Ultima Violenza di Giuseppe Fava in Francia

Traduzione, mise en scène e ricezione

Riassunti

Il dramma Ultima violenza, testamento artistico del drammaturgo siciliano Giuseppe Fava, assassinato dalla mafia nel 1984, è stata tradotta e adattata per la rappresentazione nei tribunali francesi, quattro anni dopo la sua morte. Attraverso l’attività di ricerca e le testimonianze dirette dei registi Pascal Papini e Louis Beyler si analizza la resa in francese del testo, si ricostruisce la mise-en-scène e si valuta la ricezione della critica. Dal confronto delle due diverse produzioni emergono le divergenze culturali tra i due Paesi e al contempo si coglie la medesima necessità della funzione politica del teatro.

The play Ultima violenza, the artistic testament of Sicilian playwright Giuseppe Fava, who was tragically murdered by the mafia in 1984, was translated and adapted for performance in French courts four years after his death. Through extensive research and direct testimonies from directors Pascal Papini and Louis Beyler, this study delves into the French adaptation of the text, reconstructs the mise-en-scène, and evaluates the critical reception. A comparative analysis of the two distinct productions reveals the cultural divergences between the two countries while simultaneously underscoring the shared necessity of theatre’s political function.

Schema

Testo integrale

p. 69-93

Il testo Ultima violenza (1983) di Giuseppe Fava (1925-1984) venne tradotto in lingua francese da Francine-Jurand Ponticelli e pubblicato nel 1989. Un adattamento del testo fu curato da Pascal Papini e Louis Beyler, che, per la prima volta, lo misero in scena con la compagnia Theatre Le Jodel1 al Palais de Justice di Avignone, il 4 luglio 1988 al Festival Off, quattro anni dopo l’uccisione del drammaturgo siciliano per mano mafiosa, avvenuta il 5 gennaio 1984 davanti al Teatro Stabile di Catania2.

Tra la fine del 1983 e l’inizio del 1984 Louis Beyler si trovava al Teatro Massimo di Palermo per l’Opera Il ratto dal serraglio di Mozart3. Fu allora che egli vide alla televisione italiana una intervista rilasciata da Giuseppe Fava, nella quale denunciava infiltrazioni mafiose nelle più alte istituzioni dello Stato4. Fava era un uomo del Sud convinto di potere rendere cosciente la gente, fornendo loro gli strumenti per comprendere, che era necessario cambiare una società ancora molto arretrata e preda dei tentacoli della mafia.5 Quando Louis Beyler apprese dell’omicidio di Fava, decise di leggere i suoi drammi e i suoi romanzi. Trovò, per caso, il testo di Ultima violenza6 e coinvolse Pascal Papini, suo allievo e collega di lavoro, nella creazione di un allestimento del dramma; entrambi furono motivati dalla volontà di dare voce anche in Francia all’autore italiano assassinato dalla mafia.

Inizialmente fecero tradurre il testo in lingua francese trascrivendolo sommariamente e dandone una prima lettura teatralizzata per la « Giornata internazionale del Teatro », nell’aprile del 1984. Beyler aveva dato la traduzione ad un suo amico italianista perché la adattasse più correttamente ma questi venne derubato del testo durante un viaggio in treno. I due registi cercarono nuovamente il testo in tutte le biblioteche francesi, senza alcun successo, ma alla fine riuscirono a rintracciare la famiglia Fava risalendo a un numero telefonico. I Fava mandarono una copia del dramma, concedendo ai due registi i diritti per tradurlo e rappresentarlo in lingua francese7.

Pascal Papini e l’attore e regista Louis Beyler8 scelsero un gruppo di giovani attori e attrici per la messa in scena di Ultima violenza, e, a Avignone, fondarono per l’occasione la compagnia Le Jodel. Senza finanziamenti e con grande passione decisero di mettere in scena lo spettacolo in un’aula di tribunale. Era la prima volta che in Francia uno spettacolo teatrale veniva rappresentato in un Palazzo di Giustizia. Lo spettacolo è andato in tournée in altri tribunali e teatri francesi: il 4 ottobre del 1990 debuttò alla Maison de la Culture de Loire-Atlantique e, il 20 ottobre dello stesso anno, al Palais de Justice di Nantes. In quello stesso anno la produzione francese dell’Ultima violenza vinse il primo premio della « Mise en Scène du Théâtre Contemporain », riconoscimento ritirato a Parigi dalle mani del Ministro della Cultura francese. In seguito, lo spettacolo è stato messo in scena al Théâtre Les Ateliers il 19 marzo 1991, e al Palais de Justice di Lione il 23 marzo dello stesso anno. E ancora al Palais de Justice di Bastia in Corsica e al Théâtre Europe nel 1992, e alla Bourse du Travail de la Seyne-sur-Mer nel 1993. Recentemente, lo spettacolo ha debuttato il 21 luglio del 2018 al teatro Scierie, e l’11 ottobre 2021, alla Chapelle des Italiens al Festival Off di Avignone, sono state presentate letture del testo a cura dell’Atelier florentin9.

Il 1° dicembre del 1989 lo spettacolo aveva debuttato anche alla Première Chambre de la Cour d’Appel del Palais de Justice di Parigi. Per l’occasione vennero organizzate due tavole rotonde alle quali parteciparono il filosofo Laurent Bove, il drammaturgo e regista Gerard-Henry Durand, l’attore e regista Jean-Pierre Vincent, i magistrati Antoine Garapon e Louis Joinet, lo scrittore Robert Abirached, il professore Gérard Soulier e lo scrittore Jean-Pierre Faye. Nella prima si discusse di Teatro-Giustizia/Violenza & Storia con particolare riferimento alla Giustizia e alla Democrazia minate dalla violenza dilagante, denunciata in Ultima violenza, e si dibatté sulla funzione della tragedia greca come aggregante tematico della polis. La seconda tavola rotonda, intitolata Teatralità, rituale e verità trattò l’aspetto politico e rituale del teatro, mettendo a confronto le funzioni dell’esercizio della giustizia, tramite il processo, e il linguaggio teatrale. Furono letti alcuni brani della Repubblica di Platone, della Poetica di Aristotele, delle Confessioni di Sant’Agostino, dei Pensieri di Pascal, de Il teatro e il suo doppio di Antonin Artaud, dei Principi di Filosofia del Diritto di Hegel, parte del Discorso sulla servitù volontaria di Étienne De La Boétie, e ancora brani di Schiller dalla Scena, istituzione sociale e di Foucault dal Dibattito sulla giustizia popolare10.

La vicenda del testo di Fava è di fatto ambientata in un Tribunale Speciale, impegnato a investigare sull’omicidio di un giovane sconosciuto per il quale sono indagati sette imputati: un camionista, un industriale e direttore di banca, un anziano deputato ed ex ministro, una coppia di terroristi, un imprenditore boss della camorra e il grande mafioso. Il palazzo di Giustizia è in stato d’assedio, la folla è in sommossa per chiedere giustizia e cerca di entrare nel Palazzo, che è pertanto sprangato. Un avvocato, un tempo famoso, riprende le sue funzioni per l’occasione e ha il compito di difendere d’ufficio gli imputati, compito che hanno rifiutato tutti i suoi colleghi. Al processo partecipano in qualità di testimoni anche la vedova di un vicequestore assassinato, la madre di un carabiniere ucciso, un collaboratore di giustizia e un emigrante siciliano.

Man mano che l’accusa e la difesa procedono agli interrogatori degli imputati emerge in maniera lampante che il processo che si sta svolgendo non riguarda soltanto l’omicidio del giovane sconosciuto, ma riguarda l’intera nazione italiana e svela l’esistenza di una organizzazione parallela allo Stato, che ha ramificazioni illecite nella politica, nell’imprenditoria e nella società civile. Un vero Stato nello Stato che si sostituisce all’assenza dello Stato Centrale, mettendo a rischio la democrazia e la giustizia11.

Il testo di Fava si caratterizza per la compresenza di elementi propri del teatro-documento da un lato e rimandi alla forma classica dall’altro e si inserisce nel solco del teatro politico di denuncia e di inchiesta all’italiana, percorso in Italia dalla coppia Dario Fo e Franca Rame, da Pier Paolo Pasolini e da Leonardo Sciascia.

Il dramma d’impianto processuale permette all’autore di ricorrere al registro umoristico, presentando l’intero processo come una recita nella quale ognuno interpreta un ruolo, caratterizzata dunque da una eco pirandelliana con risvolti contrassegnati da contraddizioni e « sentimenti del contrario » che offuscano la verità e che rendono difficile la comprensione della realtà generando, tuttavia, un effetto di amara comicità12. Tale recita processuale diviene una vera e propria « trappola per topi » mutuata dalla celebre messa in scena del giovane Amleto, e serve a Fava per smascherare i colpevoli dell’omicidio e stanare i responsabili delle inaudite violenze13. Fava sosteneva infatti che « […] la rivoluzione inizia dal palcoscenico. Grande teatro è quando “bellezza” e “idea morale” sono egualmente presenti »14, sottolineando così l’impegno civile e la funzione politica del teatro.

Locandina di Ultima violenza

Locandina di Ultima violenza

Ultima violenza di Francine-Jurand Ponticelli

La traduzione di Francine Jurand-Ponticelli e l’adattamento di Pascal Papini e Louis Beyeler risultano essere abbastanza fedeli al testo originale. Si nota, però, un generale taglio, soprattutto delle ripetizioni, e una maggiore sintesi delle battute, spesso sostituite tra loro o spostate all’interno del testo senza alterarne il significato. Sono state, inoltre, eliminate le lunghe didascalie che il drammaturgo siciliano era solito inserire nei suoi testi. Dal confronto con il testo originale italiano, emergono però criticità e incongruenze nella traduzione15.

Come è noto, la traduzione teatrale deve essere di comunicazione immediata per il pubblico, più conforme possibile al registro linguistico dei personaggi, e alcune scelte traduttive, se non adattate, possono produrre confusione e spaesamento per il pubblico. In generale, nella traduzione, sono state rispettate le differenze linguistiche tra i personaggi e tra i registri di cultura diversi e le battute sono state adattate alle sonorità e musicalità francesi.

Nella traduzione si notano, tuttavia, alcune scelte lessicali infelici. Nel testo l’appellativo « Dottore » viene tradotto in francese « Docteur »16. Essa è una scelta inopportuna perché, sebbene la lingua italiana utilizzi i titoli di studio per rivolgersi alle persone, nella lingua francese non è uso fare riferimento a tali titoli e si preferisce l’uso del generico « Monsieur » o « Madame » che comunque viene usato nel resto della traduzione. Il titolo « Docteur » in francese designa il medico o il dottore di ricerca e pertanto si tratta di un adattamento poco aderente alla cultura francese. Allo stesso modo, la scelta di utilizzare il titolo « Excellence »17 per « Eccellenza » in ambito giudiziario non è corretto perché in francese ci si rivolge diversamente al giudice, con « Monsieur » o con « Monsieur le Juge ». Ancora, la parola « parenti » viene tradotta « parents »18 invece della più corretta traduzione con la parola « famille ». In francese c’è una polisemia della parola « parents » che può significare sia i parenti familiari che i genitori. Per togliere le ambiguità, in francese, si evita di utilizzare « parents » per « parenti familiari » preferendo la parola « famille », che nel caso specifico potrebbe essere meglio riferito alla famiglia mafiosa in questione. Successivamente, « una sigaretta Nazionale » viene tradotto con la parola « Nazionale »19 dove si sarebbe potuto operare un adattamento scegliendo la marca francese « Gitane ». Tale locuzione poteva essere tradotta più efficacemente con « cigarette sans filtre » poiché non tutti i francesi erano a conoscenza della particolarità della sigaretta nazionale italiana che era proprio quella di essere senza filtro. Ancora, l’espressione « lo hai fatto cristiano » viene tradotto « bon chrétien »20; si tratta di una traduzione mal riuscita perché nell’italiano parlato tale espressione ha come significato l’aver reso la persona di cui si parla un uomo maturo e degno, e non è, invece, legata necessariamente all’aspetto religioso del cristianesimo. Successivamente, la parola « Duomo » è stata tradotta certe volte con « Dôme »21 e altre volte con « Cathédrale »22. La scelta giusta è la seconda perché « Dôme » nella lingua francese designa la cupola, una porzione della Cattedrale. Una scelta lessicale corretta è la traduzione di « bastone » con « canne », che indica bastone da passeggio23. Ma alla fine della stessa battuta, l’espressione « le due bastonate » diventano « coups de bâton » non essendoci continuità di traduzione con la precedente scelta. Si ritrova, ancora, la parola « bâton » nella frase « ho un bastone tra le mani ». Questo cambio di termine può porre problemi di comprensione; difatti sarebbe stato opportuno continuare con « coup de canne »24. E ancora, l’espressione « associazione a delinquere » viene tradotta con « association délinquante »25 trasponendo il qualificativo (in altre parole « associazione delinquente » e non « finalizzata a delinquere »). Dal punto di vista letterale questo aggettivo « délinquante » esiste nella lingua francese ma non è nell’uso regolare di questo sintagma. Invece, l’espressione corretta e corrente sarebbe stata « association de malfaiteurs ».

Inoltre, la frase « la punta del molo » è stata tradotta con « pointe du môle »26, ma risulta essere una scelta errata perché, pur esistendo la parola francese « môle », questo termine è usato molto poco e sembra essere più vicino al concetto di diga o barriera che al concetto di molo; sarebbe stato più immediato utilizzare altre traduzioni come « jusqu’au bout du quai – de la jeteé ».

Tra queste scelte letterali infelici ve ne sono due che sono in controsenso e rappresentano pertanto un errore. Ad esempio, l’espressione « questo mi dispiace » viene tradotto « cela me déplaît »27. Il significato di « déplaire » è più vicino al concetto di « non piacere » che non a quello di « dispiacere », sarebbe stato meglio tradurre con « je regrette », che significa appunto « essere dispiaciuto ».

Successivamente l’espressione « sono cazzi miei » viene tradotta con « ce sont mes couilles »28. L’espressione volgare non è stata affatto adattata alla cultura francese ed è stata tradotta letteralmente « sono i miei coglioni », che non significa nulla in francese. Sarebbe stato meglio un’altra espressione gergale come « ce sont mes oignons » dove il termine « oignons » significa « cipolla » e si usa per dire « sono fatti miei ». Inoltre, la battuta di Eduardo De Filippo estrapolata dal testo Napoli Milionaria che recita « adda passà a nuttata », citata nel testo di Fava, viene tradotta con « vous allez pas y passer la nuit »29. Questa frase idiomatica francese si avvicina all’espressione italiana « non ci passerai la notte » e sarebbe l’equivalente di « non stiamo qui fino a notte » ed ha, dunque, un altro significato, facendo riferimento a una situazione che è troppo lunga, noiosa. Invece, la nota battuta napoletana originale fa riferimento ad un senso di ottimismo nel futuro, nel superamento di una crisi, ad una speranza di tempi migliori. Si sarebbe potuta trovare perciò un’altra soluzione.

Benché si siano trovati nella stampa tanti errori di traduzione, in alcune occasioni la traduttrice ha saputo adattare correttamente il testo alla cultura francese. L’espressione « toccavano ferro » diventa « et ils touchaient du bois »30, ossia « toccavano legno » poiché in Francia si suole toccare il legno come segno di scongiuro ed ancora « diciassette cimiteri » diventa « treize cimetières »31, ossia « tredici cimiteri » poiché è il tredici il numero sfortunato nella cultura francese, ed infine « Io sono lo Stato » tradotto letteralmente con « Je suis l’État »32, anche se, in quest’ultimo caso, si sarebbe acquistata maggiore memoria storica francese con una costruzione sintattica diversa, ad esempio con la celebre frase attribuita a Luigi XIV « L’État c’est moi ». Si può considerare, inoltre, che la traduzione dei passati remoti italiani con il passato prossimo francese sia parte di una forma di adattamento in quanto la lingua francese usa raramente il passato remoto nella lingua orale. Alcuni tempi verbali usati nella lingua siciliana vengono tradotti correttamente come ad esempio « e che cosa facesti? » viene tradotto « Et que fis-tu? » mantenendo il passato remoto, creando però così un senso di straniamento o di caricatura della parlata letteraria33.

Infine, la formula della negazione « J’ai pas tué cet homme »34 denota un adattamento alla lingua francese parlata in cui la particella « ne » che nella lingua francese viene premessa al verbo, nella lingua parlata viene omessa in contesti non formali.

Si nota, inoltre, che l’ortografia di alcuni nomi propri dei personaggi è stata cambiata. In due casi si tratta di un cambiamento delle vocali doppie che il francese non riproduce e quindi non li distingue foneticamente. Tenendo conto che in francese l’accento tonico cade sempre sull’ultima sillaba nelle parole che terminano con una vocale sonora, la pronuncia della parola italiana diventa tronca e c’è un probabile accostamento fonetico tra la pronuncia corretta di « Cutolò » che dunque diventa « Marulò », forse anche per assonanza al reale nome del boss della camorra Cutolo dal quale è stato tratto il personaggio.

E così il nome del Capitano diventa Giorgio Scutto anziché Scuto dell’originale e il nome Lamante diventa Lamente. Questo lo si può attribuire al fatto che le sillabe nasali « an » e « en » hanno esattamente la stessa pronuncia.

Infine, nella traduzione si notano alcuni errori grammaticali. L’espressione « quiconque tenterai de se rebeller ou fuir, visez la tête »35 doveva usare il condizionale « tenterait », e pertanto riporta un errore di battitura, mancando la lettera « t » finale, anche perché « tenterai » è il futuro della prima persona che non può essere accordato alla frase. L’espressione « victime inconnu assassiné » viene tradotto con « inconnue assassinée »36, che riporta un errore di accordo di genere. Nella battuta che pronuncia il personaggio dell’avv. Bellocampo, il sintagma « massima onorificenza del lavoro » diventa « la plus grande honorification du travail »37 ma si tratta di un calco, perché la parola « honorification » non esiste in francese e si sarebbe potuto tradurre con « Médaille du travail ». Tuttavia, complessivamente nella traduzione in francese, si è tentato di mantenere forti i riferimenti all’italianità anche dal punto di vista lessicale, in accordo alle tematiche, al contesto, ai caratteri dei personaggi e ai loro cliché, ai luoghi di provenienza e a nomi, con la volontà da un lato di adattare la traduzione per la comprensione del pubblico francese senza però, dall’altro, alterare la provenienza del dramma.

La compagnia Le Jodel al Tribunale di Parigi

La compagnia Le Jodel al Tribunale di Parigi

La mise en scène in tribunale

Per la prima volta in Francia uno spettacolo fu messo in scena in un’aula di tribunale. Il testo francese di Ultima Violenza si apre con l’annuncio del Capitano delle forze speciali che riferisce che il Palazzo è circondato dai reparti armati, perché fuori è in atto una sommossa popolare disposta a qualsiasi gesto efferato se non fosse stata fatta giustizia.

Tale scena è stata eliminata nella rappresentazione italiana di Catania del 1983, la quale inizia con l’esposizione del Procuratore generale. Nella versione francese sono stati mantenuti, invece, tutti gli ingressi del Capitano delle forze speciali che assumeva il ruolo di ‘messaggero’ portatore di notizie della rivoluzione in atto all’esterno e del clima di terrore e di pericolo in corso. Questi ingressi del Capitano sono stati ridotti drasticamente nella rappresentazione italiana. Tale differenza sottolinea il diverso intento tra la messa in scena italiana e quella francese, nella quale si dava molto più risalto ai temi della democrazia e del pericolo di un colpo di stato, la messa in discussione della giustizia in un clima di terrore e di sommossa, mentre in Italia si metteva in luce maggiormente il processo alla Mafia, tema che riguardava chiaramente molto più da vicino il Sud Italia.

La rappresentazione italiana aveva una durata maggiore di quella francese ed era prevista una pausa di 15 minuti tra il primo e il secondo atto, mentre nella rappresentazione francese non c’era pausa e lo spettacolo durava 1h e 45 minuti. Difatti, come ricordato, il testo è stato molto tagliato, soprattutto sono state eliminate le ripetizioni e sintetizzate le frasi all’interno delle singole battute, diventando molto più diretto e conciso. Sono state, inoltre, eliminate tutte le didascalie presenti nel testo poiché non avevano più ragione di esistere per la messa in scena nell’aula del tribunale.

Tagli cospicui si registrano soprattutto nell’ultima parte del testo, poiché nella versione francese il finale coincide con la rivelazione dell’identità del giovane ucciso, mentre nella versione originale italiana la messa in scena prosegue sino alla conclusione del processo che svela i colpevoli.

L’idea dei registi è stata quella di portare il teatro fuori dall’edificio teatrale e di rappresentare un processo ‘finto’ in un tribunale ‘vero’. L’operazione è stata molto complicata, come hanno riferito i registi intervistati, che decisero di coinvolgere il tribunale di Avignone e di inserire lo spettacolo nel Festival Off del 1988. Dopo tante difficoltà burocratiche necessarie per avere le autorizzazioni per recitare in un Palazzo di giustizia riuscirono ad ottenerle dal Presidente Jean-Claude Xuereb, che era un giudice, ma anche poeta e amico di Camus38.

Per motivi di sicurezza, si è dovuto ricorrere all’autorizzazione del Ministero della Giustizia, con l’obbligo della permanente presenza della polizia sia durante le prove che durante lo spettacolo. Il progetto è stato accolto positivamente dai magistrati e dagli avvocati dell’epoca.

Si deve pensare che l’allestimento al tribunale è stato oltremodo complicato perché la Compagnia non poteva provare durante il giorno nell’aula che era aperta alle udienze giudiziarie. Le aule di tribunale potevano contenere circa 200 posti a sedere e hanno registrato un grande successo di pubblico tutte le sere per l’intera durata delle recite. Il pubblico per accedere allo spettacolo doveva superare severi controlli di sicurezza e pertanto veniva perquisito all’ingresso e poi accompagnati dalla polizia fino all’aula del tribunale, dove ad accoglierlo c’erano gli attori travestiti da gendarmi, creando un assoluto gioco tra realtà e finzione.

Presenti tra il pubblico della prima rappresentazione al tribunale di Avignone nel 1988 c’erano anche la Presidente del tribunale di Parigi della prima sezione della Corte d’Appello Myriam Ezratty, e il magistrato Pierre Truche, che rimasero impressionati dalla forza dello spettacolo e che invitarono la Compagnia a replicare lo spettacolo anche nell’aula della prima Corte d’Appello del tribunale di Parigi. Quest’ultima è un luogo denso di memoria, poiché è stata la sede nella quale nel 1945 era stato condannato a morte il maréchal Pétain, davanti alla corte marziale per l’accusa di alto tradimento nei confronti della Repubblica francese. Prima ancora, tale luogo era stata la sede in cui venne spezzato il testamento di Luigi XIV che voleva designare come successore il figlio avuto da Madame de Montespan. E ancora, la sala del tribunale era divenuta sede del ‘tribunale rivoluzionario’ in carica dal 1793 al 1795, luogo in cui erano stati condannati al patibolo Maria Antonietta, Danton, Robespierre e persino Fouquier-Tinville che era stato il pubblico accusatore del tribunale rivoluzionario. Dunque, un luogo simbolico in cui la rappresentazione teatrale del testo assumeva un significato anche storico39.

Si poneva l’attenzione, pertanto, sul rapporto tra teatro e giustizia a partire dall’origine del ruolo del teatro nel dibattito pubblico della Grecia antica, sulla forza della parola del dramma e sul processo-dibattito ‘finto’. Del processo e del teatro si esaltava la comune funzione rituale, mentre l’intrusione del doppio finto-processo nella realtà di un tribunale vero consentiva un’autentica riflessione sulla ricerca della verità e sulla funzione della giustizia in uno Stato democratico, mettendo a nudo le relative debolezze e contraddizioni, per mezzo dell’arte scenica. Tale schema è in accordo con la quarta norma di recitazione del « doppio finto » contenuta nel trattato Dell’Arte Rappresentativa (1728) di Luigi Riccoboni, dalla quale si estrae il “vero” dall’inganno della finzione40.

Per la mise en scène in tribunale i registi hanno pensato di eliminare tutti gli aspetti di “teatralità” che erano presenti nel testo originale, come ad esempio le luci, i suoni, la scenografia cercando di mantenere soltanto l’essenziale, la vicenda del processo. « Mettere in scena un processo finto in un tribunale vero significa non fare una parodia della giustizia negli elementi di teatralità, quindi nei costumi o nella scenografia, ma la sua messa in scena deve far risuonare la parola, una parola urgente in un luogo portatore di memoria »41.

Pertanto, non si sono utilizzati costumi di scena e non sono state indossate le toghe né per l’avvocato, ed il procuratore né per il presidente, i quali erano solamente in giacca e cravatta come per i processi eccezionali. Tutto il decoro della giustizia è stato eliminato per rimanere sui binari del processo, su indicazione del testo. Gli unici in costume erano gli attori che interpretavano i carabinieri delle forze speciali e il Capitano, che si confondevano, come detto, con quelli veri presenti in sala, creando l’illusione della « menzogna teatrale ».

L’intento della mise en scène, pertanto, è stato quello di rendere più diretta e più asciutta la rappresentazione dato il luogo realista. Sono state, infatti, eliminate, come per altro anche nella rappresentazione italiana, tutte le scene dell’apparizione della Donna senza nome, moglie del protagonista del dramma, sottolineando, pertanto, l’iperrealismo della messa in scena.

I registi non avevano consultato materiale fotografico pregresso della rappresentazione di Catania, forse anche per orgoglio, perché non volevano farsi influenzare. Tanto è vero che a differenza della rappresentazione francese, nella scena italiana si riproduceva un’aula bunker dove c’erano enormi celle con inferriate di ferro nelle quali erano rinchiusi gli imputati. Nella rappresentazione francese, invece, la disposizione dei personaggi si è adattata allo spazio presente nell’aula di tribunale. L’idea è stata di rappresentare un Tribunale Speciale ed era necessario cambiare, quindi, la disposizione normale delle parti, collocando gli imputati schierati al centro, il pubblico ministero e l’avvocato un po’ sotto nei laterali, rispettivamente l’avvocato a destra e il procuratore a sinistra e il Presidente ancora più laterale a destra tra i giurati e i testimoni del processo. Questo è stato un modo per utilizzare l’architettura giudiziaria, per cercare di spiegare la funzione di un Tribunale Speciale, che ha un rito e funzioni diverse dalla giustizia ordinaria42.

La gestazione dello spettacolo è stata impegnativa poiché la maggior parte degli attori erano di altri luoghi della Francia e, oltre ad una prima lettura d’ensemble, è stato faticoso organizzare le prove, data la lontananza e la scarsità dei fondi. I registi hanno lavorato sui singoli personaggi separati e lo spettacolo è stato montato soltanto in dieci giorni di prova, prima del debutto di Avignone. La messa in scena era semplice, si rispettava la vicenda del processo, si doveva considerare la posta in gioco e le ragioni dei personaggi. Dal punto di vista della recitazione, è stato chiesto agli attori di misurare l’intensità e la frequenza dei gesti e sono stati decisi insieme gli spostamenti nello spazio e le azioni fisiche che dovevano essere sempre in accordo con la parola, la vera protagonista. Tale schema è conforme con la terza norma di recitazione del « gesto apposito » contenuta nel trattato Dell’Arte Rappresentativa (1728) di Luigi Riccoboni, con la quale si indica una interazione tra la parola e il gesto che devono corrispondersi per permettere « all’attore di far credere che senta quel che esprime »43.

Gli attori hanno trovato le caratterizzazioni dei loro personaggi sotto la guida sapiente dei registi, con la massima raccomandazione di non andare in over acting, una teatralità esagerata e sopra le righe, poiché il luogo realista avrebbe fatto apparire posticcia qualunque sbavatura. Il regista Pascal Papini aveva l’impressione che la rappresentazione in quel luogo fosse

[…] troppo teatrale, perché non potevamo più fare teatro, il luogo era ingombrante e la recitazione doveva essere calibrata. Avendo poco tempo a disposizione dovevamo ricordare tutto velocemente e lavorare non tanto in un iperrealismo che veniva da sé, ma in una precisione delle cose, perché ogni eccesso di teatralità, poteva distogliere l’attenzione, essere esagerata. Anche se la giustizia frequentemente usa la teatralità, ma non è affatto la stessa cosa in teatro, abbiamo lavorato dunque a togliere fino all’essenza della parola e della azione semplice44.

Louis Beyler, che interpretava il protagonista avvocato Luigi Bellocampo, racconta oggi:

Non stavo cercando di fare grandi discorsi come un oratore, perché il mio personaggio era un avvocato molto modesto e stravolto da un trauma molto tragico ma che non perde per questo la forza di lottare e un pizzico di umorismo. […] Ho messo nell’interpretazione del personaggio tutta la mia indignazione per l’uccisione dell’autore e tutto il mio impegno civile nel restituire la storia di un uomo che, nonostante il disincanto, non smette di lottare e di ricercare la verità, cercando in qualche modo di identificarmi con l’autore stesso del dramma45.

Questa interpretazione dell’attore francese è in accordo alla quinta norma di recitazione del « subcontrario » contenuta nel trattato Dell’Arte Rappresentativa (1728) di Luigi Riccoboni, con la quale le caratteristiche opposte del personaggio si compenetrano nella recitazione, preservandone le differenze46. Pascal Papini, in aggiunta, ha definito i personaggi « poetici e al contempo crudeli e spezzati, personaggi tipicamente del Sud Italia che con il loro modo di dire e non dire le mezze verità e di recitare per mentire o insinuare il dubbio, rendono difficile la comprensione della verità ma hanno una efficacia recitativa e interpretativa formidabile e di sicuro successo per la recitazione degli attori »47.

La recitazione della compagnia francese derivata dalla scia formativa che faceva riferimento agli insegnamenti di Jacques Copeau, trasmessi dal nipote e allievo Michel Saint Denis all’attore Louis Beyler, era basata sull’improvvisazione della situazione, sull’energia interiore che doveva convergere con l’azione fisica esterna. Si trattava di una disciplina che coinvolgeva gli attori interiormente e si manifestava nell’espressione corporea, in uno stadio emotivo pronto ad accogliere la parola48. Si nota, pertanto, un apparente diverso modo nella recitazione praticata dalla Compagnia del Teatro Stabile di Catania che poneva maggiore attenzione alla parola, ai toni e gradi dell’espressività vocale in accordo ad un apposito gesto, che faceva riferimento al Teatro all’antica italiana, praticato dal primo attore siciliano Turi Ferro. Entrambi i metodi conducevano gli attori a un medesimo risultato caratterizzato da una espressività e una naturalezza situazionale.

Pascal Papini avvertiva il pericolo di tale adattamento, aveva paura di smarrirsi, di fallire, perché non era solo un’operazione spettacolare, non bisognava solamente recitare ma « interrogare la giustizia, la democrazia e forse anche la funzione stessa del teatro » e nella mise en scène ha cercato di sottolineare la semplicità con la quale Giuseppe Fava riusciva a smontare i meccanismi di una società alle prese con la mafia, che creava uno Stato nello Stato.

Infine, Pascal Papini racconta della tensione per il debutto dello spettacolo alla prima Corte di Appello di Parigi alla presenza delle più alte cariche del tribunale, delle autorità e alla presenza dei familiari di Giuseppe Fava, in particolare del figlio Claudio, il quale, come afferma lo stesso Papini, ha apprezzato l’adattamento e i tagli apportati, trovandolo molto fedele all’originale e notando che ne conservava intatta la forza di denuncia, la chiarezza espositiva e la resa scenica.

La preoccupazione di Pascal Papini di far diventare il testo troppo didascalico o didattico, come le opere di Brecht durante l’ascesa del fascismo, non era fondata49.

La compagnia Le Jodel sulla scalinata del Palais de Justice di Parigi

La compagnia Le Jodel sulla scalinata del Palais de Justice di Parigi

La ricezione francese

La stampa francese ha accolto positivamente la messa in scena di Ultima violenza in un’aula di tribunale. Nell’Articolo su Le Quotidien de Paris firmato da Armelle Heliot e intitolato « Une scène politique » si pone l’accento sull’aspetto politico della scena. Si definisce come politico il percorso degli spettatori che nell’inverno francese dovevano passare i severi controlli del tribunale per assistere allo spettacolo Ultima violenza. Infatti, come si apprende, gli spettatori venivano perquisiti e sorvegliati da veri gendarmi e la scenografia realista faceva da cornice al processo-finto. L’articolo sottolinea che non si cercava di recitare la giustizia ma di ricordare come la giustizia fosse un simbolo della democrazia. Si encomia, poi, l’abile recitazione degli attori, forse un po’ troppo piena di pathos e un po’ forte nell’accusa politica, soprattutto del protagonista che riusciva comunque a commuovere e a far pensare all’autore che, senza compromessi, aveva portato avanti i suoi ideali e aveva perso la vita, proprio perché credeva nella giustizia e nella verità50.

Nell’Articolo « Coups de théâtre » di Ruth Valentini del L’Observateur si pone l’accento sulla dualità della finzione e della realtà del testo nel solco della visione shakespeariana del mondo come un palcoscenico. Si ricorda il decentramento del teatro realizzato nei licei, nei caffè e perciò, in questo caso, anche al Palazzo di Giustizia, sottolineando l’inedita veste del tribunale come luogo della scena teatrale. Si paragona, altresì, l’aula del tribunale in cui è ambientato il processo di Ultima Violenza all’ambientazione claustrofobica dell’inferno dell’Huis Clos di Jean Paul Sartre. Quindi, l’articolo pone in risalto come il processo finto entri nel luogo della giustizia vera, con una scenografia realista che crea un effetto di verità assoluta. Si pone l’attenzione, anche, sulla provenienza italiana del testo che tratta i temi della mafia e della giustizia, che non si dimostra particolarmente tenero con i magistrati collusi e che è collegato alla morte dell’autore. Emerge la volontà del regista e dell’attore di far conoscere il testo ad un pubblico francese e si afferma che assistendo allo spettacolo, a poco a poco, si fa strada nella mente dello spettatore una riflessione sulla cittadinanza e sull’appartenenza a una società democratica che può essere messa a rischio in un vero processo alla giustizia51.

Nell’articolo di Libération intitolato « Ultima violenza en appel » si fa riferimento al giornalismo e al teatro di impegno civile dell’autore, il quale era di disturbo per le sue denunce pubbliche e per la costante ricerca della verità per il tramite del linguaggio teatrale. Anche questo articolo ricorda l’eccezionalità della messa in scena di uno spettacolo al Palazzo di Giustizia e l’ambiguità dell’intreccio dei piani della finzione e della realtà che l’ambientazione suggeriva. Nell’articolo si fa, anche, riferimento ad una inziale preoccupazione e pregiudizio dell’opinione pubblica sulla buona riuscita di uno spettacolo che riguardasse quei temi ed al suo adattamento in quel contesto così inusuale, dubbi poi sorprendentemente disattesi. Si ricorda, ancora una volta, come la messa in scena fosse sobria, senza nessuna aggiunta di costumi o di effetti teatrali. Il testo era molto più di un manifesto, era un testo drammatico, un ritratto violento e senza fronzoli di una società smantellata dalla collusione e dal potere. Si elogia, nuovamente, la recitazione degli attori, la loro convinzione interpretativa, e la commovente interpretazione del protagonista Louis Beyler che interpreta l’avvocato Bellocampo52.

Nell’articolo « Au Palais de Justice de Paris Ultima Violenza » si richiama subito la provenienza siciliana dell’autore e la volontà di presentarlo al pubblico francese, nonché l’eccezionalità della rappresentazione in un Tribunale. Vengono ricordate le peripezie per recapitare il testo da parte di Louis Beyler e il fatto che l’attore si fosse stupito che in Sicilia questa uccisione non avesse destato nell’opinione pubblica la stessa indignazione e sgomento che lo avevano portato ad agire. Sono, difatti, riportate le impressioni di Beyler sulla Sicilia, sul clima di silenzi ed indifferenza che hanno reso anche difficile il reperimento del testo. Si definisce la pièce una specie di pot-pourri perché nel processo non è in scena un singolo caso, ma più pezzi eterogenei di tanti processi legati tra loro, rimarcando così la grande importanza del testo, che riesce a ricollegare il tutto in un unico processo allo Stato. L’articolo mette in risalto il tema del terrorismo presente nel testo, espresso dalla coppia di terroristi italiani e tedeschi, ricordando che anche in Germania era alto il pericolo del terrorismo negli anni Settanta e Ottanta del Novecento con la Banda di Baader Meinhof e soprattutto in Italia con le bande terroristiche di estrema sinistra, come le Brigate rosse e quelle di estrema destra, come Avanguardia nazionale. Tali bande, peraltro, tra le loro fila nascondevano spesso membri della malavita organizzata, della mafia siciliana e della camorra. Nell’articolo si ricorda come Fava non avesse voluto mirare a un realismo puro, ma a porre una riflessione sulla violenza, ricorrendo a una certa atmosfera barocca del Meridione italiano; personaggi che potrebbero essere dei ‘pupi’, marionette siciliane le cui fila sono tirate da poteri forti che restano nell’ombra. Si mostra, inoltre, la distinzione che Fava faceva degli esecutori, che erano al gradino più basso dell’organizzazione mafiosa, degli intermediari politici, degli imprenditori, dei banchieri e dei padrini della mafia e della camorra. Viene notato, altresì, l’accostamento del personaggio di Marulo a Cutolo, boss della camorra napoletana, e si mette in evidenza come i mafiosi siano tutti pezzi di un puzzle, di un potere che cerca di infiltrarsi nello Stato e anche nella Giustizia. Oltre alla mafia è proprio la Giustizia ad essere sotto processo, colpevole secondo Fava di trascurare l’interesse dell’individuo. Nell’articolo si pone l’accento sulla concomitanza della messa in scena di Ultima Violenza in Francia con lo svolgimento del maxiprocesso in Sicilia, riportando il dibattito nell’opinione pubblica italiana tra coloro che criticavano l’organizzazione del maxiprocesso, in cui era sotto accusa la più feroce criminalità organizzata dell’epoca, e coloro che, invece, sostenevano che grazie ad esso sarebbero emerse le collusioni tra politica, potere e mafia profetizzate dal testo di Fava53.

Infine, nell’articolo di Le Monde di Michel Cournot intitolato « Trois étrangetés », si accostano tre racconti insoliti su scene parallele, Ultima Violenza, processo di mafiosi, Un transport amoureux di Raymond Lepoutre, sconvolgimento di un ostaggio liberato, Le Diplomate et le Mullah di André-Pascal Gaultier, storia di un uomo che ha tradotto le Mille e una notte. Si ricorda che si è spesso ricorso all’adattamento di processi in teatro e al cinema e che questo genere appassiona il pubblico per la sua componente di voyerismo e per gli effetti dell’udienza, ricordando che il processo possiede svariati elementi che sono propri della teatralità. I tre testi sarebbero accomunati dal fatto che la giustizia vi viene presentata quasi come apparentata al teatro piuttosto che, come sovente accade, alla storia, perché tramite le sue componenti istruttorie e interrogatorie ha come fine la ricerca della verità. Si sottolinea, anche qui, che si tratta di una pièce italiana, di un processo finto su argomenti veri e si mette in luce il ritratto di una società attuale che la breve trama, definita secca e appassionata, mette in mostra. Nell’articolo poi si ricorda la nascita della Mafia, fin dal suo esordio dell’Ottocento, come espressione originaria di indipendenza e di autonomia dalle lunghe dominazioni subite dai siciliani, che si era sviluppata per la necessità di creare uno sdoppiamento con le autorità di turno. Si mette in luce come la traduzione di Ponticelli suoni giusta, come la messa in scena sia semplice e come la presenza del pubblico nella sala della Prima corte d’appello renda lo spettacolo godibile senza difficoltà di acclimatazione, di visibilità o udibilità, grazie all’intensità degli attori54.

Di questo spettacolo v’è traccia anche nella stampa nazionale italiana nell’articolo intitolato « La mafia va in scena a Parigi e il giudice diventa attore » del Corriere della sera. Nel sovratitolo, ancora, si legge « Il tribunale della capitale francese trasformato in Teatro per Ultima Violenza di Giuseppe Fava, vittima di Cosa Nostra ». Si menziona il colpo di pistola per mano mafiosa che nel finale dello spettacolo, all’interno della sala del Tribunale, uccide l’imputato Giuliano Sanfelice in procinto di confessare il colpevole dell’omicidio e l’applauso del pubblico, rimasto attonito. Quel finale ha sbigottito persino un giovane magistrato, Antoine Garapon, che dichiara che

ci vuole del coraggio democratico a trasformare un’aula di tribunale in un luogo di spettacolo. La convivenza di teatro e giustizia, per quanto breve, ha scatenato dentro di me simboli e angosce. La struttura di un processo non è che il copione di un dramma reale. Cos’è la mia toga? Un costume da attore o un emblema?

Lo stesso magistrato ha, poi, partecipato al dibattito organizzato dopo lo spettacolo, precedentemente ricordato. Dall’articolo si viene a conoscenza della presenza di numerosi magistrati tra il pubblico, sorpresi proprio per la scelta del luogo della messa in scena, perché per la prima volta a Parigi « il teatro prende la parola nel Palais » e si ricorda che in quei luoghi sono stati processati il maresciallo Pétain e il mostro Landru. L’articolo prosegue ricordando il drammaturgo e giornalista Giuseppe Fava, lamentando che in Italia sia stato velocemente dimenticato, mentre a Parigi è stata fatta giustizia e l’autore è stato « resuscitato ». Nell’articolo si intervista il figlio Claudio Fava che racconta la trama dello spettacolo e ne sviscera le tematiche. Viene descritta minuziosamente l’aula della Prima Corte d’Appello di Parigi, gli arazzi sui muri, gli affreschi del tetto e i lampadari di ferro battuto e si nota che dove di solito siedono i giudici e gli avvocati, c’è il palcoscenico e gli attori dello spettacolo. Nell’articolo si evidenzia che i registi Pascal Papini e Louis Beyler hanno voluto conservare l’essenzialità del processo di comune accordo con la Myriam Ezratty, primo presidente della Corte d’Appello e Pierre Truche, Procuratore generale. Si rimarca che il dramma è un processo ambientato in un Tribunale Speciale e che la folla, all’esterno, è in agitazione e tenta di assaltare il Palazzo. Si immagina che il pubblico pensi alla città di Palermo come un « groviglio sanguinario e velenoso di uomini uccisi, corrotti, di mafia o di legge ». Si afferma che lo spettacolo attrae lo spettatore tanto da voler partecipare attivamente al processo o al giudizio degli imputati, tant’è che il giornalista ritiene che il teatro di Fava smuova le coscienze. Successivamente, si ricorda anche il tema della pena di morte, che nel testo è approvata a Roma per giustiziare i colpevoli delle stragi e si racconta di un mormorio diffuso tra le prime file del pubblico e di sguardi impauriti o di sfida alla fine dello spettacolo. Tutti gli spettatori sono diventati protagonisti « pencolanti tra finzione e realtà, come in un gioco delle parti » e si chiude la recensione ricordando che « deve essere stata una serata schizofrenica per gli uomini in toga »55.

Il pubblico francese sembrò, secondo quanto si apprende dalla rassegna stampa, di aver gradito lo spettacolo. Lo rivela anche il regista Pascal Papini, che ci ha ricordato che il pubblico era eterogeneo; da una parte c’erano tutti i magistrati, avvocati e tutti gli addetti ai lavori sia della giustizia che del teatro, dall’altra c’erano gli spettatori che non avevano completamente idea di tale operazione, un pubblico molto popolare formato, cioè, da gente comune che non si aspettava di assistere ad uno spettacolo del genere in un tribunale. I registi ricordano che era davvero emozionante vedere tutte queste persone radunate insieme in quel luogo, sia i fedeli spettatori che le persone nuove al teatro, poiché erano riusciti nel loro intento di far conoscere il drammaturgo siciliano anche in Francia56.

Da questo studio sulla messa in scena di Ultima violenza nei Palazzi di Giustizia francesi si può apprezzare come siano stati adattati i temi del dramma al contesto francese e come la rappresentazione della questione sociale e politica italiana abbia sollevato riflessioni e comparazioni con altri autori teatrali francesi che condividono posizioni affini all’autore: il già citato Jean Paul Sartre, per il suo impegno in campo politico e per le sue lotte etiche a favore della libertà dell’individuo contro ogni forma di violenza; l’autore Albert Camus, per la dedizione civile e morale dei suoi testi e per i temi legati alla giustizia e alla rivoluzione; e infine l’autore Armand Gatti, per la professione di giornalista che lo accomuna a Fava, come punto di partenza privilegiato per osservare la realtà e trasporla sulla scena, con l’intento di fornire un mezzo di riscatto per gli emarginati della società. In ultimo, la pièce Ultima violenza si inserisce appieno sia nella drammaturgia europea, specialmente nella scia della scrittura di impianto processuale di Peter Weiss, sia nelle dinamiche dell’avanguardia americana del Living Theatre.

Pierlorenzo Randazzo e Pascal Papini

Pierlorenzo Randazzo e Pascal Papini

Italianità nella cultura francese

L’interesse dei registi francesi per il testo di Giuseppe Fava nasce innanzitutto dal loro impegno politico e dalla volontà di restituire voce al drammaturgo siciliano assassinato dalla mafia a Catania, qualche anno prima. In secondo luogo, nasce dall’ammirazione nei confronti di Fava, in quanto capace di denunciare coraggiosamente la mafia, in un contesto molto pericoloso per l’epoca, così apertamente per mezzo del teatro e della stampa e di sostenere che « la mafia si trovava al livello più alto dello Stato ». Inoltre, l’interesse sorge anche dalla struttura del testo, dal « processo in teatro » che « è alla base del teatro, un teatro visto come dibattito pubblico in una dimensione accostata alla tragedia greca, una dimensione politica, sociale, di messa in discussione della democrazia e della giustizia dello Stato »57. Ultima Violenza li ha colpiti profondamente come cittadini prima che come artisti, al punto da impegnarsi in questo progetto che chiaramente interessava la cultura italiana ma che, a ben vedere, riguardava tutti i cittadini europei per il lato metaforico, filosofico, sociale e politico dei temi trattati. Il regista Papini definisce il testo « scomodo » e sottolinea che « assassinare un autore non è una cosa ordinaria, soprattutto se questo accade davanti allo stesso teatro che aveva visto in scena il suo ultimo spettacolo ». E aggiunge che la loro volontà era di non far tacere la sua voce ma al contrario di espanderla anche nell’opinione pubblica francese58.

Nella traduzione e nell’adattamento francese del testo del drammaturgo siciliano Giuseppe Fava si conservano in definitiva alcuni marcatori ed elementi della cultura italiana. Essi si percepiscono nelle caratteristiche e nei luoghi in cui si svolge il dramma e rimane forte la provenienza geografica dell’autore riconoscibile dalla caratterizzazione dei personaggi e dal tema della Mafia. Sebbene alcuni costrutti siano stati adattati per la comprensione ad un pubblico francese, è rimasta riconoscibile l’italianità del testo.

Come si è visto, i temi centrali del dramma riguardano il processo alla Mafia, le implicazioni e le infiltrazioni tra la politica, la finanza e la società civile, la corruzione, il concetto di democrazia e l’attentato allo Stato, l’esercizio fallimentare della giustizia, il dibattito sulla pena di morte, il terrorismo e la rivoluzione sociale, la disuguaglianza, l’emigrazione e l’arretratezza del sud Italia.

Il tema della mafia italiana potrebbe sembrare estraneo alla società francese, ma nella misura in cui la mafia crea uno Stato nello Stato e mette in crisi la democrazia di uno Stato europeo, il suo sistema della giustizia e dell’ordine pubblico, diviene una questione di interesse comune. Negli anni delle rappresentazioni francesi di Ultima Violenza la mafia controllava il territorio siciliano ed il suo potere si estendeva anche all’estero dato che si occupava della produzione e commercializzazione della droga in tutta Europa e attraverso un sistema di ricatti e violenze corrompeva capillarmente esponenti eccellenti della società civile italiana. Sono gli anni delle stragi a danno di operatori delle forze dell’ordine, sindacalisti, commercianti, politici, giornalisti e magistrati, che avevano tentato di ostacolare lo sviluppo della mafia. In particolare, a Palermo, eclatanti furono i due attentati del 1992, in cui rimasero uccisi i giudici Falcone e Borsellino e le loro scorte, che da anni, congiuntamente ad altri colleghi, lavoravano per smantellare l’organizzazione Cosa Nostra, le cui dinamiche e i cui vertici erano stati scoperti e smascherati grazie al primo maxiprocesso della storia italiana. L’opinione pubblica francese poteva valutare, dunque, l’aderenza del testo teatrale di Fava all’attualità italiana.

Un tema scottante nel dibattito politico francese era certamente il tema della pena di morte che in Francia era stata abolita dal Codice penale soltanto nel 1981, durante la presidenza di Mitterand, pochi anni prima della messa in scena del testo di Fava e che pertanto suscitava ancora alcuni strascichi di riflessione. Diversa era, invece, la situazione italiana, nella quale la pena di morte era stata abolita prima nel 1889 dal Regno d’Italia, poi reintrodotta dal Fascismo e infine abolita con l’entrata in vigore della Costituzione italiana del 1948 e dunque, non rappresentava più un pericolo attuale, ma c’era il pericolo che il clima degli anni di piombo avrebbe potuto resuscitarla.

Ad esso è legato il tema dell’esercizio della giustizia in uno Stato democratico in contrapposizione ad un esercizio privato della stessa, e ci si interroga, pertanto, sul suo ruolo di tutela dei cittadini dalle ingiustizie perpetrate dai poteri forti della società. Le collusioni tra politica e imprenditoria cui si fa menzione nel testo e che risiedono nell’ambito del territorio italiano non riguardano solamente l’attualità italiana, ma possono riferirsi parallelamente a tutte le vicende di corruzione e di collusione presenti anche in Francia ed è così che il dramma svolgeva una funzione di denuncia, indiretta, anche delle vicende francesi.

Di grandissimo interesse per l’opinione pubblica francese era il tema del funzionamento della democrazia, delle sue fragilità, delle insidie dei colpi di stato di gruppi terroristici che mettevano in pericolo la tenuta del patto sociale, anche se il riferimento al terrorismo era di particolare interesse preminentemente per l’opinione pubblica italiana.

Invece, il dibattito attorno al tema della rivoluzione, che presenta i connotati di una sommossa tumultuosa, cieca, inferocita e disposta a linciare i colpevoli se non fossero stati condannati o i giudici se non fossero stati capaci di rendere giustizia, appartiene storicamente alla cultura francese e pertanto, tale tema presente nel testo è stato volutamente messo in evidenza in misura maggiore rispetto alla rappresentazione italiana.

In ultimo, il tema dell’emigrazione dal Sud Italia verso le regioni più ricche dell’Europa è rimasto nell’adattamento del testo francese, poiché, sebbene sia una piaga propria dell’area geografica in cui il dramma si ambienta, ha avuto un impatto nell’economia e nei processi d’integrazione nella cultura francesi.

In conclusione, nella mise en scène in Francia si è dato più risalto ai temi di maggior interesse per l’opinione pubblica francese, per suscitare riflessioni su questioni che, pur sembrando confinate al territorio italiano, riguardavano anche la comunità francese, ma questo è avvenuto mantenendo nel testo alcuni marcatori di italianità.

Tale operazione ha, pertanto, permesso di far conoscere l’attività drammaturgica dell’autore siciliano al pubblico francese e ha ampliato maggiormente la comprensione delle tematiche trattate grazie al confronto culturale tra i due Paesi, che emerge dall’adattamento ‘politico’ che i registi hanno proposto della pièce di Fava.

Pierlorenzo Randazzo e Louis Beyler

Pierlorenzo Randazzo e Louis Beyler

Note

1 Giuseppe Fava, Ultima violenza, traduzione di Francine Jurand-Ponticelli, Adaptation e mise en scène di Pascal Papini e Louis Beyler, Theatre Le Jodel, Avignone, 1989 ; Una copia è custodita presso l’Archivio Giuseppe Fava della Fondazione Giuseppe Fava. Torna al testo

2 Per l’omicidio di Giuseppe Fava, nel processo concluso nel 2003, sono stati condannati il boss mafioso Nitto Santa Paola come mandante e Aldo Ercolano e Maurizio Avola come esecutori. La via davanti il Teatro Stabile di Catania, oggi, è intitolata al drammaturgo Giuseppe Fava. Torna al testo

3 La regia dell’opera di Mozart era stata affidata a Georges Lavaudant (1947-). Torna al testo

4 Giuseppe Fava (1925-1984) era noto per le sue inchieste pubblicate nel mensile I Siciliani, e nei quotidiani La Sicilia e Il Giornale del sud, e per i due saggi Processo alla Sicilia (1967) e Mafia: da Giuliano a Dalla Chiesa (1982). I suoi romanzi più noti Gente di rispetto (1975), Prima che vi uccidano (1976) e Passione di Michele (1980), avevano avuto un grande successo editoriale e da alcuni di essi erano stati ricavati adattamenti cinematografici. I suoi romanzi erano stati tradotti anche in francese La Sicilienne (1985) [Gente di rispetto]. Infine, Giuseppe Fava era uno dei maggiori drammaturghi del Teatro Stabile di Catania che aveva prodotto la maggior parte dei suoi testi fin dal 1967 Cronaca di un uomo, La violenza (1970), Il proboviro (1972), Bello, bellissimo! (1975), Foemina ridens (1981) e l’ultimo testo Ultima violenza (1983), divenuto il suo testamento teatrale. Ultima Violenza debuttò l’8 novembre del 1983 alla Sala Verga del Teatro Stabile di Catania, pochi mesi prima della sua uccisione. Torna al testo

5 Claudio Fava, « Introduction », Libretto di sala di Ultima violenza, Palais de Justice de Paris, 1-23 décembre 1989; Cfr. Pierlorenzo Randazzo, La scena rivoluzionaria di Giuseppe Fava, Palermo, Navarra Editore, 2022. Torna al testo

6 Giuseppe Fava, Ultima violenza: dramma in due atti, S. Agata li Battiati (CT), Siciliani Editori: Radar, 1983. Torna al testo

7 Louis Beyler, « Mort violente à Catane », Libretto di sala di Ultima violenza, Palais de Justice de Paris, 1-23 décembre 1989. Torna al testo

8 Louis Beyler si è formato all’École Supérieure d’Art Dramatique du Théâtre National di Strasburgo sotto la direzione di Michel Saint Denis (1897-1971), nipote e allievo di Jacques Copeau (1879-1949). Torna al testo

9 Cfr. Locandina di Ultima violenza, Palais de Justice de Paris, 1-23 décembre 1989 ; Locandina di Ultima violenza, Palais de Justice de Avignon, 4 juillet 1988 ; Locandina di Ultima violenza, La Scierie, Atelier florentin, Festival Off de Avignon, 21 juillet 2018. Torna al testo

10 Convegno Théâtre & Justice – État & Démocratie, Palais de Justice, décembre 1989. Torna al testo

11 Sinossi, Libretto di sala di Ultima violenza, Palais de Justice de Paris, 1-23 décembre 1989. Torna al testo

12 Luigi Pirandello, L’Umorismo, Lanciano, R. Carabra Editore, 1908. Torna al testo

13 Anna Sica, Il teatro dell’ardore e del disincanto. L’eredità di Amleto, Milano-Udine, Mimesis Editore/Parterre, 2023. Torna al testo

14 G. Sanfelice alias Giuseppe Fava, « Si apre il sipario ed è subito il diavolo », in I Siciliani, n.9 ottobre 1983, p. 161. Torna al testo

15 Attività svolta con il supporto e la supervisione della prof.ssa Antonella Capra, co-tutor del progetto di mobilità di dottorato presso l’équipe « Il Laboratorio » dell’Université Toulouse Jean Jaurès. Torna al testo

16 Giuseppe Fava, Ultima violenza, traduction di Francine Jurand-Ponticelli, Adaptation et mise en scène de Pascal Papini et Louis Beyler, Théâtre Le Jodel, Avignone, 1989, p. 27. Torna al testo

17 Ivi, p. 30-31. Torna al testo

18 Ivi, p. 15. Torna al testo

19 Ivi, p. 61. Torna al testo

20 Ivi, p. 25. Torna al testo

21 Ivi, p. 43. Torna al testo

22 Ivi, p. 61. Torna al testo

23 Ivi, p. 25. Torna al testo

24 Ivi, p. 28. Torna al testo

25 Ivi, p. 24. Torna al testo

26 Ivi, p. 13. Torna al testo

27 Ivi, p. 25. Torna al testo

28 Ivi, p. 59. Torna al testo

29 Ivi, p. 31. Torna al testo

30 Ivi, p. 26. Torna al testo

31 Ivi, p. 27. Torna al testo

32 Ivi, p. 75. Torna al testo

33 Ivi, p. 10. Torna al testo

34 Ivi, p. 11. Torna al testo

35 Ivi, p. 5. Torna al testo

36 Ivi, p. 10. Torna al testo

37 Ivi, p. 35. Torna al testo

38 Intervista dell’autore a Pascal Papini (Toulouse, maggio 2024). Torna al testo

39 Pascal Papini, « Le Palais de Justice comme Théâtre », Libretto di sala di Ultima violenza, Palais de Justice de Paris, 1-23 décembre 1989. Torna al testo

40 Anna Sica, La drammatica - metodo italiano: trattati normativi e trattati teorici, Milano Udine, Mimesis, 2013. Torna al testo

41 Ibidem. Torna al testo

42 Intervista dell’autore a Pascal Papini (Toulouse, maggio 2024); Archivio fotografico privato di Pascal Papini e Louis Beyeler. Torna al testo

43 Anna Sica, La drammatica - metodo italiano: trattati normativi e trattati teorici, op. cit. Torna al testo

44 Intervista dell’autore a Pascal Papini (Toulouse, maggio 2024). Torna al testo

45 Intervista dell’autore a Louis Beyler (Lunel, luglio 2024). Torna al testo

46 Anna Sica, La drammatica - metodo italiano: trattati normativi e trattati teorici, op. cit. Torna al testo

47 Intervista dell’autore a Pascal Papini (Parigi, giugno 2024). Torna al testo

48 Intervista dell’autore a Louis Beyler, (cit.). Torna al testo

49 Intervista dell’ autore a Pascal Papini, (cit.). Torna al testo

50 Armelle Heliot, « Une scène politique », Le Quotidien de Paris, décembre 1989. Torna al testo

51 Ruth Valentini, « Coups de théâtre », Observateur, décembre 1989. Torna al testo

52 R.S., « Ultima violenza en appel », Libération, décembre 1989. Torna al testo

53 Guillemette De Vericourt, « Au Palais de Justice de Paris Ultima Violenza », L’Express, décembre 1989. Torna al testo

54 Michel Cournot, « Trois étrangetés », Le Monde, décembre 1989. Torna al testo

55 Ulderico Munzi, « La mafia va in scena a Parigi e il giudice diventa attore », Corriere della Sera, 4 dicembre 1989. Torna al testo

56 Intervista dell’autore a Pascal Papini e a Louis Beyler, (cit.). Torna al testo

57 Intervista dell’autore a Pascal Papini, (cit.). Torna al testo

58 Ibidem. Torna al testo

Tavola delle illustrazioni

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Riferimento elettronico

Pierlorenzo Randazzo, « Ultima Violenza di Giuseppe Fava in Francia », Line@editoriale [On line],  | 2024, pubblicato in rete il 18 mars 2025, consultato il 24 juin 2025. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/2263

Autore

Pierlorenzo Randazzo

Dottorando in “Musica e Spettacolo” – Sapienza Università di Roma

pierlorenzo.randazzo@uniroma1.it