diplomatiche con Francesco I, intese a preservare la tradizionale amicizia di Firenze con la corona francese17. Nell’autunno 1515 fu Lorenzo a condurre gli accordi con la Francia, sommando in sé il ruolo di ambasciatore fiorentino e di portavoce pontificio: egli trovò anche una facile intesa personale con Francesco I, altrettanto giovane e gaudente; e in virtù di tale amicizia ebbe anche negli apparati cerimoniali (in occasione dell’ingresso pontificio a Firenze e della sfilata francese a Bologna) quel ruolo preminente cui l’ambizione sua e della madre lo spingeva.

La morte di Giuliano nel marzo 1516 aprì definitivamente la via alla conquista medicea del ducato di Urbino: il 26 maggio Lorenzo, che ormai era ad un tempo capitano della chiesa e dei fiorentini, muoveva contro il ducato, insediandosi a Urbino il 4 giugno; il 18 agosto il concistoro lo proclamò duca di Urbino, l’investitura papale seguì l’8 ottobre. L’ambasciatore veneto Marino Zorzi registrava allora che Lorenzo « […] è astuto e atto a far cose non come Valentin [Cesare Borgia], ma pocho manco »18. Il parallelo fra il principe dedicatario del Principe e il principe-modello dell’opuscolo machiavelliano è di assoluto rilievo, sol che si pensi alla centralità del Valentino nelle pagine della biografia dedicata da Castiglione a Guidubaldo di Montefeltro nel 1508, ma diffusa a stampa nel 1513, con significative modifiche proprio nel ritratto del Valentino, allorquando cominciavano a manifestarsi gli appetiti della nuova famiglia papale sul ducato urbinate, del tutto analoghi alle rapaci e spregiudicate conquiste borgiane19.

Tra il febbraio e il settembre 1517, Francesco Maria Della Rovere mise in campo un esercito nel tentativo di recuperare il ducato: le duchesse di Urbino Elisabetta Gonzaga, vedova di Guidubaldo, ed Eleonora Gonzaga, moglie di Francesco Maria, insieme con la marchesa Isabella d’Este Gonzaga, impegnavano i loro gioielli per sostenere la campagna militare del duca spodestato. Francesco Maria, intanto, indirizzava al collegio cardinalizio un’epistola pubblica dettata da Baldassarre Castiglione (il quale però non prese parte all’impresa, perché stava consolidando una propria posizione diplomatica presso la curia pontificia)20.

Anche in questa occasione il giovane Lorenzo de’ Medici dette prova di ben scarse attitudini militari, forse anche perché minato dall’intensificarsi della sifilide. Fu ferito nella presa di Castel Mondolfo alla fine di marzo del 1517 e restò fuori gioco per il resto della campagna, che non si concluse con la perdita del ducato solo per le ingentissime risorse economiche dilapidate dal pontefice. Sedata, almeno momentaneamente, la situazione a Urbino, Lorenzo tornava ad essere una pedina della politica internazionale pontificia, che ne concordava il matrimonio con Madelaine de la Tour d’Auvergne all’inizio del 1518. Le nozze furono celebrate in maggio, e gli sposi tornarono in Toscana nell’autunno. Lorenzo si recò poco dopo a Roma per convincere Leone X a investirlo di una signoria diretta su Firenze: scoraggiato in tale pretesa, tornò a Firenze dove l’aggravarsi della sifilide lo condusse alla morte il 4 maggio 1519; intanto anche la giovanissima moglie, parimenti malata, era morta il 28 aprile dopo aver dato alla luce Caterina, futura regina di Francia.

La morte di Lorenzo riapriva il dossier del ducato urbinate nel quadro dei complessi equilibri europei orchestrati da Leone X, ma riapriva soprattutto il problema istituzionale a Firenze; e non è un caso se Machiavelli, avviando il Discursus Florentinarum rerum, indirizzato al card. Giulio sul volgere del 1520, soggiungeva: « […] quanto al principato, io non lo discorrerò particularmente sì per le difficultà che ci sarebbono a farlo, sì per esser mancato lo instrumento »21.

Resta a vedere se quello « instrumento », cioè Lorenzo, al quale l’«opuscolo de principatibus» è dedicato nella veste definitiva che tutti i manoscritti ci attestano, fosse davvero capace di « […] non lasciare passare questa occasione, acciò che la Italia vegga dopo tanto tempo apparire uno suo redentore » (Principe, XXVI, 26).

Il nome di Lorenzo emerge nella corrispondenza di Machiavelli con Vettori, e più di frequente nelle lettere di quest’ultimo: del resto, dopo il progressivo appannarsi della figura di Giuliano, che la malattia aveva relegato ai margini della politica attiva già dall’estate 1515, destinato a scomparire definitivamente dalla scena nel marzo 1516, è naturale che Lorenzo divenisse ad un tempo il punto di riferimento della pars medicea nonché l’unico possibile interlocutore per colui che intendeva accostarsi a «questi signori Medici». In questo quadro riveste particolare rilievo un frammento autografo e non datato, probabilmente il poscritto di una lettera, da collocarsi intorno al febbraio-marzo 1514 (o da ritardare al più all’anno successivo, secondo un’ipotesi di Vivanti)22. Machiavelli vi esprime – in un tono formale e con giri di frase che richiamano il dettato del Principe – un’esaltazione del comportamento tenuto da Lorenzo nei mesi immediatamente successivi al suo ingresso diretto nelle magistrature fiorentine (agosto 1513), e manifesta apertamente l’auspicio che le sue parole possano giungere all’orecchio del papa:

Io non voglio lasciare indreto di darvi notizia del modo di procedere del magnifico Lorenzo, che è suto infino ad qui di qualità che gli ha ripieno di buona speranza tucta questa città; et pare che ciascuno cominci ad riconoscere in lui la felice memoria del suo avolo. […].

Fassi in summa et amare et reverire, più tosto che temere; il che quanto è più difficile ad observare, tanto è più laudabile in lui. L’ordine della sua casa è così ordinato che, anchora vi si veggha assai magnificenza et liberalità, nondimeno non si parte da la vita civile; […].

Et benché io sappia che da molti intenderete questo medesimo, mi è parso di scrivervelo […], et possiate, quando ne habbiate occasione, farne fede per mia parte alla santità di Nostro Signore23.

Oltre al riemergere di espressioni che appartengono al sistema ideale del Principe (« lasciare indreto », « amare et reverire, più tosto che temere », « difficile ad observare »), è da notarsi come in quell’insistenza su notizie fiorentine che circolano presso la curia romana sia da intravedere una presa di posizione, a favore di Lorenzo, in una polemica che andava invece animandosi a Roma sui modi eccessivamente autocratici impiegati dal giovane rampollo di casa Medici nel governo di Firenze. È come se Machiavelli mirasse a creare un’aura positiva intorno a Lorenzo, al quale indirizzava il suo Principe e dal quale sperava evidentemente di ricevere concreto appoggio; un’aura che potesse trasformare in maldicenza ogni voce eventualmente avversa al « modo di procedere » di Lorenzo che giungesse a Roma.

Il frammento autografo è dunque da porre comunque in relazione alla mutata dedica del Principe, e quella dedica a Lorenzo è da collocarsi sicuramente prima dell’ottobre 1516 (dal momento che non si fa cenno all’acquisito titolo di duca di Urbino), e probabilmente essa dovrà considerarsi anche anteriore al maggio 1515, quando Lorenzo fu nominato capitano delle milizie fiorentine24.

Se al valetudinario e troppo letterato e raffinato Giuliano non si poteva chiedere di farsi redentore d’Italia, se quel Medici, che aveva troppa coscienza di sé e troppa gratitudine per l’ospitalità goduta in giovinezza, aveva fino all’ultimo impedito che il rapace fratello pontefice stendesse la propria mano sul ducato di Urbino, egli non era certo la persona giusta cui additare come principe-esemplare lo spregiudicato Cesare Borgia.

Ma il gaudente Lorenzo, sebbene spinto dall’ambizione materna e dal proprio desiderio di primeggiare sulla scena del mondo, non era certo più adatto a vestire i panni di chi deve « […] assicurarsi delli inimici, […]; vincere o per forza o per fraude; […]; innovare con nuovi modi gli ordini antiqui » (Principe vii 43), né tanto meno era capace di pigliare lui quella bandiera, dietro la quale tutta Italia si schierasse « […] pronta e disposta a seguire » (xxvi 7).

Ancora una volta occorrerà guardare al realismo machiavelliano, e anche alla condizione umana di Niccolò in quei primissimi anni della restaurazione medicea, quando ancora cocente era la delusione per l’allontanamento dagli uffici, il desiderio di riscatto, il bisogno di un’occupazione nel nuovo quadro politico.

Le speranze riposte in Giuliano avevano giovato ben poco a risollevare le sorti del cancelliere, e inoltre è da credere che la freddezza di Vettori sul Principe nel corso del 1514 non fosse sfuggita a Machiavelli, come pure che il veto espresso dal card. Giulio per tramite di Pietro Ardinghelli nel febbraio 1515 fosse giunto all’orecchio di Niccolò (che non a caso dell’intraprendenza di Ardinghelli ha ragione di temere fin dalla lettera del 10 dicembre 1513: « […] e che questo Ardinghelli si facessi onore di questa ultima mia fatica »)25.

Dunque la dedica a Giuliano non circolò mai, né sarebbe stato possibile dedicare a Lorenzo un opuscolo che un anno (o addirittura pochi mesi prima) avesse circolato con dedica allo zio. E da qui discende l’uniformità della tradizione manoscritta e vien meno l’ipotesi di un cosiddetto Ur-Principe di cui non si ha traccia alcuna. Dedica a Lorenzo dunque, e dedica concepita tra l’estate del 1514 e la primavera del 1515 (al più nel corso di quell’anno): ma dedica che in nulla cambia la fisionomia dell’opuscolo, né tanto meno il contenuto dell’Exhortatio.

Del resto, una volta convinti che l’Exhortatio non può che essere rivolta al ‘principe’ (o aspirante tale) dedicatario dell’opera, spostare in avanti nel tempo la composizione della dedica non risolve i problemi sollevati dall’abnormità del compito cui Lorenzo viene chiamato: dopo il 1516-17 l’incapacità politica e militare del giovane Medici, usurpatore del ducato urbinate, fu se mai del tutto manifesta; inoltre a quell’altezza tutto il quadro politico induceva a preferire per Firenze soluzioni moderate e non certo spinte autocratiche; per non dire che la dedica a Lorenzo, già problematica quando il giovane era ancora in vita, divenne inutile e addirittura pericolosa dopo la sua morte.

Se è vero che quanto a inettitudine un Giuliano vale un Lorenzo, occorre però sottolineare che dopo l’elezione pontificia del febbraio 1513 non solo la casa Medici venne a trovarsi in una posizione eccezionalmente favorevole, ma che Leone X dette immediata prova di essere uno statista di abilità straordinaria, con capacità di mediazione diplomatica fuori del comune. I primissimi anni del pontificato leonino sono segnati da una serie di successi politici e da una linea di condotta efficacemente intesa a ristabilire gli equilibri nel quadro italiano ed europeo.

Tre furono i fronti principali in cui dovette misurarsi Giovanni de’ Medici all’indomani della sua elevazione al soglio pontificio succedendo all’irrequieto Giulio II: consolidare un primato strategico del papa all’interno di una chiesa sconvolta da tensioni interne ed esterne; consolidare e accrescere i confini territoriali dello stato pontificio in quanto principato ecclesiastico territoriale; conservare il ruolo preminente e arbitrale nei conflitti internazionali.

Su tutto questo, poi, la predominante occupazione di garantire a sé e alla propria famiglia il controllo socioeconomico di Firenze e un sicuro avvenire principesco. Appena eletto, Leone X, manifestò subito il proprio intento di marcare una discontinuità con il predecessore e di mirare a soluzioni che passassero attraverso la fine orchestrazione dell’accordo diplomatico piuttosto che per gli scontri aperti sui campi di battaglia. L’elezione di Giovanni de’ Medici fu accompagnata dalle speranze che il nuovo pontefice intendesse promuovere un generale riequilibrio degli assetti politici26.

È dunque la casa Medici la vera dedicataria del Principe, è al casato nel suo insieme che Machiavelli esplicitamente si rivolge: « Né ci si vede al presente in quale lei [lei è l’Italia intera] possa più sperare che nella illustre Casa vostra, la quale con la sua fortuna e virtù – favorita da Dio e da la Chiesa, della quale è ora principe – possa farsi capo di questa redenzione » (Principe, XXVI, 8).

L’elezione di Leone X segnava definitivamente la trasformazione della casa Medici da famiglia imprenditoriale bancaria (anzi proprio in quegli anni le attività del banco chiudevano definitivamente, e per di più in perdita) a punto di riferimento politico imprescindibile in Italia, unico soggetto in grado di ergersi a interlocutore paritario nelle dinamiche europee.

È dal papa che si chiedeva una straordinaria iniziativa politica, un’iniziativa di cui, in verità, egli stava già dando prova, a prescindere dalla maggiore o minore capacità pratica dei propri congiunti. È al papa che si proponeva ad un tempo l’instaurazione di un principato civile in Firenze e l’impulso ad una coalizione antispagnola in Italia.

E fu dalla curia romana che giunse appunto, ai primi del 1515 e attraverso le parole del card. Giulio all’Ardinghelli, l’inequivocabile rifiuto di quelle prospettive; perché in un’Italia « più stiava che li ebrei, più serva che e’ persi, più dispersa che gli ateniesi: sanza capo, sanza ordine, battuta, spogliata, lacera, corsa », e che aveva « sopportato d’ogni sorte ruina » (Principe, XXVI, 3), l’opuscolo machiavelliano finì con l’essere indirizzato « […] a chi sembrava avere tutte le condizioni dell’aspettato ‘principe nuovo’, tranne una: la virtù »27.

Note de fin

1 Niccolò MACHIAVELLI, Opere, a cura di Corrado VIVANTI, Torino, Einaudi-Gallimard, t. II: Lettere, 1999, p. 296. Cfr. inoltre N. MACHIAVELLI, Lettere a Francesco Vettori e Francesco Guicciardini, a cura di Giorgio INGLESE, Milano, Rizzoli, 1989, p. 195.

2 Francesco BAUSI, Il Principe dallo scrittoio alla stampa, Pisa, Edizioni della Normale, 2015, p. 13-60.

3 Mario MARTELLI, Introduzione a N. Machiavelli, Il Principe, edizione nazionale a cura di M. MARTELLI, corredo filologico di Nicoletta MARCELLI, Roma, Salerno, 2006, p. 37.

4 M. MARTELLI, Nota al testo, nella citata edizione nazionale del Principe, p. 479.

5 Alceste GIORGETTI, « Lorenzo de’ Medici capitano generale della repubblica fiorentina », in Archivio storico italiano, serie IV, 11, 1883, p. 194-215, in specie p. 210-11. Cfr. Francesco NITTI, Leone X e la sua politica, secondo documenti e carteggi inediti, Firenze, Barbera, 1892 (ora anastatica a cura di Stefano PALMIERI, Bologna, Il Mulino, 1998), p. 20-21.

6 Per le notizie biografiche su Giuliano, cfr. Stefano TABACCHI, « Giuliano de’ Medici », in Enciclopedia Machiavelliana, Roma, Istituto Enciclopedia italiana, 2014, ad vocem (e più ampiamente in Dizionario biografico degli Italiani, ivi, vol. 73, 2009, ad vocem)

7 Cfr. Luca DELLA ROBBIA, Recitazione del caso di Pietro Pagolo Boscoli e di Agostino Capponi, estratto in Testi cinquecenteschi sulla ribellione politica, a cura di Gian Paolo MARCHI, con un saggio di Emanuela SCARPA sui sonetti dal carcere di Machiavelli, Verona, Fiorini, 2005, p. 25-38.

8 Tommaso GAR, « Documenti riguardanti Giuliano de’ Medici e il pontefice Leone X », in Archivio storico italiano, Appendice, 1842-44, t. 1, p. 291-324, in part. p. 299.

9 Francesco VETTORI, Scritti storici e politici, a cura di Enrico NICCOLINI, Bari, Laterza, 1972, p. 160. Cfr. Gaetano PIERACCINI, La stirpe de’ Medici di Cafaggiolo, Firenze, Nardini, 19863 (1924-25), p. 217.

10 N. MACHIAVELLI, Lettere, ed. VIVANTI: Vettori a Machiavelli, 12 luglio 1513, p. 268; e Lettere a Vettori e Guicciardini, ed. INGLESE, p. 153.

11 Lettere a Vettori e Guicciardini, ed. INGLESE, p. 283-86. Cfr. M. MARTELLI, Introduzione, p. 31-32; Raffaele RUGGIERO, « Il Principe dei ghiribizzi. Un vaglio testuale », in Belfagor, 61, 2006, p. 688-704, in specie p. 691-93; G. INGLESE, Introduzione a N. MACHIAVELLI, Il Principe, nuova edizione critica commentata, Torino, Einaudi, 2014, p. XXVIII-XXIX.

12 Oreste TOMMASINI, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli nella loro relazione col machiavellismo, Torino-Roma, Loescher, 1883-1911 (anastatica, Bologna, Il Mulino, 1999-2003), vol. II, p. 1064-65. La lettera è citata in M. MARTELLI, Introduzione, p. 32, e discussa da G. INGLESE, Introduzione, p. XXIX.

13 N. MACHIAVELLI, Lettere, ed. VIVANTI, 10 dic. 1513, p. 297.

14 N. MACHIAVELLI, Lettere, ed. VIVANTI: Vettori a Machiavelli, 3 dic. 1514, p. 330; e Lettere a Vettori e Guicciardini, ed. INGLESE, p. 252.

15 N. MACHIAVELLI, Lettere, ed. VIVANTI: Machiavelli a Vettori, 10 dic. 1514, p. 337; e Lettere a Vettori e Guicciardini, ed. INGLESE, p. 262. Cfr. Emanuele CUTINELLI-RENDINA, Chiesa e religione in Machiavelli, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 1998, p. 81-92, 149-51; Maria Agata PINCELLI, Leone X, in Enciclopedia Machiavelliana, ad vocem. Vedi inoltre infra n. 26.

16 Cfr. Gino BENZONI, Lorenzo de’ Medici, in Enciclopedia Machiavelliana, ad vocem.

17 F. NITTI, Leone X e la sua politica, p. 60-64.

18 Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di Eugenio ALBERI, serie II, vol. 3, Firenze, Società editrice fiorentina, 1846, p. 51.

19 Cfr. R. RUGGIERO, Cesare Borgia in piedi e in ginocchio, tra Machiavelli e Castiglione, in Lessico ed etica nella tradizione italiana di primo Cinquecento, Lecce, Pensa, 2016, p. 255-70.

20 Cfr. R. RUGGIERO, Baldassarre Castiglione diplomatico. La missione del cortegiano, Firenze, Olschki, 2017, p. 43-45.

21 N. MACHIAVELLI, Discursus Florentinarum rerum, in L’Arte della guerra. Scritti politici minori, rispettivamente a cura di Giorgio MASI e Denis FACHARD (L’Arte della guerra) e di Jean-Jacques MARCHAND (Scritti minori), Roma, Salerno, 2001, § 48; cfr. ora l’edizione del Discursus Florentinarum rerum, con versione francese a fronte, a cura di Jean-Claude ZANCARINI, Neuville-sur-Saône, Chemins de tr@verse, 2015, p. 25-26 e 68-69.

22 Cfr. N. MACHIAVELLI, Lettere familiari pubblicate per cura di Edoardo ALVISI, Firenze, Sansoni, 1883; Roberto RIDOLFI, Vita di Niccolò Machiavelli, Firenze, Sansoni, 19787, p. 525; C. VIVANTI, Note a N. MACHIAVELLI, Lettere, p. 1584 e 1599; Lettere a Vettori e Guicciardini, ed. INGLESE, p. 231-32; Emanuele CUTINELLI-RENDINA, recensione all’edizione critica del Principe, a cura di G. INGLESE (Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1994), in Studi e problemi di critica testuale, 1995/2, p. 192-206, in part. 200-203; F. BAUSI, Il Principe dallo scrittoio alla stampa, p. 28.

23 N. MACHIAVELLI, Lettere, ed. VIVANTI, p. 316-17.

24 Cfr. G. INGLESE, Per Machiavelli. L’arte dello stato, la cognizione delle storie, Roma, Carocci, 2006, p. 49-50.

25 N. MACHIAVELLI, Lettere, ed. VIVANTI, p. 297. Nella lettera a Vettori, Machiavelli mostra di temere che – qualora il Principe venga inviato a Giuliano per il tramite di Ardinghelli – quest’ultimo possa arrogarsene i meriti. Doveva essere un problema rilevante per Niccolò, ove si pensi che anche Vettori, un anno più tardi, sentirà il bisogno di rassicurare il proprio corrispondente, dicendogli che gli eventuali consigli politici richiesti sarebbero stati trasmessi al papa a nome di Machiavelli: « Et vorrei mi discorressi in modo questa materia, che voi pensassi che lo scritto vostro lʹhavesse a vedere il Papa; et non pensate che ne voglia fare honore a me, perché vi prometto mostrarla per vostra, quando iudichi a proposito » (Lettere, p. 330). Cfr. Alessia LOIACONO, Necessità e urgenza alle radici del Principe (1512-1516), in Lessico ed etica nella tradizione italiana di primo Cinquecento, a cura di R. RUGGIERO, p. 163-91.

26 Una ricostruzione dei molteplici tentativi esperiti da Machiavelli per accostarsi organicamente ai progetti politici del papato mediceo è ora in Gaetano LETTIERI, « Nove tesi sull’ultimo Machiavelli », in Humanitas, 72, 2017, p. 1034-89, in part. 1041-45.

27 R. RIDOLFI, Vita di Niccolò Machiavelli, Firenze, Sansoni, 19787, p. 225.

Citer cet article

Référence électronique

Raffaele Ruggiero, « I principi dedicatari del Principe », Line@editoriale [En ligne], 8 | 2016, mis en ligne le 14 mars 2023, consulté le 03 mai 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/856

Auteur

Raffaele Ruggiero

Centre Aixois d’Études Romanes, Aix-Marseille Université, Aix-en-Provence

raffaele.ruggiero@univ-amu.fr