Il Missale ultramontanorum e il mercato editoriale in Ungheria nel Quattrocento

Résumés

Il presente contributo si prefigge l’obiettivo di raccogliere ed ordinare le informazioni circa la nascita e l’utilizzo del primo messale a stampa secondo il rito ungherese, il Missale ad usum dominorum ultramontanorum, importante incunabolo che Dennis Rhodes definì « most intriguing volume », stampato a Verona nel Quattrocento, e che recentemente è stato caratterizzato come volume più che problematico da Balázs Déri, curatore della serie delle edizioni dei libri liturgici antichi ungheresi.

This paper aims at collecting and ordering information on the birth and the use of the first printed missal according to the Hungarian rite, the Missale ad usum dominorum ultramontanorum, an important incunabulum defined by Dennis Rhodes as the « most intriguing volume » printed in Verona in the XVth century, and recently characterized as more than a problematic volume by Balázs Déri, editor of several editions of the old Hungarian liturgical books.

Texte

In questo contributo sono raccolte ed ordinate le informazioni circa la nascita e l’utilizzo del primo messale a stampa secondo il rito ungherese, il Missale ad usum dominorum ultramontanorum (C 4125; CIH 2320). Anche se negli ultimi anni non sono stati rinvenuti nuovi dati e fonti sull’edizione, speriamo che la raccolta e il riordinamento delle notizie in nostro possesso possa dare nuova luce alla storia di questo importante incunabolo che Dennis Rhodes definì il « most intriguing volume » stampato a Verona nel Quattrocento,1 e che recentemente – nell’introduzione all’edizione critica del Missale Strigoniense del 1484 – è stato caratterizzato come volume più che problematico da Balázs Déri, curatore della serie delle edizioni dei libri liturgici antichi ungheresi.2

Dal colophon dell’incunabolo si desume che i fascicoli hanno lasciato i torchi a Verona nel 27 agosto 1480, mentre in forza dei tipi usati per l’impressio l’edizione è attribuita allo stampatore normanno Pierre Maufer, attivo però soprattutto a Padova.3 Attualmente siamo in conoscenza di 18 esemplari e di un’emissione.4

Per seguire le tracce del volume nella storiografia moderna, va innanzitutto ricordato un documento pubblicato da Antonio Sartori nel 1959. Si tratta di un contratto stipulato il 1 dicembre 1479 dal notaio padovano Francesco Giusti, in cui il cartaio Scalabrino Agnelli si prende la responsabilità di vendere e trasportare a proprie spese a Verona, per il febbraio del 1480, duecentosessanta risme di carta proprio su ordine dello stampatore normanno e di uno studente di diritto canonico, nonché canonico di Vác in Ungheria, tutti e due abitanti in via dei Colombini di Padova: « vir ser Scalabrinus de Toscolano de Agnelis… promisit Venerabili Decretorum scolari domino Antonio canonico Brisiensi de Ungaria…. nunc habitatori Padue in contrata Columbinorum et magistro Petro Franciosio stampatori… habitatori nunc Padue in dicta contrata ibi presentibus… eisdem dare et vendere rismas ducentas sexaginta conductas in civitate Verone expensis ipsius ser Scalabrini. » Nel concludere il contratto Agnelli si presenta con due fogli campione perché i contraenti possano assicurarsi della qualità della carta da lui commercializzata.5

In base a questo documento, nel 1995, Daniela Fattori e Ennio Sandal hanno già tratto la logica conclusione che il contratto sulla vendita e sul trasferimento della carta è la prima tappa della nascita del nostro incunabolo.6 Secondo quanto la Fattori afferma, le informazioni in nostro possesso – da una parte un messale secondo il rito ungherese stampato a Verona da Pierre Maufer, dall’altra un canonico ungherese che un anno prima dell’impressio, in compagnia del tipografo normanno, acquista carta e la fa trasportare a Verona – si intrecciano in tal modo da rendere quasi sicuro il legame tra i due dati.7

Sappiamo dunque che nel dicembre del 1479 Maufer e un canonico ungherese, un certo Antonio, si prefiggono la stampa di un messale. A seguire le orme del volume ci aiuta un articolo di Gedeon Borsa, del 2001, in cui è stata tentata l’identificazione del chierico ungherese.8 Il contributo di Borsa rende pubblica una lettera personale inviatagli da Ennio Sandal nella quale lo storico del libro italiano gli segnalava che la stampa del messale è stata voluta e finanziata da un certo « Antonius de Hungaria, canonicus strigoniensis ». Borsa inoltre ci informa che nella lettera Ennio Sandal gli ha promesso di stendere entro breve un articolo che « avrebbe reso noto agli addetti di lavoro i particolari della scoperta. » A quanto pare l’articolo promesso non è stato finora pubblicato, comunque Borsa, in base alla pura e schietta informazione, ha potuto ritrovare un canonico di Esztergom, Antonio di Komját, originario di Győr, studente a Vienna, a Padova, nonché a Ferrara, quale possibile committente dell’edizione.9 È però subito da notare che la ricerca del Borsa parte da un dato del tutto nuovo e sconosciuto. Infatti nella lettera mandatagli da Sandal il canonico Antonio non è di Brescia, ma di Esztergom. Certamente si potrebbe suppore che si tratti di un chierico di origine ungherese che all’altezza degli eventi prestò servizio come canonico a Brescia.

L’indagine finirebbe qui, ma il ritrovamento di una nuova fonte ci soccorre. Nel 2007 Francesco Piovan pubblicò un articolo che mette luce sull’attività del canonico ungherese: si tratta di un nuovo contratto, in cui Antonio non compare tra i contraenti, eppure l’accordo pare di gran lunga il più importante dal nostro punto di vista.10 Il 13 gennaio 1480 Maufer e Zaccaria Zaccarotto firmano un contratto annuale a partire dalla Pentecoste dell’anno corrente per stampare « messali al modo de Italia », e forse altri libri che potrebbero promettere un profitto discreto. Ci interessa l’introduzione del contratto: « Cum zò sia cossa che m(aestr)o Piero Franzosso stampadore, habitta al presente a Padoa in la contrà di Collumbini in caxa de miser Antonio Ungaro, vada a Verona a stampar i mesalli al modo de Ungaria a miser Antonio Ungaro, ed abia intention de lavorar a Verona e altro, è venutto cum miser Zacharia de Zacharoti, citadin de Padoa..., a questi patti, convention e acordi: fornitto che serano i ditti mesalli del ditto miser Antonio, nui debiamo stampar a bona compagnia i mesalli al modo de Italia… ».11

Piovan dunque è riuscito a stabilire che il 20 ottobre 1479, vale a dire quasi un anno e mezzo prima della stipula del contratto con il commerciante di carta, ha affittato per due anni una casa a Padova, nella strada Ca’ di Dio, e avviando immediatamente la ristrutturazione del locale. Quale elemento che getta qualche luce sulla situazione finanziaria del canonico Antonio è forse utile segnalare che nel corso della ristrutturazione furono modificate tre finestre e due infissi, nonché due camini.12

Durante lo svolgimento dei lavori di ristrutturazione il clerico ungherese abitava nella strada dei Colombini, dove il suo ospite o coinquilino era lo stampatore Pierre Maufer. Piovan ha però aggiunto anche un’altra informazione ancora più importante per un aspetto della nostra ricerca. Si tratta di un altro contratto, che riguarda sì il solo Maufer e in cui Antonio non è citato, ma che rappresenta uno dei momenti più importanti riguardo la nascita del nostro messale. Secondo il documento Maufer il 13 gennaio 1480 si associa con Zaccaria Zaccarotto al fine di pubblicare un messale italiano ed eventualmente altre redditizie stampe. Nella parte introduttiva del contratto così leggiamo nella trascrizione di Piovan: « Cum zò sia cossa che m(aestr)o Piero Franzosso stampadore, habitta al presente a Padoa in la contrà di Collumbini in caxa de miser Antonio Ungaro, vada a Verona a stampar i mesalli al modo de Ungaria a miser Antonio Ungaro, ed abia intention de lavorar a Verona e altro, è venutto cum miser Zacharia de Zacharoti, citadin de Padoa..., a questi patti, convention e acordi: fornitto che serano i ditti mesalli del ditto miser Antonio, nui debiamo stampar a bona compagnia i mesalli al modo de Italia… »13 Sulla base di questo documento possiamo dare per certe le conclusioni di Fattori: dietro l’acquisto della carta c’era il progetto di stampare un messale confacente al rito ungherese; e deduciamo inoltre che nel gennaio 1480 lo stampatore risiedeva ancora a Padova e che indipendentemente dal nuova contratto stipulato la stampa del messale per il canonico Antonio restava l’impegno primario.

A questo punto restava il compito di identificare il canonico Antonio, studente e residente in Italia, relativamente abbiente – può acquistare duecentosessanta risme di carta, affittare e ristrutturare un appartamento a Padova –, di nome Antonio, il quale dispone per altro di buone relazioni sociali, se ospita in casa uno dei più attivi, per quanto economicamente instabile tipografi del tempo.

La consultazione dell’indice degli studenti ungherese nello Studio padovano redatta da Endre Veress ha permesso a Piovan di imbattersi nel canonico Antal Sánkfalvi, il quale nel gennaio 1478 prende parte quale testimone al dottorato in diritto canonico di Márton Nádasdi (« Martinus de Nadasd canonicus ecclesiae Collocensis »).14 Nel documento trascritto dal Veress Sánkfalvi è ricordato quale « ecclesiarum Bachiensis et Waciensis canonicus ».15 L’ultima questione da risolvere è che il Antonio risulta essere contemporaneamente canonico a Brescia, Esztergom, Vác e Bács. Potrebbe certo aver accumulato più benefici, ma in mancanza di documentazione sembra ragionevole eliminare il canonicato di Esztergom. Rimane quello di Brescia a destare qualche dubbio. Anche questo però si può scartare, perché la sopra ricordata trascrizione del documento pubblicata da Sartori è errata, vi si legge che è canonico di Brescia. Francesco Piovan, che ha controllato lo scritto originale, ha stabilito infatti che nel testo non leggiamo Brisiensi, ma Vasiensi.16 Alla luce di questo emendamento possiamo affermare con tutta certezza che Antal Sánkfalvi è il canonico Antonio che ordinò il Missale Ultramontanorum.

Il più importante documento sulla vita di Antal Sánkfalvi è un diploma emesso da Mattia Corvino il 16 novembre 1489, in cui si fa dono di un titolo a Sánkfalvi.17 Il diploma elenca i meriti con cui lo Sánkfalvi nel corso degli anni si è distinto dinanzi al re: nella missione presso l’imperatore Federico del 1463 era stato a fianco del vescovo János Vitéz, aiutandolo nelle trattative per il recupero della corona ungherese. Fu lui a portare alla corte la notizia della riuscita delle trattative e che Federico si era mostrato disposto a restituire la corona. Nel 1472, aveva accompagnato Imre Nifor in Polonia. Ci informa poi che dal 1486 fu più volte in ambasciate in Italia e in Francia: non più quale aiutante nelle diverse delegazioni, bensì quale ambasciatore a Napoli, in Francia, a Venezia, a Milano.18

Dopo la morte di Mattia Corvino rimane uno dei diplomatici più importanti della corte, prima come prevosto di Pozsony, poi quale vescovo di Nyitra:19 Ladislao II lo invia a Roma e a Napoli, per far riconoscere nullo il matrimonio segreto da lui contratto con la vedova Beatrice d’Aragona e poter così chiedere la mano di Bianca Sforza.20

Per noi qui è tuttavia di maggior interesse il periodo antecedente agli anni ottanta del Quattrocento. E purtroppo di questo periodo, fatta eccezione per le due missioni diplomatiche ricordate nel diploma di Mattia, abbiamo ben poche notizie: cominciò i suoi studi a Vienna, dove nel 1454 si iscrive fra gli studenti della Natio Hungarica dell’università.21 Finiti o interrotti gli studi risulta « notarius cancellarie regie », secondo quanto si legge in un diploma di Mattia Corvino del 2 dicembre 1468, in cui lo Sánkfalvi e i suoi fratelli ricevono in dono diritti regali sugli insediamenti di Harkács e Luta, vicini a quello di Sánkfalva, nella regione di Gömör.22 Non sappiamo quando diventa canonico a Vác, poiché il primo documento che fa riferimento a questa carica è del 1478: il già citato documento che lo vede testimone all’università padovana. Dopo rimase probabilmente a Padova, dove proseguì gli studi e seguiva la stampa del messale. Ma neanche dopo che la stampa fu pronta sembra probabile che egli sia tornato in Ungheria: in primo luogo perché, come sappiamo, affittò per due anni un appartamento in città, e in secondo luogo perché nel 1482 lo troviamo a Roma. Il 21 giugno fa il suo ingresso nella Confraternita di Santo Spirito, firmando la dichiarazione di accesso in qualità di canonico di Vác.23 Di due anni più tardi è un documento della Santa Sede: il 12 settembre 1484, papa Innocenzo VIII ribadisce il permesso concesso già da Sisto IV nel 1482, secondo cui Sánkfalvi può ottenere due benefici ecclesiastici, la qual cosa spiega i canonicati di Bácsi e Vác.24

Tutti i dati importanti sulla nascita del messale possono essere dunque così riassunti: il canonico di Vác Antal Sánkfalvi tra il 1477 e il 1478 arriva a Padova, per proseguirvi gli studi incominciati a Vienna. Nell’autunno del 1479 affitta una casa, che ristruttura, e durante la ristrutturazione vive in un altro locale, insieme con lo stampatore Pierre Maufer, insieme al quale avvia l’impresa comune: comprare della carta. Nel corso dell’anno successivo infine, da febbraio alla fine di agosto, viene stampato il Missale Ultramontanorum.25

Tutto ciò dà risposta alla questione del committente, mentre i motivi della nascita del messale rimangono in ombra, poiché non sembra plausibile l’ipotesi che la stampa del messale fosse un atto privato di Antal Sánkfalvi: un canonico, per quanto dotato di più benefici, non sarebbe stato in grado da solo di finanziare e seguire le fasi di redazione, stampa, trasporto e vendita del messale. Il fatto che, come abbiamo visto, per molti anni soltanto la presenza in Italia di Sánkfalvi sia documentabile, sembra escludere tale ipotesi. Naturalmente potrebbe aver comunque accompagnato con attenzione la stampa dell’edizione (ma è da notare che questa avviene a Verona, mentre lui affitta una casa a Padova), avrebbe anche potuto portare i libri in Ungheria, ma data la sua presenza documentata solo in Italia, non avrebbe potuto, in nessun modo, eseguire le operazioni di vendita. Non so chi possa essere stato il suo collaboratore, eventualmente committente.26

Prescindendo da tale questione, credo di poter fornire qualche ulteriore elemento per capire meglio i motivi che portarono all’edizione. Innanzitutto è importante chiarire che il progetto dell’edizione va probabilmente letto come puro atto imprenditoriale. L’omissione del nome del committente perlomeno ci porta in questa direzione. La prefazione e l’incipit del Breviarium Strigoniense, edito in quegli stessi anni a Venezia, nonché il colophon del primo messale strigoniense (1484) menzionano con precisione autori e destinatari dell’impresa editoriale dei rituali.27 L’assenza di un proemio o di una postfazione in cui si indichino il nome di una persona o di un collegio di committenti, così come i motivi e gli scopi della pubblicazione, è dunque voluto. Suggerisce che il curatore della stampa ovvero il committente non ha esigenze normative, non desidera fissare una tradizione liturgica. Vuole semplicemente stampare e, soprattutto, vendere, un buon numero di messali.28

Dobbiamo tenere presente anche la quantità di carta acquistata: mettendo in relazione il formato del libro (in folio), il numero dei fogli (358) e la quantità di carta (260 risme), calcolando un 10 % di scarti, possiamo dire che la quantità acquistata era sufficiente per un minimo di 650 esemplari. Naturalmente non possiamo essere certi che tutta la carta acquistata sia stata utilizzata per la stampa del Missale Ultramontanorum, potrebbe infatti darsi il caso che Sánkfalvi abbia pagato con materia prima, con la carta, il lavoro di Maufer, il quale l’avrebbe utilizzata più tardi per la stampa di altri libri. Così ipotizza Daniela Fattori nel suo saggio, poiché, secondo quanto afferma, il numero di esemplari ipotizzato è troppo alto per un libro che ha come obiettivo un segmento di mercato relativamente ristretto.29 Ritengo però che i dati a disposizione, pur non avendo valore dimostrativo, suggeriscano tuttavia che Maufer abbia riservato l’intera quantità di carta per la stampa del messale ungherese.30 Da un lato infatti, nel già menzionato contratto del gennaio 1480 che Maufer stipula con Zaccaria Zaccarotto per la stampa del messale, leggiamo che per i libri da prepararsi in futuro l’approvigionamento e le spese per la carta avrebbero gravato sullo Zaccarotto. Ovvero, come abbiamo visto, a quest’altezza cronologica il Maufer non aveva ancora nemmeno cominciato la stampa del Missale Ultramontanorum, ma già sapeva che dopo averla portata a termine non gli sarebbe rimasta tanta carta quanto sarebbe servita per entrare nell’impresa con Zaccarotto. Il contratto proibiva poi al Maufer di lavorare con altri, pertanto non è nemmeno ipotizzabile che avesse voluto mettere da parte della carta avanzata. Riassumendo possiamo quindi dire, che l’ipotesi più probabile e più economica sia che tutte le duecentosessanta risme acquistate dall’Angelli sarebbero state utilizzate per la stampa del messale ungherese.

D’altra parte non pare che si possa affermare che il mercato dei messali fosse troppo ristretto. Il fatto che tra il 1480 e il 1500 diverse stamperie d’Europa escano continuamente messali destinati all'uso in Ungheria, è segno incontrovertibile della grandezza del mercato e insieme della sua forza di acquisto.31 La definizione più esatta di questo mercato si imbatte in problemi di metodo, ma i pur frammentari dati paiono sufficienti per sostenere, almeno in linea generale, l’affermazione sulla grandezza del mercato. È evidente che le parrocchie, i monasteri e i capitoli erano nel nostro caso tutti potenziali acquirenti, visto che in ciascuna di queste istituzioni doveva esserci almeno un messale. Ma vi erano anche altre istituzioni – le cattedrali, ad esempio, o le parrocchie più grandi –, in cui ne poteva servire più d’uno. Se volessimo stabilire quanti ce ne fossero in Ungheria nel decennio tra 1480 e 1490, potremmo solo abbozzare una stima. Sulla base della descrizione geografica di Tivadar Ortvay dobbiamo stimare oltre 3000 parrocchie nel paese.32 Bisogna però aggiungere che i dati di Ortvay si riferiscono a quasi un secolo prima. Tuttavia è probabile che il numero delle parrocchie non cambiò molto nel corso di un secolo, cosa che potrebbe alterare le nostre affermazioni sull’ampiezza del mercato. Dobbiamo inoltre calcolare che le condizioni di vita dello strato formato dai parroci erano molto migliorate, e oltre alle attese culturali erano anzi cresciute anche le loro capacità di spesa.33

Per quanto riguarda il numero di monasteri e capitoli, calcolo in base al lavoro di Beatrix F. Romhányi, che ha censito quasi settecentocinquanta istituzioni di questo tipo.34 Il catalogo della studiosa non si riferisce ovviamente solo al decennio da noi osservato, ma analizzando i dati e le appendici pubblicate si può dedurre che la maggior parte di quelle istituzioni erano attive nel 1480.

Mi rendo conto che dal punto di vista metodologico tratto i dati in modo problematico, pur tuttavia mi sembra di poter affermare con diritto, che in Ungheria sussisteva senza dubbio un mercato sufficiente ad assorbire le seicentocinquanta copie del messale.

C’è però un aspetto con il quale non abbiamo ancora fatto i conti. La varietà degli usi liturgici in Ungheria nel Medioevo. Fin qui ho presupposto che il Missale Ultramontanorum potesse diffondersi sull’intero territorio del regno, indipendentemente dalle specifiche caratteristiche liturgiche di ogni diocesi. I calcoli sulle possibilità di vendita del messale tornano, infatti, soltanto se prendiamo in considerazione tutto il regno o almeno una parte rilevante di esso. Se invece ipotizzo che le seicentocinquanta copie andassero in una sola diocesi, allora sto immaginando un’impresa editoriale assai ardua.

Credo tuttavia che il discorso fatto sia comunque corretto: il messale fu preparato per essere diffuso potenzialmente su tutto il territorio del regno. Di questo ne è prova da un lato come il libro stesso si autodefinisce: non è rivolto a una diocesi, ma « ad usum dominorum ultramontanorum ». Anche nel contratto del gennaio 1480 è nominato senza specificazioni: « al modo de Ungaria ». L’ipotesi qui proposta è inoltre sostenuta, mi sembra, dall’incertezza degli storici della liturgia nell’assegnare l’edizione all’una o all’altra diocesi. Secondo Kilián Szigeti il Missale Ultramontanorum « venne fatto stampare da János Pruisz, vescovo di Várad », visto che « nei punti critici » mostra parentela con un graduale ritenuto provenire dalla Transilvania.35 Anche secondo Andrea Kovács è in qualche modo legato alla Transilvania, sebbene la studiosa non argomenti tale ipotesi.36 Dall’esame di alcune parti del testo condotto da Attila Józsa, l’ipotesi più probabile è che « il messale non sia di diretta provenienza strigoniense, ma che comunque appartenga all’arcidiocesi di Esztergom e sia il messale di una variante liturgica d’Ungheria che porta con sé tratti singolari. »37 Gli studi ora citati condividono il metodo secondo cui si tenta di dare una risposta al problema dell’identificazione di un messale sulla base dell’analisi interna del testo liturgico. Si tratta di una prospettiva eminentemente storica, che tiene poco conto delle realtà economiche. Un messale stampato nel Medioevo – proprio per il fatto che innanzitutto è un libro – è nel suo ambito un bene da vendersi più ancora che un documento liturgico.

Per questo è utile analizzare gli esemplari che ci sono stati tramandati e studiarne l’uso che ne è stato fatto. Sulla base del primo esemplare Gedeon Borsa pensa il nostro messale « sia in sostanza un Missale Strigoniense. »38 Conosciamo infatti un esemplare che sembra confermare questa lettura: conservato a Bardejov (Bártfa) – ne dette notizia Imrich Kotvan nel 1967 – il libro si autodefinisce essere di Esztergom.39 La specialità dell’esemplare è che il secondo fascicolo, e soltanto questo, è stato asportato e sostituito con un altro. Da ciò derivano piccole idiosincrasie nello scorrere del testo e nel numero delle righe, ma la differenza essenziale si legge nell’incipit: al posto di « Ordo missalis secundum ritum dominorum ultramontanorum », sul foglio è stato posto un « Ordo missalis secundum ritum almae Ecclesiae Strigoniensis ». La cosa più importante è che la variante è stata escogitata da Maufer con i suoi propri tipi. Secondo l’ipotesi di Kotvan, un certo numero di copie del messale ultramontano rimaste presso lo stampatore avrebbero spinto quest’ultimo a offrirle all’arcivescovo di Esztergom, il quale però gli avrebbe chiesto la modifica.40 La supposizione pare improbabile, per più motivi. Da un lato non c’era un arcivescovo al quale Maufer avrebbe potuto rivolgersi infatti la sede arcivescovile era vacante, d’altro canto l’arcivescovo o il suo sostituto difficilmente avrebbero dato il permesso per un’azione simile. IL messale di Esztergom, destinato ad avere valore normativo, viene stampato nel 1484 altrove e in altro modo, così come sottolinea il colophon di quella edizione.41 Aggiungo una postilla: a Dennis Rhodes è parso degno di nota, che nemmeno un esemplare del Missale Ultramontanorum si sia conservato nelle vicinanze del luogo di stampa, e che anzi non ce ne siano copie nelle biblioteche italiane, inglesi e americane.42 La spiegazione più semplice è che all’epoca si riuscì a risolvere in modo efficace e completo il trasporto di tutte le stampe in Ungheria. Non sarebbe stata invece cosa semplice organizzare un secondo viaggio, qualora molti esemplari fossero rimasti nei magazzini dello stampatore. Per questo è sospetta l’ipotesi che le due varianti siano state preparate contemporaneamente su espressa richiesta del committente.43 Fu questo forse il modo in cui Sánkfalvi e/o i suoi soci tentarono di assicurarsi una diffusione soddisfacente, se è vero che le due versioni potevano coprire in sostanza tutto il territorio del regno: dove vi era bisogno della versione di Esztergom vendevano la stampa modificata in strigoniense, dove questa necessità non c’era, vendevano la versione ultramontana.44 Se invece la supposizione è errata e le due versioni non furono preparate nello stesso momento, resta comunque vero che qualcuno tra 1480 e 1490 – fosse l’arcivescovo di Esztergom o chiunque altro – giudicò il testo del messale ultramontano corrispondente alle necessità e riteneva potesse essere venduto anche come messale di Esztergom.

Le note conservate negli esemplari giunti fino a noi non ci permettono purtroppo di trarre conclusioni sui luoghi in cui fu utilizzato il messale, ma c’è almeno un dato che è molto significativo. L’esemplare conservato a Nyitra (oggi Nitra, in Slovacchia) conserva postille autografe di Pál Bornemissza, prima vescovo di Veszprém, poi di Transilvania, infine di Nitra, che ci consentono di abbozzare una prima ipotesi.45 Il vescovo esiliato dalla Transilvania, giunse nel gennaio 1557 a Nyitra e regalò alla cattedrale della città un esemplare del messale ultramontano, immortalando nella stampa le circostanze della donazione stessa.46 Sembra evidente che il vescovo volesse fare un dono utile ai canonici e giudicò il Missale Ultramontanorum adeguato alle funzioni liturgiche anche a Nitra, che di base seguiva il rito di Esztergom.

Dunque si può dire che in sostanza, indipendentemente dal suo contenuto, il Missale Ultramontanorum è (anche) un messale di Esztergom: per il semplice fatto che ciò si afferma in un esemplare e anche perché possediamo un altro esemplare che possiamo ipotizzare sia stato utilizzato nella zona di influenza della arcidiocesi di Esztergom.47

A questo punto sorge la domanda, se i realizzatori del Missale Ultramontanorum avessero consapevolmente redatto l’edizione in modo tale da poter coprire le differenze di rito che si riscontravano nelle varie zone del regno. O perlomeno questo suggerisce sia l’esistenza delle due versioni in parallelo, sia la mancata definizione dell’appartenenza all’una o all’altra forma liturgica. È sicuro invece che non fu una sorta di esperimento per unificare le forme liturgiche: il lavoro fu condotto in segreto, senza esigenze normative, seguendo calcoli di profitto. Ne consegue che la formazione di una consuetudine nella liturgia medievale venne influenzata anche da elementi di mercato e da ragioni economiche.

Note de fin

1 Dennis E. Rhodes: Studies in early Italian printing, London, 1982, pp. 238-239.

2 Déri Balázs: Introduction. In: Missale strigoniense 1484, ed. Déri Balázs, Budapest, 2009, /Monumenta Ritualia Hungarica 1./, p. XVIII, n. 88.

3 Su Maufer e sulla sua attivita tipografica cfr.: Piero Scapecchi: Maufer, Pierre. In: Dizionario Biografico degli Italiani. Vol. LXXII. Roma, 2009, 297.

4 Per il repertorio più attendibile che elenca gli esemplari e le emissioni dell’edizione cfr.: Soltész Erzsébet, Missalia Hungarica, Beiträge zur Inkunabelkunde 3. Folge. 6 (1975), 58-62, I. e Ia; cfr. inoltre: Hubay, Ilona, Missalia Hungarica. Régi magyar misekönyvek. Budapest, A Magyar Nemzeti Múzeum Országos Széchényi Könyvtára és a Magyar Bibliofil Társaság, 1938. 23., /Az Országos Széchényi Könyvtár kiadványai 5./ Per l’emissione, cfr.: Imrich Kotvan, Missale Strigoniense – H 11428, Beiträge zur Inkunabelkunde 3. Folge, 3 (1967) 189.

5 Antonio Sartori, Documenti padovani sull’arte della stampa nel sec. XV = Libri e stampatori in Padova. Miscellanea di studi in onore di mons, G. Bellini, tipografo editore libraio, ed. Antonio Barzon, Tipografia Antoniana, 1959, 178-179. (LII.) In verità nel testo pubblicato da Sartori erra di trascrizione, come verrà chiarito più avanti.

6 Daniela Fattori, Nuove ricerche sulla tipografia veronese del Quattrocento, La Bibliofilia 97 (1995), 13-16.

7 Daniela Fattori, Op. cit. 15.

8 Borsa Gedeon, Ki volt Antonius de Hungaria, az első esztergomi misekönyv megrendelője?, Magyar Könyvszemle 117 (2001), 204-205.

9 Borsa Gedeon, Op. cit., 205.

10 Francesco Piovan, Una società di stampa tra Pierre Maufer e Zaccaria Zaccarotto (con note per il Missale Dominorum Ultramontanorum: C 4125), Quaderni per la storia dell’Università di Padova, 40 (2007), 209-216.

11 Il testo intero del contratto è in: Francesco Piovan, op. cit., 215-216. Fonte: Padova, Archivio di Stato, Archivio notarile, 1741, f. 10rv.

12 Francesco Piovan, Op. cit., 211-212.

13 Per il testo completo del contratto vd. Francesco Piovan, op. cit., 215-216.

14 Francesco Piovan, op. cit., 211.

15 Veress Endre, A páduai egyetem magyarországi tanulóinak anyakönyve és iratai, Budapest, Stephaneum Nyomda, 1915, /Fontes Rerum Hungaricum I./, 17.

16 Francesco Piovan, op. cit., 211. Il documento citato: Padova, Archivio di Stato, Archivio notarile, 1595, f. 105rv.

17 Il testo della lettera in Nagy Gyula, Lázói János czímere, Turul 8 (1890), 208-209.

18 Sulla vita e sulle attività di vd. Fraknói Vilmos, Mátyás király diplomatái. X. Sánkfalvi Antal, Századok, 32 (1898), 871-875; ma anche Bónis György, A jogtudó értelmiség a Mohács előtti Magyarországon, Budapest, Akadémiai, 1971, 236-237, in particolare la nota 93 a p. 237; per quanto riguarda i dati bibliografici si veda anche Köblös József, Az egyházi középréteg Mátyás és a Jagellók korában, MTA Történettudományi Intézete, 2004, 465-466.

19 Particolari sul fatto fornisce Knauz Nándor, A pozsonyi káptalannak kéziratai, Magyar Sion, 4 (1866), 772.

20 Approfondimenti si leggono in Fraknói Vilmos, Erdődi Bakócz Tamás élete, Budapest, Franklin-társulat, 1889, 49-50; nonché in Berzeviczy Albert, Beatrix királyné (1457-1508). Történelmi élet- és korrajz, Magyar Történelmi Társulat, Budapest, 1908, 444, 521-534; sui servizi di Sánkfalvi quale ambasciatore di Ladislao II scrive anche Bonfini, che così lo ricorda: “Antonius episcopus gravitatis et prudentie studiosissimus”, in Antonio Bonfini, Rerum Ungaricarum decades I-IV, ed. Fógel József, Iványi Béla, Juhász László, Leipzig, Taubner (I-III), Egyetemi nyomda (IV), Budapest, 1936-1949, 1.1.404.

21 Schrauf Nándor, A Bécsi Egyetem Magyar Nemzetének anyakönyve 1453-tól 1630-ig, Budapest, MTA, 1902, 92.

22 Vd. Bónis, op. cit., 237.

23 Liber confraternitatis S. Spiritus de Urbe. A római Szentlélek-társulat anyakönyve 1446-1523., Budapest, 1889. I/5/8.

24 Czaich Á. Gilbert, Regeszták VII. Imre pápa korából, Századok 2 (1902), 511.

25 Qui è sorta naturale la domanda sul perché Sánkfalvi e Maufer che abitano a Padova facciano trasportare a Verona la carta acquistata e perché facciano ivi stampare il libro. Alla questione ha risposto in modo soddisfacente Padovan nel suo saggio. Da un lato a Padova c’era una sorta di monopolio della ditta del cartaio Battaglia, il cui proprietario era quel Federico Corner, che dirigeva gli affari della città in qualità di podestà. E poiché il messale destinato all’Ungheria sarebbe stato impresso sulla carta fornita dal toscolano Scalabrino Agnelli, sarebbe stato assai rischioso stampare a Padova. D’altro canto Piovan segnala che negli anni tra 1479 e 1480 vi fu una epidemia di pesteche devastò la città e in conseguenza della quale molti – 80 % degli studenti universitari – lasciarono la città, e quindi si presume che diminuisse fortemente il numero di tipografi che avrebbero potuto lavorare nella stampa. Appare dunque logica e necessaria la decisione di Maufer di spostare la sua stamperia a Verona, dove del resto poteva contare su relazioni e amicizie (cfr. Francesco Piovan, op. cit., 212-214).

26 Sorge spontanea la suggestione che si possa trattare del re Mattia Corvino. Ma ciò è improbabile perché nei rituali che citiamo più avanti e dietro i quali si scorge la mecenatura del re, non mancano di sottolinearne la generosità nelle parti introduttive o conclusive. Poiché Sánkfalvi era canonico di Vác, potremmo pensare a Miklós Báthory, vescovo di Váci. Non ho alcun dato sulla sua eventuale partecipazione a questa impresa editoriale, ma una frase ha destato la mia attenzione. In uno dei suoi saggi, József Török, in uno dei suoi saggi – Báthory és a kortárs magyar püspökök, in: Báthory Miklós váci püspök (1479-1506) emlékezete, szerk. Horváth Alice, Váci Egyházmegyei Gyűjtemény, Vác, 2007 – scrive:  « Ci si potrebbe domandare, che opinione avesse il Báthory, che amava tanto i codici, sulle stampe e in particolare sul primo messale a stampa ad usum dominorum ultramontanorum, (Verona, 27 agosto 1480) e sul Breviario (Venezia 1480) » (11). Nella nota a piè di pagina (29) l’autore rimanda a un altro suo saggio in corso di stampa, il cui titolo è « I nostri primi libri liturgici ».

27 Per il breviario vd. CIH 825; la trascrizione della prefazione e dell’incipit in Déri Balázs, op. cit., XX-XXII. Il colophon del missale in Missale Strigoniense 1484, cit., 638. La analisi dei testi si legge in Déri Balázs, op. cit., XX-XXVI; a vd. anche Körmendy Kinga, « Studiosus Ciceronis » kanonok fogalmazta-e az első nyomtatott Breviarium Stigoniense előszavát?, in: Summa. Tanulmányok Szelestei N. László tiszteletére, szerk. Maczák Ibolya, PPKE BTK, Piliscsaba, 2007, 183-188; e Tarnai Andor, « A magyar nyelvet írni kezdik. » Irodalmi gondolkodás a középkori Magyarországon, Akadémiai, Budapest, 1984, 76-77.

28 Tarnai Andor, che ha analizzato dal punto di vista della critica testuale numerose prefazioni e postfazioni di incunaboli, giunge a simili conclusioni riguardo le edizioni del XV secolo, in cui non sono espresse chiaramente le intenzioni degli editori: « la serie di stampe è frutto di calcoli imprenditoriali » (Tarnai Andor, op. cit., 79).

29 Daniela Fattori, op. cit., 15-16.

30 In realtà seicentocinquanta esemplari non sono molti. Un dato utile per un paragone utile fornisce Frédéric Barbier (A könyv története, Osiris, Budapest, 2008, 109) che ricorda una media di 500 esemplari per gli incunaboli (197). Dal nostro punto di vista è forse più importante, che József Fitz sulla base di alcuni dati – anche se solo in parte documentati – giunge alla conclusione che a cavallo tra i secoli XV e XVI, affinché un messale portasse utili netti, c’era bisogno di stampare circa mille copie (A magyar könyv története, 1711-ig, Magyar Helikon, Bp. 1959, 69). Cfr. anche Kelényi B. Ottó, Bakócz Tamás és egy budai polgár misekönyvüzletének bonyodalmai, Magyar Könyvszemle, 66 (1942), secondo cui – ma la sua affermazione non è documentata – i messali avevano generalmente una tiratura di ottocento-mille esemplari (434).

31 E messali si stampavano non soltanto per Esztergom, ma anche per diocesi più piccole (Pécs) e per gli ordini monacali (Paolini di Ungheria), per cui cfr. CIH 2311-2314; 2321; 2302; 2295; e si veda anche Soltész Erzsébet, op. cit., II-XII. A proposito dei libri liturgici in Ungheria anche Balázs Déri (op. cit., XX) parla di un “mercato notevole” e riferendosi ai dati raccolti da Elemér Mályusz arriva a contare circa quattro-cinquecento canonici ungheresi. Un numero troppo piccolo per il nostro discorso. Ma allo stesso tempo dobbiamo segnalare, che Déri parla in generale di libri liturgici, all’interno dei quali i messali rappresentavano un segmento speciale.

32 Ortvay Tivadar, Magyarország egyházi földleírása a XIV. század elején a pápai tizedjegyzékek alapján feltüntetve, I-II, Franklin, Budapest, 1891-1892, I. XX.

33 O quanto meno questo è la conclusione che possiamo trarre sulla base dei dati di Elemér Mályusz (Egyházi társadalom a középkori Magyarországon, Akadémiai, Budapest, 1971). Basterà qui far riferimento al fatto che del periodo storico che ci interessa il Mályusz presenta tre testamenti di parroci, i quali ci rivelano clerici relativamente abbienti (130-136). Ma vale la pena rimandare anche alle osservazioni di Gabriella Erdélyi Gabriella (Szökött szerzetesek. Erőszak és fiatalok a késő középkorban, Libri, Budapest, 2011), che da un lato mostrano come la posizione di parroco risultasse una prospettiva attraente per gli strati più bassi della società (25-56), e dall’altra parte come anche nelle parrocchie dei villaggi troviamo popolose comunità di clerici (119).

34 F. Romhányi Beatrix, Kolostorok és társaskáptalanok a középkori Magyarországon, Arcanum, Budapest, 2007. (CD) Papíralapon: Budapest, Pytheas, 2000.

35 Szigeti Kilián, Egy XIV. századi énekeskönyvünk továbbélése, MKSz, 80 (1964), 130.

36 Kovács Andrea, A középkori magyar sequentionale, in Omnis creatura significans. Tanulmányok Prokopp Mária 70. születésnapjára, ed. Tüskés Anna, Kerny Terézia, CentrArt Egyesület, Budapest, 2009, 364; e Ea., Szent Erzsébet középkori liturgikus énekei Magyarországon, in: Árpád-házi Szent Erzsébet kultusza a 13-16. században, ed. Falvay Dávid Magyaros Nagyasszonya Ferences rendtartomány, Budapest, 2009, 236.

37 Józsa Attila, Ordo in purificatione sanctae Mariae. Mária tisztulásának ünnepe a középkori Esztergom liturgiájában – A gyertyaszentelés és a processzió szertartása, Doktori (PhD) értekezés, (témavezető: Török József), PPKE HTK, 2009, 162.

38 Borsa Gedeon, A legrégebben nyomtatott pécsi misekönyv, MKSz, 107 (1991), 259.

39 Imrich Kotvan, op. cit., 189. Un esemplare simile già descritto da György Pray (Index rariorum librorum Bibliothecae Universitatis Regiae Budensis, II. Budae, 1781, 116), è attualmente dato per disperso, oppure potrebbe essere identificato con l’esemplare, segnalato da Kotvan, che si trova attualmente a Bardejov.

40 Ivi.

41 Cfr. Missale Strigoniense 1484, op. cit., 638. Per una analisi simile vd. Körmendy Kinga, Studentes extra regnum 1183-1543, Szent István Társulat, Budapest, 2007, 106-107: « Nel colophon del Missale Strigoniense stampato a Norimberga nel 1484 si legge che il messale corretto viene edito con il permesso del vicarius generalis e con l’assenso degli altri membri del capitolo. Questo può spiegare il “segreto” del Missale ad usum dominorum Ultramontanorum stampato a Verona nel 1480. ».

42 Dennis Rhodes, op. cit., 238. Il dato in sé non è particolarmente interessante, poiché lo stesso si può dire degli altri rituali secondo il rito ungherese stampati nel XV secolo (per esempio quello di Norimberga nel 1490 o del messale di Esztergom stampato a Venezia nel 1493), ma assume una rilevanza maggiore se teniamo presente che del Missale Ultramontanorum si sono conservati molti più esemplari degli altri rituali (cfr. Soltész Erzsébet: op. cit., numeri IV e VI, nonché la p. 73.)

43 Conosciamo numerosi esempi di doppia emissione in questo periodo. E dietro vi si nasconde quasi sempre un motivo commerciale. Cfr. Edoardo Barbieri, Guida al libro antico. Conoscere e descrivere il libro tipografico, Le Monnier, Milano, 2006, 119-123.

44 E probabilmente riuscirono anche a venderle. Poiché era relativamente basso il livello minimo che ci si attendeva dal prete negli atti liturgici (Mályusz Elemér, op. cit.., 138-139), possiamo ritenere con diritto che un messale di bella foggia, ben leggibile e dichiaratamente adatto alla liturgia ungherese, come il nostro, fosse facilmente vendibile.

45 Dati sugli esemplari in Soltész Erzsébet: op. cit, scheda I. Su Pál Bornemissza: Új Magyar Irodalmi Lexikon, I-III, Akadémiai, Budapest, 2000, I, 294.

46 Così recita la nota del donatore: « Ego Paulus Abstemius… dedi, dedicavi et dedovi hunc librum in perpetuam haereditatem Ecclesiae Nitriensi per hoc praesens chirographum meum 10. Jan. 1557. » (fonte della trascrizione: Knauz Nándor, A magyar egyház régi szokásai. VII. Régi misekönyveink. II. Nyomtatott misekönyvek, Magyar Sion, 7 (1869), 9).

47 Il caso speciale rappresentato dal Missale Ultramontanorum pone anche un problema di metodo. Nel modellare il metodo di ricostruzione della storia della liturgia, László Dobszay, ricorda tre strumenti che possono guidare lo studioso nelle questioni di identificazione: il calendario, il libro liturgico vero e proprio, e l’ordinario (Az esztergomi rítus, Új Ember, Budapest, é. n. [2004], 32-33). È quindi forse utile ricordare che siamo di fronte a un caso unico, in cui il titolo del libro, cioè il suo stesso definirsi al lettore e le testimonianze sul suo utilizzo diventano punti di sostegno importanti, nonostante l’immagine che ne ricaviamo non sia in armonia con il contenuto del rituale.

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Référence électronique

Norbert András Matyus, « Il Missale ultramontanorum e il mercato editoriale in Ungheria nel Quattrocento », Line@editoriale [En ligne], 7 | 2015, mis en ligne le 02 mars 2017, consulté le 28 avril 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/624

Auteur

Norbert András Matyus

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