La linea emiliana delle scritture semplici

Benni, Cavazzoni, Celati, Nori

Résumés

Il testo analizza l’influenza che lo scrittore e traduttore Gianni Celati ha avuto sugli autori emiliani delle generazioni successive. In particolare è l’attenzione alla filosofia dell’immaginazione, all’oralità e al multilinguismo dato dalla conoscenza di altre lingue e dialetti a trovare riscontro nei testi narrativi di Stefano Benni, Ermanno Cavazzoni e Paolo Nori. Origine e fine di tale comunanza è Alice di Lewis Carroll, il suo immaginare nuove realtà e nuovi linguaggi, ma anche il parlato di strada, raccolto dalle voci dei suoi protagonisti reali e non. L’esperienza condivisa negli anni Novanta della rivista letteraria Il Semplice, inoltre, lega i quattro scrittori nella ricerca di tradurre in forme scritte le innumerevoli sfumature umoristiche dell’oralità.

The text analyzes the influence that the writer and translator Gianni Celati (1937-) has had on the Emilian authors of the following generations. It is in particular the attention to the philosophy of the imagination, to the oral speech and to the multilingual voice, given by the knowledge of other languages and dialects, that offers a comparison between the narrative texts of Celati and those written by Stefano Benni, Ermanno Cavazzoni and Paolo Nori. The origin of this communality can be found in Lewis Carroll’s Alice, in her imaginative realities and languages, but also in the spoken language, picked up directly in the street, by the voices of its protagonists. Besides, the shared experience of the literary magazine Il Semplice (1995-1997) connects the four writers together in the long search of translating the numerous oral tones of humor in written forms.

Texte

Nel mese di marzo del 2013, in occasione della pubblicazione della traduzione italiana dell’Ulisse di James Joyce, curata da Gianni Celati per Einaudi, il comune di Bologna dedica un ampio spazio di incontro e riflessione al traduttore per omaggiarne non solo l’ultima fatica, ma anche l’esperienza di professore e la carriera di narratore. A Bologna, Gianni Celati (nato nel 1937) si laurea in Letteratura Inglese con una tesi proprio su James Joyce ed è docente di Letteratura Angloamericana nel corso di laurea in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo dal 1976 al 1989. Considerato tra i maggiori narratori italiani viventi1, Celati ha esercitato un notevole influsso sulla scrittura e sul pensiero degli autori emiliani delle generazioni seguenti.

Durante gli anni di docenza, Celati, che annovera tra i suoi studenti Pier Vittorio Tondelli e Andrea Pazienza, esponenti del postmoderno emiliano, in una Bologna della fine degli anni ’70 che vive momenti di scontri e iniziative di autogestioni, cura nel 1977 un seminario su Lewis Carroll e sulla figura di Alice. Gli appunti di quell’esperienza seminariale sono stati raccolti in un volume collettaneo intitolato Alice disambientata: materiali collettivi per un manuale di sopravvivenza2. La lettura di questo testo, oltre a mostrare l’interesse “politico” per la figura di Alice, mette in risalto la filosofia dell’immaginazione che sottende gli scritti e le diverse forme d’arte degli autori oggetto di questa presentazione.

Le novelle scritte da Gianni Celati negli anni Ottanta evidenziano inoltre una particolare propensione per l’oralità e il linguaggio popolare senza tuttavia trascurare spazi di introspezione intimistica relativa ai singoli personaggi. Ciò permette un ulteriore raffronto con quegli autori che, con il crollo della Prima Repubblica e delle sue certezze, invocano insieme a Celati la centralità della parola e il suo tradursi in forme scritte.

Non è un caso che proprio nell’ultimo decennio del secolo scorso gli autori oggetto di questo intervento abbiano collaborato alla realizzazione della rivista letteraria Il Semplice, curata da Ermanno Cavazzoni (nato a Reggio Emilia nel 1947). Di quella rivista dice oggi lo scrittore parmense Paolo Nori (nato nel 1963):

Subito dopo che ho cominciato a scrivere ho incontrato un gruppo di scrittori che facevano una rivista all’epoca, che si chiamava Il Semplice. Io avevo all’epoca il problema di capire, come tutti quelli che cominciano a scrivere, se le cose che scrivevo valevano qualcosa oppure no […]. Al Semplice avevano trovato una soluzione a questo mio problema: chiedevano a quelli che volevano pubblicare una cosa sulla loro rivista di leggerla ad alta voce, di leggerla ad alta voce di fronte a una ventina di sconosciuti. […] Da allora […] ho cominciato a farlo con le mie cose, cioè a leggerle ad alta voce, intanto che le scrivevo e dopo che le avevo scritte. […] Una cosa bella letta ad alta voce diventa ancora più bella e una cosa brutta diventa ancora più brutta. […] Anche quando mando un sms […] mi accorgo che mi si muovono le labbra perché nella mia testa io lo sto pronunciando ad alta voce.3

La figura del Celati traduttore, inoltre, consente alla successive generazioni di scrittori di interiorizzare la possibilità di arricchire il potenziale letterario di voci altre, di suoni nuovi, portatori essi stessi di sfumature semantiche diverse. Gli scrittori tradotti da Celati, tra i quali Herman Melville e Louis-Ferdinand Céline per esempio, sono quelli che hanno influenzato in modo determinante la forma narrativa di Stefano Benni (nato nel 1947), come confermano le numerose citazioni presenti nei suoi romanzi e le dichiarazione dell’autore stesso4. Lo stesso Benni lavora negli anni Novanta alla traduzione di due romanzi francesi, Il rapimento di Ortensia5 di Jacques Roubaud e Tuttosà e Chebestia6 di Coline Serreau, mentre Paolo Nori amplia la propria produzione letteraria attraverso la traduzione di diversi autori russi, quali per esempio Gogol, Turgenev e Dostoevskij.

Alcuni punti di raccordo elencati meritano di essere sviluppati, se non approfonditi, nello spazio che segue.

Celati insegna all’Università di Bologna nel periodo in cui si manifesta quello che verrà ricordato come il « Movimento del ’77 »7. Esperto di letteratura inglese, lo scrittore decide di coordinare un seminario sul personaggio ottocentesco di Alice, eleggendola a emblema del movimento. Gli studenti, partendo dalle immagini evocate dal testo di Carroll e dalla figura di Alice e di Carroll stesso, dibattono collettivamente intorno all’attualità organizzando la discussione senza capi né leader. Il dibattito, spesso orientato sul significato freudiano del sesso e delle sue repressioni nell’era vittoriana, è significativo per tre aspetti.

Il primo aspetto verte sul significato di nonsense come risultato della dicotomia tra l’importanza di adeguarsi al rigore delle regole e la libertà dell’associazione fantastica; ciò permette di interpretare la condizione dell’uomo, costantemente diviso tra realtà e fantasia, in direzione di una via di unificazione dettata dall’uso umoristico di giochi linguistici. Il linguaggio diventa trasgressione e via di fuga ma anche luogo di riappacificazione dove tutto è possibile e concesso.

Il secondo aspetto da rilevare riguarda il rapporto tra fantasia e realtà, in cui la prima si pone come negazione della seconda: in uno schema di dentro e fuori, l’eroe fantastico generalmente abbandona un “dentro” fatto di rapporti, di modelli culturali e di alleanze per andare “fuori”, verso luoghi inesplorati e dimensioni nuove, attraversando peripezie e collaborando con alleati. È la medesima spinta alla fuga, come quella che fa sì che Alice segua il Coniglio Bianco8, a permettere di allontanarsi verso luoghi immaginati durante il processo della lettura.

Infine, un altro elemento significativo per la conoscenza dell’influsso esercitato da Celati riguarda la scelta dello stile di scrittura. Si legge infatti nel testo che raccoglie gli appunti del seminario che sarebbe bene scrivere per salti e sincopi, per comunicare non attraverso le parole ma attraverso le immagini, usando velocità e ritmo, perdendosi negli avvenimenti. Alice bambina si contrappone alla società dell’adulto che è la « società del discorso »9. Ecco perché Alice è disambientata e l’intera discussione sembra conferire allo scrittore la responsabilità di restituirle la sua ambientazione attraverso la parola narrata.

Ognuno degli aspetti esposti trova corrispondenza nei testi narrativi di Stefano Benni. Innanzitutto non si può non osservare che il nome Alice compare in diversi romanzi. In Baol del 1989 e in Pane e tempesta del 2009 Alice è il personaggio che accompagna il protagonista sulla via della conoscenza di sé, delle proprie origini e delle propria natura. Nel primo romanzo è sinonimo di legame tra il mondo reale (per quanto sempre narrativo) e il mondo immaginario, fungendo da collegamento tra due livelli in contrapposizione per loro stessa definizione. La difficile unificazione si spiega e si attiva attraverso il testo letterario che permette, per il tramite del suono e della parola, di poter disgiungere e riunire, di allontanarsi dal mondo reale e di riferire ad esso attraverso l’evocazione di immagini. Nel secondo romanzo, il personaggio di Alice è posto in relazione con il Nonno Stregone al fine di saldare il legame generazionale incentrato sul valore della memoria. Il nome di Alice figura, seppur marginalmente, anche nel romanzo Comici spaventati guerrieri (1986) nel personaggio della barista del locale dove si ritrovano il vecchio professore e i suoi amici, e nel romanzo Terra! (1983) nel ruolo di ex musicista in missione interplanetaria.

Importante è quindi sottolineare che i personaggi “buoni”, protagonisti della narrativa benniana, nel loro peregrinare tra un’avventura e un’altra, si muovono grazie al supporto di aiutanti fantastici, non sempre associati a figure positive nell’immaginario collettivo: diavoli, spiriti, e bambine fantasma si mostrano meno mostruosi rispetto al “disambientante” mondo degli adulti.

Infine, in riferimento alla « società del discorso » tipica dell’essere adulti (alla quale si contrappone l’infanzia delle poche parole), così come Celati sfrutta l’impellente bisogno di comunicare, dando rilevanza nei suoi racconti al parlare per parlare e al piacere di conversare, allo stesso modo Benni, attento all’oralità da paese e ai racconti da bar, esprime la società del discorso attraverso l’uso della narrazione intradiegetica.

I romanzi sono costruiti per capitoli-racconti che si inseriscono nella trama come parentesi in sé delimitate, pur richiamandosi l’una all’altra. Ogni microracconto si connota di neologismi e riferimenti multilinguistici che non escludono influssi dialettali o di altre lingue, permettendo così di trovare differenze tra la narrazione di Benni e quella di Celati, pur riconoscendone il comune intento di restituire vigore e centralità al narrare orale.

A tal proposito è opportuno osservare che due decenni dopo l’esperienza di Alice, a metà degli anni Novanta, Celati partecipa alla realizzazione della rivista Il Semplice: almanacco delle prose10, rivista curata da Ermanno Cavazzoni per sei numeri dal 1995 al 1997 che ospita scritti di Stefano Benni, di Nori e dello stesso Celati. Tale collaborazione assume rilevanza non solo per la linea emiliana che qui stiamo delineando, ma soprattutto per la volontà degli scrittori di recuperare la semplicità delle origini del narrare attraverso la trascrizione dell’oralità in forme scritte. Il nome stesso della rivista, stampato a caratteri cubitali accanto a un frutto o una verdura diversi per ogni numero, sembra voler conferire valore alle parole contadine, quelle ascoltate e quelle tramandate.

Nel primo numero della rivista, dedicato ai viaggi fantastici nell’aldilà, a un racconto firmato Gianni Celati che postula un paradiso immaginario segue un breve scritto di Benni sull’innamoramento dei diavoli. Il racconto Non c’è più paradiso di Celati presenta il personaggio di Tugnin, un senzatetto ricoverato durante la notte di Natale, il quale, avvicinato da giornalisti televisivi in cerca di un servizio commovente, delude le aspettative: nel raccontare il suo incontro con Dio avvenuto prima del ricovero, Tugnin afferma di aver capito che non esiste il paradiso e che al suo posto come vera consolazione c’è la bestemmia. Un altro personaggio che merita di essere menzionato è la figura del funzionario della televisione, il mandante del servizio giornalistico, che si innamora della dottoressa dell’ospedale in cui è ricoverato Tugnin. L’intero racconto è pressoché sprovvisto di discorsi diretti e di dialoghi, perché Celati decide di dar voce ai personaggi in modo indiretto, giustificandosi con il lettore, attraverso la voce narrante o tramite il discorso indiretto libero:

Bisogna qui avvertire il lettore che questo racconto è veritiero al cento per cento, anche se non è possibile riportare fedelmente le parole del povero Tugnin, che smozzicava tutte le frasi biascicandole un po’ in dialetto e un po’ in italiano, essendo tra l’altro completamente senza denti. Ma la verità dei fatti qui riferiti può essere senza dubbio confermata dalla dottoressa cardiologa dell’ospedale […]11.

Per comprendere appieno la giustificazione che coinvolge il personaggio della dottoressa come testimone della fedeltà dei fatti, è bene ricordare che Celati trascorre gli anni Ottanta a interessarsi ai racconti orali quotidiani, raccolti annotando voci e storie ascoltate durante i viaggi per le pianure dell’Emilia, come ricordato da lui stesso12 per Narratori delle pianure13. È la piacevolezza del parlare per parlare che contraddistingue gli uomini e che dà origine alla narrazione. Più avanti infatti sempre nel racconto Non c’è più paradiso, scrive Celati:

A quei poveri stranieri senza casa lui annunciava che questa nazione era così corrotta nell’animo e tarata nel cervello, che qui non potevano aspettarsi niente di buono; che qui non avrebbero mai trovato nessun aiuto, in mezzo a tanta opulenza; che qui avrebbero trovato solo umiliazioni, per via di questi nuovi ricchi, mafiosi, ignoranti e senza fede, che dominano tutto.

Parlava e parlava per ore, ascoltato da quegli stranieri che stavano lì a riposarsi nei giardini pubblici […]14.

Il funzionario della televisione abbandonato dalla dottoressa si ritrova a fare comizi nei giardini della città, e l’autore / narratore ribadisce che si tratta di una vicenda vera, dichiarando al lettore l’esistenza di numerosi testimoni.

Il racconto risale all’origine del narrare riportando i fatti accaduti alle persone attraverso la loro stessa voce, che sebbene modificata dall’abilità narrativa dell’autore, non cambia nel contenuto né nella costruzione sintattica, fatta di ripetizioni e lessico popolare (nel brano sopra riportato si noti l’anafora del « che qui » e la scelta di aggettivi come « tarata »).

Celati pare seguire i consigli di Walter Benjamin il quale, nel celebre saggio del 1936, dichiara « […] L’esperienza che passa di bocca in bocca è la fonte a cui hanno attinto tutti i narratori. E fra quelli che hanno messo per iscritto le loro storie, i più grandi sono proprio quelli la cui scrittura si distingue meno dalla voce degli infiniti narratori anonimi »15.

Diversa è invece la modalità narrativa adottata da Benni per il racconto che segue quello di Celati nel citato numero della rivista Il semplice e che porta il titolo Dell’innamoramento dei diavoli. Tre paragrafi strutturano e sintetizzano il racconto: il primo affronta la cornice del ritrovamento di un testo scientifico, il secondo rivela l’esistenza di manifestazioni ignote dei diavoli, il terzo affronta nel dettaglio una di queste manifestazioni private. Nell’anno di pubblicazione della rivista, cioè nel 1995, Benni sta scrivendo il romanzo Elianto dove figurano, tra gli aiutanti del protagonista, tre diavoli. Il brevissimo racconto rivela stilemi umoristici riconoscibili nel romanzo come in altre pagine benniane, in particolare l’accostamento di vocaboli aulici e popolari, l’uso dell’elencazione per i sintomi dell’innamoramento e la rapida e inaspettata chiusura. L’attenzione data al voler smontare l’immaginario popolare della figura del diavolo in favore di un’antropizzazione del personaggio porta con sé la stessa enfasi del racconto popolare e delle voci di strada di Celati.

Celati non solo è esempio per le scelte contenutistiche e stilistiche, ma è anche il ponte con le narrazioni americane e francesi che più hanno segnato l’opera in prosa di Benni e che da lui vengono spesso omaggiate in forme più o meno esplicite all’interno dei romanzi e dei racconti. Riguardo al valore di Celati come traduttore e narratore, in occasione della serata tributo organizzata a Bologna nel 2013, Benni dichiara:

Non ringrazieremo mai abbastanza i bravi traduttori. È grazie a loro se abbiamo conosciuto e amato il novanta per cento dei libri che abbiamo letto. Se amiamo un testo, dobbiamo sapere che dentro alle sue pagine non c’è solo l’anima e la fatica dell’autore, ma anche il talento di questo magico barcaiolo che ci porta dalla sponda di una lingua all’altra. Celati ha tradotto testi diversi da lingue diverse, sempre con una serietà e una passione speciale, fino al tormentato splendido Ulisse. Ho scelto alcuni brani: Linea d’Ombra di Conrad, il Bartleby di Melville, Colloqui col signor Y di Céline e le poesie di Hölderlin. […] Li ho scelti per mostrare la grande versatilità di Gianni nell’affrontare autori non sempre simili o comparabili.16

Se entrambi gli scrittori, ispirandosi ai modelli esteri, si prefiggono di trasferire l’oralità sulla pagina scritta, dove stili e voci differenti possono riunirsi e coesistere in armoniche composizioni, è opportuno riflettere sul come si realizza la trascrizione creativa e come si attiva quella che Benni chiama « convergenza combinatoria ».

L’opera di Celati che meglio si presta ad analogie con le forme narrative di Benni, per circoscrizione temporale e per tipologia testuale, è la raccolta Quattro novelle sulle apparenze, pubblicata da Feltrinelli nel 1987. Lo scrittore giunge a questa nuova forma narrativa successivamente alla pubblicazione di testi importanti apparsi negli anni Settanta17 e a un periodo di silenzio, di studio e di viaggi che sfocerà in un libro di successo, quale la già menzionata raccolta di racconti Narratori delle pianure18, pubblicata nel 1985. Attento al suono più che all’aspetto visivo, Celati si appassiona ai linguisti dell’oralità e mette in discussione il senso di controllo visivo, intrinseco alla forma scritta, per valorizzare la pronuncia e la ritmicità della costruzione narrativa orale. Come egli stesso afferma, la narrativa ispirata alla superficie quotidiana e la narrazione come arte del fiato perso assumono centralità e nutrono un’idea della convivialità che restituisce valore alla voce degli altri entro la propria19.

Baratto, il protagonista della prima delle Quattro Novelle, pensa infatti solo i pensieri degli altri e smette di parlare per poter far spazio alle voci e ai pensieri altrui. Celati sembra così voler trovare il punto immaginario in cui gli umani si intendono attraverso le immagini. L’oralità, in questa dimensione di incontro conviviale, non è considerata in quanto arte della recitazione ma come forma antica di narrazione: è il sentito dire collettivo che genera la novella, il narrato nasce dalle conversazioni ascoltate.

Lo studente di letteratura della terza novella diventa, con fatica e non senza difficoltà di identità, un critico letterario alla ricerca di chiarezza che si domanda: « […] cos’è chiaro e cosa oscuro nelle parole? Tutte sembrano così trasparenti, ma cosa tentano veramente di dire? »20. Egli arriva a concludere che le parole scritte debbano disperdersi, per togliere il senso di vergogna che suscitano in quanto modo per ammazzare il tempo, proprio come il discorrere inutilmente. La vacuità del dire si ritrova allora sia nell’orale che nello scritto.

L’anno prima di dare avvio all’esperienza de Il Semplice, il suo curatore Ermanno Cavazzoni dà alle stampe la raccolta di racconti Vite brevi di idioti, nella quale ogni capitolo ospita un’immaginaria biografia di un “semplice” o, come afferma l’autore in premessa, « […] la vita di una specie di santo, che patisce e gode come i santi tradizionali. »21 E viene immediato osservare che la lingua utilizzata per narrare tali vite si connota contemporaneamente di solennità e di risibilità, così da esitare se « […] si dovrà ridere o piangere, se saremo soli o in gran compagnia. »22

Si prenda ad esempio il capitolo intitolato Gli Albanesi, nel quale si narra la storia dell’impiegato al canile municipale Govi Naldo che in seguito al morso di un cane non riconosce più moglie e figlio e si convince che essi siano degli Albanesi, ospitati in casa in seguito alla disponibilità data dal Govi in municipio: « Questi due albanesi s’erano impossessati di casa sua e la usavano di giorno come friggitoria, e come dormitorio di notte. In particolare la donna dormiva nel letto con lui. “Meglio lei che l’ometto”, pensava il Govi, anche se tra i due non sapeva chi gli faceva più schifo. »23 Il parlato è riconoscibile nell’inserimento di frasi sentite, di “luoghi comuni”, nonché nella chiusura che intreccia la terminologia scientifica, propria del medico che segue il Govi, alla saggezza popolare della frase « Alla base di tutto c’è il fritto, che per l’organismo è un veleno. »24

Come però oralità e scrittura comunicano tra loro? Come la scrittura letteraria guarda all’oralità? E come il narratore traduce la conversazione in forme narrate?

Così risponde Paolo Nori: « Cerco di tenere insieme queste due cose: l’attenzione alle parole, quindi una lingua concreta […] e però anche la trama »25. È quindi sull’attenzione alle parole, al loro suono, al loro riferirsi alle diverse espressioni di realtà, di linguaggi e di culture che si costruisce il lavoro di traduzione dall’orale allo scritto, senza tuttavia mettere in secondo piano la parte immaginativa che guida le storie e il loro dipanarsi.

Se Celati si serve di un taccuino in cui raccoglie le voci in diretta per poi creare un racconto “riportato”, in Benni il recupero delle origini del narrare si sostanzia nella forma propria del racconto.

È anche rivelatore che il già citato saggio Il narratore di Walter Benjamin individui due nemici del narrare e della narrazione: il romanzo e l’informazione. Il primo per la natura introspettiva dei personaggi e del loro sentire, dell’individuo e del suo isolamento, del « disorientamento del vivente »26. La seconda, perché legata come il romanzo al « dominio sviluppato della borghesia »27, che non si concentra su ciò che arriva da lontano, come la fiaba, la novella, la leggenda, poiché deve essere alla portata di tutti e verificabile immediatamente. Questo apre a una serie di considerazioni, non affrontabili in questa sede, sull’attuale mutazione dell’informazione giornalistica che, spinta dal desiderio di primeggiare per vendite o visualizzazioni, si allontana sempre più dal fact checking per avvicinarsi alle strategie tipiche della narrazione, del racconto.

Il racconto è definito da Benni per il tramite della sua ritmicità chiusa, dell’equilibrio delle sue parti, tra un crescendo della tensione e un finale risolutivo. Tale struttura richiama il raccontare orale che vuole attirare l’attenzione degli uditori e prepararli all’effetto sorpresa finale. Ecco perché anche nei romanzi Benni si concede spazi intradiegetici, a volte per dar voce ai ricordi dei personaggi, a volte per divagare su uno di loro, altre ancora per inserire nuovi elementi narrativi attraverso un gioco di riferimenti e rimandi tanto al reale quanto ad altri personaggi della vicenda.

Così architettando, Benni compie diversi passaggi: realizza il trasferimento dall’orale allo scritto attraverso la voce diretta dei personaggi; restituisce centralità narrativa all’orale per il tramite del narrato nel narrato; non trascura l’importanza della voce, con inserimenti dialettali e attenzioni a un ritmo di stampo teatrale. I racconti dei campi tra i contadini, o quelli del bar tra gli avventori, o quelli dei pescatori tra gli appassionati di pesca seguono regole implicite che non rinunciano a un rituale comunitario. Nel racconto « L’eutanasia del nonno », contenuto nella raccolta La grammatica di Dio, Benni conia un termine matematico per definire la regola secondo la quale i pescatori, durante il loro racconto di pesca, ingigantiscono proporzionalmente la misura del pesce pescato: « coefficiente di dilatazione della bugia ittica »28.

Nel romanzo di Paolo Nori Bassotuba non c’è il protagonista Learco Ferrari narra la sua quotidianità e il distacco dalla compagna Bassotuba attraverso le parole della sua coscienza, quelle pronunciate dagli altri e trascritte, e quelle minime necessarie a saldare la trama, tenuta insieme anche dall’uso di maiuscole al posto dell’interpunzione e dalla misura dei paragrafi:

Io, pare, sono un esperto di letteratura russa. Laureato in lingue e letterature straniere, specialista in lingua e letteratura russa.

E allora mi chiedono Ma come mai hai studiato russo, ti piacerà tantissimo la letteratura. Io la letteratura russa, non so niente. […]

Mi chiedono « Ti piacciono le traduzioni di Andolfi? Traduce bene dal russo? » Io, questo Andolfi, non so neanche chi sia. Io, già la parola traduttore mi fa venire il nervoso.

Il traduttore, dicono, è come uno specchio.

Il traduttore, dicono, deve essere una superficie riflettente.

Io sono d’accordo.

I traduttori per me sono delle superfici. I traduttori io ci passo sopra. Altro che Andolfi. […]

Il traduttore, ci passo sopra come uno zerbino. Allora pensi che smettono, macché.

« Ma chissà che miniera, la letteratura russa, chissà che ricchezza, chissà che cultura ti sei fatto. »29

Seguendo schemi più o meno comici, l’aspetto sul quale insistono Cavazzoni, Nori, Benni e Celati è il recupero dell’origine del narrare attraverso la “semplice” oralità. Segnali fatici di verifica del contatto e della comunicazione con il lettore portano ad individuare nei protagonisti bizzarri, nelle loro recitazioni e avventure le logiche proprie. Sul piano del lessico vengono scelte figure del parlato e deittici che riferiscono al contesto; sul piano della sintassi non si individua una linearità con inizio e fine, ma si predilige il finale aperto. Le storie non si chiudono per non spezzare una linea immaginaria che prosegue in ciascuno secondo modalità differenti. Lo scioglimento della trama non avviene per sequenzialità rigide e la costruzione narrativa si modella a seconda dei fini e della visione del mondo che si vuole esprimere.

L’oralità viene così non solo trascritta, ma adattata, secondo un progetto preciso dell’autore, a volte per il recupero delle voci dell’infanzia, a volte per l’ascolto della comunità campestre o semplicemente per il desiderio di trasferire le voci su carta senza limitarle alla pagina e al visivo ma liberandole attraverso la pronuncia del lettore e del fruitore, che diventa così parte integrante della comunità evocata.

Tutto questo “essere Celati” vibra negli scrittori emiliani e si ripercuote sulla loro scrittura rivelandone la filosofia e il suo manifestarsi: l’evasione di Alice si ritrova nei viaggi immaginari dei personaggi così come nel rapimento che il testo narrativo evoca; l’ascolto attento e l’unione dei linguaggi si ritrova nella scelta misurata delle parole, dei ritmi, della fedeltà alla voce di strada, dello scrivere e del trascrivere.

A pochi mesi di distanza dalla scomparsa del linguista Tullio de Mauro e sulla linea di quanto qui esposto, è forse indicato chiudere con una citazione tratta dal saggio scritto a quattro mani da De Mauro insieme ad Andrea Camilleri sul valore dei dialetti:

La cosa interessante è che interrogarsi su che cos’è una lingua significa restare accosto al che cosa è la lingua italiana, al che cosa sono i dialetti e qual è il loro rapporto e apporto all’italiano. […] in Italia abbiamo tante lingue. […] tutti gli idiomi sono potenzialmente eguali, alcuni vengono chiamate lingue per ragioni storiche, sociali, per la comunicazione a largo raggio che consentono, mentre altri restano idiomi locali. Non sono modi sbagliati di parlare l’italiano […] sono altri modi di parlare […] con degli obblighi e delle libertà che l’italiano ignora.30

Bibliografia critica su Stefano Benni e Gianni Celati

(Monica Faggionato, 23 luglio 2017)

Monografie

Milva Maria Cappellini, Stefano Benni, Fiesole, Cadmo, 2008.

Marco Belpoliti, Marco Sironi, Gianni Celati, Milano, Marcos y Marcos, 2008.

Stefano Magni, Interpretare il presente. Il racconto estetico e ideologico, narrativo e giornalistico di Stefano Benni, Pescara, Tracce, 2015.

Studi in rivista o in volume

Claudio Milanini, Il bricolage dei Celestini, in Tirature ’93. Alte tirature, a cura di Vittorio Spinazzola, Milano,Baldini&Castoldi, 1993, pp. 105-110.

Annick Paternoster, « Terra! di Stefano Benni: viaggio nella leggerezza cosmica », in Piccole finzioni con importanza. Valori nella narrativa italiana contemporanea, a cura di Nathalie Roelens e Inge Lanslots, Ravenna, Longo Editore, 1993, p. 191-195.

Marino Sinibaldi, « Benni e Pennac: il riso del successo », in Nuovi Argomenti, 10, gennaio-marzo 1997, p. 10-12.

David Ward, Stefano Benni, in Italian Novelists Since World War II, 1965-1995, Dictionary of Literary Biography. Volume 196, a cura di Augustus Pallotta, Detroit, Washington, D. C., London, Gale Research University, 1999, p. 25-31.

Renato Barilli, Dalla neo alla neo-neoavanguardia. È arrivata la terza ondata. Gli anni Ottanta dei «nuovi romanzieri», Torino, Testo&Immagine, 2000, p. 43-46.

Judith Obert, « Ironie, humour, fantastique: clés de l’univers de Stefano Benni », in Italies Revue d’études italiennes, Université de Provence, 4, 2000, pp. 647-672.

Bruno Falcetto, « Gli altrove lontani. Le dimensioni dell’immaginario: mondi alieni ma non troppo », in Tirature 2001. L’Italia d’oggi. I luoghi raccontati, a cura di Vittorio Spinazzola, Milano, Il Saggiatore/Fondazione Mondadori, 2001, p.  86-93.

Monica Jansen, « Verso il nuovo millennio: rappresentazione dell’Apocalisse nella narrativa italiana contemporanea (Benni, Busi, Vassalli) », in Narrativa, Université Paris Ouest Nanterre, 20/21, 2001, p. 131-150.

Scrittori a Verona. Conversazioni con Ippolita Avalli, Stefano Benni, Marco Lodoli, Sandra Pertignani e Sebastiano Vassalli, a cura di Stefano Tani, Verona, Il Riccio Editore, marzo 2001, p. 39-64.

Monica Boria, « Echoes of counterculture in Stefano Benni’s humour », in Romance Studies, Swansea University, 23, 2005, p. 29-42.

Pierluigi Pellini, « Paesaggi kitsch? Gadda, Tondelli, Benni », in Le paysage dans la littérature italienne. De Dante à nos jours, a cura di Giuseppe Sangirardi, Dijon, Éditions Universitaires de Dijon, 2006, p. 193-205.

Bruno Pischedda, « La fantasia ingorda di Stefano Benni », in Id., Mettere giudizio, 25 occasioni di critica militante, Reggio Emilia, Diabasis, 2006, p. 158-173.

Ingrid Lanslots, « Grammatica benniana: il mondo al femminile/maschile », in Narrativa, Université Paris Ouest Nanterre, 30, 2008, p. 311-322.

Monica Boria, I romanzi di Stefano Benni, in E. Tarantino, F. Pellegrini, Il romanzo contemporaneo. Voci italiane, Leicester, Troubadour, 2006, p. 43-58.

–, Declinazioni del comico nei racconti di Stefano Benni, in «Italian Studies in Southern Africa», University of South Africa, 23, 2010, p. 82-116.

Monica Faggionato, « Il ritmo umoristico di Stefano Benni: Le Beatrici », in Italogramma, Rivista di italianistica pubblicata dall’Istituto di Italianistica della Facoltà di Lettere dell’Università Eötvös Loránd di Budapest, 5, 2012.

–, La vérité dans la nouvelle: l’humour noir de Stefano Benni, in Loxias, n. 38, [texte en ligne] URL : <http://revel.unice.fr/loxias/index.html?id=7174> (mis en ligne le 5-09-2012).

–, « La traccia dell’angelo di Stefano Benni (Sellerio, 2011) », recensione in L’immaginazione, Rivista di letteratura, 271, 2012, p. 49-50.

–, « Narrer la réalité sans réalisme: la voie de l’imagination, la voix de Stefano Benni », in Loxias - Colloques, 2. Littérature et réalité, [texte en ligne] URL: <http://revel.unice.fr/symposia/actel/index.html?id=372> (mis en ligne le 30-01-2013).

–, « Sublime e antisublime in Stefano Benni. La poetica della rêverie », in Sublime e antisublime nella modernità, Atti del XIV Convegno Internazionale di Studi della Società Italiana per lo Studio della Modernità Letteraria, a cura di Marina Paino e Dario Tomasello, Pisa, ETS, 2014, p. 377-382.

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Marco Heleno Barreto, Immaginazione simbolica. Riflessioni introduttive, Vimodrone, IPOC, 2011.

Note de fin

1 Il volume Gianni Celati curato da Marco Belpoliti e Marco Sironi raccoglie documenti, interviste e pagine inedite dello scrittore insieme a recensioni e studi sulla sua produzione. In apertura si legge: « Non solo perché è uno dei maggiori narratori italiani viventi, non solo perché vive appartato in Inghilterra, non solo perché ha scritto in tempi diversi libri significativi e importanti, ma perché è lo scrittore più letterario che vi sia oggi in Italia ». (M. Belpoliti, M. Sironi, Gianni Celati, Milano, Marcos y Marcos, 2008, p. 8).

2 Gruppo A/Dams, Alice disambientata: materiali collettivi (su Alice) per un manuale di sopravvivenza, a cura di Gianni Celati, Milano, L’Erba Voglio, 1978.

3 Intervista riascoltabile al sito della trasmissione radiofonica « Fahrenheit » di Rai Radio 3 nella puntata del 26 gennaio 2017, in occasione dell’uscita del romanzo Undici Treni, Milano, Marcos y Marcos, 2017.

4 In una intervista con Curzio Maltese, ad esempio, Benni dichiara: « Guardi, nel ’68 e nel ’77, per aver citato nelle assemblee Pound o Eliot o Céline, sono stato processato da compagni che oggi fanno gli skipper », in La Repubblica, 13 gennaio 1996.

5 Jacques Roubaud, Il rapimento di Ortensia, traduzione di Stefano Benni, Milano, Feltrinelli, 1988. [L’Enlèvement d’Hortense, Paris, Ramsay, 1987].

6 Coline Serreau, Tuttosà e Chebestia, Genova, Marietti, 1993 [Quisaitout et Grobêta, suivi de Le théâtre de Verdure [1993], Arles, Actes Sud « Papiers », 1998].

7 Il movimento studentesco del ’77 nasce sulla scia dei movimenti della metà degli anni sessanta per contestare partiti e movimenti politici, in favore di un coinvolgimento sociale libertario e creativo, punk e trasgressivo, ma, in alcuni frangenti, anche duro e intransigente. Bologna rappresenta il contesto in cui il movimento si è maggiormente manifestato, anche con scontri di piazza e un convegno nazionale.

8 « Quello che ti fa andare da un’altra parte con la testa è qualcosa che senti, sempre molto fisico. Stai leggendo e ti rendi conto che la testa va via da un’altra parte. […] La testa va via dal corpo seguendo le linee del fuori. Segue le linee degli avvenimenti come Alice segue il Coniglio Bianco. Gli impulsi e le pressioni del fuori la comprimono e la dilatano, la portano da tutte le parti. La testa è una bestia che divora tutto e rimette tutto in circolazione; diventa grande o piccola secondo quello che mangia, come Alice. » (Gruppo A/Dams, Alice disambientata: materiali collettivi (su Alice) per un manuale di sopravvivenza, a cura di Gianni Celati, Milano, L’Erba Voglio, 1978, p. 73-74).

9 Ibid., p. 88.

10 La rivista Il semplice: almanacco delle prose, stampata da Feltrinelli a Milano per solo sei numeri dal 1995 al 1997, raccoglie racconti, interviste e scritti di diversi scrittori italiani e stranieri. Stefano Benni compare nel primo, nel secondo e nel quarto numero, mentre Gianni Celati figura in tutte le edizioni, se non come narratore, come curatore o traduttore.

11 G. Celati, « Non c’è più paradiso » in Il semplice: almanacco delle prose, Milano, Feltrinelli, 1995, p. 38.

12 M. Belpoliti, M. Sironi, Gianni Celati, Milano, Marcos y Marcos, 2008, p. 32-34.

13 G. Celati, Narratori delle pianure, Milano, Feltrinelli, 1985.

14 G. Celati, « Non c’è più paradiso » in Il semplice: almanacco delle prose, op. cit., p. 43.

15 W. Benjamin, Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nikolaj Leskov. Note e commento di Alessandro Baricco, Torino, Einaudi, 2011, p. 9. Aggiunge Baricco nel commento di pagina 10: « Tutto nasce dall’esperienza tramandata oralmente. E in un primo momento la scrittura è poco più che un’utile formalizzazione del racconto collettivo ».

16 Riferimento in rete sulla pagina del 18 novembre 2013 dedicata all’evento [consultato il 12 luglio 2016] URL <http://www.agendabologna.it/2013/11/la-dispersione-delle-parole-omaggio.html>.

17 In particolare: Comiche, Torino, Einaudi, 1971; Le avventure di Guizzardi, Torino, Einaudi 1972; La banda dei sospiri, Torino, Einaudi, 1976; Lunario del paradiso, Torino, Einaudi, 1978 (questi tre raccolti in Parlamenti buffi, Milano, Feltrinelli, 1989); e il già citato Alice disambientata, Milano, L’Erba voglio, 1978.

18 Narratori delle pianure, Milano, Feltrinelli, 1985.

19 Cfr. M. Belpoliti, M. Sironi, Gianni Celati, Milano, Marcos y Marcos, 2008, p. 28: « I narratori pescano pezzi di roba qualsiasi dal fabulare quotidiano: cioè dal fatto che gli uomini vivono sempre in uno stato di incantamento per effetto del sentito dire, e non smettono mai di raccontarsi favole e panzane sulla vita e sul mondo. »; e in seguito p. 34: « […] forse è il modo proprio dei racconti quotidiani, che ho usato come modello compositivo. Ma è vero anche che mi trovavo in uno stato di grazia, come quando fai le cose guidato dalla sicurezza del tuo estro ».

20 G. Celati, Quattro novelle sull’apparenza, Milano, Feltrinelli, 1997, p. 95.

21 E. Cavazzoni, Vite brevi di idioti, Milano, Feltrinelli, 1994, p. 7.

22 Ibidem.

23 E. Cavazzoni, 1994, p. 47.

24 E. Cavazzoni, 1994, p. 48.

25 Intervista riascoltabile al sito della trasmissione radiofonica « Fahrenheit » di Rai Radio 3 nella puntata del 26 gennaio 2017, in occasione dell’uscita del romanzo Undici Treni, Milano, Marcos y Marcos, 2017.

26 W. Benjamin, Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nikolaj Leskov. Note e commento di Alessandro Baricco, Torino, Einaudi, 2011, p. 20.

27 Idem, p. 23.

28 S. Benni, La grammatica di Dio. Storie di solitudine e allegria [2007], Milano, Feltrinelli, 2010, p. 83.

29 P. Nori, Bassotuba non c’è [2009], Milano, Feltrinelli, 2015, p. 12.

30 A. Camilleri, T. De Mauro, La lingua batte dove il dente duole, Roma, Laterza, 2013, p. 23-24.

Citer cet article

Référence électronique

Monica Faggionato, « La linea emiliana delle scritture semplici », Line@editoriale [En ligne], 8 | 2016, mis en ligne le 13 mars 2023, consulté le 03 mai 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/828

Auteur

Monica Faggionato

Université Nice Sophia Antipolis

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