Monna Nina: nuove attribuzioni e stato della questione

Résumés

L’articolo presenta i sonetti che, dall’edizione del 1527, realizzata presso la tipografia Giunti di Firenze, sono stati attribuiti a Monna Nina. Alcuni studiosi la considerano la prima poetessa della letteratura italiana, altri invece ritengono che non sia mai esistita. Oggi anche alla luce degli studi realizzati sembra necessario riconsiderare il suo corpus poetico.

This study considers the sonnets by Monna Nina from the edition of 1527 in the typography Giunti of Florence. Some scholars believe was the first woman poet of Italian Literature, others consider that Nina has never existed. Now in the light of the studies carried out, seems necessary to reconsider her poetic corpus.

Texte

Tra il finire del secolo XV e l’inizio del secolo XVI, mentre a Venezia conoscono larga diffusione le edizioni a stampa realizzate da Aldo Manuzio, a Firenze la tipografia più nota è quella fondata dai fratelli Lucantonio e Filippo Giunti. Intorno al 1477, Lucantonio si era recato a Venezia dove aveva intrapreso una piccola attività editoriale, convincendo successivamente il fratello Filippo ad aprire una libreria a Firenze per commercializzare i suoi testi. Avvenne così che le edizioni Giunti, eleganti ma ad un prezzo accessibile, costituirono presto un’ importante alternativa alle aldine veneziane. Nei primi decenni del Cinquecento la stamperia crebbe e seppe instaurare collaborazioni, soprattutto con la Spagna e la Francia, anche grazie all’azione di Giovanni Giunti, secondogenito di Filippo1.

I rapporti tra i fratelli Giunti si andarono progressivamente deteriorando, fino a quando le loro strade si separarono e, mentre Lucantonio fondò una nuova società, con il nipote Giuntino, Filippo proseguì la sua attività a Firenze. In ogni caso, quando nel 1527, Bernardo, figlio di Filippo pubblicò la raccolta di testi Sonetti e Canzoni di diversi antichi autori toscani in X libri raccolte, nota come Giuntina di Rime Antiche, la tipografia Giunti continuava ad essere un punto di riferimento bibliofilo importante, non solo in Italia, ma anche in Europa.

Il volume del 1527 riunisce le rime dei principali autori del Duecento toscano: quattro libri sono riservati a Dante Alighieri, e uno ciascuno a Cino da Pistoia, Guido Cavalcanti, Dante da Maiano e Guittone d’Arezzo. I libri IX e X racchiudono testi di autori poco noti e componimenti anonimi ed, infine, in quello che risulta essere il libro XI, vengono presentate altre due sestine ritrovate insieme ad una sestina di Dante Alighieri e i Sonetti de i sopradetti autori mandati l’uno a l’altro, che comprendono tenzoni e scambi poetici con protagonista lo stesso Alighieri, ed altri poeti, tra cui Cino da Pistoia, Dante da Maiano, Guido Cavalcanti. Tra i sonetti di Dante da Maiano compare La lode e ‘l pregio e’l senno e la valenza, indirizzato a Monna Nina, assieme alla sua risposta: Qual sete voi sí cara proferenza, e la nuova replica di Dante da Maiano: Di ciò ch’audivi dir primieramente.

Il sonetto che apre la tenzone, è costruito su due temi principali: la fama di Monna Nina che arriva fino a lui e gli permette di celebrarne qualità poetiche e morali e quello del poeta che, irrimediabilmente cade innamorato e si dichiara “servo d’amore”.

La risposta Qual sete voi, che cara proferenza, che riprende lo schema rimico (ABAB/ABAB/CDC/CDC) del sonetto precedente, ben testimonia il raggiungimento di quell’equilibrio e quella reciprocità poetica che già emergeva negli scambi delle poetesse dell’ Al-Andalus e delle trobairitz2.

Il sonetto, osserva Mercedes Arriaga3, dimostra come l’autrice si collochi sullo stesso livello del suo interlocutore, già a partire dalla domanda diretta che gli rivolge in apertura (« Qual sete voi, che cara proferenza / sì fate a me, senza pur voi mostrare? »). La sicurezza della poetessa sembra crescere con l’avanzare dei versi e oltre all’intraprendenza amorosa (« Molto m’agenzeria vostra parvenza »), aumentano anche la decisione e l’autorevolezza di Nina (« Così affermo e voglio ognor che sia »). L’ultima terzina del sonetto (« L’udire a voi parlare è voglia mia / se vostra penna ha buona consonanza / col vostro cuore od è tra lor resia »), ironizza sul fatto che l’amore proclamato da Dante faccia parte solo di una finzione poetica, permettendo a Nina di incalzare il suo interlocutore e, al tempo stesso, distanziarsene per poterlo osservare e giudicare.

Segue quindi il sonetto intitolato Di ciò ch’audivi dir primieramente, che come osserveranno, tra gli altri, Nannucci e quindi Bertacchi, nasconde un acrostico. I primi cinque versi, se letti alla maniera antica, ossia a coppie, svelano infatti il nome dell’autore. Si tratta di un particolare di cui non sembrano accorgersi gli editori della Giuntina, dal momento che riportano il sonetto senza affiancare i versi ed, inoltre, scrivono Avea come Havea, rendendo impossibile ricostruire il nome Dante4. Questo fatto sembrerebbe escludere la possibilità che si tratti di un falso creato dai compilatori della Giuntina, come sosterrà ad esempio Adolfo Borgognoni, essendo più probabile l’ipotesi che gli autori dell’edizione abbiano copiato il sonetto da un manoscritto andato poi perduto, e non accorgendosi dell’acrostico, abbiano corretto avea con la versione latineggiante havea.

È però soprattutto il tema della relazione poetica a distanza e dell’amore tra un autore toscano ed un’autrice siciliana ad interessare gli autori dei secoli successivi che lo svilupperanno ed idealizzeranno. La figura di Nina resta, perciò, costantemente vincolata a quella di Dante Da Maiano, in un rapporto di simbiosi, che diventa ‘sottomissione poetica’. Alcuni studiosi come Zilioli5 ed Allacci6, ne rivendicano la sicilianità, altri come Crescimbeni7, Ortolani8, Perticari9 e Nannucci10, ne esaltano, soprattutto, le doti morali e la bellezza, tralasciando un’analisi più approfondita dei suoi versi e contribuendo a fare di lei una figura dai contorni sfuggenti, priva di personalità e più vicina al mondo dell’immaginario che a quello reale.

Perticari si sofferma, in realtà, anche sullo stile del sonetto di Nina, ma lo fa, non tanto per ricercare altri sonetti dell’autrice, quanto per sostenere la sua tesi di un dialetto comune già nel Duecento.

Ma sì gli uni e gli altri sono battuti ad un conio: uguali di rozzezza, come di eleganza: e que’ di Palermo puoi credere scritti a Firenze, come que’ di Firenze scritti a Palermo […]. Tolga il cielo che noi diciamo questi essere versi d’oro, perché dettati ne’ felici tempi dell’oro […]. Ma diremo altresì liberamente, la lingua della donna di Sicilia, e quella di colui da Majano essere la medesima: e le voci, le terminazioni, i costrutti e le forme derivarsi tutte da una sola sorgente: che pur si debbe tutta scuoprire, se vogliasi direttamente disputare intorno la natura dell’Italiana loquela11.

Qualche anno più tardi, anche Niccolò Tommaseo12 si occupa della tenzone e, dopo aver osservato la superiorità del sonetto di Nina rispetto a quello di Dante da Maiano, torna sullo stile dei loro versi, segnalando, in contrasto con quanto osservava Perticari, alcune differenze significative tra i componimenti. Per il sonetto di Dante da Maiano fa notare come non vi siano grandi variazioni rispetto alla lingua toscana (Tommaseo segnala solamente miso in vostra conoscenza, la vostra plagienza, che risultano essere poco usati). Nei versi di Nina, invece, si trovano vocaboli (agenzeria, parvenza, intenza), che nella poesia toscana sono usati con altri significati. Vi sono, inoltre, costruzioni come in gioia mi conteria, il vostro nome sottoposto a me onorare, udire a voi parlare, che sono poco o nulla attestate.

Bisognerà aspettare il 1833, e la lettera che Agostino Gallo indirizza al Cavaliere Antonio di Giovanni Mira, contenuta in Effemeridi scientifiche e letterarie13, per trovare un primo tentativo di ridefinizione della produzione di Nina.

In particolare, Gallo si occupa di due canzoni Distretto core, e amoruso e Ahi lassa innamorata, attribuite a Odo delle Colonne. Rileva le differenze stilistiche tra i due testi e sostiene che non fu Odo a comporre il secondo, che forse gli venne attribuito per un errore del copista poiché, nelle antologie antiche, i componimenti si susseguivano senza nette separazioni, per cui non è raro, trovare testi che nelle differenti edizioni, sono attribuiti, ora ad un autore, ora ad un altro.

Gallo ritiene che, se l’autrice del testo è, come sembra, una donna dovrà essere Nina, dal momento che non vi è nessuna traccia di altre poetesse nel Duecento, perché anche Gaia Da Camino, citata da Dante nella Commedia, se fosse esistita, è certamente di un’epoca posteriore.

Persuaso come io sono, che lavoro d’una donna veramente appassionata sia quel gentilissimo, e vivace componimento, e che per le varie voci, e maniere siciliane a qualche nostra poetessa debba addirsi, io non trovo altra nel tempo in cui vissero Guido, e Odo, che la graziosa Nina, che tenne corrispondenza con Dante da Maiano, e fu da lui altamente commendata in due sonetti per la fama di bellezza, di grazia, di dottrina, e di valor poetico14.

Alle possibili obiezioni, Gallo aggiunge, che le differenze tra il sonetto Qual sete voi, sì cara proferenza e questa canzone, non possono essere prese in considerazione, per l’impossibilità di un confronto approfondito tra due testi, che si distinguono per estensione, metro e destinatario, senza considerare che Qual sete voi, sì cara proferenza rappresenta la risposta al testo di Dante da Maiano e, perciò, ne segue schema e rime.

Egli è vero che dal sonetto della nostra siciliana, il solo pubblicato da’ Giunti nella loro raccolta, e poscia in tutte l’altre edizioni di rime antiche, nessun rapporto di conformità di stile coll’anzidetta canzone si può stabilire; ma ciò nulla toglie di peso alla congettura; imperciochè essendo il sonetto un componimento troppo breve, sfugge da ogni punto di paragone, ed essendo di risposta a un altro di Dante da Majano, e condotto colle stesse rime, non offre che un penoso sforzo dell'ingegno di lei, e non già una spontanea e libera produzione poetica, qual si è la predetta canzone. Che anzi, se vogliam giudicare del valore di lei da questo solo sonetto, le lodi proffertele da Dante da Majano sembrano esagerate, e incompetenti. Però dobbiam credere che sopra altri componimenti adorni di maggiori pregi siano state fondate15.

Dal momento che le grandi lodi di Dante da Maiano lasciano supporre che il poeta toscano avesse letto un buon numero di componimenti di Nina, Agostino Gallo sostiene che potrebbe essere stata lei a comporre anche il sonetto anonimo Onde si muove, e donde nasce amore?, diretto a Guido Cavalcanti, che avrebbe risposto con la canzone Donna me priega; perché io voglia dire. Si tratta di un sonetto, pubblicato come anonimo tra le Rime Antiche e, quindi, nell’edizione de I poeti del primo secolo della lingua italiana, stampata a Firenze, nel 1816.

Per le stesse ragioni credo doversi pure a lei ascrivere il sonetto anonimo, che si annunzia composto da una donna nell’edizion delle rime antiche, che fu diretto a Guido Cavalcanti, il quale visse anch’ egli ne’ tempi della nostra illustre poetessa, e comincia: “Onde si muove, e donde nasce amore? Al quale rispose Guido colla nobile, ma oscura canzone, commentata dal Colonna, dal Garbo, dal Rossi, e da Fracchetta, in cui conferma, che una tale provocazione poetica gli venne da una donna, e principia: ‘Donna mi priega; perché io voglia dire’. E qui è da avvertire, che il menzionato sonetto e la canzone «Ahi lassa innamorata» di cui ho tenuto parola di sopra; non ostante che sieno componimenti di diverso carattere hanno ambedue conformemente uno stile semplice, e piano, una lingua che tiene a quel principio di pulitezza che manifestossi all’aperto nel secolo seguente nelle poesie del Petrarca. E se differiscono da quell’altro sonetto indirizzato da Nina a Dante da Majano, ove ritrovasi qualche voce più antica, ciò poté avvenire per esser stato scritto anni pria degli altri. Giacché la lingua in breve spazio fece allora sì rapidi progressi16.

Le ipotesi di attribuzione, avanzate da Gallo, sebbene non siano sempre supportate da dati scientifici, possono costituire un’interessante proposta di ridefinizione dei criteri di attribuzione dei molti testi anonimi, presenti nei codici e canzonieri antichi.

Un altro possibile testo ascrivibile a Monna Nina si trova, in realtà, già nel canzoniere Vaticano 3793, della biblioteca Apostolica, databile intorno alla fine del Duecento. Si tratta del sonetto anonimo intitolato Tapina me che amava uno sparviero. Nel 1846, Francesco Trucchi riporta l’attenzione su questo componimento, inserendolo nel I volume di Poesie Italiane inedite di dugento autori17, ventilando la possibilità che l’autrice sia Nina:

Chi sia questa donna dugentista rimane incerto, poiché la poesia si trova nel libro reale senza nome di autore. Colle induzioni e le congetture si può andar tanto lontano, quanto uno vuole. E si potrebbe dire che è tutta maniera di Nina siciliana, di cui abbiamo delle altre poesie. Potrei dire ancora molte altre cose, ma non potrei mai provare di chi sia veramente questo sonetto, il quale non si può negare, pel tempo in cui fu scritto, è un prezioso gioiello. E veramente la condotta non potrebbe essere meglio ordinata. Vi si scorge un vero movimento d’estro poetico18.

Anche Francesco De Sanctis, nella sua Storia della letteratura italiana, sembra confermare questa ipotesi:

Se il sonetto dello sparviere è di Nina, se è di quel tempo, come non appare inverisimile, è un esempio dell’eccellenza a cui era venuto il volgare maneggiato da un’anima piena di tenerezza e d’immaginazione19.

Lo stesso dicasi per Eduardo Magliani20 che, trattando delle poetesse del Duecento, dedica uno spazio importante a Nina, analizzando il sonetto Qual sete voi che cara proferenza, che definisce della «stessa forma cortigiana, riproduzione della provenzale, ed il cui carattere precipuo è l’immobilità di pensiero, del sentimento, e delle immagini»21. Si occupa, anche, di Tapina me, che amava uno sparviero, e celebra le grandi qualità poetiche del testo e della sua autrice:

Sono dunque molti i pregi ed è indiscutibile l’importanza di questo sonetto, che anche ad opinione del de Sanctis è un’altra prova dell’eccellenza a cui era pervenuto il volgare, adoperato da un’anima piena di tenerezza e d’immaginazione, e che se fu veramente scritto dalla Nina la colloca senz’altro fra i maggiori poeti popolari della Sicilia22.

Tra coloro che parteciparono al dibattito letterario intorno a Nina sostenendo che non fosse mai esistita, si segnala, invece, Adolfo Borgognoni. Lo studioso abruzzese, all’interno dei suoi Studi di erudizione e d’arte, dedica alla questione un capitolo intitolato « La condanna capitale di una bella signora »23. Il suo intervento si apre con la dichiarazione di voler fare giustizia, una volte per tutte, per quanto riguarda la questione di Nina:

Ed eccovi appunto il reo: la Nina. La si fe’ chiamare e trovò chi la chiamò e seguita ancora a chiamarla (avete udito or ora) la Nina siciliana. Ma non le date retta: è un nome finto, un passaporto falso. Intorno a ciò ogni questione è ormai superflua24.

Borgognoni si propone di confutare i vari studiosi che hanno considerato Nina la prima poetessa della letteratura italiana, sostenendo che non esistono prove consistenti a sostegno della sua esistenza. Ma, lo stesso Borgognoni non apporta nessun argomento in grado di stabilire con certezza che « la Nina siciliana nacque in Firenze, nella officina degli eredi di Filippo Giunti, l’anno del Signore 1527 »25. La sua arringa procede, facendosi forza del fatto che, della raccolta di Rime antiche, non vi siano tracce nei manoscritti. Anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad un’argomentazione poco efficace, perché la mancanza di fonti primarie, per quanto riguarda i primi testi della letteratura, è una circostanza abbastanza frequente.

Pochi anni più tardi, sempre Borgognoni tornerà sull’argomento, pubblicando uno studio specifico su Dante da Maiano26, sostenendo che anche il poeta toscano, come Nina, non sia mai esistito, e i suoi testi, contenuti nella Giuntina cinquecentesca, siano delle falsificazioni.

A distanza di pochi mesi dalla pubblicazione del testo di Borgognoni, Francesco Novati risponde attraverso uno studio dal titolo Dante da Maiano ed Adolfo Borgognoni27. Novati mette, fin da subito, in evidenza le deboli argomentazioni di Borgognoni:

Naturalmente il lettore si aspetta di ritrovare nel libriccino del signor Borgognoni tanta copia di fatti di osservazioni sui documenti, di raffronti che, riuniti in falange, diano tali e si fieri colpi al povero Dante da ridurlo in polvere. Invece, terminata la lettura del volume, proverà una curiosa sorpresa: le armi davvero incruente, con cui il signor Borgognoni combatte, sono le ipotesi e nulla più28.

Anche per quanto riguarda Nina, Novati si trova in disaccordo con Borgognoni, dal momento che, mentre sull’origine siciliana dell’autrice vi possono essere dei dubbi, non vi è invece nessuna prova che i sonetti attribuiti a Dante e alla Nina siano falsi.

E quantunque il signor Borgognoni creda aver distrutto prima di quella di Dante, la persona di Monna Nina, io con sua licenza, e con me altri molti, se ci accorderemo di gran cuore nel riconoscere coll’illustre editore del codice Vaticano 3793, il D’Ancona, che una Nina siciliana non è esistita mai, giacché la qualifica di siciliana non le deriva che dallo stranissimo arbitrio dell’Allacci, non per questo vorremo considerare come apocrifa la corrispondenza fra Dante da Maiano e la sua bella, quando non un fatto la prova tale29.

La Giuntina, continua Novati, contiene sicuramente degli errori anche importanti e delle false attribuzioni, ma si tratta di un difetto comune a quasi tutte le edizioni antiche. È il caso, ad esempio, di alcuni sonetti che nella Giuntina vengono attribuiti a Guittone D’Arezzo, e che appartengono, invece, ad un’epoca successiva. Si tratta, in ogni caso, di errori talmente evidenti e madornali che non si può certamente credere, come fa, invece, Borgognoni, che si tratti di tentativi di falsificazione, quanto piuttosto di sviste ed imperizia da parte dei compilatori.

Per portare a termine la sua dissertazione, Borgognoni cercava, inoltre, di dimostrare come, anche i due sonetti provenzali, attribuiti a Dante da Maiano, e che compaiono nel codice Laurenziano (26 Plut. XC inferiore), fossero in realtà un falso.

Novati e, dopo di lui gli studi successivi, ad esempio, di Debenedetti30 e Bettarini31, hanno contribuito a far cadere le varie ipotesi che negavano l’autenticità dei testi di Dante da Maiano, presenti nel codice Laurenziano e nella Giuntina. Nella parte conclusiva del suo saggio, Novati apporta nuove prove sull’esistenza di Dante da Maiano, citando atti notarili che fanno riferimento ai suoi figli:

E qui avrei terminato, se non mi restasse da sottoporre al giudizio di chi ha voluto benevolmente seguirmi in questo lungo ragionamento, un fatto che a me sembra d’importanza assai grande per la soluzione della non indifferente questione suscitata dal Borgognoni. Secondo il quale Dante da Maiano è da credersi «una finzione, un’ombra» non solo nei versi in due lingue che gli furono attribuiti ma nel «nome» pure e «nella persona». Ora io posso assicurare il signor Borgognoni che su quest’ultimo punto specialmente i fatti gli stan contro: Dante da Maiano è realmente esistito e se anche non avesse lasciato versi, avrebbe però lasciato dei figliuoli. Infatti dai protocolli di Ser Bertello di Lapo, notaio fiorentino che rogò dal 1350 al 1354, conservati nell’Archivio dei Contratti in Firenze, risulta come il 4 di Gennaio del 1352 (stile fiorentino) nel popolo di San Simone alla presenza di Rainiero Pace, Naldo Pucci ed altri, Taddeo di Cionino degli Aglioni assolvesse e liberasse da un certo debito che avevano verso di lui, Vanni figlio de fu Puccio del popoli di S. Maria Novella, non che Simone del fu DANTE DA MAIANO del popolo di S. Michele Bertelde32.

Lo studio di Novati, riscattando Dante da Maiano dallo stato di poeta immaginario e restituendo attendibilità ai suoi versi, contribuisce contemporaneamente ad avvalorare la figura di Monna Nina e del sonetto che tradizionalmente viene riportato insieme a quello del poeta toscano, lasciando aperte le possibilità che vi siano altri sonetti perduti, non presenti nella Giuntina del 1527.

Una decina d’anni più tardi, Giovanni Bertacchi33, quando ristampa le rime di Dante da Maiano, torna ad affrontare la questione di Nina, proprio facendo riferimento alle argomentazioni di Adolfo Borgognoni. Bertacchi ripercorre le fasi del dibattito intorno a Nina e Dante da Maiano, e sostiene la veridicità dei sonetti che i due si scambiano, contenuti nella Giuntina del 1527.

Nella sua analisi della produzione di Dante da Maiano, Bertacchi sottolinea come gli argomenti utilizzati da Borgognoni contro Dante da Maiano siano gli stessi che aveva utilizzato nel caso di Nina e, anche per Compiuta Donzella34. Il fatto che non sia dato molto risalto a queste due figure di poetesse tra i loro contemporanei costituirebbe, secondo Borgognoni, una prova certa del fatto che non siano mai esistite, nonostante uno dei testi di Compiuta Donzella si trovi nel Canzoniere Vaticano 3793, fonte considerata degna di fede. Quindi, sottolinea Bertacchi, se Compiuta Donzella si può considerare autentica, lo stesso si potrà fare con Nina. Per quanto riguarda l’uniformità di stile tra due sonetti, non si deve necessariamente pensare ad un unico autore, dal momento che, nel genere della tenzone, la risposta si basa e ricalca molto spesso il sonetto a cui si dirige, riprendendone anche alcune rime. Inoltre, non è una rarità trovare molte caratteristiche comuni tra autori della scuola siciliana-provenzale, tanto che alcuni versi, a seconda delle raccolte, sono attribuiti ad autori differenti.

Già si è detto come l’appellativo di «siciliana» venga introdotto in un secondo tempo, rispetto alla pubblicazione della Giuntina, dove non vi è traccia alcuna di indicazioni geografiche, riguardanti la sua nascita e neppure nessun tentativo da parte dei compilatori di far supporre che la poetessa fosse di origine toscana o proprio di Firenze, dove si pubblica la raccolta. Per quanto riguarda lo stile del sonetto, Bertacchi osserva la presenza di elementi arcaici, come l’uso del termine “parvenza”, che si trova in altre composizioni provenzali, e che portano ad escludere trattarsi di un rifacimento cinquecentesco.

Nella seconda metà del Novecento, gli studi dedicati alla figura di Nina sono rari. L’articolo di Paola Malpezzi Price, Uncovering Women’s Writings: Two Early Italian Women Poets35, analizza le figure di Nina e Compiuta Donzella all’interno del sistema di produzione e trasmissione della cultura medievale italiana. La studiosa afferma che già tra i copisti medievali vi sia una certa resistenza a riconoscere l’auctoritas femminile, ed è probabile che agli involontari errori di trascrizioni, si debbano aggiungere delle vere e proprie modifiche dei testi e attribuzioni differenti, dovute ai gusti personali. Vengono messi in evidenza i punti di contatto tra la lirica delle due poetesse italiane con le liriche di altre letterature europee, in particolare con quella delle trobairitz. Nello specifico, per quanto riguarda Nina, Malpezzi Price osserva che nel sonetto Tapina me cha amava uno sparviero, si possono riscontrare assimilazioni linguistiche, derivate ad esempio da una tenzone che vede protagonista la poetessa Alamanda. Nello stesso scambio poetico della trobairitz francese con Guiraut de Bonelh, compare l’aggettivo maineira, dal quale deriva certamente l’aggettivo maniero, che utilizzerà Nina. Anche tutto il sentimento di distacco, che pervade il suo sonetto, ricorda da vicino quello di Alamanda.

Anche Mercedes Arriaga nel suo studio dedicato alle poetesse italiane del Duecento e del Trecento, si occupa di Nina e pone l’accento sugli elementi di novità presenti nei suoi sonetti, come, ad esempio, l’uso di un io lirico femminile che si trova spaesato nel mondo e di un linguaggio e di una serie di metafore che rompono con la tradizione lirica italiana precedente, collegandosi alla lirica provenzale36. Se si accetta l’ipotesi che Nina si sia formata presso la corte di Federico II in Sicilia, è assai probabile che potesse avere accesso a testi della lirica provenzale ed è naturale che si possa avvertire questa influenza nei suoi testi.

Per quanto riguarda le antologie e gli studi novecenteschi, Jolanda De Blasi37 include i sonetti di Nina Qual sete voi che cara proferenza e Tapina me che amava uno sparviero, nella sua antologia, ma la considera « niente altro che una sigla letteraria »38, mentre Natalia Costa Zalessow39 la esclude dalla sua raccolta di scrittrici italiane, perché ritiene che la critica non sia riuscita a dimostrarne l’esistenza.

Vanni Scheiwiller40, invece, include Nina nella sua raccolta, e così fanno Gianfranco Contini41 e Angelo Gianni42. Quest’ultimo non dubita affatto della sua esistenza e attribuisce a Nina anche il sonetto anonimo Pàrtite, amore, adeo, che era contenuto nei Memoriali dell’Archivio notarile di Bologna dove, a partire dal 1265, si trascrivono i vari atti del Comune e, tra gli spazi bianchi, i notai Bolognesi inseriscono molti componimenti in lingua volgare. Il sonetto descrive la separazione di due amanti, che si congedano, mentre sopraggiunge l’alba. Angelo Gianni fa notare le «delicatezze e le sensibilità femminili» della poesia, nella descrizione dei gesti della protagonista che si preoccupa di preparare le vesti all’amante prima di svegliarlo, e nella maniera in cui lascia trasparire i suoi timori, quando lo esorta ad allontanarsi in fretta, ma, anche, a ritornare presto. Tutta la poesia è scandita da una voce di donna, e anche il personaggio maschile è descritto e determinato dalle parole della sua amata, come già avveniva nel sonetto Tapina me che amava uno sparviero.

Quella di Angelo Gianni è solo l’ultima delle proposte che, nel corso dei secoli, hanno caratterizzato il dibattito intorno alla figura di Monna Nina e alla sua produzione. Da quanto scrive Dante da Maiano si è portati a credere che la produzione di Nina fosse abbastanza ampia da conferirle una certa fama tra i poeti a lei contemporanei e, quindi, il corpus di sonetti e canzoni a lei ascrivibili appare destinato a crescere.

Gli esempi delle trobairitz e di Compiuta Donzella hanno oramai confermato l’esistenza di voci poetiche femminili in questi secoli. È perciò necessario approfondire ulteriormente lo studio dei testi di Nina già noti e di quelli che potrebbero esserle attribuiti, concentrandosi sui testi anonimi ed incerti presenti nei testi antichi, a cominciare dal Codice Vaticano 3793, e dalla stessa Giuntina del 1527.

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Note de fin

1 Sulle questioni legate alla Tipografia Giunti di Firenze si veda ad esempio l’articolo di William PETTAS, «I Giunti di Firenze: editori del Cinquecento in Italia, Francia e Spagna», Biblioteche oggi, aprile 2005, p. 31-33.

2 Per quanto riguarda le poetesse dell’Al Andalus si veda ad esempio il volume di Teresa GARULO, Diwan de las poetisas de al-Andalus, Madrid, Hiperión, 1998; per ciò che concerne i testi delle trobairitz si può fare riferimento allo studio di Marirí MARTINENGO, Le trovatore: poetesse dell’amor cortese, (testi provenzali con traduzione a fronte), Milano, Libreria delle donne di Milano, 1996.

3 Mercedes Arriaga Flórez, Poetas italianas de los siglos XIII y XIV, Sevilla, Arcibel, 2012, p. 32.

4 Nanucci segnalava che per poter decifrare l’acrostico, il sonetto va letto due versi per riga, alla maniera antica.

Di ciò ch’audivi dir primieramente, gentil mia donna, di vostro laudore

Avea talento di saver lo core, se fosse ver ciò ben compitamente

Non com’audivi il trovo certamente , ma per un cento di menzogna fore

Tanto v'assegna saggia lo sentore, che move e venda voi soprassaccente.

E poi vi piace ch’eo vi parli, bella, se ‘l cor va dalla penna svariando.

Sacciate no, che ben son d’un volere: E se v’agenza, e ‘l vostro gran savere

Per testa lo mio dir vada cercando;Se di volere lo mio nome v’abbella.

5 Alessandro Zilioli, Istoria della vita dei Poeti italiani, Bibl. Marciana, Ital., 1630.

6 Leone Allacci, Poeti antichi, raccolti da codici M.SS della biblioteca Vaticana e Barberina, Napoli, Sebastiano d’Alecci, 1661, s.p.

7 Giovan Mario Crescimbeni, Commentari intorno alla sua historia della volgar poesia, Roma, 1702.

8 Giuseppe Emanuele Ortolani, Biografia degli uomini illustri della Sicilia: ornata de loro rispettivi ritratti, Napoli, G. Nervasi, 1817.

9 Giulio Perticari, Dell’amor patrio di Dante e del suo libro intorno al volgar eloquio, Bologna, Veroli, 1822.

10 Vincenzo Nannucci, Vincenzo, Manuale della letteratura del primo secolo della lingua italiana, Firenze, Tipografia Magheri, volume II, 1838.

11 Giulio Perticari, Dell’amor patrio, op. cit. p. 94-96.

12 Niccolò TOMMASEO, Perticari confutato da Dante, Milano, Sonzogno, 1825

13 Agostino GALLO, «Lettera di Agostino Gallo all’ornatissimo sig. Cav. Antonio Di Giovanni Mira intorno ad alcuni dei primi poeti siciliani in volgare» in Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia, Palermo, Tipografia di Filippo Solli, 1833, Tomo V, p. 53-81.

14 Agostino GALLO, Lettera, op. cit. p. 59-60.

15 Ivi, p. 65-66.

16 Ivi, p. 69-70

17 Francesco TRUCCHI, Poesie italiane inedite di dugento autori. Dall’origine della lingua infino al secolo decimosettimo, raccolte ed illustrate, Prato, Ranieri Guasti, 1846.

18 Ivi, p. 53.

19 Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1983, (1ª ed, 1870) p. 17.

20 Eduardo MAGLIANI, Storia letteraria delle donne italiane, Napoli, Antonio Morano, 1885.

21 Ivi, p.34.

22 Ivi, p.37.

23 Adolfo Borgognoni, «La condanna capitale di una bella signora» in Studi di erudizione e d’arte, 1878, p. 89-105.

24 Ivi, p. 91

25 Ivi, p.99

26 Adolfo Borgognoni, , Dante da Maiano, Ravenna, Fratelli David, 1882.

27 Francesco Novati, Dante da Maiano ed Adolfo Borgognoni, Ancona, Gustavo Morelli editore, 1883.

28 Ivi, p. 5-6.

29 Ivi, p. 9.

30 Santorre Debenedetti, «Nuovi studi sulla Giuntina di rime antiche», in Giornale Storico della letteratura italiana, L (1907) p. 281-340. L’articolo venne ripubblicato con alcune modifiche nel 1912. Si veda anche Santorre De Benedetti, Nuovi studi sulla Giuntina di rime antiche, Città di Castello, Casa Tipografico Editrice S. Lapi, 1912.

31 Rosanna Bettarini, Rosanna, Dante da Maiano, Rime, Firenze, Le Monnier, 1969.

32 Francesco NovatI , Dante da Maiano, op. cit., p. 32-33.

33 Giovanni Bertacchi, Le Rime di Dante da Maiano, Bergamo, Istituto italiano d’arti grafiche, 1896.

34 Cfr. Adolfo BORGOGNONI, «Rimatrici italiane ne’ primi tre secoli», Nuova Antologia, 16 luglio 1886.

35 Paola Malpezzi Price, «Uncovering Women’s Writings: Two Early Italian Women Poets», Journal of the Rocky Mountain Medieval and Renaissance Association, 9, 1988, pp.1-15.

36 Mercedes Arriaga, Poetas italianas de los siglos XIII y XIV en la Querella de las mujeres, Sevilla, Arcibel, 2012.

37 Jolanda De Blasi, Antologia delle scrittrici italiane dalle origini al 1800, 2 vol., Nemi, Firenze, 1930-1931.

38 Ivi p. 29.

39 Natalia Costa Zalessow, Scrittrici italiane dal XIII al XX secolo, Ravenna, Longo Editore, 1982.

40 Vanni Scheiwiller, (ed.), Antiche poetesse italiane dal XIII al XVI secolo, Milano, All’insegna del Pesce d’oro, 1953.

41 Gianfranco Contini, Poeti del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960.

42 Gianni Angelo, Anch’esse quasi simili a Dio. Le donne nella storia della letteratura italiana, in gran parte ignote o misconosciute dalle Origini alla fine dell’Ottocento, Mario Barone, Lucca, 1997.

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Référence électronique

Daniele Cerrato, « Monna Nina: nuove attribuzioni e stato della questione », Line@editoriale [En ligne], 6 | 2014, mis en ligne le 02 mars 2017, consulté le 30 avril 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/585

Auteur

Daniele Cerrato

Università di Siviglia

dcerrato@us.es