Prospettive sul processo di civilizzazione

L’impiego delle fiabe per l’insegnamento della storia culturale francese e italiana

Résumés

Insegno La Colomba di Giambattista Basile e L’ape e l’arancio di Marie-Catherine d’Aulnoy nel contesto di un corso di studi umanistici intitolato « Letteratura et Cultura della Francia e l’Italia ». Progettato come una indagine generale, il corso investiga come delle opere appartenenti a due diverse tradizioni nazionali possano reagire con fenomeni culturali collegati nei momenti decisivi della storia culturale francese e italiana. Le fiabe di Basile e d’Aulnoy offrono contributi importanti per aiutare gli studenti a capire come gli intellettuali e aristocratici marginalizzati di Napoli e di Parigi reagirono a questi fenomeni. (Ristampa con autorizzazione della Wayne State University Press - USA)

I teach Giambattista Basile’s The Dove and Marie-Catherine d’Aulnoy’s The Bee and the Orange Tree in a lecture-style, Liberal Studies class entitled: « Literature and Culture of France and Italy ». Designed as a general survey, this course investigates how similar literary genres engage with related cultural phenomena at pivotal moments of French and Italian cultural history. Basile’s and d’Aulnoy’s literary fairy tales make important contributions to our unit on the seventeenth-century centralization of the royal court, helping students to understand how marginalized intellectuals and aristocrats responded to this phenomenon in Naples and Paris. (Reprinted by Permission of Wayne State University Press - USA)

Texte

Nel mio corso di Studi Liberali intitolato « Letteratura e Cultura di Francia e Italia » (Literature and Culture of France and Italy) insegno le fiabe di Giambattista Basile (« La palomma », Lo cunto de li cunti) e di Marie-Catherine d’Aulnoy (« L’albero di arancia e l’ape » [« L’Oranger et l’abeille »] (Les Contes des fées, vol. 2, 1697).

Progettato come un’indagine sulla storia culturale francese e italiana dal Medioevo al XIX secolo, il corso si concentra su ciò che i testi letterari rivelano circa le atmosfere culturali che li hanno prodotti, considerando come delle opere appartenenti a due diverse tradizioni nazionali interagiscono con questioni correnti in periodi storici simili. Iniziando con l’etica medievale dell’amor cortese e terminando con la rivoluzione industriale del XIX secolo, gli studenti confrontano la modalità con cui lo stesso fenomeno culturale è rappresentato in un testo francese e in un testo italiano in cinque diversi periodi storici.

Per la nostra prima unità sul Medioevo, per esempio, viene studiato l’amor cortese analizzando come la sua compatibilità con il feudalesimo è rappresentata nel poema narrativo Lanval di Marie de France del 1170 e nei racconti dell’anonimo italiano Novellino (1281-1300). Per quanto riguarda la seconda unità sul Rinascimento, vengono analizzate le sfumature attraverso le quali il relativismo opera nell’umanesimo francese e italiano, confrontando le novelle del Decamerone di Boccaccio (1348-1353) con un racconto dell’Heptaméron di Marguerite di Navarra (1558).

I racconti di fiabe di Basile e di d’Aulnoy forniscono i testi centrali per la nostra terza unità sulla centralizzazione della Corte reale nel XVII secolo, aiutando gli studenti a capire come gli intellettuali marginalizzati e gli aristocratici rispondono a tale fenomeno nella Napoli della prima metà del XVII secolo e nella Parigi della seconda metà del XVII secolo.

Considerando che le fiabe di Basile vengono scritte nel 1630 e quelle di d’Aulnoy vengono scritte nel 1690, propongo di iniziare la nostra unità sul XVII secolo con una lezione su un estratto del testo A Concise History of Italy di Christopher Duggan. La lezione tratta di come l’Italia della prima età moderna fosse politicamente frammentata ma, grazie all’operato degli intellettuali, si rivelasse culturalmente integrata; tale lezione permette agli studenti di familiarizzare con le tendenze culturali e con i concetti all’origine dell’unione che l’Italia vive in questo periodo. L’emergere di una cultura nazionale basata su valori umanistici, l’istituzione del volgare toscano come principale lingua letteraria, il sorgere della Controriforma e infine la diffusione di ciò che Norbert Elias ha descritto come il « processo di civilizzazione » costituiscono i quattro componenti principali della lezione.

Al fine di supportare gli studenti nella comprensione della Controriforma, viene fornita una breve introduzione sull’arte visiva del Barocco, concentrandosi particolarmente sull’aspetto militante e sull’investimento nel potere dell’immagine visiva come contro-strategia all’austerità del Protestantesimo. Ho enfatizzato il potere dell’immagine visiva in questo tipo di produzione artistica confrontando gli affreschi e gli stucchi barocchi con esempi dell’arte sacra del Rinascimento italiano del secolo precedente, concentrandomi in particolar modo sulle differenze tra gli affreschi della Cappella Sistina di Michelangelo (1508-1512 / 1535-1541) e la decorazione della volta della chiesa romana gesuita « Il Gesù » (1670-1683) di Giovanni Battista Gaulli.

Attraverso l’analisi di sezioni della volta di Michelangelo [fig. 1] e della rappresentazione de Il Giudizio Universale sul muro dietro l’altare [fig. 2] si nota come la mentalità umanistica, forgiata dal relativismo, accetta la coesistenza di aspetti religiosi e laici, di tematiche spirituali e corporee all’interno dello stesso dipinto, incorporando allusioni alla mitologia classica con la raffigurazione del fiume Stige all’interno del racconto proveniente invece dalle scritture bibliche Il Giudizio Universale e dedicando grande importanza alle dettagliate rappresentazioni dei nudi, nonostante la natura spirituale dell’argomento.

Fig. 01

Fig. 01

Fig. 02

Fig. 02

In seguito la comparazione di alcune opere d’arte realizzate da Gaulli [fig. 3] con quelle di altri artisti della Controriforma come Andrea Pozzo [fig. 4], permette di rilevare come questo movimento religioso adotti sia il manierismo che stili di pittura barocca con lo scopo di creare l’effetto desiderato.

Fig. 03

Fig. 03

Fig. 04

Fig. 04

Dal manierismo questi dipinti traggono la brillantezza dei colori, le vorticose composizioni e le prospettive poco profonde; mentre dal barocco mutuano i temi religiosi o soprannaturali, l’artificio, l’eccesso e la dimensione teatrale, oltre che un’intensa policromia. La discussione prosegue trattando l’effetto che l’arte barocca vuole produrre sullo spettatore, mettendo a fuoco in particolare l’intenzione di provocare reazioni di sgomento, di incanto, di rapimento, attraverso la creazione di affreschi di grandi dimensioni e di sculture che incorporano luce, eccesso, movimento ed esplosività tanto che gli affreschi quanto le sculture sembrino sul punto di balzare fuori dalle loro cornici.

In ultima istanza viene trattato lo scopo ideologico di questa arte: sedurre e orientare lo spettatore verso un vigore e una comunione rinnovati nei confronti fede Romana Cattolica. Rivolgendosi verso i processi cognitivi sui quali questa arte si fonda, si chiede allo spettatore, sgomento e sopraffatto, di assestarsi fondamentalmente su posizioni passive, inerti, perfino sottomesse.

Trattiamo ora il concetto di “processo di civilizzazione”, come definito in termini molto ampi da Elias. Tale fenomeno viene spiegato come un’evoluzione sociale e psicogenetica della coscienza umana secondo il quale norme, costumi, regole ed etichette vengono codificate in base a forme che, se adottate da un singolo individuo, lo fanno apparire come “civilizzato”, secondo i dettami della cultura occidentale. Lascio agli studenti esprimere alcuni esempi di ciò che credano ci renda “civilizzati”, prima di completare il discorso con alcuni esempi che Elias riporta nel suo libro The Civilizing Process, tra cui: buone maniere, galateo a tavola, atteggiamenti nei confronti delle funzioni corporee, azioni come soffiarsi il naso o sputare, la postura in pubblico, e il comportamento in camera da letto. Viene discusso di come questo processo ha avuto successo nelle Corti aristocratiche di tutta Italia prima di diffondersi nel resto d’Europa, incoraggiando più particolarmente la normalizzazione dell’abbigliamento, del portamento, dell’estetica, dell’alimentazione e delle buone maniere, nonché creando in ultima istanza un elaborato sistema di vincoli e convenzioni che sono massicciamente ripetuti in cerimonie e rituali al fine di consolidarsi.

Ho domandato agli studenti che tipo di impatto avrebbe potuto avere sulla nobiltà la nuova e appena ritualizzata e codificata esistenza di Corte, suggerendo loro di pensare al proprio stato d’animo durante la partecipazione ad un rituale in contrapposizione con il coinvolgimento in un’attività creativa. L’obiettivo è quello di portare gli studenti a prendere coscienza dell’importante parallelismo tra i processi cognitivi sollecitati dall’arte della Controriforma e tra il processo di civilizzazione stesso: come entrambe le istituzioni dipendono dall’attitudine individuale verso il successo, così entrambe cercano in ultima analisi una riposta passiva e complice dai propri interlocutori.

Successivamente, affrontiamo alcune delle specificità della Corte napoletana durante la prima età moderna. Il capitolo di Michele Rak, nel suo classico testo Storia di Napoli, fornisce le basi per la nostra breve discussione sulla storia di Napoli e l’introduzione di Nancy Canepa alla sua traduzione della raccolta di fiabe di Giambattista Basile Lo cunto de li cunti (The Tale of Tales) fornisce agli studenti una biografia dell’autore e una panoramica della sua produzione letteraria.

Utilizzando questa introduzione come punto di partenza, parliamo del primo incarico di Basile come cortigiano del Principe di Avellino e valutiamo come il processo di civilizzazione abbia influenzato il ruolo del cortigiano, trasformandolo da una posizione di serio impegno intellettuale ad una posizione immaginata per agevolare pratiche di convenzioni e di rito. Sebbene durante il 1500 i cortigiani avevano un ruolo attivo nel creare strategie culturali e politiche dialogando con coloro i quali si trovavano al potere, durate il 1600 gli stessi cortigiani cominciarono ad essere chiamati ad organizzare attività cerimoniali, a sorvegliare la pianificazione delle feste, e a tenere discussioni tecniche sulla letteratura. Ho chiesto agli studenti di considerare come questo cambiamento di ruolo può aver frustrato e disilluso un cortigiano intellettualmente dotato come Basile.

La nostra discussione sulla fiaba di Basile inizia con una panoramica sulla struttura narrativa de Lo cunto, nella quale quarantanove fiabe sono incorniciate da una cinquantesima. Chiedo agli studenti di confrontare una tale struttura con quella del precedente Decamerone di Boccaccio, nel quale la cornice narrativa nettamente definita costituisce un genere letterario indipendente rispetto alle narrazioni che vi sono interpolate e rispetto ad alcuni tratti dell’arte barocca precedentemente osservati. Gli studenti hanno immediatamente notato la tipica tendenza barocca al superamento dei limiti della fiaba Lo cunto, dando vita ad una narrazione in cui il fiabesco non comprende unicamente le narrazioni interpolate, ma anche la cornice narrativa generale. Ho letto l’inizio del racconto selezionato [« La palomma »] agli studenti in lingua inglese, italiana e napoletana, e abbiamo discusso sulla ragione per la quale Basile avrebbe scelto di scrivere il racconto in napoletano piuttosto che in toscano, considerando che quest’ultimo si era da poco affermato come principale linguaggio letterario italiano. Una tale discussione permette di stabilire come Basile e il suo lavoro incarnino un innovativo cambiamento culturale a livello di linguaggio e stile così come a livello di forma e contenuto.

Procediamo illustrando alcuni quesiti ai quali gli studenti sono tenuti a rispondere, sul blog della classe, prima di ogni incontro. In questo caso, agli studenti è stato chiesto di mettere a confronto Nardo Aniello, il principe della storia di Basile, con Lanval, il nobile cavaliere medievale del poema narrativo di Marie de France, che era stato studiato all’inizio del semestre all’interno dell’unità sul concetto di amore cortese nel Medioevo francese e italiano. Sia Nardo che Lanval sono figli di Re e, all’inizio delle rispettive storie, si trovano soli nei boschi e separati dal resto dei loro uomini. A questo punto entrambi entrano in contatto con donne eteree e bellissime – delle fate – delle quali si innamorano, e superando vari ostacoli giungono alla fine del racconto a coronare il loro amore e vivere felici e contenti.

Nonostante le similitudini delle strutture generali della trama dei due racconti gli eroi principeschi manifestano delle sorprendenti diversità in quanto a personalità, condizioni personali e reazioni alle avversità. Per esempio Nardo, l’eroe di Basile, incontra la fata Filadoro a seguito della maledizione di una vecchia che lo condanna ad innamorarsi della figlia di un’orchessa (Filadoro) dopo che Nardo le aveva distrutto per scherno la pentola di fagioli causandone la morte per fame. Lanval, invece, incontra nei boschi una fata senza nome come ricompensa per l’umile accettazione del maltrattamento subito da parte del suo signore Re Artù il quale, nonostante la generosità e la fedeltà di Lanval come membro della tavola rotonda, ha dimenticato di ricompensarlo al momento della distribuzione dei feudi.

Dopo aver rintracciato similitudini e differenze delle rispettive situazioni dei due principi, la lezione si è concentrata sul confronto tra le scene in cui le fate e i principi si incontrano per la prima volta, prestando particolare attenzione ai loro modi di parlare, all’atteggiamento assunto verso l’autorità e al comportamento generale. La discussione rivela che Lanval, nonostante le sue carenze, incarna tuttavia un ruolo attivo nel poema. Indipendentemente dalle circostanze in cui si trova, Lanval agisce fondamentalmente in un modo che è cavalleresco verso il suo signore, cortese verso la sua signora, oltre che generalmente coraggioso, dignitoso, esemplare e onorevole. Nardo invece svolge un ruolo soprattutto passivo all’interno del testo, comportandosi in un modo fondamentalmente autocentrato, mostrando una scarsa empatia per gli altri e presentandosi come facilmente manipolabile. Chiedo agli studenti di considerare in che modo l’attenzione verso l’etichetta, il rituale e l’aspetto formale tipica del processo di civilizzazione potrebbero aver influenzato questa discrepanza considerando che i testi napoletani del XVII secolo raffigurano la nobiltà.

La lezione successiva inizia con una discussione sull’importanza dell’aspetto estetico nel testo di Basile. Concentrandosi sulle citazioni nelle quali Nardo è colpito dalla bellezza della fata Filodoro e dalla bruttezza di sua madre l’orchessa, gli studenti delineano Nardo come un personaggio estremamente sensibile all’immaginario visivo e che reagisce ad esso allo stesso modo di come l’ideale suddito cattolico contempla l’interno di una Chiesa della Controriforma. Anche se la fata che incontra Nardo nel bosco somiglia poco alla figura sfarzosa, seducente e radiosa che Lanval incontra nel poema di Marie de France (Filadoro, al contrario, è una semplice ragazza dei boschi che si diverte raccogliendo lumache e intonando filastrocche infantili), Nardo è totalmente folgorato dalla suo aspetto estetico si paralizza completamente, perdendo persino temporaneamente la capacità di parlare:

Lo prencepe, che se vedde comparere ‘nante sto scrittorio de le cose chiù preziose de la Natura, sto banco de li chiù ricche deposete de lo cielo, st’arzenale de le chiù spotestate forze d’Ammore, non sapeva che l’era socciesso e da chella facce tonna de cristallo trapassanno li ragge dell’uocchie all’esca de lo core suio, allommaie tutto de manera che deventaie na carcara, dove se cocevano le prete de li designe pe fravecare la casa de le speranze. […] che ped essere lo prencepe bravo mostaccio de giovane le sperciaie subeto da parte a parte lo core, tanto che l’uno all’altro cercava meserecordia coll’uocchie e dove le lengue loro avevano la pepitola li sguardi erano trommette de la Vicaria, che spobrecavano lo secreto dell’arma. E stato no buono piezo l’uno e l’autro co l’arenella a lo cannarone, che non potevano sghizzare na parola mardetta […] 1

Quando Nardo finalmente trova il coraggio di parlare alla fata, lo fa utilizzando delle maniere eccessive e barocche, accumulando una di seguito all’altra espressioni adulatorie al punto che persino Filadoro, suscettibile anche lei alle apparenze in quel momento, sente la necessità di interrromperlo, esclamando:

Vascia sse mano, cavaliere mio […] non tanto de grazia, ca so’ le vertu voste, no li mierete mieie, sto spetaffio de laude che m’avite dato, ca io so’ femmena che me mesuro, né voglio c’autro me serva meza-canna, ma tale quale songo […]2

Avanziamo l’ipotesi per cui la reazione di Nardo alla vista di Filadoro potrebbe essere interpretata come uno stato mentale condizionato dal processo di civilizzazione e gli studenti osservano come Basile manipola l’estetica barocca contro se stessa, usando metafore stravaganti per esagerare la sensibilità visiva del principe al punto che l’esagerazione di tale sensibilità diventa manifesta.

Procediamo analizzando il ruolo che Filadoro riveste nella fiaba, confrontando le sue creative, ingegnose e attive reazioni alle avversità con quelle passive, sottomesse e rassegnate di Nardo alle medesime situazioni. Per facilitare questa discussione, ho aiutato gli studenti rappresentando graficamente la trama della fiaba attraverso una sequenza di tre maledizioni e relativi riscatti. In primo luogo, la maledizione lanciata dalla vecchia donna (la cui pentola di fagioli Nardo aveva frantumato senza riguardo all’inizio del racconto) che obbliga il principe ad innamorarsi della figlia di un’orchessa condannandolo a sua volta ad una vita di lavoro ingrato. In risposta a questa maledizione, Nardo piange, ma la fata semina la terra, taglia la legna e, infine, scava un tunnel che permette ad entrambi di fuggire. Non appena l’orchessa apprende della loro fuga, scaglia su Nardo la seconda maledizione della fiaba, predicendo che al primo bacio ricevuto, il principe dimenticherà Filadoro.

In effetti al suo rientro a Corte Nardo riceve un bacio dalla propria madre e la maledizione si realizza immediatamente, ma Filadoro si traveste da garzone, prepara una torta e incanta una colomba la quale ricorda a Nardo gli obblighi che ha nei confronti della sua amata – un’altra sequenza delle tre azioni che sostanzialmente scioglie la maledizione dell’orchessa e permette a Filadoro di ottenere la mano di Nardo in matrimonio.

Ma proprio al momento delle loro nozze, il fantasma della vecchia donna, la cui pentola Nardo aveva frantumato all’inizio del racconto, appare ancora una volta e maledice il principe con un ultimo anatema, con il quale lo condanna ad avere per sempre davanti agli occhi la pentola di fagioli rotta, visione che lo porterà alla miseria. Come reazione di questa maledizione, Nardo impallidisce, ma Filadoro lo convince a fidarsi del suo ingegno, dicendo:

Non dubetare, marito mio, sciatola e matola, s’è fattura non vaglia, ca io te caccio da lo fuoco3

maledizione

Nardo

Filadoro

Nardo si innamora della figlia di un’orchessa

(vecchia donna)

… piange

… semina la terra

… taglia la legna

… scava un tunnel per poter scappare

Nardo dimentica Filadoro se viene baciato

… la dimentica

… si traveste

… prepara un dolce

… incanta una colomba

Nardo è condannato ad avere sempre davanti agli occhi la pentola rotta ed a finire in miseria

(ombra della vecchia donna)

… impallidisce

… dice a Nardo di credere nel proprio ingegno

Grazie al grafico soprariportato, gli studenti sono in grado di osservare le modalità profondamente differenti attraverso le quali Nardo e Filadoro reagiscono alle sfide che richiedono delle soluzioni creative. Ragioniamo sulla questione secondo la quale le diverse educazioni dei due personaggi possono aver influenzato le loro altrettanto diverse reazioni. Se Nardo è cresciuto a Corte, Filadoro non ha avuto la stessa sorte, è probabile quindi che lei non abbia avvertito gli stessi effetti del processo di civilizzazione.

Nella nostra precedente discussione sul poema epico “Lanval” di Marie de France abbiamo esaminato le similitudini delle espressioni e degli stili che l’autrice utilizza nella prefazione del Lais quando si rivolge al re Enrico II, confrontandoli con il modo in cui la fata incantatrice si rivolge a Re Artù quando giunge alla sua Corte alla fine del racconto. In questo contesto abbiamo discusso il livello con il quale l’autore può essersi identificato con la fata incantatrice. Ho chiesto agli studenti se Basile potrebbe inserire significanti simili nel proprio testo che permettano di identificarlo con Filadoro. Per rispondere a questa domanda, ho ripreso il precedente schema della trama della narrazione e ho chiesto agli studenti di accertare a quale classe sociale Filadoro avrebbe potuto appartenere attraverso l’analisi delle sue azioni. Gli studenti sottolineano generalmente che le prime tre azioni, ambientate nella foresta, sono atti di lavoro manuale, mentre le seconde tre azioni, che si svolgono al margine della Corte Reale, sono più raffinate. In particolare si può notare che alla fine dell’ultima sequenza l’azione della fata non è più necessaria. Gli studenti interpretano generalmente l’evoluzione delle azioni della fata come il riflesso della sua scalata sociale. La fata scappa dal bosco come una contadina, appare a Corte con un ingegnoso stratagemma tipico di un cortigiano e infine diventa un membro della classe nobile e libera. Ho chiesto agli studenti di prendere in considerazione anche un’interpretazione alternativa: cosa succederebbe se la fata, durante la sua scalata sociale, non cambiasse la propria identità sociale, ma restasse una figura “cortigiana” nel complesso, facendo affidamento sulla propria innata creatività e sul proprio ingegno per affrontare le più svariate circostanze. Quindi, la fata mostra che l’ingresso alla Corte senza il sacrificio dell’operato individuale può essere possibile per coloro i quali incarnano l’intelligenza cortigiana, versatile e flessibile – tratti che Basile stesso mostra al momento di orchestrare la propria ascesa sociale da membro della Classe media napoletana fino al raggiungimento del rango di Conte e del titolo di Conte di Torrone prima della sua morte.

Nel blog della classe, avevo precedentemente chiesto agli studenti di analizzare in che modo il finale de « La Palomma » poteva essere considerato barocco sotto l’aspetto del linguaggio e della trama, e rispetto agli stati emotivi dei personaggi e delle risposte sollecitate nel lettore generico. Tornado ora a questo punto, gli studenti generalmente indicano che l’eccesso barocco che caratterizza le altre reazioni alle maledizioni si perde verso la fine. In particolare la mancanza dell’ornamento barocco scopre la conclusione a finale aperto, una conclusione nella quale Filadoro non solo ottiene il più alto stato sociale possibile, ma anche la dipendenza eterna del principe da lei. Senza Filadoro il principe è lasciato alla mercé della maledizione finale della vecchia donna; lui dipende dalla frase di Filadoro « ca io te caccio da lo fuoco », senza sapere quando o dove questo metaforico fuoco potrebbe apparire.

In conseguenza, il cortigiano nella Corte civilizzata della fiaba non è soltanto riportato al suo precedente stato di autorità rispetto al principe di cui è consigliere, ma ottiene un grado ancora più alto di debito reale e di dipendenza. Se il processo di civilizzazione potrebbe aver spogliato la nobiltà del suo operato formale, non sembra essere il caso per il cortigiano, come prova il trionfo di Filadoro. Di conseguenza, il racconto può essere interpretato come il compimento di un desiderio autobiografico dei cortigiani dei XVII secolo i quali, come Basile, ambivano l’ottenimento del potere attraverso il merito piuttosto che attraverso la nascita.

Concludiamo la nostra sezione su Basile con un confronto delle forze soprannaturali presenti nella colonna di destra e in quella di sinistra all’interno del grafico della trama del racconto. Le maledizioni, anche se lanciate da individui, pongono questi ultimi in posizioni passive perché necessitano di un intermediario per assicurare che il sortilegio si realizzi. Una volta che la maledizione dell’individuo viene pronunciata ad alta voce la discrezione finale dei cieli è necessaria affinché la maledizione abbia effetto, in quanto queste sono lanciate a seguito della consapevolezza individuale di una carenza personale, fisica o mentale, ad ottenere la punizione in modo autonomo. Di conseguenza, le maledizioni pongono sia gli iniziatori che i destinatari in una posizione passiva e recettiva, simile a quella provocata dall’arte barocca della Controriforma e dalla centralizzazione del rito di Corte durante il processo di civilizzazione.

A differenza delle maledizioni, che confermano come l’operato individuale abbia raggiunto i propri limiti, la magia delle fate è un tipo di potere soprannaturale che si attiva in combinazione con la naturale creatività e intelligenza di un individuo

e che dipende dall’orientamento individuale verso il successo. Sebbene le prime azioni di magia fatata di Filadoro siano in gran parte dipendenti dall’operato degli altri, più Filadoro si avvicina alla Corte, più è in grado di infondere la propria magia grazie alla propria iniziativa e creatività, utilizzando questo potere in modi sempre più intelligenti e ingegnosi. Il fatto che la magia di Filadoro è sistematicamente capace di interferire con le maledizioni lanciate da altri, proietta in ultima istanza una vittoria ideologica per il tipo di operato individuale associata al cortigiano rinascimentale sopra l’egemonia culturale del processo di civilizzazione e della Controriforma. Proprio come Filadoro manipola le maledizioni della vecchia donna e della propria madre, appropriandosene come proprie azioni di magia creativa, così anche Basile, nella sua fiaba, manipola l’estetica barocca, appropriandosi dell’incarnazione estetica della riforma religiosa e socio-politica in modo creativo che in ultima analisi compromette l’egemonia di entrambi.

La rappresentazione della Corte napoletana nel racconto di Basile offre un punto di confronto fondamentale per la seconda parte della nostra unità, che si concentra sull’esempio più rappresentativo del processo di civilizzazione alla fine del XVII secolo della Corte francese di Versailles.

Come introduzione generale al periodo in considerazione, gli studenti hanno letto un estratto di A Concise History of France di Roger Price al quale è seguita una discussione sul clima politico della prima metà del XVII secolo, determinando come l’instabilità sia nella religione che nella politica abbia contribuito al desiderio di Luigi XIV di stabilire una monarchia assoluta nella quale tutti gli elementi della società cadessero sotto l’autorità politica e culturale del re. Abbiamo discusso l’incompatibilità ideologica del concetto astratto di “assolutismo” rispetto al “relativismo”, e gli studenti hanno osservato come in base ai dettami della mentalità assolutista, l’unico modo per evitare il ripetersi delle due grandi ribellioni della prima parte del secolo fosse di assicurare la costante superiorità di un lato sull’altro.

Per quanto riguarda le tumultuose conseguenze delle guerre religiose provocate dalla Riforma Protestante del secolo precedente, Luigi XIV assicurò la superiorità del Cattolicesimo di Roma rendendolo la religione ufficiale di Francia, adottando un’estetica classica-barocca simile al barocco della Controriforma, e istituendo una rete di Accademie Reali per assicurare che tale estetica fosse adottata in tutti gli aspetti della società e della cultura.

A risposta delle « Fronde » (la rivolta aristocratica che era avvenuta tra il 1648 e il 1653 durante la Reggenza di Luigi XIV), il Re aveva assicurato la vittoria della monarchia sulla nobiltà obbligando la bassa nobiltà ad arruolarsi nel servizio militare, rafforzando l’autorità regale sulla nobiltà provinciale, e forse ancora più significativamente costruendo un lussuoso palazzo reale a Versailles e forzando l’alta nobiltà a risiedervi – isolata dall’autorità feudale associata alle rispettive proprietà provinciali, monopolizzando in tal modo la loro esistenza quotidiana con elaborati riti di Corte e sostituendo le loro precedenti responsabilità ufficiali con compiti superficiali e titoli onorifici.

Discutiamo di come l’effetto che la monopolizzazione del tempo libero dell’alta nobiltà messa in atto da Luigi XIV ebbe sulla rete parigina dei saloni, un’istituzione sociale-discorsiva che aveva precedentemente rappresentato un importante fulcro culturale e intellettuale per l’alta aristocrazia; discutiamo come la perdita delle tradizioni e del prestigio nobiliari potrebbe avere influenzato l’autonomia di un consolidato salone parigino di un’ospite come Marie-Catherine d’Aulnoy. L’esercizio aiuta gli studenti ad individuare in che modo le circostanze vissute dal cortigiano napoletano della prima metà del XVII secolo siano simili a quelle dell’ospite del salone francese della seconda metà del XVII secolo in termini di marginalizzazione intellettuale in quanto entrambi risultato del processo di civilizzazione associato con la centralizzazione della Corte Reale.

Il nostro confronto tra le rispettive fiabe letterarie di Basile e di d’Aulnoy inizia con un’analisi delle somiglianze dei personaggi principali dei loro testi: la fata Filadoro e la Principessa Aimée. Gli studenti notano che nonostante le differenze nei loro status sociali d’origine (quello di Filadoro è sconosciuto, mentre Aimée è accidentalmente separata dai propri genitori di sangue nobile quando era bambina) entrambe le eroine sono allevate da orchesse cannibali al di là dei limiti della società civilizzata; entrambe fuggono dalle loro madri-orchesse a seguito dell’arrivo di un principe errante il quale devia involontariamente dalla Corte civilizzata della propria famiglia.

Entrambe fanno affidamento su una miscela di magia fatata e ingegno intellettuale per scappare dall’orchessa e per proteggere i loro rispettivi principi dall’essere mangiati vivi; entrambe finiscono per sposare gli stessi principi alla conclusione del racconto, ed entrambe sono desinate a vivere il resto della loro vita a Corte.

Come risultato di questo confronto, gli studenti sono in grado di osservare le modalità analoghe attraverso le quali le narrazioni sono indicative del processo di civilizzazione. Mentre i principi che erano stati allevati a Corte si mostrano deboli e indecisi se sottoposti a circostanze che richiedono soluzioni creative, sia Filadoro che Aimée sono in grado di orientarsi in modo efficace in tali incertezze, assicurando la sopravvivenza e la prosperità tanto per se stesse quanto per i principi che esse proteggono.

Avendo stabilito tali similitudini, chiedo agli studenti di notare eventuali differenze nei viaggi delle rispettive eroine o nella natura della magia fatata che esse sono in grado di utilizzare. Gli studenti in genere indicano che, mentre la magia fatata di Filadoro è innata, quella di Aimée dipende dal possesso di una bacchetta magica che appartiene legittimamente alla fata Trufio.

Un grafico delle trame delle due storie rivela che, mentre le innate capacità magiche di Filadoro diventano sempre più potenti e innovative quanto più si avvicina alla Corte, l’accesso alla magia di Aimée attraverso la bacchetta di Trufio è più potente nello spazio liminale tra l’isola e la Corte e si indebolisce con l’avvicinarsi di Aimée al palazzo reale, in cui lei perde completamente il controllo della bacchetta.

La suddivisione di tali differenze rivela che sebbene le dinamiche di personaggi create sia Basile che d’Aulnoy all’interno delle loro fiabe presentano delle risposte agli effetti del processo di civilizzazione fondamentalmente negative, solo Basile rimane ottimista sulle possibilità per gli individui di superare l’egemonia culturale attraverso la creatività e l’innovazione individuali, senza uscire totalmente dalla società.

Mentre l’operato creativo di Filadoro rinforza il suo elevato stato sociale garantendo la dipendenza perpetua che il principe ha da lei, l’operato creativo di Aimée non incontra una simile legittimazione; accettando la vita di Corte, l’eroina deve anche accettare che le proprie azioni non possono più continuare ad influenzare la qualità della propria identità, una conseguenza sottolineata dal fatto che il figlio primogenito, Faithful Love, presto trova il suo nome sepolto sotto tanti titoli che è quasi impossibile ricordare il modo unico e individualistico attraverso il quale i suoi genitori si erano innamorati.

Pertanto, il finale dei racconti rivela una differenza fondamentale tra due importanti intelletti della prima epoca moderna i quali, trovandosi marginalizzati all’interno del processo di civilizzazione, scelgono delle strategie narrative molto simili di resistenza culturale.

« LA COLOMBA »

« L’APE E L’ALBERO DI ARANCE »

SPAZIO

AZIONI SVOLTE DALLA MAGIA FATATA

(Fonte della magia fatata = Filadoro: interna, magia stabile)

SPAZIO

AZIONI SVOLTE DALLA MAGIA FATATA

(Fonte della magia fatata = bacchetta magica di Trufio : esterna, magia volubile)

Boschi : reame degli orchi

Coltiva terra

Tagliare la legna

Scavare un tunnel per la fuga

Isola: reame degli orchi

Incanta un cervo

(Tourmentine)

Parla francese (Aimée)

Spazio liminale

Stagno, barca, vecchia donna (Aimée)

Colonna, quadro, gnomo

(Aimée)

Tinozza, Albero di Arance, Ape

(Aimée)

LA MAGIA È PIÙ POTENTE

Locanda

Corte di Linda

Aimée è libera dall’incantesimo (Trufio)

Aimée ritorna a Corte (Trufio)

Corte

Preparare un dolce

Incantare una colomba

LA MAGIA È PIÙ POTENTE

Corte

Opere citate:

Aulnoy, Marie-Catherine Le Jumel de Barneville, Comtesse de, « The Bee and the Orange Tree », Beauties, Beasts and Enchantment. Pubblicato e tradotto da by Jack Zipes, 417-437. London: Penguin Books, 1991.

Basile, Giambattista. « The Dove », Giambattista Basile’s The Tale of Tales or Entertainment for Little Ones. Pubblicato e tradotto da Nancy L. Canepa, 184-194. Detroit: Wayne State University Press, 2007.

Canepa, Nancy L. « Introduction », Giambattista Basile’s The Tale of Tales, or Entertainment for Little Ones, 1-31. Detroit: Wayne State University Press, 2007.

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Opere per la traduzione:

G.B. Basile, Letteratura Italiana Einaudi, edizione di riferimento Michele Rak, Garzanti, Milano, 1955.

Immagini:

Fig. 1: Michelangelo, Volta della Cappella Sistina (Città del Vaticano, Roma, 1508-1512).

Fig. 2: Il Giudizio Universale, Muro dell’altare della Cappella Sistina (Città del Vaticano, Roma, 1535-1541).

Fig. 3: Giovan Battista Gaulli, Trionfo nel Nome di Gesù, volta della Chiesa del Gesù (Roma, 1670-1683).

Fig. 4: Andrea Pozzo, Apoteosi di Sant’Ignazio, volta della Chiesa di Sant’Ignazio (1685-1694).

Note de fin

1 G. B. Basile, Letteratura Italiana, Einaudi, p. 172, edizione di riferimento Michele Rak, Garzanti, Milano 1955 [NdT].

2 G. B. Basile, Letteratura Italiana, Einaudi, p. 172, edizione di riferimento Michele Rak, Garzanti, Milano 1955 [NdT].

3 G. B. Basile, Letteratura Italiana, Einaudi, p. 181, edizione di riferimento Michele Rak, Garzanti, Milano 1955 [NdT].

Illustrations

Citer cet article

Référence électronique

Allison Stedman, « Prospettive sul processo di civilizzazione », Line@editoriale [En ligne], 8 | 2016, mis en ligne le 14 mars 2023, consulté le 28 avril 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/844

Auteur

Allison Stedman

University of North Carolina at Charlotte

allison.Stedman@uncc.edu