Gli attori del campo letterario nella narrativa di Alberto Ongaro

Résumés

Nei romanzi di Alberto Ongaro, le figure degli attori del campo letterario sono dei promotori dell’avventura: la lettura e il lavoro di scrittura permettono ai protagonisti di vivere avventure che li proiettano in un’altra dimensione dell’esistenza. L’avventura è anche quella della scrittura, il romanzo non è soltanto un romanzo d’avventura ma un romanzo “avventuroso”, l’avventura è allora tanto la forma quanto la materia. Sono finzioni dalla struttura caleidoscopica in cui l’autore manipola i codici, i personaggi e i lettori.

In Alberto Ongaro’s novels, the protagonists are literary figures that promote adventure through their reading and writing which throws them into another dimension of existence. Ongaro’s novels can not only be classified as adventure novels but as adventures in writing. These adventure novels have a kaleidoscope structure in which the author manipulates codes, characters and readers.

Plan

Texte

Introduzione

In quasi tutti i romanzi di Alberto Ongaro, è messo in scena il mondo dei libri. Quest’universo finzionale può prendere diverse forme e iscriversi in differenti epoche. Numerosi personaggi hanno uno stretto legame con il mondo delle lettere e il loro denominatore comune, il libro, è posto a più riprese al centro della trama.

Notiamo che numerosi scrittori sono citati nei romanzi. Questi riferimenti ci informano innanzitutto sui gusti e sulle influenze del nostro autore, sulle sue relazioni con la letteratura ma anche su certi protagonisti dei suoi romanzi la cui condotta può essere determinata dagli intertesti.

Vedremo che il libro e quindi la lettura sono da intendere come promotori dell’avventura poiché i personaggi-attori del campo letterario, che siano romanziere, biografo, editore, tipografo, traduttore o illustratore, interni alla diegesi, sono o diventano, talvolta loro malgrado, degli avventurieri.

Il libro, la lettura o il lavoro di scrittura conducono questi personaggi a vivere avventure che li proiettano in un’altra dimensione dell’esistenza, lontano dai loro riferimenti e dalla loro vita quotidiana.

Sembra che l’autore, tramite personaggi-scrittori, ricorrendo talvolta a strategie testuali che malmenano le convenzioni, a procedimenti metatestuali che orientano l’attenzione del lettore sul carattere fabbricato dell’illusione referenziale, ci inviti all’avventura di una scrittura: il centro d’interesse romanzesco non sta soltanto nel racconto di un’avventura prodotta dall’elaborazione di un intreccio, ma anche nello svelamento del procedimento della creazione letteraria. L’avventura è allora tanto la forma quanto la materia, il romanzo non è soltanto un romanzo d’avventura ma un romanzo “avventuroso” nel senso che esplora nuovi orizzonti, le avventure dei personaggi costituiscono la messa in intrigo di un’altra avventura, quella della forma romanzesca.

Attraverso i diversi romanzi del nostro corpus, vedremo che la scrittura e la lettura sono nel cuore delle interrogazioni di Ongaro che mette in finzione alcune teorie letterarie degli anni 1970 e invita il lettore a praticare con lui il gioco letterario.

Infine, questi personaggi-attori del campo letterario, secondo un procedimento di specularità, costituiscono numerosi aspetti dell’autore che li rappresenta e ci danno informazioni sulla sua visione della letteratura e del suo rapporto alla scrittura.

Scrittori reali e immaginari

La letteratura nutre la narrativa di Alberto Ongaro, l’autore attinge a una biblioteca costituita dai suoi gusti letterari e cita scrittori di ogni nazionalità che appartengono a differenti epoche. Così, troviamo parecchi riferimenti più o meno espliciti1 a autori dell’Antichità come Seneca e Virgilio, a poeti del Rinascimento come L’Aretino, e possiamo percepire una predilezione per scrittori dell’Ottocento e del Novecento come Dickens, Stevenson, Melville, Manzoni, Dumas, Conrad, Lowry, Chandler, Hammet o ancora Nabokov.

Bisogna intendere gli intertesti presenti nella narrativa di Alberto Ongaro nell’accezione più vasta del termine poiché troviamo anche riferimenti intersemiotici alla pittura, alla musica e soprattutto al cinema con evocazioni di film, registi o attori.

Vediamo quindi un’intera rete culturale convitata nel suo universo romanzesco, un universo che foggia senza rinnegare le influenze dei cosiddetti autori popolari, anzi.

Evidentemente questi giochi intertestuali non sono mai innocenti perché ci dicono in che modo la letteratura è un’attività narcisistica come diceva Barthes che non rimanda che a se stessa tramite procedimenti di ripresa, richiamo, riscrittura. La letteratura si scrive non solo in una relazione con il mondo ma anche con se stessa, con la propria storia, la storia delle proprie produzioni2 e ci mostra come i romanzi formano uno spazio ipologico che mette in opera una rete di relazioni e di filiazioni palinsestuali per riprendere un’espressione di Gérard Genette.

Torneremo su alcune funzioni dell’intertestualità in seno ai romanzi di Ongaro ma possiamo già avvertire che i legami che si sono allacciati con ipotesti possono suggerire al lettore l’iscrizione dei romanzi in un rapporto di filiazione generica e/o stilistica, stabilendo un gioco di specchi con il testo citato. Questo ruolo di identificatore generico corrisponderebbe alla volontà di riabilitare alcuni sottogeneri letterari in un desiderio di “rinarrativizzazione” del romanzo malmenato dalle esperienze oltranziste delle avanguardie dell’inizio del secondo Novecento. In effetti, come hanno sottolineato alcuni critici3, i sottogeneri partecipano alla rinarrativizzazione del racconto e Ongaro prende in prestito alcuni codici dal giallo, dal romanzo noir, o dal romanzo d’avventura per infondere romanzesco nella finzione pur sovvertendoli tramite una scrittura che attira l’attenzione del lettore su se stessa rompendo l’illusione finzionale.

Sebbene numerosi riferimenti, citazioni o allusioni infiorino l’opera narrativa di Ongaro, e benché l’intertestualità abbia quindi un ruolo strutturante, nessuno scrittore nessun editore né nessun traduttore reali sono rappresentati in quanto personaggi di finzione4. Perciò evocheremo le persone reali soltanto per chiarire lo statuto dei personaggi scrittori presenti nella finzione. Invece, parecchie figure di autori fittizi costellano l’opera di Ongaro. Questi protagonisti incarnano differenti approcci della scrittura, differenti aspetti degli ambienti letterari e rappresentano attori essenziali della narrazione.

Innanzitutto incontriamo quattro personaggi di scrittori presentati da un narratore eterodiegetico: in Passaggio segreto5, il conte Bonafede, protagonista del primo racconto in apparenza indipendente dalle altre storie, legge un romanzo di Jan Reskov, uno scrittore cecoslovacco che vive a Parigi, intitolato Passaggio segreto e nel quale ritrova l’immagine riflessa della propria esistenza; in Holywood Boulevard6, uno scrittore che deve redigere la biografia di un famoso regista si ritrova coinvolto allo stesso tempo, dopo la morte di quest’ultimo, nella scrittura della sceneggiatura di un film nero e nell’efferata storia svelata dalla stessa sceneggiatura; in Rumba7, John B. Huston, autore di gialli di successo si mette nei panni del detective dei suoi romanzi per venire in aiuto al suo amico d’infanzia e ritrovare l’assassino della donna di cui si era innamorato prima di essere incarcerato per nove anni; ne La versione spagnola8, Massimo Senise, uno scrittore ex giornalista a corto di ispirazione, in preda all’inerzia e alla malinconia riceve l’edizione spagnola del suo ultimo romanzo La sconfitta e scopre che non solo il titolo è stato liberamente tradotto ma che la sua traduttrice si è presa la libertà di aggiungere un personaggio e di modificare alcuni brani del suo testo. Queste falsificazioni compongono un messaggio codificato che tenterà di decifrare e interpretare prima di partire alla ricerca di Magdalena Vegas Palacio, la sua traduttrice.

Nel Segreto di Caspar Jacobi9, siamo in presenza di due figure di scrittore: un giovane romanziere veneziano, Cipriano Parodi, narratore autodiegetico che funge da focalizzatore , è assunto da Caspar Jacobi, lo scrittore più letto al mondo, per lavorare a New York nella sua “fabbrica di idee”10, per diventare uno dei suoi ghostwriters. Benché il contratto preveda la possibilità di continuare a scrivere romanzi in proprio, Caspar non tarda ad impossessarsi dei suoi progetti di romanzo, a “nutrirsi della [sua] fantasia”11, a fagocitarlo.

Ne La partita12, Il segreto dei Ségonzac13 e La strategia del caso14, i protagonisti non sono scrittori ma accedono allo statuto di autore in quanto narratori omodiegetici.

Francesco Sacredo ci invita alla partita sfrenata e senza fine che gioca nell’Italia del Settecento con la perniciosa contessa Matilde von Wallenstein dopo aver rotto il patto secondo il quale una partita a dadi doveva suggellare il suo destino e la sua fortuna: di ritorno a Venezia dopo un lungo esilio a Corfù, Francesco scopre che suo padre ha dilapidato al gioco i loro averi contro una temibile avversaria, la contessa von Wallenstein. Quest’ultima propone a Francesco un’ultima partita a dadi al termine della quale gli restituirà l’integralità dei suoi averi se la fortuna gli sarà favorevole ma in caso contrario dovrà darsi anima e corpo alla contessa.

Il narratore omodiegetico dell’inizio del romanzo Il segreto dei Ségonzac scopre un quadro incompiuto e immagina la storia delle figure rappresentate. Diventa quindi narratore eterodiegetico di un racconto incastonato che si svolge in Francia nel Settecento.

Ne La strategia del caso, il narratore incontra un vecchio professore ex direttore di un istituto culturale italiano a Singapore e accetta l’incarico di svolgere una sorprendente missione: ritrovare un uomo in Brasile di cui conosce soltanto il nome e che ha visto una sola volta cinquant’anni prima. Il narratore raccoglie la strana sfida e ricompone un puzzle i cui pezzi gli fanno apprendere molte cose su Tomaso Utimpergher ma anche su se stesso.

Infine, ne La taverna del Doge Loredan15, due storie sono intercalate: un narratore eterodiegetico racconta la storia di Schultz un editore tipografo veneziano e del suo alter ego Paso Doble, che ritrova per caso un vecchio manoscritto in cima ad un armadio. Questo libro è il racconto autodiegetico delle avventure picaresche e libertine di Jacob Flint, un giovanotto vissuto a Londra all’inizio dell’Ottocento che ha attraversato una parte dell’Europa fino a Venezia alla ricerca di Nina, la tenutaria della « taverna del Doge Loredan » di cui si è perdutamente innamorato. Il racconto di Jacob è talvolta lacunoso, così, Schultz che fin dall’inizio della lettura aveva scoperto analogie tra la vita di Jacob e la propria esistenza decide di scrivere i passi mancanti, di immischiarsi in quanto personaggio nel racconto, e anche di pubblicare un libro che si intitolerebbe “La taverna del Doge Loredan”, « non la storia di un uomo che legge un libro nel corso di una notte, ma un libro che contenga il suo lettore, il suo destinatario, lo renda a poco a poco consapevole del suo ruolo lo motivi e lo seduca, lo induca a circolare nei suoi spazi »16.

Questi personaggi di scrittori o di attori del campo letterario sono i protagonisti di parecchi romanzi di Alberto Ongaro e fra i tratti che li definiscono possiamo innanzitutto reperire quelli inerenti al loro statuto di scrittore che evidenziano il loro rapporto all’ambiente letterario.

Alcuni scrittori conoscono un certo successo commerciale e/o una certa fama grazie alla pubblicazione di romanzi che si iscrivono nella letteratura popolare: Huston (Rumba) scrive gialli, Francesco Varvara (Hollywood Boulevard) ha scritto « sei biografie di gente dello spettacolo »17 da quando ha lasciato l’Italia per sistemarsi a Los Angeles, l’ultimo romanzo di Massimo è stato tradotto in spagnolo (Versione spagnola), Cipriano (Il segreto di Caspar Jacobi) che insiste sulla sua precoce « vocazione di narratore »18, ha scritto un romanzo notato da Caspar Jacobi che lo ha poi assunto nel suo gruppo di « collaboratori » per costruire intrecci narrativi ambientati nel Settecento19. Caspar, « il nome più prestigioso della nuova narrativa popolare »20, non è solo uno scrittore prolifico, manager di una « bottega narrativa », ma anche un editore che dirige una vera e propria impresa. La sua factory21 si trova su central Park e la descrizione degli uffici e dello studio di Caspar non lascia nessun dubbio sulla buona salute dell’impresa. Caspar, in quanto editore, è certo descritto come un bibliofilo, uno scopritore di talenti e un passeur di cultura ma è soprattutto l’immagine dell’uomo d’affari temibile che non lascia niente al caso che traspare nel racconto. Questa figura dell’editore implacabile che nutre ambizioni mercantili che corrisponde a un certo cliché del personaggio di « editore vampiro » è incarnata da Caspar Jacobi nella misura in cui sfrutta gli scrittori della sua bottega allo scopo di aumentare la propria « produttività » di scrittore e quindi le tirature dei romanzi che distribuisce tramite la sua casa editrice.

Si ritrova questa figura di editore avido di guadagni in Hollywood Boulevard: Morrow & Grant, gli editori di Francesco Varvara, sono presentati dal narratore in termini poco laudativi22, e uno di loro non prova d’altronde nessuna passione per il suo lavoro, essendo per lui l’editoria solo un investimento e un’etichetta sociale23. Un rapporto ambiguo si instaura tra l’editore e il biografo perché quest’ultimo ha bisogno del suo editore per esistere in quanto scrittore, perfino per accedere allo statuto di scrittore e aver la possibilità di continuare il suo lavoro, finire la biografia di Stanley. L’editore “vampiro”, quanto a lui, ha bisogno di Francesco ma lo incita a rinunciare al progetto iniziale e a scrivere invece in qualche giorno una biografia lampo, un instant book, che sarebbe più redditizio dopo il decesso del regista.

Ne La taverna del Doge Loredan, Schultz incarna invece un altro aspetto dell’editore, la cui esistenza non è imperniata sul guadagno ma sull’amore dell’arte e la trasmissione del sapere. Schultz è un ex ufficiale della marina mercantile riconvertitosi in editore tipografo che vive a Venezia in una palazzina, « un uomo che non corrisponde affatto all’idea che ci si può fare di un piccolo editore veneziano »24, presentato in un ambiente che denota agiatezza e dove i libri occupano un posto centrale. I titoli dei libri che ha pubblicati fanno riferimento ad argomenti precisi della storia della città dei dogi e a priori si rivolgono soltanto a un pubblico scelto. Perciò Schultz incarna « l’editore dotto » innamorato della lettura e del sapere e poco interessato all’aspetto mercantile dei libri che pubblica. D’altronde questo personaggio è presentato in quanto lettore, punto essenziale sul quale torneremo.

Gli avventurieri, la scrittura dell’avventura

Possiamo anche notare che questi personaggi sono scapoli e che sono evocate le loro relazioni con i loro amici più stretti o i membri della loro famiglia. Questo statuto sociale li predispone per l’avventura e amici o parenti fungono da mittente, coadiuvante o destinatario della quête dell’eroe.

I personaggi-scrittori sono degli avventurieri, talvolta malgrado loro, che si lanciano o che sono trascinati in peripezie che li conducono la maggior parte del tempo all’estero, lontano da casa, dove devono svolgere indagini più o meno pericolose. Lo scrittore non rimane nella sua torre d’avorio, davanti alla sua macchina da scrivere o al suo computer, ma diventa un uomo che agisce sul campo, che deve dar prova di coraggio, affrontare i pericoli, essere in grado di sbrogliarsela, vivere un’avventura ludica e seria nello stesso tempo, la quale senza gioco si trasformerebbe in tragedia e senza serietà non sarebbe che un semplice divertimento25.

Huston, per ritrovare Cayetana, indaga dal Brasile fino all’Uruguay e incontra numerosi personaggi inquietanti, misteriosi e insoliti (fra i quali Theodor Petru, un tipo losco che assomiglia all’attore Sidney Greenstreet o José Catanìa il suo scagnozzo). I numerosi riferimenti intertestuali alla letteratura e al cinema americani degli anni 1950 hanno una funzione referenziale e metadiscorsiva che contribuiscono da un lato a caratterizzare i personaggi e d’altra parte a creare un effetto di specularità: Huston in particolare si comporta come l’eroe dei suoi romanzi, ciò che stabilisce un gioco di specchi tra l’inchiesta che svolge e quelle che inventa nei suoi romanzi e mostra una certa porosità tra realtà e finzione.

Il narratore de La strategia del caso ha l’abitudine di percorrere il mondo per motivi di lavoro ma il suo soggiorno in Brasile prenderà una piega inattesa dopo aver accettato di « scovare il fantasma che tormentava Tomaso Utimpergher ». Il personaggio raccoglie la sfida di riconstituire la storia del professore, di indagare « ul terreno terremotato della sua esistenza »26. In quest’avventura in cui il destino « muoveva le proprie pedine come se avesse dei progetti su di [lui] »27, il narratore compierà la sua missione ma non riuscirà a impedire il suicidio del professore che ha provato rimorsi durante tutta la vita a causa di « una mediocre menzogna […] vissuta come una colpa grave »28. Sarà per « un senso di colpa speculare a quello che aveva distrutto il [suo] amico »29 che il narratore scriverà la sua storia. Così la scrittura è un atto espiatorio che gli permette di superare la morte di quello che lo aveva « coinvolto in una sorta di sortilegio »30.

Possiamo notare che al motivo dell’avventura sono correlati quelli della lettura e della scrittura: lo scrittore è presentato come un lettore colto, la lettura è considerata una fonte d’ispirazione che sottolinea i rapporti all’intertesto ma può anche essere all’origine delle avventure, fra le quali quella della scrittura e operare una mise en abyme che ha come scopo di far vacillare la rappresentazione.

Le allusioni a opere e autori conosciuti dal lettore empirico svolgono una funzione referenziale, permettono di caratterizzare i personaggi e adempiono anche funzioni critica e ermeneutica perché immagini stereotipate possono essere utilizzate e sovvertite, e il rimando a un intertesto richiede una duplice decodificazione: Cipriano ad esempio paragona Caspar a Alexandre Dumas a causa della sua “bottega narrativa”, del suo talento, della sua scrittura celere e della materia dei suoi bestsellers. Tomaso Utimpergher è equiparato dal narratore a un personaggio conradiano31 ciò che fa riferimento all’etica dell’individuo di fronte a sé stesso. Francesco Varvara e Huston sono stati influenzati dagli attori, dai film e dai romanzi polizieschi degli anni 1940, che hanno potuto scoprire da giovani, conoscono i codici e il linguaggio del cinema che sfruttano nei loro rispettivi testi.

Bisogna mettere queste funzioni in relazione con l’autore reale che utilizza la funzione ludica dell’intertestualità costruendo il romanzo di un personaggio che scrive che scrive o che scrive “nello stile di” o ancora che scrive facendo riferimento a degli autori conosciuti dal lettore empirico.

Ne La versione spagnola, il romanziere Massimo Senise è rappresentato mentre sta leggendo la traduzione spagnola del suo libro. Il suo testo è stato deformato a più riprese e, sebbene lo scrittore pensi che Magdalena Vegas Palacio, la sua traduttrice, sia “una donna intelligente, dotata anche di occhio cinematografico in grado di frugare le profondità di campo delle pagine e di avvertirvi la mancanza di un contrasto”32, si tratta di una presa di potere sul testo, un messaggio codificato rivoltogli che riguarderebbe un evento del suo passato, “un gioco intellettuale tra la traduttrice e l’autore”33 che lo spinge a capirne la ragione, a frugare nei propri ricordi e a partire alla ricerca di Magdalena a Madrid e a Toledo.

In una specie di rovesciamento della situazione, lo scrittore è qui considerato come un personaggio di romanzo manipolato dal suo autore: modificando il testo originale, la traduttrice si emancipa e acquisisce in un certo modo uno statuto di scrittore, prende il suo posto, lo sostituisce, lo fagocita. D’altronde Massimo si domanda se non sia pure lui un personaggio immaginario inventato da Magdalena34.

Quest’intromissione della traduttrice, che assomiglia a una punizione o a una vendetta, la manipolazione di un testo e di un uomo, è in relazione con un testo pubblicato dallo scrittore tanti anni prima: da bambina, la traduttrice aveva incontrato Massimo e si era persuasa di aver ispirato il personaggio di Marta con la quale si era totalmente identificata, al punto di perdere la ragione e di seguire il destino di lei. Inserendo nella sua traduzione una frase scritta da Massimo in un altro testo (« Marta camminava lungo la riva triste e senza peso come un’ombra » definita dal protagonista come « una goffa parafrasi di André Gide »35 ) fa prendere coscienza all’autore che la scrittura non è anodina, che un testo può avere ripercussioni sul lettore e sulle persone che stanno intorno allo scrittore, lo invita ad interrogarsi sul suo mestiere perfino a rimettere in discussione, a ripensare le proprie pratiche di scrittura perché uno scrittore è responsabile di quello che pubblica. Massimo è allora preoccupato per il suo miglior amico a cui si è ispirato per creare il personaggio di una novella e realizza che questo potrebbe sconvolgerlo, provocare conseguenze irreversibili: il romanziere non avrebbe dovuto ignorare che « un mestiere dalla logica onnivora come il suo lo avrebbe prima o poi portato a fagocitare il suo amico »36, perciò « imprecava contro la disinvoltura con cui aveva accettato i sofismi del mestiere senza metterli in discussione »37.

Ritroviamo questa rappresentazione del personaggio di scrittore che esprime la propria concezione della scrittura e riflette sulle proprie pratiche in altri romanzi.

Huston in Rumba evoca ciò che per lui è all’origine di un nuovo romanzo, « le idee per i romanzi […] nascono spesso da quello che si è lasciato in disparte durante la stesura di un romanzo precedente […], oppure, al contrario, dalla necessità da parte dell’autore di far qualcosa di completamente diverso da ciò che ha fatto in precedenza »38.

Cipriano quanto a lui insiste sulla propria propensione alla menzogna e la sua grande immaginazione all’origine della sua vocazione di narratore che hanno contribuito a fare di lui « un discreto atleta degli spazi mentali, un immaginoso costruttore di destini, un maestro di aneddoti »39. Ci espone le proprie riflessioni sull’elaborazione del suo romanzo ed evoca i suoi rapporti con il suo personaggio, il baron Samedi, che si infiltra a poco a poco nella sua vita al punto di ossessionarlo, di obnubilarlo e di evolversi come un “essere vivente”. Il suo personaggio è anche in grado di ribellarsi contro il suo creatore, lo assilla affinché prosegua la sua storia, « chi è del mestiere sa che cosa vuol dire avere a che fare con un personaggio poco soddisfatto di chi lo ha concepito se non addirittura in aperta polemica con lui. Il barone si insinuava nei miei pensieri, si gonfiava, mordeva come un serpente, si infiammava come una malattia »40.

Caspar Jacobi rivendica lo statuto di scrittore popolare, considera il proprio lavoro simile a quello di un artigiano e si colloca nella “stirpe” di Alexandre Dumas al quale si paragona41: Caspar non esita a rubare il materiale romanzesco di Cipriano, si assume lo statuto di ladro di storie senza rimorsi di coscienza, s’infiltra nei suoi pensieri come un “vampiro” e si nutre della sua immaginazione, gli estorce i suoi pensieri più segreti42. Così, benché Caspar ammiri il lavoro di Cipriano, lo considera come un rivale e desidera soprattutto neutralizzarlo assorbendo la sua creatività.

L’avventura della scrittura, il romanzo “avventuroso”

Lo scrittore, oltre alla rappresentazione del temibile manipolatore, appare come un ladro d’identità, capace di rubare il destino di qualcuno e di trasformarlo in materia romanzesca. Questa figura dello scrittore « ladro di destino » che è denunciata dalla traduttrice de La versione spagnola, è messa in scena in Passaggio segreto. Il romanziere Jan Reskov, che considera la scrittura come « un campo magnetico nel quale potevano rimanere intrappolate sconosciute e lontane esistenze »43, sembra di essersi introdotto nella vita quotidiana del conte Bonafede, un bibliofilo colto e agiato che vive a Venezia, poiché quest’ultimo riconosce nel personaggio del romanzo di Reskov che s’intitola Passaggio segreto il suo doppio, « la sua immagine speculare »44. Questa scoperta provoca in lui un forte disagio perciò decide di partire alla ricerca dello scrittore. Dato che Reskov rifiuta di incontrarlo, il conte penetra nella sua casa e trova il suo ultimo manoscritto: si tratta del racconto delle sue avventure il cui ultimo capitolo gli annuncia la morte accidentale nel giardino della casa dello scrittore dal quale si è recato. Il conte reagisce come il suo doppio speculare e non può sottrarsi a quella « segreta geometria »45, al suo destino contenuto nel libro, uno sparo risuona, « eco di un altro suono che veniva dalle pagine del manoscritto »46, ed è ucciso dalla guardia.

In questa storia, siamo in presenza di una mise en abyme che provoca una sensazione di vertigine. In effetti, stiamo leggendo Passaggio segreto, primo racconto di un romanzo anch’esso intitolato Passaggio segreto il cui protagonista è un lettore che legge anche lui un romanzo dal titolo omonimo e nel quale il protagonista è il suo doppio. Questa strategia metafinzionale, di finzione che prende per oggetto la finzione47, è caratteristica dei romanzi di Ongaro, il personaggio d’autore serve qui a creare un effetto di stranezza e di straniamento e a rendere incerta l’origine del racconto.

Il testo metafinzionale smaschera ed esibisce i procedimenti dell’illusione, colloca la finzione in uno statuto di autoriflessività e attira l’attenzione del lettore sulla sua costruzione. Questo può far pensare a una mise en abyme generalizzata nel caso di Il segreto di Caspar Jacobi, quando Cipriano non sa se si trovi davvero a New York e si domanda se non sarebbe un personaggio del romanzo che Caspar Jacobi sta scrivendo: « Ero finito davvero a New York o fra i tralicci, le impalcature di un romanzo che Caspar stava costruendo e che aveva Cipriano Parodi fra i suoi personaggi o mi stava perdendo nel labirinto della sua bottega ? »48. Per di più, viene creata una duplice vertigine perché quest’apprensione è confermata alla fine del racconto e l’autore, Cipriano, si vede trasformato in personaggio mentre la paternità del suo romanzo è trasmessa a Caspar e alla sua équipe che erano finora i suoi personaggi.

Questo gioco sul superamento dei livelli narrativi permette di stabilire un patto ludico con il lettore che, in un certo qual modo, è avvisato fin dall’inizio quando prende conoscenza del cognome del protagonista e della sua storia familiare: “Parodi” è il discendente del fondatore di una fabbrica di specchi che la sua famiglia ancora possiede. Reperiamo altri segnali nei brani in cui Cipriano è evocato alla terza persona, destabilizzano il lettore ma possono orientarlo sulla via dei molteplici giochi di specchi del racconto.

La taverna del Doge Loredan è un altro esempio di racconto metafinzionale nel quale diverse strategie reperite da Patricia Waugh49 sono adottate. Ongaro si burla delle convenzioni del romanzo, abolisce frontiere tra lettore, narratore e personaggio per mistificare il lettore. Schultz, il personaggio lettore che si trova al centro del dispositivo narrativo diventa coautore del libro di Jacob Flint che ha scoperto in cima ad un armadio. Si chiede « […] cosa sta succedendo dentro questo libro. Chissà che cosa succederà mentre leggo queste bozze […] Ricorda un tale, un ingegnere fiorentino […] cui la lettura di un libro misterioso aveva cambiato la vita intera »50 e ha l’impressione che questo libro lo conosca e che lui ne faccia parte51. Il libro stimola la sua immaginazione perciò decide di completare gli spazi bianchi del racconto di Jacob, di diventare il coautore e anche di tuffarsi nel libro diventando un personaggio52 prima di inserirci il racconto del contesto della scoperta del manoscritto e della sua lettura, il racconto del lettore e delle « […] pause di lettura di questo libro come facenti parte del libro stesso, come se fossero dentro, non fuori del libro »53 e che si intitolerebbe « La taverna del Doge Loredan », cioè il libro che stiamo leggendo.

L’autore e i suoi personaggi appartengono a uno spazio comune, come se le frontiere della finzione non esistessero più. Il lettore si trasforma in autore e in personaggio in un racconto in cui gli avvenimenti, i luoghi e i personaggi hanno un doppio.

Il libro è allora concepito come uno spazio d’avventure che invita a un viaggio al centro del racconto. Schultz non vive più avventure marittime ma avventure libresche, si lancia nell’avventura della scrittura e fa subire alla forma del racconto le alee dell’avventura esplorando nuove terre romanzesche.

Ongaro sembra mettere in finzione il dibattito teorico degli anni 1970 sulla fenomenologia della lettura e le teorie della ricezione di Wolfgang Iser e Umberto Eco: l’atto di lettura viene descritto come un lavoro che costituisce il senso dell’opera colmando i buchi del testo che intensificano l’attività dell’immaginazione, come se il testo si sdoppiasse e sottintendesse un altro testo, non formulato. L’autore e il lettore prendono una parte uguale al gioco dell’immaginazione, il lettore è anche un autore del testo, la lettura è creazione54. Schultz applica alla lettera la concezione di Iser per cui « […] la lettura diventa piacere solo se la creatività entra in gioco, solo se il testo ci offre la possibilità di mettere le nostre attitudini alla prova »55.

In Hollywood Boulevard, il meccanismo metafinzionale è anche avviato da un personaggio-scrittore-lettore che riceve “in eredità” da parte del regista di cui doveva scrivere la biografia un floppy disc che contiene in apparenza la sinossi di un film noir. Francesco capisce che le note e i ritratti dei personaggi abbozzati da Stanley fanno riferimento a fatti e persone reali e tenta di ricostruire la storia. In un primo tempo il racconto di Stanley è incastonato nel racconto-cornice, ma quando Francesco decide di seguitare il racconto incompiuto di Stanley per giungere fino al « […] centro vorticoso e oscuro che forse sarebbe riuscito a chiarire »56, finzione e realtà sono a poco a poco intrecciate, i personaggi hanno identità instabili, Francesco si identifica con loro al punto di “attraversare lo specchio”, entra nella metadiegesi, nell’universo di questo secondo racconto e si rende conto che Stanley gli aveva riservato un posto nella trama, un personaggio che recita la propria parte e che viene assassinato perché ha scoperto che questa storia descrive fatti reali. Denuncia una serie di delitti perpetrati sotto l’occhio di una telecamera che manda le immagini in onda in diretta su un canale clandestino per i membri di un club, sparsi per tutta l’America, che fanno scommesse sulle modalità d’esecuzione dei delitti che hanno commissionati.

Ongaro sfrutta il romanzo noir “classico” per denunciare la violenza della società americana, il mercato sommerso degli snuff movies, le derive della televisione privata capace di mettere in onda scene di violenza efferata, di avallare la criminalità organizzata. Però, il romanzo oltrepassa quest’appartenenza generica perché l’autore lo costruisce come “un oggetto di linguaggio” nel quale le regole del genere sono sovvertite, le relazioni agli intertesti e le mises en abyme hanno come scopo il vacillamento della rappresentazione e invitano il lettore a prendere coscienza degli artifici della letteratura.

Possiamo rilevare un altro esempio di mise en abyme che stabilisce una certa connivenza con il lettore nella misura in cui è associato a un intertesto interno. Il primo capitolo di Passaggio segreto riprende un racconto incastonato de La taverna del Doge Loredan, quello del padre di Schultz che racconta la storia successa al conte Bonvecchiati. Come se Ongaro mettesse in pratica il discorso tenuto da uno dei suoi personaggi, Huston, interrogato a proposito della scrittura e della stesura di un romanzo, « […] le idee per i romanzi […] nascono spesso da quello che si è lasciato in disparte durante la stesura di un romanzo precedente »57.

Questo caso di specularità in seno all’opera conferma la dimensione ludica e l’idea della predominanza della nozione di duplicità come caratteristiche dei romanzi del nostro autore.

Conclusione

Abbiamo visto che i personaggi dell’ambiente letterario nella narrativa d’Alberto Ongaro sono caratterizzati nello stesso tempo dalle strette relazioni che hanno con i libri e la lettura e dal loro rapporto alla scrittura. Sono dei ricettacoli di storie indotti a vivere e a scrivere delle avventure ma delle avventure che diventano anche quelle della scrittura per usare le parole di Jean Ricardou58, perché scrivere è anche un’esplorazione, un viaggio verso terre ignote. La finzione assomiglia a un caleidoscopio in cui l’autore manipola i codici, i personaggi e i lettori.

I nostri romanzi mettono in scena l’intrico tra vita e letteratura, e senza voler ricercare tracce della biografia di Ongaro, è difficile non vedere nei diversi personaggi di scrittori « una proiezione frammentaria dell’autore stesso »59. I personaggi della vita letteraria non sono personaggi romanzeschi come gli altri, la loro attività di lettore, traduttore, editore o scrittore li lega all’autore reale del testo, ci danno informazioni per specularità sulle molteplici faccette dell’autore che ha investito su di loro una parte del suo sapere e delle sue aspirazioni estetiche.

Attraverso i suoi personaggi, l’autore esprime la sua visione ludica della letteratura, un gioco che non è privo di serietà, una scrittura che non è segregata in un genere letterario e in un registro, ma che invece li incrocia tutti, con riferimenti alla settima e alla nona delle arti, altre forme di scrittura che hanno d’altronde segnato la sua carriera professionistica. Elabora intrecci complessi per i suoi romanzi a incastro che stimolano l’immaginazione del lettore, lo sorprendono e lo destabilizzano ma che soprattutto lo rassicurano in tempi in cui anime meste annunciano la morte del romanzo e perfino la fine della letteratura.

Note de fin

1 La nozione di intertestualità è stata introdotta da Julia Kristeva, approfondita da Antoine Compagnon e Michael Riffaterre poi ridefinita in Palimpsestes (La littérature au second degré)[Palinsesti,Torino, Einaudi, 1997], Paris, Seuil, 1982, collection « Poétique », da Gérard Genette che utilizza il termine transtestualità e lo propone come la possibilità di trascendenza testuale del testo, « ciò che lo mette in relazione, manifesta o segreta, con altri testi ». L’intertestualità (presenza effettiva di un testo in un altro: citazione, plagio, allusione) è una delle cinque forme della transtestualità.

2 Si veda Bernard CARDIN, « Miroirs intertextuels : paternités et filiations littéraires », in Miroirs de la filiation: Parcours dans huit romans irlandais contemporains, Presses Universitaires de Caen, 2005 [http://books.openedition.org/puc/313].

3 Si vedano per esempio Umberto ECO, Postille a Il nome della rosa, Milano, Bompiani, 1984 ; Remo CESERANI, Raccontare il postmoderno, Torino, Bollati Boringhieri, 1997 ; Marc GONTARD, Écrire la crise. L’Esthétique postmoderne, Presses Universitaires de Rennes, coll. « Interférences », 2013.

4 Abbiamo escluso Una vita d’avventura in cui Hugo Pratt appare in quanto personaggio di finzione ma non è rappresentato in un’attività di scrittura.

5 Alberto ONGARO, Passaggio segreto, Milano, Rizzoli, 1993.

6 Alberto ONGARO, Hollywood Boulevard, Venezia, Marsilio, 1997.

7 Alberto ONGARO, Rumba, Casale Monferrato, Piemme, 2003.

8 Alberto ONGARO, La versione spagnola, Casale Monferrato, Piemme, 2007.

9 Alberto ONGARO, Il segreto di Caspar Jacobi, Milano, Mondadori, 1983.

10 Ibidem, p. 44.

11 Ibidem, p. 118.

12 Alberto ONGARO, La partita, Milano, Longanesi, 1986.

13 Alberto ONGARO, Il segreto dei Ségonzac, Casale Monferrato, Piemme, 2000.

14 Alberto ONGARO, La strategia del caso, Torino, Aragno, 2003.

15 Alberto ONGARO, La taverna del Doge Loredan, Milano, Mondadori, 1980.

16 Ibidem, p. 279.

17 Alberto ONGARO, Hollywood Boulevard, op. cit. , p. 8.

18 Alberto ONGARO, Il segreto di Caspar Jacobi, op. cit. , p. 11.

19 Ibidem, p. 56.

20 Ibidem, p. 20.

21 Ibidem, p. 63.

22 Alberto ONGARO, Hollywood Boulevard, op. cit. , p. 33 : « i due stronzi ».

23 Ibidem, p. 34 : « Si diceva […] che non avesse alcun interesse per l’editoria, dove era finito per caso o al puro scopo di investire un po’ del danaro ereditato e di darsi una etichetta di cui sentiva il bisogno ».

24 Alberto ONGARO, La taverna del Doge Loredan, op. cit., p. 10.

25 Si veda Vladimir JANKÉLÉVITCH, L’aventure, l’ennui, le sérieux, Paris, Aubier Montaigne, 1963, p. 15 : « Le seul jeu vraiment ludique est le jeu avec le sérieux […] si vous supprimez l’élément ludique, l’aventure devient une tragédie et si vous supprimez le sérieux, l’aventure devient une partie de cartes, un passe-temps dérisoire et une aventure pour faire semblant ».

26 Alberto ONGARO, La strategia del caso, op. cit., p. 107.

27 Ibidem, p. 219. 

28 Ibidem, p. 239.

29 Ibidem, p. 238. 

30 Ibidem, p. 28.

31 Ibidem, p. 229.

32 Alberto ONGARO, La versione spagnola, op. cit., p. 14.

33 Ibidem, p. 39.

34 Ibidem, p. 155 : « preso dal sospetto di essere anche lui se non un fantasma un personaggio immaginario inventato da Magdalena e costretto a fare quello che lei voleva ».

35 Ibidem, p. 206.

36 Ibidem, p. 233.

37 Ibidem, p. 233.

38 Alberto ONGARO, Rumba, op. cit., p. 150.

39 Alberto ONGARO, Il segreto di Caspar Jacobi, op. cit., p. 8.

40 Ibidem, p. 213.

41 Ibidem, p. 42 : « Io non ho mai voluto fare della grande letteratura né quella che con una brutta, consumata e pomposa parola viene chiamata arte » ; « Io sono innanzi tutto un artigiano, un ebanista, un meccanico, un costruttore, un capomastro, se vogliamo… » ; « la trama mi è congeniale e la sua fattura, per faticosa che sia, non manca mai di procurarmi un godimento sottile » ; p. 43 : « Dumas e io abbiamo qualcosa in comune ».

42 Ibidem, p. 115 : « Voleva nutrirsi della mia fantasia così come i guerrieri cannibali si nutrono del coraggio dei loro nemici mangiandone il cuore ».

43 Alberto ONGARO, Passaggio segreto, op. cit., p. 232.

44 Ibidem, p. 13.

45 Ibidem, p. 28.

46 Ibidem, p. 28.

47 Si veda Laurent LEPALUDIER, « Introduction » in Métatextualité et métafiction, CRILA (dir. Laurent Lepaludier), Presses Universitaires de Rennes, 2002, p. 10 : « le texte de fiction sera métafictionnel s’il invite à une prise de conscience critique de lui-même ou d’autres textes. La métatextualité attire l’attention du lecteur sur le fonctionnement de l’artifice de la fiction, sa création, sa réception et sa participation aux systèmes de signification de la culture ». William Gass a inventé le terme de « métafiction » en 1971 afin de caractériser « tout texte de fiction comportant une dimension métatextuelle importante ».

48 Alberto ONGARO, Il segreto di Caspar Jacobi, op. cit., p. 149. 

49 Michelle RYAN-SAUTOUR, « La métafiction post-moderne » in Métatextualité et métafiction, op. cit., p. 70, propone una sintesi delle strategie individuate da Patricia Waugh nel suo saggio Metafiction : The Theory and Practice of Self-Conscious Fiction, 1985.

50 Alberto Ongaro, La taverna del Doge Loredan, op. cit., p. 24-25.

51 Ibidem, p. 50 : « Il sospetto di far parte anch’io in modo oscuro di questo libro… che il libro in qualche modo mi conosca ».

52 Ibidem, p. 267 : « Farò, annuncia, un viaggio dentro al libro »; p. 108 : « un libro in cui lui, Schultz, diventa personaggio della storia che sta leggendo e in certo modo anche il coautore… ».

53 Ibidem, p. 113.

54 Si veda Umberto ECO, Lector in fabula : la cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 1979.

Si veda Yves GILLI, « Le texte et sa lecture. Une analyse de l’acte de lire selon W. Iser », Semen [on line], 1, 1983, 4 giugno 2007 [URL : http: //www.semen.revues.org/4261].

55 Wolfgang ISER, L’Acte de lecture : théorie de l’effet esthétique, Bruxelles, Mardaga, 1976, p. 199.

56 Alberto ONGARO, Hollywood Boulevard, op. cit., p. 88.

57 Alberto ONGARO, Rumba, op. cit., p. 150. 

58 Jean RICARDOU, Pour une théorie du nouveau roman, Paris, Seuil, « Tel Quel », 1971.

59 Maurice COUTURIER, La Figure de l’auteur, Paris, Seuil, « Poétique », 1995, p. 132 : « une projection parcellaire de l’auteur lui-même ».

Citer cet article

Référence électronique

Christophe Cellier, « Gli attori del campo letterario nella narrativa di Alberto Ongaro », Line@editoriale [En ligne], 6 | 2014, mis en ligne le 02 mars 2017, consulté le 06 mai 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/597

Auteur

Christophe Cellier

christophecellier.trad@hotmail.fr