Vera e propria mise en abîme, il cimitero dell’Inferno della città di Dite (un cimitero in una città di morti) che Dante attraversa, ancora vivo, guidato e protetto da Virgilio, è l’occasione del ricordo e citazione esplicita di due città reali, Arles (Arli) e Pola, situate rispettivamente dopo in confini oltremontani della penisola, agli estremi Ovest ed Est.
Dante, si sa, ha un’immagine doppia della città : da un lato luogo di civiltà e armonia comunale, dall’altro luogo di tutti i vizi, specie di corruzione politica e morale. Che nell’Inferno vi sia una città, dunque, la cosa non stupisce. Questa città è in realtà vastissima e comprende tutta la parte più bassa dell’Inferno, a forma di cono rovesciato, dal sesto al nono girone. Essa è chiamata con un toponimo latino (da ditis che è il dio degli inferi anche in Virgilio) ed è descritta come città di forma medievale, fortificata, racchiusa da mura, tutta in fiamme, circondata dalla palude fetida di uno dei fiumi infernali, lo Stige. Ma Dite è una città nella città poichè l’Inferno tutto è « città dolente » (per me si va nella città dolente) che raccoglie in sé tutto il male di tutte le città del mondo e di tutte le città possibili come nota Franc Ducros :
C’est une ville inverse : tout- sa topographie elle-même, patiemment et complètement décrite pendant 25 chants – s’y donne non en relief, mais en creux, jusqu’en son centre où siège son prince, qui n’est donc pas au sommet, mais au fond. Monde à l’envers.1
Città contraria alla città in salita medievale (come saranno invece i gironi del Purgatorio) ma soprattutto inversione della città celeste (Apocalissi), il Paradiso.
Se è chiaro che a questi luoghi corrispondono dunque topoi morali e che la loro forma rinvia a significati allegorici ed anche simbolici, è anche ovvio che i riferimenti, citazioni esplicite o implicite a monumenti o città reali, facenti parte o no della storia personale di Dante profugo, sono anch’essi parte di un tessuto figurale che, per analogia, costituisce un senso poetico e un discorso parallelo al senso letterale.
Molti sono i monumenti esplicitamente evocati nella Commedia, non solo della città di Firenze - San Giovanni (Inf. XIX, v. 17), la cerchia “antica" delle mura (Par. XV, v. 97), il ponte Vecchio (Par. XV, v. 146) - ma anche dei luoghi situati nei dintorni come il pozzo dei giganti di Monteriggioni (Inf. XXXI, vv. 40-41) o ancora i monumenti principali di Bologna e Roma : la torre della Garisenda (Inf. XXXI, v. 136) e il ponte Sant'Angelo (Inf. XVIII, v. 29). Normale dunque che vi siano citazioni di monumenti noti delle città più lontane, straniere, forse nemmeno visitate dal poeta, ma che costituivano senz’altro punti importanti nella visione del suo mondo terreno per il quale auspicava l’impero universale, dunque esteso il più possibile oltre le frontiere naturali e linguistiche. Abbiamo già detto che Pola ed Arles potevano costituire riferimenti a punti oltralpe rispettivamente situati a due estremi cardinali, sorta di porte di accesso a due vie opposte. Arles in particolare è una capitale importantissima nel medioevo ed è lecito chiedersi se questi due riferimenti alle arche di Pola e al cimitero degli Alyscamps di Arles (Inf. IX, vv. 112-113) abbiano altri sovrassensi in questo punto dell’opera.
Dante e Virgilio sono appena entrati in Dite grazie all’intervento di un messaggero divino che fa aprir loro le porte della città. Solo allora Dante si accorge della desolazione che regna :
Dentro li ’ntrammo sanz’alcuna guerra;
e io, ch’avea di riguardar disio
la condizion che tal fortezza serra,
com’io fui dentro, l’occhio intorno invio;
e veggio ad ogne man grande campagna
piena di duolo e di tormento rio.
Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,
sì com’a Pola, presso del Carnaro
ch’Italia chiude e suoi termini bagna,
fanno i sepulcri tutt’il loco varo,
così facevan quivi d’ogne parte,
salvo che ’l modo v’era più amaro;
ché tra gli avelli fiamme erano sparte,
per le quali eran sì del tutto accesi,
che ferro più non chiede verun’arte.
Tutti li lor coperchi eran sospesi,
e fuor n’uscivan sì duri lamenti,
che ben parean di miseri e d’offesi.2
Nella terra desolata racchiusa dalle mura, vi sono solo tombe sparse3 ; per dare un’idea al lettore, Dante evoca allora due necropoli in cui i sarcofaghi sono alla luce e intra muros, quelle di Pola (oggi scomparsa) ed Arles. Benchè situate in luoghi diversi e distanti, queste città entrambe “romane”, sono accomunate da un altro elemento evocato e cioè sono quasi circondate dall’acqua : il mare per Pola, con il golfo del Carnaro che bagna l’Italia, e il Rodano per Arles, che “stagna” e cioè si allarga e crea il delta, una zona paludosa (la Camarga). Per le due città vengono dunque evocati due elementi : la necropoli interna e la zona acquatica che costeggia le due città. Forse Dante suggerisce che proprio perchè circondate dall’acqua e da zone paludose, i sarcofaghi sono in superficie? O forse è solo un’analogia visiva con la palude stigia? Se continuiamo a interpretare la città di Dite come un contrario della città celeste, come dobbiamo immaginare il rapporto figurale alle città reali evocate in modo esplicito? La zona lagunare (Pola) o paludosa (Arles) sembrano essere un puro esempio per dare un’immagine al lettore - certo, un lettore ben colto - di un paesaggio simile4. L’indicazione successiva insiste infatti sulla descrizione fisica del luogo: le arche hanno la prerogativa di fare quel luogo “varo”. I commentatori danno una prima glossa: i sepolcri che vi sono sparsi rendono il luogo “vario”, intendendo con quel termine “non piano”, accidentato. Un’altra spiegazione, più rara, interpreta “varo” come “curvo”, storto. Se la prima accezione sembra più logica e facile da visualizzare, la seconda introduce un elemento più oscuro, insieme fisico (geometrico) e forse simbolico, morale. Quanto al modo “più amaro” (aggettivo usato già per indicare la “selva”: “Tant’è amara che poco è più morte”, Inf., I, v7) questo è dato dalla condizione stessa dell’inferno e dalle fiamme che bruciano ma anche dal fatto che i sepolcri sono aperti, vuoti, e che da essi esalano lamenti di dolore5. All’immagine piana, orizzontale, della città di Arles in cui il Rodano “stagna”, si oppone questa della città di Dite, insieme movente e cava, posta su un baratro di fiamme fondo (e altri gironi più profondi aspettano Dante).
Ecco che si profila l’idea di un’inversione per cui i sarcofaghi invece di essere luoghi ctonî sotto i quali i morti sono seppelliti da lapidi pesantissime, diventano porte, buchi sotterranei ma aperti da cui i dannati possono emergere, almeno a mezzo busto, in attesa della parusia, allorchè, esattamente al contrario di ciò che avverrà sulla terra - in cui le tombe saranno aperte per farne risorgere i corpi - i sarcofaghi di Dite saranno invece richiusi definitivamente ad indicare un movimento ormai impossibile verso l’alto, ma una caduta definitiva verso il basso e cioè verso il cuore dell’inferno.
Dite, città a forma di abisso, è il contrario della città celeste, in ascesa ; invece, con il suo stato orizzontale (di superficie) sul quale sono state poste le arche degli Alyscamps, la città storica e capitale medievale di Arles, circondata da mura ma situata su una zona piana, è figura intermedia (fra l’alto e il basso), sorta di zona neutra e, proprio per la sua forma e la forma delle sue arche (che non sono interrate ma poste sulla superficie), si pone come modello della città terrestre iscritta in una topografia assolutamente orizzontale e piana.
Il riferimento non può essere casuale: nel cimitero di Dite, Dante incontra le anime degli eretici e cioè di coloro che non hanno creduto l’anima immortale, dunque senza possibilità di ascesa o discesa, in una condizione orizzontale e terrestre. Il personaggio centrale è uno dei più importanti della Commedia, colui che Dante considera come un eroe, il ghibellino Farinata degli Uberti, a cui attribuisce di aver salvato Firenze dalla distruzione, a Montaperti. Malgrado la sua condizione di dannato, Farinata gode di un trattamento di favore (può prendere la parola ed emergere dalla tomba) e non ha perso nulla della sua dignità di eroe infatti nella sua tomba giace un’altra grande figura imperiale, Federico II, che tuttavia non emerge (dunque in posizione addirittura subalterna). Farinata ha un ruolo nettamente politico poichè è lui che predice a Dante il suo esilio.
Concludendo, i luoghi di Arles e Pola, decentrati geograficamente (rispetto a Roma) e situati su due linee ideali di espansione dell’impero (d’Oriente e d’Occidente) - e Arles in particolare è città imperiale anche nel Medioevo con la sua necropoli che nel Medioevo si diceva nata per accogliere i paladini di Carlomagno6 - sono anche luoghi prettamente terreni, orizzontali. In quanto città imperiale e terrena, ma anche “esterna”, Arles può rappresentare il luogo consono alla presenza di Farinata, “paladino” e eroe della Storia che tuttavia è eretico, dunque confinato - o sconfinato - al perimetro infernale, ma che è uno dei grandi personaggi positivi della Commedia.
Al margine di questa breve riflessione su Arles come modello e figura della città terrena, intermedia e “neutra”, nel canto IX della Divina Commedia, citiamo un bel passaggio tratto da La vita dei dettagli di Antonella Anedda che ha colto poeticamente il valore di quel luogo letterario :
Nel IX canto dell’Inferno, Dante – capovolgendo l’iconografia del sarcofago vuoto ma pieno di promesse di resurrezione – aveva pensato il cimitero in termini di spazio emotivo: una tregua, dopo le urla delle Erinni e lo sguardo pietrificato della Medusa davanti alla città di Dite, il respiro di un’apertura [...] L’immagine di queste bare e di questi luoghi è descrita nella vita di San Trofimo, che probabilmente Dante conosceva : “... I parenti affdarono i morti alla corrente del Rodano. Essi scesero fino ad Arles, ma non più avanti, grazie al santo cimitero che Dio ha consacrato e che si chiama Alyscamps”. Le tombe diventano navi che trovano il loro porto e pagano il giusto pedaggio. Chi “pescava” le bare risquoteva “le droit de mortellage”. È davvero un peccato che i sarcofagi siano vuoti e nudi, che, come dice la guida, siano ormai senza valore? Non per me [...] Non inferno ma paradiso (un’ora) in un luogo il cui nome viene da Campi (Elysi Campi).7
Anthoine Borel, Dessin aquarellé (XVII). – Médiathèque d’Arles, Cote : Ms 745. Si tratta probabilmente della miniatura citata da Jean Reboul. Il disegno mostra come certe zone (Abazia di Montmajour) fossero allora invase dall’acqua (vedi Infra, nota 4, sull’espressione “il Rodano stagna”).
http://www.patrimoine.ville-arles.fr/index.php?obj=quartier&idx=32