Percorsi urbani nella letteratura di migrazione italiana

Résumés

L'ambiente urbano nella letteratura italiana della migrazione è stato fino ad ora un tema poco esplorato dalla critica. Col seguente articolo ci proponiamo pertanto di analizzare il concetto di percorso urbano e, dopo averlo applicato alle città italiane che compaiono nei romanzi in questione, attraverso l'analisi delle tecniche stilistiche degli autori, cercheremo di identificare tipi ed esempi di percorsi, mettendo in rilievo le strategie di appropriazione del territorio da parte dei personaggi, i loro percorsi sensoriali, nonché il loro tentativo di costruzione di nuovi alfabeti simbolici cittadini tesi a demistificare l'ideologia urbana latente nell'immaginario comune.

The urban environment in the Italian literature of migration has been an issue little explored by critics. With the following article we propose to analyze the concept of the Urban Route and we will try to identify types and examples of routes. This concept will be attached to the Italian cities that appear in the novels examinated, and the analysis wll be carried out through the analysis of stylistic techniques of the authors. By highlighting the strategies of ownership of the land by the characters, their sensorial pathways, we will show how these strategies demystify the urban ideology underlying the common imaginary.

Plan

Texte

Premessa

A partire dalla metà degli anni Ottanta, l’Italia è stata al centro di una massiccia ondata migratoria, che ha cambiato radicalmente la fisionomia culturale delle nostre città. La presenza degli immigrati nel nostro paese ha avuto come conseguenza anche una notevole fioritura letteraria, tramite l’attività di quella potremmo definire, per quanto impropriamente, « letteratura italiana di migrazione » la quale ha prodotto romanzi e poesia che, per quanto tra notevoli difficoltà, iniziano ad essere riconosciuti anche dai settori più scettici della critica italiana.

Tra i vari temi affrontati dai cosiddetti scrittori migranti, quello dell’impatto sulle città italiane da parte dell’immigrazione è stato scarsamente recepito dalla critica letteraria, tanto che, ancora nel 2012 Fulvio Pezzarossa1 poteva ancora enumerare, tra le varie mancanze della critica, proprio l’assenza di uno studio di questo genere.

Il presente intervento pertanto, prenderà in esame alcuni esempi di itinerari urbani presenti nella letteratura di migrazione, per poi soffermarsi sulle strategie di appropriazione del territorio da parte dei personaggi e sui percorsi sensoriali che vi compaiono.

Le città esaminate e i romanzi presi in considerazione

Per quanto riguarda le città che compaiono nei romanzi scritti da autori migranti, c’è da sottolineare la scarsa presenza di contesti urbani dell’Italia meridionale, cosa che evidenzia in maniera indiretta un ulteriore, nuovo divario con la multietnica Italia settentrionale. Questa non è però la sola assenza che colpisce: di fatto anche città come Firenze, Venezia, Genova, hanno uno spazio molto ridotto nell’immaginazione degli immigrati, per non parlare della pressoché totale assenza di centri come Verona, Udine, o dell’intera Sardegna.

Nella tabella in allegato, si possono leggere le opere prese in esame, i loro autori e il riferimento alla città italiana contenuto in esse. Manca solo il riferimento a M di Ron Kubati, in quanto ambientato in una città anonima. Per quanto riguarda infine l’approccio all’ambiente urbano, possiamo fare poi un’ulteriore distinzione tra quei romanzi in cui in cui ci troviamo di fronte a un vero e proprio percorso tra le città italiane, come ad esempio in Immigrato di Salah Methnani, ed i romanzi che inseriscono i loro personaggi in un’unica città, come quelli di Gabriella Kuruvilla.

Tabella di dati
(documento allegato)

Il concetto di percorso

Il tema del percorso del migrante all’interno della città è presente nella quasi totalità della produzione della letteratura di migrazione. Tali itinerari non coincidono quasi mai con quelli degli italiani, con i quali sembrano incontrarsi solo raramente, per rivelarsi in rapporti sociali basati sulla subordinazione. Si tratta, secondo Chiara Mengozzi, di « percorsi marginali compiuti dai personaggi, che creano così una topografia alternativa della città »2

Gli immigrati privilegiano quindi punti di riferimento differenti ma determinanti per la loro sopravvivenza, come centri religiosi, dormitori, mense, strutturalmente identici al di là delle città in cui si trovano e che finiscono per amalgamarsi, nella narrazione, in un’unica città mentale3. Tali percorsi sono altresì caratterizzati da una marcata indifferenza nei confronti dei luoghi privilegiati dagli italiani e dalla tendenza ad appropriarsi dei luoghi abbandonati e a rinominarli4. Si tratta quindi di una vera e propria «rimappatura» del proprio mondo, come la definisce Igiaba Scego: « Non ricostruire, non rinnovare, ma rimappare. Tracciare una nuova personale geografia. Doveva tracciare nuove linee, nuovi margini, altre parabole ».5

In un contesto del genere è perciò facile rilevare come compaiano quelli che Paul Claval definisce “spazi marginali”, ossia quei luoghi in cui il controllo sociale non può esercitarsi in maniera efficace, e che presentano condizioni ideali per la « la remise en cause des pratiques dominantes ».6

Esempi di percorso

Il percorso tra le città italiane differenti è predominante nei romanzi de primo periodo, tra cui spicca in maniera particolare il romanzo autobiografico Immigrato di Salah Methnani e Mario Fortunato. Ci troviamo davanti a un itinerario verticale che, partendo dalla Sicilia, segue il tracciato dell’asse ferroviario Napoli-Torino.

Questo itinerario, definito dal suo stesso autore come « una discesa nel sud di me stesso »7, comincia con l’approdo di un giovane studente tunisino a Mazara del Vallo, dove viene ben presto risucchiato nel medesimo degrado in cui sono caduti i suoi connazionali. L’arrivo a Roma comporta un’ulteriore caduta di un gradino più in basso nella propria dignità: il protagonista comincia a frequentare la stazione Termini, a immischiarsi nello spaccio di droga, a riconoscere ormai la presenza degli immigrati nel territorio secondo una serie di simboli territoriali invisibili per gli italiani:

Roma ha una mappa alternativa a quella che trovi allegata alle Pagine gialle. Per esempio, uno vuol sapere dove si incontrano i libici? Semplice: in un bar di via Gioberti, un bar che fa angolo. […] Per tutti gli arabi, un richiamo è rappresentato dal centro islamico di piazza Ungheria, popolarissimo soprattutto al venerdì.8

Questa città non ha nulla della Roma dell’immaginario diffuso. I marcatori dl territorio, i punti simbolici di incontro, sono costituiti da posti all’apparenza anonimi, e proprio per questo «acquisiti» dagli immigrati. Attraverso le città quindi, le azioni e i luoghi sembrano ripetersi, e il risultato è una progressiva perdita del senso della realtà da parte del protagonista.

L’attenzione per i percorsi urbani e la riscoperta della memoria dei luoghi trova la massima rappresentazione nell’opera di Gabriella Kuruvilla. Milano, fin qui tutto bene è un romanzo corale, fatto da quattro monologhi di quattro personaggi che vivono in zone ugualmente multietniche di Milano. Qui i percorsi urbani diventano una specie di ossessione, e i personaggi cercano di scavare, centimetro per centimetro, nella memoria dei luoghi di una città che di fatto li esclude.

L’ultimo parte del romanzo è intitolata Corvetto e ha come protagonista Tony, un ragazzo di origini napoletane durante il suo ultimo giorno nel quartiere. Il suo percorso, fatto in motorino, passa in poche pagine dalla descrizione dei luoghi occupati dai migranti nordafricani a quelli occupati dai latinoamericani.

Torno a guardare la strada. Corso Lodi a quest’ora è a tutti gli effetti una rambla. Io però, la sera, da solo, lì nun c’vac: sudo. ‘O corridoio pedonale centrale che separa le due corsie di traffico laterali, appena fa buio, viene usato come ‘na piazza e si riempie di sudamericani. […] I latinos, quelli giovani, so’ tutti vestiti uguali, streetwar ovviamente, oversize pure, in giallo e nero soprattutto: a rappresentare la luce e il buio, che stanne sempre assieme.9

Ancora una volta quindi Kuruvilla sembra voler delineare la geografia alternativa della città, descritta attraverso i punti di incontro delle comunità dei nuovi italiani. Il loro modo di vestire, vengono tratteggiati come un esempio concreto di quegli spazi marginali di cui abbiamo parlato poc’anzi.

Strategie di appropriazione del territorio

La rappresentazione dell’ambiente urbano implica un tentativo di appropriazione, almeno mentale, dello spazio.10 Partendo da tale premessa, una direzione di ricerca più che promettente consiste nel ricercare le strategie di appropriazione dello spazio italiano da parte dei personaggi immigrati. Noi abbiamo individuato fondamentalmente quattro stadi differenti.

In un primo stadio, le città vengono identificate attraverso lo stereotipo che ne ha il migrante prima della partenza. In questo periodo l’immigrato cerca insistentemente nelle prime impressioni, l’immagine previa, solo per restarne, col procedere del tempo, profondamente deluso. In questo primo momento comporta anche quelli che Pierre Sansot, identifica come rituali di entrata.11

La differenza tra due realtà differenti può quindi manifestarsi in molti modi, ad esempio tramite la rappresentazione di un diverso approccio rispetto al tempo o rispetto alla luce del sole. Se consideriamo ad esempio che in culture differenti i colori possono essere percepiti in maniera distinta dalla nostra, con connotati psicologici differenti, e un differente approccio classificatorio, ecco allora che una descrizione come quella Ornela Vorpsi delle strade di Roma nel racconto Mauro di Via dei Gracchi può comportare implicazioni inaspettate.

La vicenda narra di Teuta, una ragazza albanese con ambizioni di pittrice, la quale, sedotta da un italiano, racimola un po’ di soldi per partire per l’Italia e andarlo a trovare. E mentre la giovane cammina per le strade di Roma, possiamo vedere come tutta la sua speranza di cambiamento convergano negli aspetti cromatici della città. Assistiamo quindi a un paragone iniziale tra quello che Teuta immaginava della città, quello che le avevano raccontato e la sua realtà percettiva Roma è descritta come calda e luminosa: «Mauro le aveva detto la verità. Roma ti inondava di sole. Le piazze ribollivano di gente e di andirivieni. […] Era pomeriggio, faceva tiepido, il sole sfumava verso il giallo »12.

Ben presto però la ragazza si rende conto che mauro le ha dato un indirizzo falso. Scende la notte e i colori diventano più tetri e minacciosi, tanto che la descrizione si sofferma su una percezione di tipo notturno.13 La prima impressione sparisce rapidamente e Roma ci appare come una distopia angosciante.

Roma era diventata violacea, tra poco sarebbe stata blu. Il Tevere scuro e minaccioso, gli odori nell’aria più stranieri che mai – odor morte, mormorò l’anima di Teuta. Il suo corpo si piegò sedendosi sul ponte. L’asfalto era ancora tiepido di sole, emanava lo stesso profumo dell’asfalto di Tirana: odor casa.14

Una descrizione dei rituali di entrata e degli stati psicologici a cui si sottopongono volontariamente i personaggi la troviamo, ad esempio, nell’incipit del romanzo M di Ron Kubati, dove viene descritto l’arrivo in un’anonima metropoli in questi termini:

La notte aveva trasformato il viaggio in un lungo tunnel buio, in fondo al quale cominciarono ad accendersi migliaia e migliaia di luci, mentre il treno si avvicinava alla città. Non avevo nessuna idea su quali strade, negozi, discoteche, case e chissà cos’altro, si accendessero quelle luci. […]. Un’attesa affascinante stimolava fantasie incomplete che in fondo miglioravano soltanto combinazioni di ricordi gradevoli trasformati in improbabili previsioni. […] Una rinnovata ingenuità infantile apriva al mio sguardo la possibilità di più facili e generosi incanti. In effetti le luci sul mio passato sembravano spente.15

Qui possiamo vedere come il protagonista, nell’entrare nella città nuova, lavori di immaginazione facendo sì che tutti i suoi ricordi siano giustificati dalla possibilità presente: tutta l’entrata presuppone da parte del personaggio il porsi in uno stato d’animo di tipo rituale, per cui entrare nella nuova città significa ricominciare. Il treno stesso rappresenta uno spazio altro: un limbo attraverso cui è necessario passare per poter rinascere.

Il secondo stadio del processo di appropriazione della città, parte dall’attribuzione, da parte dei personaggi, di un significato particolare ai luoghi a partire da un malinteso del significato del nome o di quello che evoca.16 Un buon esempio in questa direzione ci è fornito da Igiaba Scego, la quale, fraintendendo il significato della parola Termini, associa all’omonima stazione il significato di fine del viaggio, trasformandone il senso in quello di un immenso limbo. Si tratta di un tipo di fraintendimento che troviamo spessissimo nella letteratura italiana di migrazione.

Ho sempre pensato che termini significasse “meta finale” o “fine del viaggio”. […] Invece ho coperto recentemente che il toponimo significa tutt’altro. Deriva dalla deformazione della parola latina Thermae. […] Quello che doveva essere un semplice collegamento pedonale tra via Marsala e via Giolitti si è trasformato nel tempo nella metafora di una sospensione, del passaggio tra due o più mondi.17

Il terzo stadio di queste strategie di appropriazione è rappresentato dal momento in cui il migrante dà un nome nuovo al luogo, traducendo l’italiano nella propria lingua. Un buon esempio ci è fornito dai racconti che compongono il libro di Mohammed Lamsouni Porta Palazzo mon amour. Al centro di tutte le storie c’è la piazza di Porta Palazzo, sede del più grande mercato di Torino, ribattezzata letteralmente Bab al-Kssar:

Tu non puoi capire cosa succede in questo pianeta che si chiama Porta Palazzo. […] gli italiani la chiamano già la casbah, ma per noi è Bab al-Kssar (Porta palazzo), che rende più vivo il ricordo di Bab Marrakech a Casablanca. […] la Porta si apre sul mercato, luogo di Satana, come dice il nostro Profeta, e qui siamo quasi tutti diavoli, che si fanno da soli le loro leggi.18

Come si può vedere in questo esempio, l’italiano « Porta Palazzo », viene rinominato nel suo equivalente arabo « Bab al-Kssar », come se si trattasse della Bab Marrackesh di Casablanca. La piazza è descritta prima come un non-luogo, un posto anonimo uguale ad altrettante piazze di questo tipo, da cui sorgono comportamenti alternativi a quelli riconosciuti come normali, attraverso il sorgere di una comunità momentanea.

L’ultima stadio di appropriazione, infine, vede il definitivo affermarsi della comunità sul luogo, o comunque una presa di confidenza più marcata rispetto all’ambiente urbano. Essa è rappresentata dal fatto che il migrante o la sua comunità ribattezzano i luoghi comunitari non solo nella propria lingua, ma soprattutto in base al significato sociale che detti luoghi hanno assunto per quella comunità specifica. Tra i vari esempio riportabili spiccano sicuramente la casa abbandonata chiamata la Kherba, descritta in Fiamme in Paradiso di Abdel Malek Smari,

Mahdi gli propose di visitare la Kherba, il “buco”, come la chiamavano i marocchini nel loro dialetto. “Era una casa abbandonata, la prima casa che ho avuto a Milano. Senza luce, senz’acqua, senza niente. Muri pericolanti: c’era anche un cartello che lo diceva. Ma aveva un vantaggio, non si pagava affitto. Ci vivevamo in un’Ottantina. Tunisini, marocchini, algerini, io e qualche altro. […] Ma com’era la vita alla Kherba ?19

È una definizione evocativa, attraverso cui ritorna, con un linguaggio che cerca di essere realistico, il problema dell’alloggio. Ancora di « un buco », si parla in un altro romanzo, Chiamatemi Alì di Mohamed Boucahne, ambientato anch’esso a Milano. Ed anche qui possiamo notare come i migranti rinominino alcuni luoghi significativi per la loro vita quotidiana:

Le persone conosciute in viaggio ci hanno detto di cercare a Milano el-hafra […]. Non so perché abbiano chiamato la zona con questo strano nome: el-hafra significa buco. Così mi immagino una grande piazza scavata sotto il livello del suolo. El-hafra, invece, è in via Tadino e non ci sono buchi, soltanto normali palazzi.20

Percorsi sensoriali

Molto diffuse tra gli scrittori migranti sono le cosiddette geografie sensoriali21, ossia le descrizioni di percorsi urbani in cui si sottolineano le differenze percettive tra l’Italia e il paese di provenienza.

In tali percorsi sensoriali, gli scrittori sottolineano continuamente come l’Italia non sia affatto un paese caldo secondo il loro punto di vista, sfatando lo stereotipo del « paese del sole ». Un ruolo importante lo ha non solo la vista, come abbiamo potuto vedere nel brano di Ornela Vorpsi, ma soprattutto gli altri sensi, a cominciare dall’odorato. La nostalgia olfattiva e gustativa e la ricerca costante di odori diventa, per alcuni personaggi, una vera e propria ricerca, ossessione. Un tipo di analoga nostalgia sensoriale la ritroviamo in Parviz di Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio e la sua nostalgia per i sapori della sua Shariz., oppure in Immigrato, quando dopo settimane di « esilio » italiano, il giovane protagonista del romanzo assaggia un panino alla Harissa: « Trovo una rosticceria che ha anche cibo tunisino. Mi commuovo quasi a mettere sotto i denti un panino con la harissa ».22

In altri casi la nostalgia per il proprio paese si traduce in un percorso acustico e così i personaggi iniziano a seguire degli sconosciuti connazionali per strada, solo per poter origliare la propria lingua madre.

Sono a Roma. Ascolto la gente che parla in albanese. Rallento il passo per sentire, non posso farne a meno. Ed ecco: mi ritrovo a spiare. Sono curiosa di quello che dicono i miei connazionali fuori dall’Albania. Come vedono Roma o quello che è straniero.23

Questo riferimento alle categorie percettive non è affatto casuale ed è importante ribadire è che, quando si parla di questioni percettive, non si entra nel campo, per esempio, della rappresentazione dei dati sensoriali, quanto piuttosto nel campo degli effetti emotivi che i medesimi dati sensoriali possono provocare.

All’interno dei romanzi analizzati è infatti generalmente possibile rintracciare gli stratagemmi stilistici di una vera e propria retorica della differenza che consiste, da un lato, nel riprodurre lo straniamento del personaggio, messo in situazioni percettive che non comprende fino in fondo che gli producono errori cognitivi e una sensazione di turbamento. L’effetto di spaesamento, a sua volta, viene rappresentato dalla presentazione di oggetti quotidiani in chiave di perturbante.24 Una volta prodotta tale situazione, essa non viene che colta parzialmente dal lettore, in quanto quest’ultimo ha familiarità con il mondo che provoca lo straniamento, ma non con l’universo mentale del migrante. Per tanto l’incontro con la realtà urbana viene rovesciato o in chiave didattica, attraverso l’invito implicito a non dare per scontati gli oggetti della vita quotidiana, in chiave ironica, oppure in chiave moralistica in senso lato.

Un esempio di tali strategie di straniamento lo possiamo rintracciare in Rhoda, di Igiaba Scego, dove la città di Napoli è descritta con due frasi degne della Peste di Camus:

La città quella sera era coperta da uno strato spesso di polvere. Una polverina giallastra che provocava allergie, paura, diffidenza, angoscia e pettegolezzo. La TV diceva che era sabbia del deserto. […]. Forse quella polverina era solo il simbolo del degrado di una nazione e, chissà, del mondo intero.25

Questa polvere venuta da lontano, che rappresenta una metafora dell’immigrazione, rappresenta chiaramente un’esagerazione espressionista e un mezzo efficace per descrivere il senso di irrealtà percettiva: la città con una patina giallastra di polvere, che cambia non solo a livello cromatico, ma anche livello tattile, e provoca allergia. L’ambiente urbano appare quindi improvvisamente desertificato, e tale una desertificazione è soprattutto morale.

Considerazioni finali

Alla fine di questo itinerario tra i percorsi dei migranti, sembra essere emerso una tendenza a descrivere l’ambiente urbano attraverso lo sviluppo di mappe alternative delle città. L’itinerario corrisponde a un momento di apprendimento di un alfabeto simbolico cittadino, che porta i personaggi a costruirne un altro, sovrapposto al precedente, che mette in discussione le caratteristiche attribuite normalmente nell’immaginario tradizionale alle città italiane.

Il paesaggio italiano è spesso soltanto il pretesto per rappresentare una realtà distopica, fondata sull’emarginazione e sul degrado, i cui toponimi non evocano né immaginario né memoria. L’appropriazione dei luoghi cittadini passa inevitabilmente attraverso l’identificazione di una serie di non-luoghi26 che, risemantizzati a loro volta, si trasformano in vere e proprie eterotopie, ossia in spazi che presuppongono relazioni di tipo differente rispetto al tempo e agli oggetti, che hanno dei rituali di entrata e di uscita più o meno complicati e che perciò

[…] inquiètent, sans doute parce qu’elles empêchent de nommer ceci et cela, parce qu’elles ruinent d’avance la « syntaxe », […] les hétérotopies […] dessèchent le propos, arrêtent les mots sur eux-mêmes, contestent, dès sa racine, toute possibilité de grammaire; elles dénouent les mythes et frappent de stérilité le lyrisme des phrases.27

Si tratta di luoghi, insomma, dove non valgono le medesime regole sociali o percettive rispetto al resto del contesto urbano, ma che sono strutturati con regole interiori percepibili ma non immediatamente evidenti.

Il personaggio del migrante, sottoposto a un’ideologia spaziale che non riesce a riconoscere, diventa il soggetto ideale per demistificare l’ideologia dominante delle città italiane, non solo smantellando la concezione politica che sta alla base di questa divisione dello spazio, ma anche facendo venire a galla la relatività dei sistemi culturali di riferimento. Tuttavia, la messa in discussione dei comportamenti collettivi fa emergere col tempo quegli spazi interstiziali identificati da Bhabha28 che sono alla base della formazione di nuove forme culturali.

Bibliographie

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Note de fin

1 In questo senso, vedere Fulvio Pezzarossa, « Altri modi di leggere il mondo. Due decenni di scritture uscite dalle migrazioni », in Fulvio Pezzarossa, Ilaria Rossigni, Leggere il testo ed il mondo. Vent’anni di scrittura della migrazione in Italia, Bologna, CLUEB, 2011.

2 Chiara Mengozzi, « Città e modernità: nuovi scenari urbani nell’immaginario della “letteratura italiana della migrazione” » in Moderno e modernità: la letteratura italiana, XII congresso nazionale dell’ADI, Roma, 17-20 Settembre 2008, Università La Sapienza.

3 « L’esperienza migratoria porta alla elaborazione di immateriali cartografie migranti che innervano ed orientano il comportamento spaziale delle persone in base a valori emotivi che scaturiscono fondamentalmente dalla memoria », Davide Papotti, « L’approccio geografico alla letteratura dell’immigrazione. Riflessioni su alcune potenziali direzioni di ricerca », In Fulvio Pezzarossa, Ilaria Rossigni (a cura di), Leggere il testo ed il mondo. Vent’anni di scrittura della migrazione in Italia, Bologna, editore CLUEB, Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna, 2011, p. 76.

4 « Visti con gli occhi dell’immigrato, la città non è solo un nemico, un mostro da sconfiggere e assoggettare, ma uno spazio di vagabondaggio, di scoperta, di instaurazione di legami interpersonali, uno spazio per negoziazioni caratterizzate da esperienze multiple » Pap Khouma, Oreste Pivetta, Io, venditore di elefanti. Una vita per forza fra Dakar, Parigi e Milano, Milano, Garzanti, 1990, p. 194.

5 Igiaba Scego, La mia casa è dove sono, Milano, Rizzoli, 2010, p. 59.

6 Paul Claval, La Géographie culturelle, Paris, Nathan, 1995, p. 104.

7 Mario Fortunato, Salah Methnani, Immigrato, Milano, Bompiani, 2006, p. 42.

8 Ibidem, p. 57.

9 Gabriella Kuruvilla, Milano, fin qui tutto bene, Milano, Laterza, 2012, p.164-165.

10 « Il ne suffit pas de se reconnaître et de s’orienter. L’explorateur veut conserver la mémoire des terres qu’il a découvertes et les faire connaître à tous. Pour parler des lieux ou des milieux, il n’est d’autre moyen que de procéder au baptême du terrain et à l’élaboration d’un vocabulaire propre à qualifier les diverses facettes de l’espace », Paul CLAVAL, op. cit, p. 165.

11 « Ces lieux ne sont pas nécessairement gardés; bien au contraire, il se donnent en général comme publics – et cependant, il existe pour eux des rites d’entrée et de sortie », Pierre Sansot, Poétique de la ville, Paris, Petite Bibliothèque Payot, 2004, p. 45.

12 Ornela Vorpsi, Bevete cacao Van Houten!, Torino, Einaudi, 2010, p. 83.

13 Anne Cauquelin sottolinea come durante la notte la città sia attraversata da una vera e propria simbologia della luce, fatta di neon che indicano se un negozio è aperto o chiuso (il tipo stesso di negozio, basti pensare alle croci verdi delle farmacie), di strade ben o scarsamente illuminate, dove anche il tipo di luce ha un valore simbolico. In Anne Cauquelin, La Ville la nuit, Paris, Presses Universitaires de France, 1977.

14 Ornela Vorpsi, op. cit., p. 86.

15 Ron Kubati, M, Nardò (LE), Besa editrice, 2002, p. 7.

16 A tali tipi di appropriazione si riferisce, ad esempio, Ledrut quando affermava che il nome di una città comporta una serie di aspettative che avranno un peso tangibile nella rappresentazione che un individuo si fa della città in questione. Vedi in questo senso Raymond Ledrut, Les Images de la ville, Paris, Anthropos, 1973.

17 Scego, La mia casa è dove sono, Rizzoli, Milano, 2010, p. 93-94.

18 Mohammed Lamsuni, Porta Palazzo mon amour, Torino, Michele Di Salvo, 2006, p. 11.

19 Abdel Malek Smari, Fiamme in paradiso, Il Saggiatore, Milano, 2000, p. 51-52.

20 Mohamed Bouchane, Chiamatemi Alì, Milano, Leonardo Editore, 1990, p. 11.

21 Davide Papotti, op. cit., p. 79.

22 Mario Fortunato, Salah Methnani, op. cit., p. 30.

23 Ornela Vorpsi, La mano che non mordi, Torino, Einaudi, 2007, p 55.

24 Per « perturbante » o «  Unheimlich », si intende la sensazione di inquietudine percettiva legata ad una realtà differente. Freud legava tale inquietudine alla presenza di oggetti familiari che, presenti in maniera inaspettata, rappresentano per le persone una minaccia proprio a causa di questa simultanea familiarità ed estraneità, sottolineando poi come costituissero dei perturbanti ogni tipo di caso in cui « [...] se présente à nous comme réel quelque chose que nous avions considéré jusque-là comme fantastique », in Sigmund Freud, L’Inquiétante étrangeté et Autres essais, Paris, Gallimard, 1988, p. 251.

25 Igiaba Scego, Rhoda, Roma, Sinnos, 2004, p. 15.

26 Marc Augé, Non-lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité, Paris, Édition du Seuil, 1992.

27 Michel Foucault, Les mots et les choses. Une Archéologie des sciences humaines, Paris, Gallimard, 1966, p. 9-10.

28 In questo senso, si veda Homi K. Bhabha, Les Lieux de la culture. Une théorie postcoloniale, Paris, Payot & Rivages, 2007.

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Citer cet article

Référence électronique

Fiorangelo Buonanno, « Percorsi urbani nella letteratura di migrazione italiana », Line@editoriale [En ligne], 6 | 2014, mis en ligne le 29 mars 2017, consulté le 08 mai 2024. URL : http://interfas.univ-tlse2.fr/lineaeditoriale/580

Auteur

Fiorangelo Buonanno

LAMO (Nantes)

angelo.buonanno@libero.it