Alterne fortune di « un Venetian molto ecelente! »: la critica d’età moderna sull’attività veneziana di Sebastiano del Piombo

Résumés

Sebastiano Luciani (1485-1547), detto del Piombo, non gode nella storia di una fortuna critica univoca, nonostante il valore oggi riconosciutogli. In particolare, l’articolo vuole seguirne l’attività veneziana, ovvero prima del trasferimento a Roma del 1511, attraverso lo sguardo della letteratura artistica di età moderna, dal Cinque al Settecento. Per tale fase, povera di documenti e testimonianze, l’analisi della critica antica, ancorata alle ante d’organo di S. Zaccaria e alla pala di S. Giovanni Crisostomo, permette infatti di scorgere filoni tematici e interpretativi durevoli, a partire dalla dipendenza da Giorgione, di cui fu probabilmente allievo, e di ripercorrerne la storia.

Face à l’importance qu’on lui reconnaît aujourd’hui, Sebastiano Luciani (1485-1547), dit del Piombo, ne jouit pas d’un succès critique constant dans l’histoire. En particulier, devant le manque de n’importe quelle documentation, l’article veut en suivre l’activité vénitienne, avant son départ pour Rome en 1511, à travers les yeux de la littérature artistique du XVI au XVIII siècle. En fait, le développement de la critique ancienne permet d’apercevoir des thèmes et des interprétation durables, comme sa dépendance stylistique de l’œuvre de Giorgione – son probable maitre –, et d’en parcourir l’histoire.

Plan

Texte

1. Introduzione1

Tra i grandi artisti del proprio secolo, Sebastiano Luciani (Venezia, 1485 – Roma, 1547), poi del Piombo per l’ufficio ottenuto da papa Clemente VII, non gode di una fortuna univoca nell’arco dello sviluppo critico e storiografico. In particolare, la fase veneziana – precedente al trasferimento a Roma nel 1511 al seguito di Agostino Chigi per le decorazioni della Farnesina –, pur ricca di capolavori come il Giudizio di Salomone, le portelle d’organo di S. Bartolomeo e la pala di S. Giovanni Crisostomo, ha sofferto sia della mancanza quasi assoluta di documentazione e fonti dirette, sia di una durevole incomprensione da parte della critica, che nei secoli a più riprese ha attribuito le sue opere ad altri artisti, Giorgione in primis, il cui mito presto finisce per adombrare la figura del suo giovane «creato»2. L’articolo si pone l’obiettivo di ripercorrere le tappe fondamentali di tale iter storiografico in età moderna – dal Cinquecento al Settecento, da Vasari a Lanzi – , osservando come la figura di Sebastiano veneziano evolva e maturi nella coscienza della critica, alla luce delle uniche due opere giovanili attribuitegli con certezza fino a Ottocento inoltrato, ovvero la pala d’altare per la chiesa di San Giovanni Crisostomo e le ante d’organo per quella di S. Bartolomeo, in prossimità di Rialto, nei sestieri rispettivamente di Cannaregio e S. Marco.

2. La critica cinquecentesca

Le prime notizie su Sebastiano vengono dal manoscritto di Marcantonio Michiel, che lo cita solamente in due passaggi : in relazione al ritratto del Sannazzaro nella collezione padovana di Pietro Bembo, disperso e non riferibile alla fase veneziana ; e nella celebre descrizione dei Tre filosofi di Giorgione – identificati nel quadro di Vienna –, in casa di Taddeo Contarini, i quali sarebbero stati completati da Sebastiano.

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Al di là della veridicità della notizia, che non è nostro interesse indagare in questa sede, ciò che importa è il primo riconoscimento, da parte di una voce critica per secoli inedita, del legame artistico tra Sebastiano e Giorgione, una percezione dell’arte del giovane pittore che trova riscontro nelle fonti coeve3.

La conferma a questa osservazione arriva puntuale con l’edizione torrentiniana de Le vite di Giorgio Vasari. Nella Vita di Giorgione è menzionata l’opera che diventa punto di riferimento per ogni parola sulla produzione veneziana di Sebastiano nell’arco della storiografia artistica. Si tratta della pala per l’altar maggiore della chiesa di San Giovanni Crisostomo, ivi custodita ancora oggi.

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Vasari, però, attribuisce la tavola al pittore di Castelfranco, incorrendo così in un curioso quanto significativo equivoco. La breve descrizione segue in tutto e per tutto le caratteristiche stilistiche associate dall’autore a Giorgione, ovvero l’imitazione del « vivo della natura » e il chiaroscuro, tale da far « perdere l’ombre delle figure », che contribuirebbero alla nascita della ‘maniera moderna’4. L’errore del Vasari risulta un chiaro indizio per la comprensione del periodo veneziano di Sebastiano, che rimane indissolubilmente vincolato all’opera di Giorgione. Con la seconda edizione, la giuntina del 1568, l’autore corregge l’attribuzione della pala – a seguito forse del soggiorno veneziano del 1566 – riportandola a Sebastiano. Vero connoisseur in assenza di fonti, Vasari non rinuncia ad avvicinare l’opera allo stile di Giorgione, per la cui somiglianza – scrive – potrebbe essergli attribuita « da chi non ha molta cognizione delle cose dell’arte »5. Celando goffamente il proprio errore, Vasari continua comunque a riferire all’opera le stesse caratteristiche con cui descriverebbe un Giorgione, vale a dire il « colorito » e il « rilievo », termini chiave del dibattito artistico cinquecentesco.

Morendo Sebastiano, ormai del Piombo, nel 1547, Vasari gli dedica una vita già nell’edizione torrentiniana del 15506. Le informazioni sull’attività veneziana appaiono quantomeno fumose, senza la descrizione di nessun’opera in particolare. Certo, una ragione logica riguarda il fraintendimento del dipinto più importante realizzato da Sebastiano in ambito pubblico. Così, dopo un’introduzione quasi moralistica alle vicende biografiche, Vasari riporta subito la notizia per cui, prima di avvicinarsi alla pittura, Sebastiano fu un valente musico, esperto nel liuto, capace di farsi apprezzare all’interno dell’élite veneziana grazie alla propria maestria. Già solo quest’osservazione, apparentemente trascurabile nell’economia del brano, nasconde una serie di implicazioni sulla percezione del pittore e della scuola veneziana dopo Bellini. L’educazione musicale costituisce un vero e proprio topos letterario applicato ai pittori veneziani del primo Cinquecento, a partire dal caposcuola della nuova età, Giorgione. Si tratta quasi di una metafora atta a giustificare il lirismo tonale e la poetica della nuova pittura veneta, difficilmente accertabile storicamente, ma forse, per il caso di Sebastiano, ipotizzabile7. La condivisione di questo percorso, come già suggerisce Pallucchini8, porrebbe le basi per le affinità poetica e stilistica tra i due pittori. Su questo sostrato, ecco costruirsi ne Le vite le vicende di alunnato di Sebastiano: prima, come Giorgione, Tiziano, Lotto e tanti altri maestri della pittura veneta, presso Giovanni Bellini, campione veneziano della seconda età, e poi con Giorgione, al pari di altrettanti artisti coevi. Un curriculum indispensabile per la modernità della pittura veneziana, un canone letterario, nonché l’unica notizia valida in mancanza di documenti. Sicuramente un valore aggiunto è fornito dalla celebre espressione, impiegata dal Vasari nella Vita di Giorgione, e molte volte ripresa, per cui Sebastiano e Tiziano sarebbero i « due eccellenti suoi creati », capaci di rendere meno dolorosa la perdita del maestro9. Se la formazione giorgionesca si configura allora come una tappa indispensabile nel percorso artistico nella Venezia di inizio Cinquecento, nel caso di Sebastiano questa è avvalorata da tutta una serie di motivi e riscontri stilistici che l’hanno sempre resa credibile agli studiosi. Con il cenno all’attività ritrattistica, anch’essa topos della produzione veneziana di primo Cinquecento, Vasari chiude la trattazione del periodo giovanile del Luciani. Agostino Chigi cerca di condurre Sebastiano a Roma più per le capacità musicali – ancora rimarcate – e la piacevolezza della persona che per la qualità della pittura, che viene menzionata solo nell’ottica di Sebastiano : Roma gli apparirebbe come la meta ideale, il luogo propizio per l’ingegno artistico e per il pieno compimento della sua carriera. Un viaggio obbligato, nell’ottica del Vasari, per lo sviluppo di uno stile artistico alto, ma anche un implicito riconoscimento della supposta superiorità della scuola tosco-romana su quella veneziana, imposto dall’autore de Le vite a un veneziano che sceglie Roma.

Con la seconda edizione, la descrizione della giovinezza di « Sebastian Viniziano » si arricchisce di alcuni particolari10. Giunto alla trattazione delle prime opere, le informazioni si ampliano fino a comprendere esempi concreti: per i ritratti, ecco citato quello di «Verdelotto franzese », maestro di cappella a San Marco, e Ubretto, suo cantore, che Vasari afferma trovarsi presso lo scultore Francesco Sangallo dopo essere giunto a Firenze con la nomina a maestro di cappella di San Giovanni del Verdelot stesso. Non si conosce di quale ritratto si tratti, ma la descrizione dei suoi spostamenti restituisce una certa credibilità al testo. Ritratti di musici sono molto diffusi nella pittura veneta dell’epoca, tuttavia il ricorrere insistente del tema in relazione alla prima opera decritta sembra quasi confermare il supposto canone educativo e milieu culturale in cui Sebastiano si sarebbe formato. L’altra opera citata è la pala di San Giovanni Crisostomo, finalmente restituita a Sebastiano. Arrivando al momento della partenza, rispetto alla prima edizione Vasari concede al pittore anche una certa fama, giunta fino a Roma, riconoscimento d’obbligo di fronte alla qualità e all’importanza almeno della pala di San Giovanni Crisostomo. Così Agostino, sentite le lodi per Sebastiano a Roma, ne apprezza in primo luogo la pittura, oltre all’immancabile talento musicale e alla piacevole compagnia.

Come scrive Hirst11, Vasari raggiunge alcuni tra i punti più bassi di attendibilità storica per la descrizione del periodo veneziano di Sebastiano. Il fatto che la fase romana del Luciani sia molto più chiaramente descritta indica una generale mancanza di dati sull’attività del pittore prima del 1511, compensata da canoni di informazioni a partire da una critica generalizzata delle dinamiche artistiche lagunari. Al contrario, la trattazione cronologica dell’attività romana denota un’attenzione tale da rendere la parte successiva della biografia vasariana una fonte di prima importanza12. Oltre ad una conoscenza più approfondita delle vicende contemporanee e ai maggiori contatti con l’ambiente romano, tale attenzione potrebbe essere legata ai rapporti di Sebastiano con artisti come Raffaello e Michelangelo, al vertice della gerarchia valoriale del Vasari. Il quale, oltre a rimanere insuperato per secoli per la quantità di parole dedicate all’artista, apre le porte a una serie di temi che ancora oggi caratterizzano gli studi. Gli è secondo per ampiezza Raffaele Borghini, che riprende il testo vasariano, stemprandone i toni polemici e aggiornando solamente gli spostamenti del ritratto di Verdelot e Ubretto13.

Criticamente di maggior rilievo è l’icastica definizione che ne dà Paolo Giovio, negli incompiuti Elogia agli artisti14 : l’umanista è il primo a identificare criticamente i caratteri generali dell’opera di Sebastiano, quella sintesi, oggi alla base della sua fortuna, tra il disegno tosco-romano – « mira tenuitate linearum » – e il colore veneziano – « amoeno […] colorum transitu » – capace di parificarlo ai grandi artisti della Penisola dopo la morte di Raffaello. Le splendide parole di Giovio pongono indirettamente l’accento sulla formazione del pittore in relazione alla sua opera, un’eredità culturale garante di uno degli aspetti fondanti la sua qualità artistica, e costruiscono un giudizio che mostra in controluce il topos critico sul colore veneziano e sul disegno tosco-romano.

Per tutto il secolo, chi scrive d’arte esprime giudizi generici su Sebastiano, trattando della sua opera prevalentemente in relazione al dibattito critico del tempo, con particolare riferimento alla disputa sul primato del disegno o del colore che a lungo ha opposto l’arte fiorentina e romana a quella veneziana. Discreditato da Ludovico Dolce – che, dopo averlo definito una « bella gemma » purché non paragonata a gemme più preziose e dopo aver biasimato Ariosto per averlo accostato ai nomi di Raffaello e Tiziano nel canto XXIII del Furioso, lo demolisce tramandando l’aneddoto sul restauro delle Stanze vaticane in seguito al Sacco di Roma15 – l’artista passa quasi inosservato persino nel Dialogo della pittura di Paolo Pino, il cui «dio della pittura», quell’unione di colore tizianesco e disegno michelangiolesco, avrebbe potuto confarsi ai caratteri dell’opera di Sebastiano già individuati da Giovio16. Numerose sono poi le voci che trattano brevemente del pittore nel corso del secolo – Aretino, Francisco de Hollanda, Biondo, Lomazzo – senza però soffermarsi sulla specifica attività veneziana17. In generale, tale fase sembrerebbe concepita più come un’eredità culturale, determinante per lo stile dell’autore, che un periodo di attività con le relative opere, e si configura più che altro in un termine identitario – il Veneziano, Viniziano o Venetus che ne accompagna il nome nei testi e con cui l’artista spesso si firmava – del tutto tipico per un uomo del Rinascimento18.

Vero e proprio ponte della storiografia artistica tra Cinque e Seicento, la Venetia, città nobilissima et singolare di Francesco Sansovino, pubblicata a Venezia nel 1581, costituisce il primo esempio di topografia artistica moderna dedicata alla città lagunare. L’unico riferimento a opere di Sebastiano è ovviamente alla pala di San Giovanni Crisostomo, nel sestiere di Cannaregio, per la quale però il Sansovino fa un passo indietro rispetto alla piena attribuzione al pittore19: Giorgione avrebbe cominciato la pala d’altare « con le tre virtù theologiche » – apparente fraintendimento del soggetto, forse riferito alle tre sante –, completata solo in seguito da Sebastiano. Tale notizia, che sembra unire le due edizioni vasariane, ha generato un dibattito critico che, nonostante le scoperte documentarie, arriva fino ad oggi20. Di Sebastiano si scrive anche che affrescò la volta della tribuna, pittura non menzionata se non nelle edizioni ampliate del testo e ignorata sia dalla critica antica sia da quella moderna, eccezion fatta per Lucco21. Infine, stupisce nel testo di Sansovino la totale assenza delle ante d’organo di San Bartolomeo, opera pubblica di prim’ordine nel catalogo giovanile del pittore. La quasi totale espunzione del nome di Sebastiano dall’opera non è del tutto indifferente. Di fronte alle precise annotazioni nel resto del testo, Sansovino sembra quasi scegliere di limitare il più possibile la figura di Sebastiano : la pala di San Giovanni Crisostomo assume valore perché cominciata da Giorgione « famosissimo pittore », non perché portata a termine da « Sebastiano, che fu frate del piombo in Roma »: il quale, forse, a quarant’anni dalla sua morte, viene percepito dall’autore come un pittore romano, tale da non rientrare nel computo di quelle caratteristiche che rendono ‘singolare’ la città.

3. La critica secentesca

È sul solco del Sansovino che occorre proseguire per trovare fonti secentesche circa le opere giovanili di Sebastiano Luciani, in testi divulgativi – biografici e periegetici – che mirano, rispondendo al Vasari, a dare una dignità artistica e letteraria alle varie scuole della Penisola. Per il caso veneziano, la Venetia di Francesco Sansovino è sottoposta a due edizioni ampliate nell’arco del secolo – di Giovanni Stringa del 1604 e di Giustiniano Martinioni nel 1663 –, che, però, non apportano notizie significative riguardo alle opere di Sebastiano del Piombo, seguendo senza modifiche le informazioni del Sansovino, nonostante le notevoli aggiunte e l’aggiornamento del testo. Manca ancora, ad esempio, un qualsiasi riferimento alle ante d’organo di San Bartolomeo, pur essendo la descrizione della chiesa in entrambe le edizioni lunga quasi due volte l’originaria22.

Nel 1657 il forlivese Francesco Scannelli pubblica Il microcosmo della pittura, un testo, frutto del viaggio intrapreso nel 1642 tra le maggiori città italiane, volto al delineamento delle loro scuole pittoriche dal Quattrocento ai suoi giorni. Scannelli colloca Sebastiano all’inizio dei pittori dello Stato Veneto contemporanei, ma implicitamente meno famosi, del « Gran Tiziano »23. Il microcosmo è il primo testo a porre chiaramente Sebastiano nell’ambito della scuola veneta e a indicare, al di là dell’epiteto, rispetto a quale tradizione artistica fosse percepita la sua opera al di fuori di Venezia. « Fra Sebastiano » farebbe allora parte degli artisti afferenti alla « Seconda Scuola », capitanata da Tiziano, « c’hà l’origine, e conservatione nello Stato Veneto », codificata nei caratteri di « maggiore spirito » e « miglior verità ». La critica dello Scannelli all’opera di Sebastiano mantiene una posizione mediana: da un lato, infatti, lo loda e ne riconosce l’importanza; dall’altro lo ritiene non del tutto « adequato »24 se confrontato con i nomi dei maggiori artisti moderni – Raffaello, Tiziano, Michelangelo e Leonardo –, senza però assumere l’accento polemico di Dolce. In tale neutralità rispetto alla posizione criticamente ambigua di Sebastiano risiede il pregio del giudizio de Il microcosmo: che, infatti, nelle poche righe dedicate alla giovinezza di Sebastiano, riporta notizie più oggettive e imparziali delle fonti precedenti. Così, in una prosa pulita e concisa, si scrive che a « Venetia sua Patria » realizzò sì la pala di San Giovanni Crisostomo e le sue « leggiadrissime figure », ma anche le ante d’organo di San Bartolomeo, l’altra importante commissione pubblica, che finalmente entra nella letteratura critica

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Dell’opera, in particolare, Scannelli riferisce il soggetto – « diversi Santi » – e l’alta qualità della pittura, ammirabile soprattutto nella figura di San Sebastiano, « ignudo d’esquisita bellezza »25. Così facendo, Scannelli amplia il catalogo del pittore e fornisce alla critica uno dei suoi capisaldi, da subito riconosciuto come autografo. Scannelli, che visse a lungo a Roma, è un autore conscio dell’importanza di Sebastiano nell’ambito della storia dell’arte. E in quanto tale, con una posizione critica non veneziana, riconosce il valore delle sue opere giovanili, specie in vista della celebrità romana, trattata subito dopo. L’ampliamento degli orizzonti critici de Il microcosmo garantisce una visione più imparziale e articolata, che si pone oggettivamente nei confronti dei dipinti dell’artista, senza rinunciare a menzionarne per una restrizione contenutistica stabilita a priori, secondo un’ottica generale atta a mostrare la complessità e i legami tra diverse tradizioni artistiche.

Il discorso diventa ancora più chiaro facendo un passo indietro dal punto di vista cronologico. Nel 1648 Carlo Ridolfi pubblica Le maraviglie dell'arte, overo, le vite degli illustri pittori veneti, e dello Stato, grande e organica risposta veneziana al Le vite del Vasari. Sebastiano Luciani è il grande assente dell’opera. Non solo non gli viene dedicata una biografia, ma è nominato in un’unica sede, tra gli « esteri pittori » – come indicato in una postilla del testo a stampa – rappresentati nella collezione dell’avvocato veronese Giovanni Pietro Cortoni, in una digressione alla Vita di Domenico Brusasorci26. È quindi evidente che nell’ottica della critica veneziana Sebastiano è un pittore di un’altra scuola, quella romana, motivo che non rende possibile la sua inserzione nel catalogo degli artisti locali. Nonostante questo silenzio, il Ridolfi è una fonte di prima importanza per la notizia circa il terzo pilastro su cui si fonda l’odierna comprensione del catalogo giovanile, vale a dire il Giudizio di Salomone a Kingston Lacy, nel Dorset.

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L’opera è identificata con quella descritta all’interno della lunga biografia dedicata a Giorgione, la cui fortuna e la cui ricercatezza nel Seicento sono la causa di un incredibile numero di attribuzioni, tendenza che Hirst arriva addirittura a definire ‘pangiorgionismo’27. In particolare, Ridolfi registra il dipinto in Ca’ Grimani di S. Marcuola – attuale Ca’ Vendramin Calergi –, ne riporta il soggetto, il pregio stilistico della « bella macchia » di Giorgione e ne specifica l’incompiutezza nella figura del « ministro »28. L’opera è acquistata nel 1820 come Giorgione da William Bankes – i cui eredi devolvono nel 1981 dimora e collezione al National Trust – ed è accostata al nome di Sebastiano per la prima volta da Berenson nel 1903, posizione che poi va a imporsi progressivamente dagli anni Trenta del Novecento fino all’attuale stato dell’arte29.

Autore di prim’ordine per la critica veneziana del Seicento è Marco Boschini, che nel 1660 pubblica La carta del navegar pitoresco e nel 1664 Le minere della pittura, ampliate e ridate alle stampe dieci anni dopo con il titolo de Le ricche minere della pittura veneziana. Il primo testo è uno dei capolavori della letteratura artistica italiana: il dialogo in endecasillabi redatto in dialetto veneziano vuole destreggiarsi nel ‘mare’ della pittura veneziana, con un metaforico ‘navegar’ che nella poeticità sembra rifarsi alla ben più famosa navicella dantesca, ma che si abbina perfettamente a Venezia, superba pittura e al contempo centro, nella posizione campanilistica dell’autore, della più importante scuola artistica. Al vento VI, Boschini dedica sei quartine a Sebastiano, vi esprime un giudizio generale e un commento sulle opere veneziane30. Il passo comincia con una lode a Sebastiano, la cui pur indiscussa importanza rimane seconda, anche in riconoscimenti e titoli, a Tiziano, protagonista della pittura veneta cinquecentesca, nonché suo più vicino termine di paragone a partire dai creati vasariani. La seconda quartina comincia a dimostrare le sue qualità artistiche con la descrizione dell’opera veneziana. Curiosamente, dopo il lungo silenzio rotto dallo Scannelli, sono le ante d’organo di San Bartolomeo ad essere descritte per prime e più profusamente: quattro figure, « dignissime fature », situate sull’organo della chiesa. Boschini sembra anche riferirsi alla committenza dell’opera, scrivendo che fu offerto un grande e « decoroso » compenso. L’autore in seguito procede con ulteriori lodi all’artista, significativamente definito « Venetian molto ecelente »: limitandosi il dialogo all’ambito lagunare, Boschini riconosce l’impossibilità di dilungarsi su Sebastiano veneziano, dal momento che lasciò in città solo un’altra opera, la pala di San Giovanni Crisostomo, citata senza alcuna descrizione aggiuntiva. L’ultima quartina costituisce forse la sezione più interessante del passo e merita di essere riportata in toto:

Perché l’hà fato le so’ operacion

A Roma, dove l’hebe premij rari.

De lù gran cose hà rasonà el Vasari.

Dove è ‘l ben xè la Patria l’hà rason.31

Così scrivendo, Boschini chiarisce in maniera definitiva la questione circa la posizione, già intuibile, ma non ancora esplicita, della critica veneziana sull’opera di Sebastiano del Piombo. È la carriera – romana –, cui si legano le opere, i relativi compensi, ma soprattutto la fama del pittore, a determinare nella città di Roma, e non di Venezia, la sua vera patria. E tale concetto è talmente sentito da andare oltre alla percezione stilistica, ai modi giorgioneschi della sua pittura giovanile e all’influenza che quest’ultima ha avuto sulla maturità dell’artista. Il riferimento al Vasari lo proverebbe ulteriormente : non solo costituirebbe un dato sulla trattazione vasariana dell’opera romana di Sebastiano – di cui si omettono i toni polemici –, ma anche un “passaggio di consegne” tra la storiografia artistica veneziana e quella tosco-romana, cui spetterebbe tracciare il profilo di quello che ormai è diventato un grande esponente della sua scuola.

Le minere si configurano come una guida alla città in sei parti corrispondenti ai sestieri. Ripercorrendo il testo, le opere di Sebastiano ricorrono nelle rispettive collocazioni. Delle ante d’organo, in particolare, è per la prima volta indicato il soggetto preciso, specificando i nomi dei santi e la loro posizione: san Bartolomeo, dedicatario della chiesa, e san Sebastiano sull’esterno, ad ante chiuse; san « Luigi Rè di Francia » e san Sinibaldo, patrono di Norimberga, definito « Pellegrino » forse per gli attributi della conchiglia e del bastone – che richiamano l’iconografia nordica di San Giacomo Maggiore32 –, ad ante aperte. Il fraintendimento più vistoso è, però, quello sul presunto san Luigi, in realtà san Ludovico di Tolosa. Se è vero che in veneziano Alvise traduce tanto Luigi quanto Ludovico, la diversa iconografia delle figure basterebbe a evitare l’errore, che ricorre identico anche per la pala del Bellini in San Giovanni Crisostomo: forse il Boschini confonde le due iconografie, tanto da ripetersi ne Le ricche minere, influenzando le generazioni successive33. Anche per quanto riguarda la pala di San Giovanni Crisostomo Le minere appaiono più dettagliate delle fonti precedenti. Prima opera di Cannaregio, la pala rappresenterebbe il santo titolare e san Giovanni Battista insieme ad « altri Santi, e Sante »: personaggi, questi ultimi, su cui la critica si è a lungo divisa per la mancanza di attributi evidenti. Dunque, se Le minere presuppongono un argomento esclusivamente veneziano, Boschini, a differenza di Sansovino, non rinuncia a citare le opere di Sebastiano. In questo, ha il pregio della lucidità dello Scannelli, dando un saggio motivato della posizione della critica veneziana nei confronti del pittore34. Le ricche minere forniscono un’ulteriore conferma al discorso: nell’elenco di biografie dedicate agli artisti veneti le cui opere sono esposte man mano nel testo non c’è nessun cenno alla vita di Sebastiano, una scelta pertinente e coerente rispetto alla scuola che l’autore ha l’ambizione di presentare, descrivere ed elogiare. Eppure, le sue opere sono regolarmente citate, senza alcuna differenza rispetto a Le minere, riprese parola per parola35.

Prima di passare alla trattatistica settecentesca, si propone un ultimo testo, Il ritratto di Venezia di Domenico Martinelli, pubblicato a Venezia nel 1684. Negli Avisi Martinelli indica quali siano i suoi modelli di riferimento, sia da un punto di vista stilistico-strutturale, sia da un punto di vista contenutistico: Sansovino, Bardi, Stringa, Martinioni, Boschini, ovvero i principali nomi della letteratura sulla città di Venezia tra Cinque e Seicento, da cui Martinelli trae parola per parola il suo testo36. Così, sia per le ante d’organo sia per la pala di S. Giovanni, la loro descrizione è del tutto identica a quella de Le minere, finanche negli errori del Boschini, aggravati da una svista sul santo patrono di Norimberga – S. Pellegrino Sinibaldo – tratta forse dalla sua iconografia37. Il testo del Martinelli è testimone di un sentire artistico che si riconosce e si conforma con la propria tradizione critica. La percezione dell’arte veneziana viene così a consolidarsi attraverso i testi della letteratura artistica locale, che fin da subito escludono il nome di Sebastiano del Piombo dal loro computo. Le opere pubbliche presenti in città, sebbene siano solamente due, costituiscono un apparato sufficientemente importante e prestigioso per non essere ignorate da quei testi che, con modi quasi inventariali, miravano a mostrare Venezia come una capitale artistica di insuperabile ricchezza. A fronte della posizione defilata nella critica veneziana, un autore come lo Scannelli ci offre una posizione del tutto contraria: Sebastiano è riconosciuto come uno dei grandi esponenti della scuola veneta nonostante gli svolgimenti della sua carriera e la sua opera giovanile rientra così nella piena legittimità della trattazione. Come già sottolineato, è l’apertura di orizzonti oltre il confine lagunare a conferire alle parole dello Scannelli la loro lucida oggettività. Se la storiografia artistica seicentesca, con rare eccezioni, non avesse preso la via esclusiva delle varie scuole e tradizioni locali, ma avesse associato ad essa una visione più generale, saremmo probabilmente riusciti a rintracciare più facilmente le infinite trame che legavano le nostre città.

4. La critica settecentesca

Nel Setteceneto il genere della letteratura periegetica si diffonde differenziandosi per grado di profondità nei vari testi: alla sensibilità di collezionisti e amatori, si va accostando con sempre maggior forza la figura del turista, del forestiero, che arriva in città dalle altre regioni d’Italia e d’Europa e di essa vuole conoscere tradizioni, usi sociali e politici, principali edifici e opere d’arte. Nel caso veneziano, a fianco della letteratura delle guide, si afferma, soprattutto dalla seconda metà del Settecento, una trattazione più ordinata e sistematica, che ha il chiaro obiettivo di catalogare, fornire conoscenze e chiavi di comprensione, a partire dalle opere conservate e accessibili. Ora, è scorretto porre una netta cesura tra i generi a tale altezza cronologica, nonostante progressivamente prendano vie nettamente distinte, a livello locale e nazionale. Tuttavia, rimane indubbio che queste due tendenze avevano destinatari e pubblici diversi: da un lato i forestieri, dall’altro un’élite culturale erudita; non due categorie esclusive ed isolate, ma, spesso, coincidenti e sovrapponibili, identificabili inoltre con la folta schiera di amatori e collezionisti, che, a livello europeo, vedevano nelle opere di scuola veneziana nuclei tra i più prestigiosi delle loro raccolte.

Di interesse per l’argomento in analisi è il Forastiere illuminato di Giambattista Albrizzi nel 1740. Come si evince dal titolo, il livello di profondità e la vastità delle informazioni sono indirizzati a un certo tipo di turista, curioso di erudirsi delle cose veneziane. Nei fatti, l’autore scrive un’ulteriore ricca guida ai monumenti e alle opere d’arte della città, apertamente in debito con la tradizione del genere. Così, tornando a Sebastiano, troviamo le opere nelle chiese di San Bartolomeo, giornata prima, e di San Giovanni Crisostomo, giornata terza. Per le prime, l’Albrizzi si esprime solo con un « bellissime » ; il fatto poi che l’autore le registri « ai lati dell’organo » indurrebbe a credere che fossero tenute aperte o smontate rispetto alla collocazione originaria38. La pala di San Giovanni Crisostomo, invece, è menzionata solo come una delle pitture che decorano i sette altari della chiesa : è interessante notare come, stando alle parole spese nelle descrizioni dei dipinti, le ante d’organo da Boschini in avanti sembrino riscuotere un maggior successo critico39. In ogni caso, in testi come il Forestiere illuminato si perde l’acutezza di un Boschini o di uno Scannelli. Il diverso scopo dell’opera comporta un appiattimento nel giudizio a favore dei toni positivi dell’elogio alla città da illustrare. Una minor profondità critica, dunque, che si unisce a una maggiore superficialità descrittiva : si smussano i dettagli, si semplificano i giudizi, a favore di un testo relativamente povero di informazioni, ma forse più leggero di lettura e più spendibile sul mercato, arricchito di immagini che completano e diluiscono le descrizioni. Proseguendo sulla stessa linea, nel 1779 vengono pubblicate a Belluno le Notizie interessanti che servono a far conoscere in tutti i suoi sestieri l’inclita città di Venezia. Il testo non critico, ma facile e divulgativo, si fa tanto schematico da elaborare le descrizioni come elenchi di opere: così Sebastiano è un nome nella lista di « belle Pitture » della chiesa di San Bartolomeo e S. Giovanni Crisostomo40. L’arte, in tale genere letterario, deve essere nominata dettagliatamente – visto che la sua quantità costituisce uno dei principali motivi che rendono inclita la città di Venezia – ma non per questo spiegata o interpretata.

Facendo un passo indietro, è necessario a questo punto presentare la personalità più importante in ambito veneziano per la storia della critica e del patrimonio artistico della Repubblica nel Settecento, Anton Maria Zanetti il Giovane. Chiaro saggio del suo lavoro è la Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia e isole circonvicine, pubblicata a Venezia nel 1733. L’autore si pone l’obiettivo di proseguire l’opera del Boschini, aggiornandone i risultati fino ai suoi giorni. Si tratta di un compendio specifico e dettagliato delle opere pubbliche veneziane, il cui intento catalogico è rivolto in primis alla conoscenza dell’entità del patrimonio. E infatti, una prima sezione è dedicata a brevi introduzioni biografiche agli artisti di scuola veneziana, dove non manca il nome di Sebastiano. Le poche righe sul pittore sembrano trasporre in prosa i versi del Boschini : la formazione sulle opere di Giorgione e Tiziano, il trasferimento a Roma, dove « seguitò altre scuole », persino l’indicazione del Vasari come riferimento bibliografico41. Così ancorata alla tradizione letteraria, e al Boschini nello specifico, la Descrizione dello Zanetti rielabora i dati raccolti entro il canonico schema a sestieri. Rintracciando le opere di Sebastiano, ecco le ante d’organo nella chiesa di San Bartolomeo a San Marco : la loro descrizione ripercorre quella de Le ricche minere, tanto da mantenere ancora gli errori del San Luigi re di Francia e del pellegrino Sinibaldo. L’unica differenza rispetto al Boschini risiede nell’aggettivo « rara/e » riferito alle opere di Sebastiano, una nota puntuale per la qualità e all’effettiva rarità delle sue pitture nel contesto veneziano42. L’impegno intellettuale dello Zanetti, dal 1737 bibliotecario della Marciana, dà luce a opere ancora oggi di fondamentale importanza come, per l’argomento in analisi, il trattato Della pittura veneziana, e delle pitture pubbliche de’ veneziani maestri, edito a Venezia nel 1771. Suddiviso in cinque libri, il testo si configura come una trattazione sistematica di tutti i principali artisti della scuola veneziana, ciascuno dei quali si vede dedicata una spiegazione più o meno breve seguita dall’elenco delle opere visibili a Venezia nei vari luoghi pubblici. Nella premessa Zanetti riconferma l’autorità della tradizione letteraria, Boschini in primis, ma anche Vasari e Ridolfi; d’altro canto, però, ne sottolinea la lontananza, al fine di rispondere al meglio alle esigenze del pubblico, l’« Amator di pittura » e il « forestiere », che devono essere istruiti « in tutte le cose nostre pittoresche », una storia dell’arte divulgativa, ancora oggetto di diletto per una determinata élite43. Seguendo l’ordine dei libri, Sebastiano del Piombo è il primo pittore trattato nel terzo, tra i discepoli e gli imitatori di Giorgione e di Tiziano, dopo il secondo dedicato ai giganti del Cinquecento veneziano, da Giorgione a Veronese44. Già solo il fatto che Sebastiano sia riportato nel corpo dell’opera e non nell’appendice sui pittori foresti è di per sé indicativo. È la prima volta nella storiografia artistica che a Sebastiano viene riconosciuto tale ruolo da un suo conterraneo : un fatto inedito, che si carica di significato non solo in relazione alle opere giovanili, ma soprattutto per la comprensione dell’attività romana. Andando con ordine, prima della citazione delle opere di Sebastiano, Zanetti scrive una pagina di commento stilistico sul pittore. Definito come il più fedele interprete dello stile giorgionesco dopo Tiziano, il suo talento è da trovare nel giusto mezzo tra passioni espresse della nuova pittura veneta; una pittura, usando le parole dell’autore, in grado di non « mancare di vivacità », né di « eccedere nel calore » : elogio all’arte di Sebastiano, ma soprattutto chiave di interpretazione valida e imparziale basata sulla critica cinquecentesca per la dipendenza da Giorgione. L’intervento di Zanetti è un’operazione critica di prim’ordine per la comprensione dell’opera del pittore non solo in relazione al periodo veneziano : la qualità di un siffatto stile è apprezzata e lodata non solo a Venezia, ma soprattutto a Roma, dove il suo «bel modo di colorire», nuovo alla città, « piacque ai lumi di quella Scuola ». Di fatto, il giudizio dello Zanetti attribuisce a Sebastiano il merito e la responsabilità di aver introdotto a Roma il colorito giorgionesco, caratteristica principe della pittura veneta, e di essere quindi un fondamentale punto d’unione tra le due scuole. Passando alle opere veneziane, la prima presentata dallo Zanetti è la pala di San Giovanni Crisostomo, che, conformemente alla tradizione cinquecentesca, si rimpossessa della predilezione critica. Zanetti si dimostra un sapiente conoscitore delle fonti precedenti: se la descrizione del soggetto ricalca il testo di Boschini, la notizia della confusione dell’opera per la sua qualità con Giorgione non solo è di per sé un parere critico, che trova riscontro nei canoni della descrizione, ma anche un riferimento alla prima edizione de Le vite vasariane e, forse, anche al Sansovino. Per quanto riguarda le ante d’organo, lo spazio ad esse dedicato è notevolmente inferiore, ma in proporzione molto più prezioso per le informazioni fornite. Introdotti qualitativamente sulla scia dello stile giorgionesco, Zanetti cita solo due pannelli, posti ai lati dell’organo, ovvero, specificando l’Albrizzi, il San Ludovico Vescovo, del quale finalmente si riconosce l’iconografia, e il « pellegrino » Sinibaldo. Una nota in calce scioglie ogni dubbio e ci informa che gli altri due, San Bartolomeo e San Sebastiano – il quale, « bellissimo », è delle quattro la figura prediletta dalla critica – « si conservano ancora », nella speranza che vengano nuovamente esposte dai religiosi della chiesa. Stando a Lucco45, tra il 1733, anno di pubblicazione della Descrizione di tutte le pubbliche pitture – dove sono citati tutti e quattro i pannelli in loco –, e il 1771, l’organo di San Bartolomeo deve essere stato demolito e sostituito, così da giustificare lo spostamento delle due ante. Come riporta Bisson, infatti, tali lavori, documentati, si svolgono esattamente nel 1733 : i pannelli con S. Ludovico e S. Sinibaldo sono così reimpiegati negli arredi, incastonate entro conici in stucco ai lati dello strumento, mentre S. Bartolomeo e S. Sebastiano vengono spostati nella cappella di S. Nicolò e poi precocemente in dei depositi46. Zanetti trova un’immediata eco nella Nuova cronaca veneta, ambiziosa opera del religioso Tommaso Arcangelo Zucchini: una guida alla città di Venezia il cui progetto prevedeva la pubblicazione di un volume per sestiere, una versione ingrandita dello schema tradizionale, di cui l’autore riesce a portare a termine solamente Castello e San Marco. Nella descrizione delle ante d’organo di S. Bartolomeo, Zucchini rivela il successo di Zanetti, di cui recupera tutte le informazioni, senza quasi apportare aggiunte, ivi comprese le lamentele sullo stato delle ante d’organo, nella speranza che tornino ad essere esposte tutte e quattro47. Ancora nel 1797, l’anno della caduta della Serenissima, l’anonimo trattato Della pittura veneziana, dal curioso sottotitolo In cui osservasi l’ordine del Busching, e si conserva la dottrina, e le definizioni del Zanetti recupera pedissequamente Zanetti e Busching, versione erronea di Boschini48. L’unica osservazione che si può fare a questo punto è che, stabilitasi in laguna una tradizione forte, il cui ultimo esponente è Zanetti, la maggior parte dei testi puramente divulgativi si appoggia ad essa riportando relativamente poche informazioni aggiuntive.

Occorre adesso, deviando momentaneamente il filo del discorso, proseguire l’analisi prendendo in considerazione un testo di natura completamente differente, la Series historico-chronologica Praefectorum […] S. Bartholomæi Apostoli de Rivoalto. Si tratta di un’opera erudita in latino composta dal religioso Antonio Nardini, il quale, consultando documenti d’archivio oggi perduti o dispersi, ripercorre la storia della chiesa di San Bartolomeo, anticamente intitolata a San Demetrio Martire di Tessalonica, ed enumera in ordine cronologico i vari membri del clero che ne sono stati responsabili. Una fonte di prim’ordine, dunque, per le notizie storico-documentarie relative agli arredi e alle pitture conservate nella chiesa. Infatti, a interessarci sono le vicende circa Alvise Ricci, « Aloysius Ritio », eletto vicario perpetuo a S. Bartolomeo il 7 ottobre 1507. Dopo averne descritto titoli, cariche e provvedimenti, Nardini riporta la prima notizia circa la committenza di un’opera veneziana di Sebastiano : Ricci avrebbe commissionato a Fra « Sebastiano a Plumbo » quattro « Tabulas eximias », San Bartolomeo, S. Sebastiano, « S. Aloysii Episcopi » – santo eponimo del committente – e San Sinibaldo, che perde l’apposizione di pellegrino. Accanto a questa notizia, di per sé di gran rilievo, Nardini fornisce altre informazioni fondamentali sulle vicende delle ante d’organo, che sarebbero state restaurate « nostri temporibus »49. Come afferma Lucco, l’intervento sarebbe avvenuto tra 1771 e 1788 ad opera del pittore Giambattista Mingardi, del cui operato invasivo Moschini riporta la notizia nel 1815 : tagliate e ridipinte, è solo con il restauro di Pelliccioli tra il 1940 e il 1941 che si recupera una parziale leggibilità dell’opera50. Per quanto riguarda poi le ante originariamente interne, queste sono accompagnate dal termine « consessoris », il che confermerebbe la posizione affiancata all’organo dopo il rifacimento.

Uscendo dall’ambito lagunare e guardando al resto d’Italia, l’ultimo decennio del Settecento vede la pubblicazione di un caposaldo della storiografia artistica italiana, un’opera ambiziosa, ricca e di respiro nazionale, La storia pittorica della Italia del marchigiano Luigi Antonio Lanzi, edita a Bassano del Grappa in tre volumi tra 1795 e 1796. L’opera si pone il fondamentale obiettivo di superare il canone storiografico delle biografie a favore di una trattazione sistematica delle varie tradizioni locali, dai primitivi fino al suo secolo. Ogni scuola è divisa in età, in modo tale da scandire la grande materia dei tomi, riprendendo e ampliando la strutturazione distributiva, ma soprattutto critica, del Vasari. A differenza della tradizione storiografica veneziana – eccezion fatta per lo Zanetti –, il pittore è inserito del pieno degli sviluppi della scuola della Serenissima, come il « più certo » dei seguaci di Giorgione, con un ruolo secondario rispetto ai gradi nomi che scandiscono il capitolo, da Giorgione a Veronese51. Scorrendo il testo, non si può non notare come l’autore fondi le proprie notizie su Le vite del Vasari, e in particolare sulla giuntina. Così, dopo più di due secoli in cui la formazione del pittore era stata ignorata, viene riproposto il canone educativo vasariano, ovvero una prima formazione presso Bellini, seguita dall’avvicinamento a Giorgione, imitato « ne’ tuoni de’ colori e nella sfumatezza », due delle caratteristiche della nuova pittura tonale sottolineate tradizionalmente dalla critica. Pur non ampliando quanto scritto da Vasari, il ruolo di Lanzi rimane fondamentale poiché ripropone e suggella un canone interpretativo di difficile superamento. Lanzi procede poi alla trattazione della pala di San Giovanni Crisostomo ; il riferimento fra le righe al Vasari si esplica nella notizia sull’attribuzione sporadica a Giorgione per la somiglianza dello stile, nonostante i due secoli intercorsi di testi riportanti la sua corretta paternità. Prima di procedere nella descrizione, Lanzi esprime un commento aspro rispetto all’arte di Sebastiano, ovvero motiva con la scarsezza della capacità creativa, dell’invenzione, la relativa rarità di opere di grande formato dell’artista. In questo passaggio risiede un certo margine di ambiguità : posizionato tra la citazione della pala veneziana e dei dipinti perugini e viterbesi, tale commento potrebbe riferirsi tanto alla prima quanto, più probabilmente, alle seconde. Nella prima ipotesi, l’autore intenderebbe almeno un aiuto nella concezione della pala di San Giovanni Crisostomo; nel qual caso, si assisterebbe a un riferimento al Sansovino, per il quale venne cominciata da Giorgione, ma soprattutto a un’anticipazione delle critiche diluite dal Vasari nelle pagine dedicate in entrambe le edizioni alla biografia di Sebastiano, rincarate dalla probabile lettura del Dolce. Se, invece, il giudizio fosse riferito alle opere non veneziane, come credo, questo non andrebbe in nulla contro la tradizione critica – riflettendo anzi le opinioni di Vasari e di Dolce –, tradizione che sull’attività giovanile non ha mai risentito di alcun giudizio tanto netto e tagliente. Proseguendo il ragionamento, nonostante lo spazio relativamente ampio dedicato al pittore, c’è un grande assente tra le righe del Lanzi : le ante d’organo di San Bartolomeo, ormai da oltre un secolo accolte con favore dalla letteratura. E questo, forse, è il più grande indizio del fatto che l’autore, almeno per quanto riguarda l’argomento veneziano di questo elaborato, non si sia spinto oltre alle notizie del Vasari, semplificandole nella citazione delle opere di natura privata, i ritratti, e limitandosi all’unica opera pubblica presentata ne Le vite.

5. Conclusioni

In perfetta continuità con i secoli precedenti, la critica tra Otto e Novecento procede nella direzione di un’analisi sempre più minuta e accurata, con testi accademici, monografie e importanti scoperte documentarie52. Non solo, dalle notizie tratte nei testi analizzati si riescono a cogliere le radici di problemi storiografici sull’opera del pittore nei secoli successivi: un esempio su tutti il caso delle ante interne di S. Bartolomeo, che – compromesse nello stato conservativo – hanno subito un declassamento critico e persino attributivo dopo i pesanti restauri di Giambattista Mingardi53. Il progresso degli studi sebastianeschi si lega poi alla pubblicazione di numerose opere, confluite in collezioni pubbliche e private di tutto il mondo, a lui attribuite: penso al magnifico Giudizio di Salomone di Kingstone Lacy, pilastro degli studi sul pittore, ma anche a una serie di opere di piccolo formato, come la Vergine saggia di Washington, la Giuditta di Londra, le sacre conversazioni di Parigi e New York, fino alle tavolette del Museo Lia della Spezia e ad opere discusse come la Visitazione e la Sacra conversazione delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. L’ampliamento del catalogo ha portato anche a smarrimenti critici durevoli, come nel caso del cosiddetto “periodo cimesco” del primissimo Sebastiano – tentativo di dar voce al canone della sua iniziale formazione nel solco della pittura belliniana –, le cui origini letterarie risalgono al Federici, ma che venne definitivamente confutato da Pallucchini54. Ad oggi, la figura di Sebastiano veneziano gode di un successo critico certo, testimoniato tra le altre dalle mostre del 2008 a Roma e Berlino e del 2017 a Londra : un pittore complesso, aperto alle novità, audace, capace di rivoluzionare i generi artistici in cui si espresse e di anticipare con le proprie invenzioni Tiziano e lo stesso Bellini, quasi secondo un capovolgimento delle critiche vasariane55.

Infine, seguire l’andamento della critica su un periodo artistico tanto ristretto permette di osservare da vicino il modus scribendi di testi diversi tra loro, i loro riferimenti interni, la ricchezza di un pensiero in fieri da un lato sulla data specificità del pittore, dall’altro sulla concezione di un patrimonio artistico vasto, da comprendere e conservare nella sua complessità.

Note de fin

1 L’articolo è tratto dalla mia tesi di laurea triennale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. In questa sede intendo quindi ringraziare il mio relatore, il professore Giovanni Maria Fara, per avermi seguito in questo mio primo percorso di ricerca.

2 Vasari Giorgio, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, nelle redazioni del 1550 e 1568, a cura di Paola Barocchi e Rosanna Bettarini, Firenze, S.P.E.S., 1966-1987, IV, p. 47.

3 Cfr. Michiel Marcantonio, Notizia d'opere di disegno, a cura di Cristina De Benedictis e Theodor von Frimmel, Firenze Edifir edizioni, 2000, pp. 31; 53. Per il ritratto del Sannazzaro rimando a Gasparotto Davide, Il mito della collezione, in Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento, catalogo della mostra (Padova, febbraio-maggio 2013), a cura di Guido Beltramini, Davide Gasparotto e Adolfo Tura, Venezia, Marsilio, 2013, p. 57.

4 Cfr. Vasari Giorgio, op. cit., IV, pp. 41-47.

5 Vasari Giorgio, op. cit., V, p. 86. Per il metodo vasariano, suggerisco Nova Alessandro, Giorgio Vasari e i metodi della storia dell’arte, in Le Vite del Vasari: genesi, topoi, ricezione, Atti del convegno (13 - 17 febbraio 2008, Firenze), a cura di Katja Burzer, Charles Davis, Sabine Feser e Alessandro Nova, Venezia, Marsilio, 2010, pp. 1-6.

6 Vasari Giorgio, op. cit., V, pp. 85-86.

7 Lucco Mauro, Sebastiano del Piombo a Venezia, in Sebastiano del Piombo 1485-1547, catalogo della mostra (Roma, febbraio-maggio 2008; Berlino, giugno-settembre 2008), a cura di Claudio Strinati e Bernd Wolfgang Lindemann, Milano, Motta, 2008, pp. 23.

8 Cfr. Pallucchini Rodolfo, «Due eccellenti suoi creati: Sebastiano Viniziano … e Tiziano da Cadore», in Giorgione e l’umanesimo veneziano, Firenze, Olschki, 1981 (Civiltà veneziana-Saggi, 29), 2, p. 515.

9 Vasari Giorgio, op. cit., IV, p. 47.

10 Vasari Giorgio, op. cit., V, pp. 85-87.

11 Hirst Michael, Sebastiano del Piombo, Oxford, Clarendon Press, 1981, p. 2.

12 Pallucchini Rodolfo, Sebastian Viniziano. Fra Sebastiano del Piombo, Milano, Mondadori, 1944, p. 91.

13 Cfr. Borghini Raffaele, Il riposo, Firenze, Giorgio Marescotti, 1584, 3, pp. 452-453.

14 Giovio Paolo, Gli elogi degli uomini illustri: letterati, artisti, uomini d’arme, a cura di Renzo Meregazzi, VIII, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1972, p. 232.

15 Dolce Ludovico, Dialogo della pittura intitolato l’Aretino, in Trattati d’arte del Cinquecento, a cura di Paola Barocchi, I, Bari, Laterza, 1960-1962, pp. 150-152.

16 Pino Paolo, Dialogo di pittura di Messer Paolo Pino, a cura di Susanna Falabella, Roma, Lithos, 2000 (Scritti d’arte, 2), p. 122. Pino ricorda Sebastiano per la tecnica di pittura murale ad olio, poi tra in un elenco di pittori valenti e infine come musico esperto nel liuto (pp. 115; 121; 131).

17 Rimando sull’argomento a Palluchini Rodolfo, op. cit. 1944, pp. 89-96; Lucco Mauro, L’opera completa di Sebastiano del Piombo, presentazione di Carlo Volpe, Milano, Rizzoli, 1980 (Classici dell’arte Rizzoli, 99), pp. 12-13; Herrmann Fiore Kristina, Aspetti della fortuna critica di Sebastiano nel Cinque e nel Seicento, in Sebastiano del Piombo 1485-1547, catalogo della mostra (Roma, febbraio-maggio 2008; Berlino, giugno-settembre 2008), a cura di Claudio Strinati e Bernd Wolfgang Lindemann, Milano, Motta, 2008, pp. 73-80.

18 Hirst Michael, op. cit., 1981, p. 3.

19 Sansovino Francesco, Venetia città nobilissima et singolare, Venezia, Iacomo Sansovino, 1581, p.56.

20 Cfr. Lucco Mauro, op. cit. 2008, cat. n. 7, pp. 106-108.

21 Lucco Mauro, op. cit., 1980, p. 126.

22 Cfr. Sansovino Francesco, Stringa Giovanni, Venetia città nobilissima et singolare, Venezia, Altobello Salicato, 1604 e Martinioni Giustiniano, Sansovino Francesco, Venetia città nobilissima et singolare, Venezia, Steffano Curti, 1663.

23 Scannelli Francesco, Il microcosmo della pittura, Cesena, Per il Neri, II, p. 235.

24 Scannelli Francesco, op. cit., I, p. 50.

25 Scannelli Francesco, op. cit., II, p. 253.

26 Ridolfi Carlo, Le maraviglie dell’arte, overo, le vite degli illustri pittori veneti, e dello Stato, Venezia, Sgava, 1648, 2, p. 110.

27 Hirst Michael, The Kingstom Lacy «Judgment of Solomon», in Giorgione, atti del convegno di studi (Castelfranco Veneto, 1978), Venezia, Stamperia di Venezia, 1979, pp. 257-258.

28 Ridolfi Carlo, op. cit., I, pp. 77-90.

29 Per la vicenda collezionistica del dipinto, cfr. Lucco Mauro, Il giudizio di Salomone di Sebastiano del Piombo a Kingston Lacy, in «Eidos», 1, 1987, pp. 4-6.

30 Boschini Marco, Carta del navegar pitoresco, Venezia, Baba, 1660, pp.396-7.

31 Boschini Marco, op. cit. 1660, p. 397.

32 Cfr. Fara Giovanni Maria, Lucas Cranach il Vecchio, Il Salvatore, i dodici Apostoli e san Paolo, n. 18, in I volti della Riforma: Lutero e Cranach nelle collezioni medicee, catalogo della mostra (Firenze, ottobre 2017-gennaio 2018), a cura di Giovanni Maria Fara e Francesca De Luca, Milano, Giunti, 2017, pp. 100-103. L’iconografia impiegata da Cranach per il san Giacomo Apostolo combacia perfettamente con il S. Sinibaldo di Sebastiano. S. Sinibaldo – o Sebaldo – è identificato dalle fonti come un santo pellegrino ed eremita, pertanto, probabilmente, l’iconografia tradizionale, diffusa in Germania e giunta in Italia, condivide con S. Giacomo le sembianze del pellegrino. In ogni caso si possono intuire i forti legami artistici e culturali non solo tra Venezia e la Germania, ma anche tra Sebastiano e la comunità tedesca, nella cui chiesa il pittore si trovò a operare. Per l’agiografia di S. Sinibaldo nelle fonti cfr. Collins D. J., Reforming Saints. Saints’ Lives and Their Authors in Germany, 1470-1530, Oxford, Oxford University Press, 2008, pp. 58-65.

33 Boschini Marco, Le minere della pittura: compendiosa informazione, Venezia, Francesco Nicolini, 1664, pp. 138-9. Per le identificazioni cfr. Lucco Mauro, in Sebastiano del Piombo 1485-1547, catalogo della mostra (Roma, febbraio-maggio 2008; Berlino, giugno-settembre 2008), a cura di Claudio Strinati e Bernd Wolfgang Lindemann, Milano, Motta, 2008 cat. n. 10, pp. 114-115 e bibliografia precedente.

34 Boschini Marco, op. cit., 1664, p. 411.

35 Boschini Marco, Le ricche minere della pittura veneziana, Venezia, Francesco Nicolini 1674, San Marco, p. 109; Cannaregio, p. 3.

36 MARTINELLI Domenico, Il ritratto di Venezia, Venezia, Gio. Giacomo Hertz, 1684, Serenissimo Prencipe, Avisi al lettore, Abbozzo del ritratto di Venezia.

37 Martinelli Domenico, op. cit., pp. 59, 211.

38 Albrizzi Giovanni Battista, Forestiere illuminato intorno le cose più rare, e curiose, antiche, e moderne della città di Venezia, e dell'isole circonvicine, Venezia, Giambatista Albrizzi, 1740, p.72.

39 Albrizzi Giovanni Battista, op. cit., p. 155.

40 Notizie interessanti, che servono a far conoscere in tutti i suoi sestieri l’inclita citta di Venezia, Belluno, Simone Tissi, 1779, p. 52-3.

41 Zanetti Anton Maria, Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia e isole circonvicine, Venezia, Pietro Bassaglia, 1733, pp. 29-30.

42 Zanetti Anton Maria, op. cit., 1733, pp. 191, 378.

43 Zanetti Anton Maria, Della pittura veneziana, e delle pitture pubbliche de’ veneziani maestri, Venezia, Giambatista Albrizzi, 1771, I, pp. VII-XVI.

44 Cfr. anche per i riferimenti successivi Zanetti Anton Maria, op. cit., 1771, III, pp. 202-203.

45 Cfr. Lucco Mauro, op. cit., 2008, cat. n. 10, p. 114-115.

46 Per le vicende relative all’organo, cfr. Bisson Massimo, Meravigliose macchine di giubilo. L’architettura e l’arte degli organi a Venezia nel Rinascimento, Verona, Scripta edizioni, 2012, pp. 83-89.

47 Zucchini Tommaso Arcangelo, Nuova cronaca veneta, ossia Descrizione di tutte le pubbliche architetture, sculture e pitture della città di Venezia ed isole circonvicine divisa in sei sestieri, Venezia, Pietro Valvasense, 1774, I, pp. 528.

48 Della pittura veneziana, trattato in cui osservasi l’ordine del Busching, e si conserva la dottrina, e le definizioni dello Zanetti, Venezia, Francesco Tosi, 1797, pp. 70-71, 116-117.

49 Nardini Antonio, Series historico-chronologica Præfectorum qui ecclesiam titulo S. Demetrii mar. Thessalonicensis fundatam, deinceps S. Bartholomaei apostoli de Rivoalto reparatam rexerunt ab ecclesia condita, anno 840, Venezia Giovanni Battista Costantini,1788, pp. XL-XLI.

50 Cfr. Lucco Mauro, op. cit., 2008, cat. n. 10, p. 114-115; Moschini Giannantonio, Guida per la città di Venezia all' amico delle belle arti, Venezia, Alvisopoli, 1815, pp. 560-565.

51 Cfr. anche per i riferimenti successivi Lanzi Luigi, Storia pittorica della Italia, Bassano del Grappa, Remondini, 1796, II, pp. 61-62.

52 Cito ad esempio le prime monografie dedicate al pittore, redatte da un veneziano, ovvero Biagi Pietro, Memorie storico-critiche intorno alla vita ed alle opere di Fra Sebastiano Luciano, soprannominato del Piombo, Venezia, Giuseppe Piccotti, 1826 e Biagi Pietro, Sopra la vita e i dipinti di Fra Sebastiano Luciani soprannominato del Piombo, Venezia, Giuseppe Picotti, 1827.

53 Il primo slittamento attributivo delle ante d’organo esterne si registra in Moschini Giannantonio, op. cit., pp. 560-565; in Cavalcaselle Giovanni Battista e Crowe Joseph Archer, History of painting in north Italy, Londra, J. Murray, 1871, II, pp. 313-314 è proposto addirittura il pittore Rocco Marconi in luogo di Sebastiano.

54 Segnalo gli estremi di questa vicenda critica, che merita un capitolo a parte, ovvero Federici Domenico Maria, Memorie trevigiane: sulle opere di disegno dal mille e cento al mille ottocento, Venezia, Francesco Andreola, 1803 e Pallucchini Rodolfo, op. cit., 1944.

55 Cfr. a titolo di esempio il prezioso saggio di Lucco Mauro, op. cit. 2008, pp. 23-29.

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Citer cet article

Référence électronique

Emanuele Castoldi, « Alterne fortune di « un Venetian molto ecelente! »: la critica d’età moderna sull’attività veneziana di Sebastiano del Piombo », Line@editoriale [En ligne], 11 | 2019, mis en ligne le 09 mars 2023, consulté le 26 avril 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/1752

Auteur

Emanuele Castoldi

Università Ca’ Foscari di Venezia, Dipartimento di Filosofia e Beni culturali, corso di laurea magistrale in Storia delle arti e conservazione dei beni artistici (castoldi.emanuele@libero.it)